SETTEMBRE 1943: DUE SCONTRI A FUOCO A SAN SEVERO? DUE lapidi, DUE fatti che appartengono ormai alla cronaca o, forse, (perchè no) - alla storia di San Severo! Il dovere per tutti, è quello di tramandare la memoria, non tanto per spirito di campanile, quanto, soprattutto, perchè i due momenti a cui si fa riferimento, coinvolsero, a suo tempo, una parte notevole della popolazione locale, confermandone il profondo senso di generosità e la spontanea reazione alla violenza di una guerra imposta e impopolare. La prima lapide è apposta sulla facciata dell'ex caserma di Corso Garibaldi con questa epigrafe; In questa caserma il 9 settembre 1943 giorno dopo l'armistizio un nucleo di valorosi del 107° Btg. Mobile al comando del Cap. Piccoli oppose fiera resistenza ai tedeschi prevalenti per numero e di armi Il Comune perchè sia ricordo e ammonimento la fedeltà al dovere militare La seconda lapide è posta ai piedi della colonna commemorativa fatta erigere dal Comune di San Severo nel Cimitero con la seguente epigrefe: Alla memoria dei QUATTRO valorosi soldati inglesi che il 27 settembre 1943 con il sacrificio della loro vita liberarono San Severo da preordinata distruzione Il Comune dedicò - 10 Aprile 1944 Le date, quindi, come si desume dalle epigrafi qui riportate integralmente sono quelle del 9 e del 27 settembre: di qui, il primo concreto elemento storico, che pone San Severo nel pieno delle vicende del tempo, come città inserita certamente nei piani della rea65 zione tedesca all'indomani dell'armistizio e nella quale era prevista una operazione di guerra vera e propria mediante la distruzione di taluni impianti e installazioni di rilevanza civile e militare, da attuarsi dopo aver reso inoffensivo il piccolo presidio militare del 107° Btg. Territoriale Mobile. Per ampiezza di impegno e per specifica caratterizzazione del fatto, un vero e proprio scontro a fuoco, assume notevole importanza l'episodio avvenuto il 9 settembre, che va inquadrato senz'altro nel clima di guerra, che scaturì dalla dichiarazione di armistizio pronunciata dal Governo italiano dopo lunghe trattative con il Comando Supremo delle Forze Alleate. Non è difficile rievocare gli aspetti salienti e più drammatici conseguenti all'armistizio proclamato dall'Italia il giorno 8 settembre e avvenuti un pò dovunque in tutta l'Italia, ma particolarmente nell'Italia Meridionale, dove i tedeschi si trovarono a fronteggiare una situazione certo diversa da quella esistente nel Nord, dove essi furono favoriti dalla presenza di un ricostituito governo fascista. Qui, nell'Italia Meridionale, fu maggiore lo sbandamento dei comandi militari e delle truppe dislocate nelle varie città, perchè più rapida apparve ed anche più traumattizzante la reazione dei tedeschi, che aggredirono non solo le caserme e le truppe isolate e prive di precisi orientamenti operativi, ma spesso operarono contro le popolazioni, facendo accrescere sia il timore di più feroci rappresaglie, sia il generale sbandamento. Se teniamo presente, quindi, la data già indicata del 9 settembre, dobbiamo convenire che a San Severo le truppe tedesche operarono con immediatezza, proprio all'indomani dell'armistizio, dopo aver agito con terrore addirittura la sera stessa dell'8 settembre in altri centri della provincia di Foggia, soprattutto a Troia, dove il Comando tedesco controllava e gestiva in proprio un grande panificio, che provvedeva all'approvigionamento dei vari aeroporti dislocati nel Tavoliere e delle truppe qua e là interessate alla difesa delle vie di maggiore comunicazione con il Nord. A Troia, inoltre, già da qualche settimana, si erano trasferiti da Foggia, a causa dei violenti bombardamenti aerei e della distruzione quasi totale della città, alcuni uffici ed enti militari, tra i quali più importanti la Questura e il Comando Sottozona Protezione Impianti e Difesa Antiparacadutisti del quale faceva parte l'autore di questi appunti, come ufficiale coordinatore operativo. Anche San Severo era certamente nelle mire del piano di emergenza dei tedeschi, perchè qui si era trasferito il Distretto Militare di Foggia, sempre a causa dei bombardamenti aerei. Comandante del Distretto Militare era in quell'epoca un concittadino, il Colonnello Morrone, che si rese, in fondo, partecipe anch'egli del fatto, operando a fianco dei tedeschi come intermediario. 66 L'azione del 9 settembre ebbe esattamente inizio alle ore 14, protagonisti tre ufficiali, il Cap. Piccoli, il Ten. Attanasio (originario di Manfredonia) il S. Ten. Clara e non più di 15 militari tra soldati e graduati, presenti a quell'ora in caserma. E’ bene dire subito che sparsasi ormai la voce, sin dalla sera precedente, della reazione dei tedeschi contro le nostre truppe e contro i comandì militari della provincia, il reparto che aveva alloggio nell'ex caserma di Corso Garibaldi e che dipendeva dal Comando Sottozona, di cui ho fatto cenno più innanzi, aveva provveduto sin dal mattino a tenere ben chiuso il portone della caserma, istituendo anche un servizio di sentinella disarmata (disarmata, perchè si sapeva già che i tedeschi andavano in cerca di armi, al fine di rendere inoffensivi i nostri soldati). Il reparto, oltre la sentinella, che aveva il compito soprattutto di lanciare l'allarme, nel caso si fossero avvicinati soldati tedeschi alla caserma, aveva anche provveduto ad organizzare qualche posto di difesa vicino alle finestre dell'edificio e lungo il muricciolo del terrazzo, deciso com'era ad evitare la consegna delle armi. Episodi del genere furono certo numerosi in quei giorni, quasi tutti determinati da massima spontanea decisione di ufficiali e soldati, privi per lo più di ordini superiori, giacchè le uniche parole che erano più di altre echeggiate la sera prima nella popolazione e tra le truppe italiane di tutto il comunicato relativo all'armistizio erano state quelle contenute nella frase badogliana conclusiva del comunicato "la guerra continua". Alle ore 14 circa, quindi, l'allarme dato dalla sentinella! I tedeschi, solo una pattuglia di pochi uomini per il momento, avvicinatisi al portone chiedono ad alta voce l'apertura della caserma e la consegna delle armi: la richiesta veniva, in realtà, fatta in lingua italiana dal Col. Morrone, comandante del Distretto. Alla finestra sovrastante il portone c'era il Cap. Piccoli e un soldato, mentre gli altri ufficiali Attanasio e Clara, con tutti i soldati si erano appostati sul terrazzo dell'edificio, avendo a disposizione i propri fucili e 4/5 cassette di bombe a mano. Alla richiesta dei tedeschi, comunque, il Cap. Piccoli, che era a minor distanza, rispondeva negativamente dall'interno della finestra, verso la quale giungeva immediatamente una scarica di fucile mitragliatore. Di fronte a tale reazione il Cap. Piccoli e il soldato che stava con lui raggiungevano anch'essi il terrazzo dell'edificio, piuttosto terrorizzati. I due giovani ufficiali, però, consigliarono di rispondere al fuoco sia per prendere tempo sia per non apparire alla mercè dei tedeschi. Infatti, furono sparate scariche di fucileria e lanciate alcune bombe a mano che fecero pensare per un pò che i tedeschi, essendo 67 pochi, volessero andare vìa. Il che non avvenne, perchè dopo un breve momento di silenzio fu notato, purtroppo, l'arrivo di altri tedeschi e soprattutto di alcune autoblinde. A tal proposito si deve osservare che i tedeschi, dopo l'armistizio si muovevano anch'essi con estrema diffidenza nelle zone dove erano stati sorpresi dagli improvvisi capovolgimenti di fronte e agivano in genere con pattuglie di pochi uomini distanziate l'una dall'altra, tentando di procedere verso Nord e verso zone più idonee ad una massiccia difesa, come in realtà avverrà sulle montagne abbruzzesi sino alla fine di settembre. Intanto, il piccolo gruppo dei nostri soldati, data anche la scarsezza delle munizioni e il pericolo derivante dall'esporsi sul muricciolo del terrazzo cessò di fare uso dei fucili e si limitò ad operare con le bombe a mano, che venivano lanciate a tempo intermittente, mentre i tedeschi iniziavano tiri con le armi pesanti in dotazione alle autoblinde. Anche un aereo da ricognizione sorvolava nel frattempo la caserma, guidando il tiro delle armi a terra. Purtroppo la testìmonianza dei due giovani ufficiali fa rilevare a questo punto che il Cap. Piccoli, durante le operazioni conseguenti al vero e proprio scontro a fuoco se ne stava dietro un parapetto del terrazzo quasi sotto choc. Dopo circa due ore di una situazione, certo drammatica per i pochi soldati italiani, e nella constatazione che le bombe a mano stavano per finire, si delineò in tutta la sua durezza il problema della soluzione a cui giungere. Arrendersi? Attendere e sperare che i tedeschi si allontanassero per raggiungere altri obiettivi? Fu allora che un soldato, aggirandosi sul terrazzo e rifacendo la scalinata che portava verso gli alloggi, scoprì che verso la parte posteriore della caserma, dopo il magazzino di casermaggio c'era la possibilità, attraversando qualche finestra, di accedere ad un piccolo chiostro, (attualmente esistente e facende parte del plesso scolastico del 2° Circolo Didattico) dal quale forse si poteva giungere ad una uscita posteriore. Immediatamente, appresa la informazione, un graduato ed altri soldati esplorarono non solo tale possibilità, ma cercarono di accertare soprattutto che la parte posteriore dell'edificio non fosse sotto la sorveglianza dei tedeschi. L'esito della ispezione esplorativa si rivelò favorevole ai nostri soldatì, sicchè gli ufficiali diedero ordine di scaricare in maniera massiccia le ultime bombe a mano rimaste a disposizione e di abbandonare celermente un pò alla volta i posti di combattimento, per tentare di attraversare il chiostro e approfittare di servirsi dell'uscita posteriore dell'edificio, prima che i tedeschi se ne accorgessero e tentassero una reazione che sarebbe stata certamente fatale per tutti. I soldati e gli ufficiali, infatti, riuscirono ad allontanarsi fortunatamente approfittando sia delle stradette viciniori, tortuose e strette, sia soprattutto dell'aiuto di cittadini che abitavano nelle immediate adiacenze, i quali fecero entrare a gara l'uno o l'altro dei 68 soldati n elle loro case con enorme loro rischio e pericolo. I tedeschi, in pratica, oltre il danno (qualche morto e qualche ferito) subirono una grossa beffa, perchè solo dopo una quindicina di minuti, in assenza di ulteriore reazione da parte dei nostri soldati, iniziarono l'avvicinamento al portone d'ingresso della caserma e l'accerchiamento dell'intero isolato. Dalla testimonianza degli ufficiali e dei soldati risulta che fu ammirevole l'accoglienza e la disponibilità delle famiglie residenti nelle vicinanze, che non solo confortarono i protagonisti di quell'episodio di guerra, ma fornirono subito abiti civili di fortuna agli stessi per consentire loro di uscire dalle case e allontanarsi dalla zona divenuta certo pericolosa, essendo non ipotetico il timore di eventuali perquisizioni nelle case stesse, una volta che i tedeschi entrati in caserma l'avessero trovata vuota. I due ufficiali Attanasio e Clara affermano che dopo aver indossato abiti civili e allontanatisi dalla zona circostante la caserma, poterono raggiungere le adiacenze della villa comunale e poi lo stesso viale della villa, donde molti concittadini avevano già visto l'abbattimento del portone della caserma e l'ingresso di alcuni tedeschi nella caserma stessa, mentre altri continuavano a perlustrare le strade adiacenti, accompagnati dal Colonnello comandante del Distretto. Mentre viene assicurato che nessuna perdita di uomini si verificò tra gli italiani, notizie imprecise e comunque non testimoniate da documenti parlano di cinque morti tra i tedeschi e qualche ferito, con due autoblinde danneggiate. Solo quattro giorni dopo, il 13 settembre, fu possibile agli ufficiali effettuare una ricognizione di ciò che era rimasto in caserma e fu in quella circostanza che si verificò un grave incidente ad un altro ufficiale italiano, il Tenente Tagliaferri, il quale perse un occhio per lo scoppio di una bomba a mano abbandonata tra le coperte senza linguetta di sicurezza. Su questo spiacevole e doloroso incidente capitato all'ufficiale suddetto, che non aveva partecipato all'azione, perchè impegnato altrove, si chiude la testimonianza di cui mi sono trovato in possesso. Sul secondo episodio non esistono testimonianze specifiche e documentate, almeno sino a questo momento. Si ritiene, comunque, che il personale attualmente impegnato nell'inventario dell'Archivio Comunale possa reperire qualche cenno di eventuali deposizioni scritte. Le notizie in merito, pertanto, si diffusero nella popolazione dall'uno all'altro oralmente, subito dopo il fatto. In pratica, si sa che quattro soldati inglesi, che a scopo esplorativo procedevano come pattuglia di avanguardia, a distanza dal loro reparto, a bordo di una jeep, giunti all'altezza dell'edificio dell'attuale macello comunale, furono inaspettatamente aggrediti da sol69 dati tedeschi in postazione nella zona e barbaramente annientati con l'uso di lanciafiamme in dotazione al reparto nemico. La fine dei quattro soldati inglesi fu, quindi, due volte drammatica e orribile. Anche in questa occasione, la popolazione sanseverese, accorse con grande commozione sul luogo, partecipando al reperimento dei miseri resti di quei soldati, onorati con la sepoltura nel cimitero della città e con un ricordo marmoreo fatto erigere dal Comune. Sulla tomba dei soldati inglesi, ancora oggi, mani pietose depongono fiori in omaggio all'eroismo dei quattro inglesi. Nel cimitero della città sono sepolti anche soldati tedeschi anch'essi, certo, vittime forse di una guerra non voluta. Ma la guerra, purtroppo, negazione della vita, è sempre terribile e guai a chi ne è la causa. Concludendo ci si chiede; fu quello dì San Severo, un episodio della Resistenza? Certo è, che il 9 e il 27 settembre sono due date da ricordare almeno nelle cronache di San Severo, se non in quelle pagine di più ampia risonanza che costituiscono la Storia. GAETANO PISCITELLI 70