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• Sparta si trovava al centro
di una vasta regione
pianeggiante del
Peloponneso meridionale,
la Laconia, compresa fra le
due catene dei monti
Parnone e Taigeto e irrigata
dal fiume Eurota, che
scorre da nord a sud.
Prof. G. Mosconi.
Corso di Storia Greca per laurea
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Sparta e Atene
dalle origini alla fine dell’arcaismo
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Caso quasi eccezionale nel mondo greco, Sparta si trovava ad una notevole distanza dal
mare (il porto di Gizio si trova 35 km a sud di Sparta): la distanza dal mare, e nello
stesso tempo la posizione centrale nella fertile vallata della Laconia, spiegano in buona
parte la successiva storia della città, in cui il possesso, la conquista e lo sfruttamento
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Mosconi
Corso
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dellaG.terra
hanno
un ruolo determinante.
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La fertile piana dell’Eurota
vista dal colle del Menelaion
Il fiume è visibile in
fondo a destra, coperto
da piante acquatiche;
sullo sfondo il Taigeto
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Sparta, la ‘disseminata’
Cartina della
Laconia: il
territorio degli
spartiati,
i 4+1 villaggi di
Sparta,
le città
perieciche
• A fondare la città erano stati gruppi, forse neppure troppo
numerosi, di Dori, parte di quelle popolazioni doriche che
scesero nel Peloponneso intorno al 1.100 a.C. ca. I nuovi
arrivati fondarono quattro villaggi su alcune colline lungo il
corso dell’Eurota, a breve distanza l’uno dall’altro: poi, forse
nel X sec., i quattro villaggi – pur rimanendo fisicamente
distinti – attuarono un sinecismo, cioè si unirono
politicamente a creare una sola polis, Sparta.
• La struttura urbanistica ‘primitiva’ di Sparta si mantenne
anche nei secoli successivi: alla fine del V secolo, il grande
storico ateniese Tucidide osservava che Sparta «non si
raccoglie intorno ad un unico nucleo e non ha templi o edifici
sontuosi, ma è abitata in villaggi sparsi, secondo l'antico modo
dei Greci», per cui, «se la città dei Lacedemoni fosse devastata
e si salvassero solo i templi e le fondamenta, i posteri
difficilmente crederebbero che la potenza spartana fosse pari
alla sua fama» (Tucidide, La guerra del Peloponneso 10, 2).
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Dimora micenea (di estensione minore che il tipico palazzo miceneo), la cui
prima fase si colloca nel XV sec. a.C.; la terza e ultima fase risale al XIII sec.
a.C. Va probabilmente interpretata come la residenza del wanax della
Laconia.
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La prima e seconda guerra messenica
Tirteo sulla conquista della Messenia: fr. 5 W.
• Con una prima guerra messenica, durata vent’anni, la
Messenia fu totalmente conquistata nella seconda metà
dell’VIII secolo (datazioni tradizionali: 757-748; 743-724): i
Messeni –di stirpe dorica come gli Spartani - furono soggetti
a un duro sfruttamento, e obbligati a versare metà dei
raccolti ai nuovi padroni. Lo ricorda il poeta Tirteo, il quale
afferma che i Messeni sconfitti erano «come asini schiantati da
pesante soma, che portano ai padroni – necessità luttuosa – la
metà di tutto quanto la terra genera» (fr. 6 W.; tr. cit.).
• Attorno al 650 a.C. (datazioni tradizionale in Pausania: 684668; intorno al 640 nella Suda), i Messeni insorsero: questa
seconda guerra messenica, durata più di un decennio, si
concluse con la definitiva sottomissione dei Messeni, ridotti
alla condizione di iloti. Per quattrocento anni, fino al 371
a.C. (battaglia di Leuttra), la Messenia rimarrà sotto il duro
tallone spartano, nonostante tentativi di rivolta (come la III
nelFonti,
V immagini,
sec. a.C.).
Prof.guerra
G. Mosconimessenica,
Corso
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“Al nostro re Teopompo, amato dagli dèi:
Con lui prendemmo la vasta Messenia.
Messenia: terra buona da arare, buona da semina
Per lei fecero guerra diciannove anni,
senza mai tregua; con tenace coraggio,
i padri dei nostri padri, con la lancia in pugno.
Al ventesimo anno, i Messeni lasciarono
le fertili campagne, via dalle alte vette di Itome”.
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Mezzo millennio di stabilità
• L’eccezionalità di Sparta sul piano militare – che ne fa, fino
agli inizi del V secolo, la polis più potente del suolo greco,
poi affiancata da Atene – è in realtà il riflesso di una
eccezionale stabilità.
• Tucidide osservava che Sparta, dopo essere stata fondata dai
Dori e aver avuto un lungo periodo di conflitti interni, «fin
dall’antichità ebbe una buona costituzione e non fu mai
dominata dai tiranni: sono circa quattrocento anni o poco più
[…] che i Lacedemoni hanno la medesima costituzione e
traggono da questo fatto la loro potenza che permette loro di
sistemare gli affari anche nelle altre città» (Tucidide, La guerra
del Peloponneso, 1, 18, 1; trad. C. Moreschini).
• Tale stabilità – anche se con problemi sempre più evidenti
nel corso del IV secolo - si sarebbe prolungata per almeno un
altro secolo.
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Prerogative dei re spartani
secondo ErodotoVI 56-60 (traduz. A. Izzo D’Accinni)
L’ordinamento politico: i re
Fin dalle origini Sparta – come in origine altre poleis greche – fu
retta da re. Non si trattava però di una monarchia, ma di una
diarchia. I re appartenevano a due distinte famiglie (gli
Agiadi e gli Euripontidi) che si vantavano discendenti da una
coppia di gemelli nata da uno degli Eraclidi.
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57. Questi i privilegi che hanno in tempi di guerra, mentre altri sono stati
fissati per loro in tempo di pace nella seguente maniera: se si fa qualche
sacrificio ufficiale i re siedono al primo posto nel banchetto e da loro per
primi si comincia a servire, distribuendo a ciascuno di loro tutte le vivande il
doppio che agli altri commensali, ed essi hanno la precedenza nelle libazioni
e ricevono le pelli degli animali serviti a tavola. Il primo giorno del mese e il
settimo della prima decade di ogni mese viene dato a spese dello stato a
ciascun re una vittima adulta da sacrificare ad Apollo ed un medimno di
farina e un quarto laconico di vino, e in tutte le pubbliche gare vengono
concessi loro posti d’onore. E sta a loro nominare prosseni quelli che
vogliono dei cittadini e scegliere ciascuno dei Pizii: i Pizii sono magistrati
inviati a Delfi, mantenuti insieme con i re a spese dello stato. Quando i re
non partecipano al pasto comune sono tenuti a mandar loro in casa due
chenici di farina per ciascuno e una ciotola di vino; se invece sono presenti
vien dato loro il doppio di ogni cosa, e nella stessa maniera vengono onorati
anche quando sono invitati a pranzo da privati. I vaticini ricevuti essi li
custodiscono, ma ne sono a conoscenza anche i Pizii. Essi rendono giustizia
da soli soltanto nei casi seguenti: riguardo alla figlia unica ereditiera, a chi
debba andar sposa se il padre non l’abbia già promessa, e riguardo alle vie
pubbliche. E, se qualcuno vuole adottare un figlio deve farlo dinanzi al re.
Essi assistono i geronti quando tengono consiglio, e i geronti sono 28. Se i re
non vanno, quelli dei geronti che sono loro più stretti parenti hanno le
prerogative reali e depongono due voti, e come terzo il loro proprio.
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56. Gli Spartiati han concesso ai re i seguenti privilegi:
due sacerdozi, quello di Zeus Lacedemonio e quello di
Zeus Uranio, e il diritto di portar guerra in qualunque
territorio vogliano, e che nessuno degli Spartiati possa
ostacolarli in questo, e in caso contrario sia colpito da
maledizione. Nelle spedizioni militari i re vanno per
primi, e per ultimi si ritirano; nelle guerre schiere di
cento uomini scelti costituiscono la loro guardia del
corpo; durante le spedizioni possono immolare quante
vittime vogliono, e di tutte quelle immolate prendersi
le pelli e le schiene.
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58. Questi gli onori resi dallo stato degli Spartani ai re quando sono in
vita, questi altri invece dopo morti: dei cavalieri vanno in giro
annunziando l’accaduto per tutta la Laconia, e per le città le donne
aggirandosi di qua e di là percuotono lebeti. E dopo che questi riti si
sono così svolti è assolutamente necessario che per ogni famiglia due
persone di condizione libera, un uomo e una donna, si buttino in
segno di lutto; per chi non lo fa, sono comminate gravi pene. Gli
Spartani per la morte del re hanno le stesse usanze dei barbari
d’Asia: infatti la maggior parte dei barbari si attiene a questi stessi
costumi per la morte dei re. Quando un re dei Lacedemoni sia morto,
da tutta la Laconia sono tenuti ad andare al funerale, oltre gli
Spartiati, un determinato numero di Perieci. E quando siano
radunati in uno stesso luogo molte migliaia di costoro e di Iloti e
degli stessi Spartiati, insieme con le loro donne si percuotono con
violenza il volto e si abbandonano ad interminabili lamenti, dicendo
ogni volta che l’ultimo re scomparso, quello era veramente il
migliore. Invece, di quello dei re che sia morto in guerra approntano
un simulacro e lo seppelliscono in una bara ben adorna. Dopo aver
compiuto la sepoltura non tengono nel mercato alcuna riunione per
dieci giorni, né si raduna l’assemblea per l’elezione dei magistrati,
ma durante questi giorni osservano il lutto.
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la Grande Rhetra
59. Anche in quest’ultimo uso concordano coi Persiani:
quando, morto il re, un altro diventa re, questo che
subentra libera dai debiti qualunque Spartiata sia
debitore del re o dello stato. E anche fra i Persiani il
re eletto condona a tutte le città il tributo in
precedenza dovuto.
60. In quest’altro uso i Lacedemoni concordano con gli
Egiziani: i loro araldi e flautisti e cuochi ricevono in
eredità il mestiere dal padre, e un flautista è figlio di
un flautista e un cuoco di un cuoco e un araldo di un
araldo: altri non danno loro l’assalto con la loro voce
squillante per escluderli dalla carica, ma gli araldi
ereditari continuano, secondo la consuetudine
tradizionale. Così stanno dunque questi fatti.
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Per le sue riforme politiche, Licurgo si sarebbe fondato, secondo la leggenda,
su un oracolo di Delfi, detto la Grande Rhetra’ (rhetra è ‘parola, patto’).
Vd. Plutarco, Vita di Licurgo 6 (trad. M. Lupi).
“A tal punto Licurgo si prese cura del consiglio degli anziani, da
recare da Delfi un oracolo relativo ad esso, che chiamano
rhetra.Esso dice:
“Eretto un tempio a Zeus Sillanio ed Atena Sillania, organizzate le
tribù e ordinate le obài, e istituito un consiglio degli anziani di
trenta membri compresi gli archegétai, si tengano le apéllai ad
intervalli stabiliti fra il Babica e il Cnacione; così si presentino le
proposte e si tolgano le sedute, ed all’assemblea del popolo
vittoria e potere”.
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Tirteo sulla ‘Grande Rhetra’
Nelle espressioni “organizzare le tribù” e
“ordinare le obài” è insita l’idea di suddividere
e distribuire il popolo in gruppi, chiamati
rispettivamente tribù e obài; i re sono detti
archegétai, e “tenere le apéllai” significa tenere
l’assemblea, perché Licurgo attribuì al dio
Pitico, Apollo, il principio e l’origine della sua
costituzione. [...]
Essi persuasero la città che questo emendamento era stato
prescritto dal dio, come ricorda Tirteo nei seguenti versi:
“Ascoltato Febo, portarono a casa da Pito oracoli e parole
veritiere del dio: diano inizio al consiglio i re onorati dagli dèi,
i quali hanno cura dell’amabile città di Sparta, e gli anziani
consiglieri, e poi gli uomini del popolo obbedendo alle giuste
leggi” ”
[Tirteo fr. 3b D.; la citazione di Plutarco è incompleta; vd.
appresso]
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Testo completo di Tirteo fr. 4 W. (traduz. M. Cavalli)
Senofonte, Costituzione degli Spartani 15, 6-7
(traduz. M. Lupi)
Ascoltarono Febo e da Pito riportarono in patria
il responso del dio - voce infallibile:
“Reggano il consiglio i re augusti,
responsabili di Sparta, città amata,
e i consiglieri anziani, e poi quelli del popolo,
e discutano secondo la retta legge,
per deliberare il meglio e agire con giustizia,
senza mai storture per la città.
La meta è la forza e la vittoria del popolo”.
Così disse Febo per la nostra città.
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“Tutti si alzano dai seggi per far posto al re, ad eccezione
degli efori che non lasciano gli scranni a loro riservati.
Ed ogni mese si scambiano un giuramento, gli efori a
nome della città, i re a titolo personale. Il re giura di
regnare rispettando le leggi vigenti nella città, mentre
la città si impegna a mantenere saldo il potere regale
purché il re resti fedele al giuramento”.
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ARISTOTELE Politica 1313a 25-30 (M. Lupi):
limitazione del potere regio e sua durata
“Presso gli Spartani la regalità si è preservata per molto
tempo sia perché sin da principio il potere è stato
suddiviso in due parti, sia perché in seguito
Teopompo, dopo averne limitato il potere in vari
modi, le affiancò la magistratura degli efori; infatti,
avendo sottratto alla regalità una parte del potere, ne
accrebbe la persistenza nel tempo, cosicché in un certo
senso non la rese più piccola, ma più grande.”
Come osserva l’ateniese Senofonte, vissuto nel IV
secolo e autore di uno scritto intitolato
L’ordinamento politico degli Spartani,
«a Sparta, Licurgo ha proibito agli uomini liberi di
dedicarsi a qualsiasi occupazione che persegua fini di
lucro e ha prescritto loro di considerare uniche attività
degne del loro rango quelle che assicurano la libertà
alla città» (7; traduz. G.F. Gianotti).
Ovviamente, le attività «che assicurano la libertà alla
città» sono la partecipazione alla vita politica e
prima di tutto, ancora una volta, la guerra!
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24
I sissizi
A questo scopo, un importante strumento era rappresentato dai
sissizi, i pasti collettivi: «tutti i cittadini dovevano radunarsi
per consumare in comune le vivande prescritte dall’ordinanza e
lo stesso pane; vietato pranzare a casa distesi su coperte
suntuose e con ricche tavole, facendosi ingrassare per mano di
servi e cuochi» (Plutarco, Vita di Licurgo, 10, 1; traduz. C.
Carena).
Tale era l’importanza dei pasti in comune nella definizione dell’identità degli
Spartiati che chi non era in grado di sostenere la modesta spesa per
contribuire ai pasti comuni perdeva i diritti di cittadinanza. I pasti
comuni erano organizzati in tavolate, e si poteva essere ammessi ad una
tavolata solo se accettati dai membri della tavolata stessa. Strumento di
coesione fra compagni di vita e d’armi, il sissizio è anche un luogo di
educazione: durante il sissizio vengono ricordate ed esaltate le imprese
dei cittadini, proposte all’ammirazione generale come modelli da imitare;
durante il sissizio i più giovani ascoltano le vicende della città, imparano
come ci si comporta fra Spartiati, e nello stesso tempo imparano anche a
sopportare i rimproveri e le prese in giro dei più anziani.
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Le tappe dell’educazione:
dalla nascita alla maggiore età
• Già alla nascita, lo spartiate – necessariamente figlio di
genitori entrambi spartiati – veniva sottoposto ad esame da
parte degli anziani della tribù di appartenenza: se il neonato
appariva sano e robusto, era possibile allevarlo, e gli veniva
assegnato, per il suo mantenimento, uno dei novemila lotti di
terra; i neonati ritenuti inadatti, venivano gettati in una
voragine sul monte Taigeto.
I sopravvissuti alla selezione restavano affidati alla madre solo
fino ai sette anni di età; poi è la città ad educarli, ad opera di
un apposito magistrato (il paidonomos, ‘amministratore dei
bambini’): come spiega con ammirazione Senofonte, il
paidonomos «ha l’autorità di radunare i fanciulli, di
sorvegliarli e di punirli severamente in caso di cattiva
condotta» (Senofonte, L’ordinamento politico degli Spartani,
2).
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26
Le aghelai
• Tutti i ragazzi vengono suddivisi in squadre distinte per età, chiamate
aghelai, ‘greggi’, e conducono vita comune sotto la sorveglianza e il
comando di un ragazzo più grande.
• «Gli altri ragazzi facevano ciò che lui comandava e si sottomettevano alle
sue punizioni, sì che l’educazione si risolveva in un esercizio di obbedienza.
Ai loro giochi assistevano gli anziani, che di solito provocavano delle finte
battaglie e contese per scoprire senza incertezze, nella lotta, le possibilità che
ciascuno aveva di diventare coraggioso e saldo sul campo di battaglia. A
leggere e scrivere invece imparavano soltanto il minimo necessario. Il resto
dell’educazione era rivolto tutto a renderli pronti all’ubbidienza, resistenti
alla fatica e vittoriosi in guerra. Perciò col crescere dell’età le prove
aumentavano: venivano rasati a zero, abituati a camminare a piedi scalzi e a
giocare insieme quasi sempre nudi. Dall’età di dodici anni non portavano
più la tunica e ricevevano un solo mantello all’anno. […] Dormivano
insieme, ognuno con la sua squadra e compagnia, su pagliericci che
confezionavano essi stessi, spezzando con le sole mani, senza aiuto di
coltello, le cime delle canne che crescono lungo l’Eurota» (Plutarco, Vita di
Licurgo, 16; trad. C. Carena).
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27
• Scrive Plutarco che il capogruppo di ogni aghele, «un giovane
sui vent’anni, comanda nelle finte battaglie i suoi soggetti, si fa
servire da loro i pasti in casa, manda i più robusti a cercare
legna, e verdura i più piccoli. La trovano rubando: o entrano
nei giardini o s’insinuano nei pasti pubblici dei grandi con
estrema scaltrezza e circospezione, perché se pescano uno, lo
frustano a dovere, per essersi dimostrato un ladro malaccorto e
incapace. Rubano anche qualsiasi altro cibo che possono,
imparando ad assalire convenientemente chi dorme e non sta
all’erta. Se uno è preso, oltre alle percosse, per punizione
rimane anche senza mangiare. Si dà loro del cibo insufficiente
apposta perché si difendano da soli contro la fame e diventino
per forza coraggiosi e furbi» (Plutarco, Vita di Licurgo, 17, 2
ss.; trad. cit.).
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28
Pittore
della
caccia,
coppa
laconica a
figure
nere, 555
a.C. circa,
Ceramica
laconica:
Coppa del
Pittore dei
Cavalieri, 550530 a.C. ca.
Londra, British Museum
Museo del Louvre
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29
“anche le canzoni a Sparta
contenevano un pungolo per l’animo”
• Eppure, anche nel caso della musica e della poesia, l’aspetto
militare prese il sopravvento, portando, nel V sec. a.C. allo
spegnersi di questa tradizione artistica. Infatti, come osserva
Plutarco «anche le canzoni a Sparta contenevano un pungolo
per l’animo […]. Lo stile era semplice e disadorno, i temi
solenni d edificanti. Per lo più consistevano in lodi di coloro
che erano morti per Sparta, e li dicevano felici; oppure in
rimproveri per coloro che era fuggiti per viltà […], oppure in
promesse e vanti di essere valorosi quanto conviene ad ogni età.
Per dare un’idea di queste ultime, non sarà male riportarne
una. Nelle feste, dunque, si costituivano tre cori, corrispondenti
alle tre età dell’uomo; esordiva il coro dei vecchi, che cantava:
“Noi un tempo – adesso è tardi – fummo giovani gagliardi”;
quindi il coro degli uomini rispondeva: “Ora vince lo siam noi,
come puoi veder, se vuoi”; da ultimo, il terzo, quello dei
fanciulli, diceva: “E noi lo saremo, assai, assai più, come
Prof.vedrai”»
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31
(Plutarco, Vita
di Licurgo,
21).
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30
La krypteia: l’uso educativo del terrore
• Il coronamento di questa educazione alla resistenza fisica ed
emotiva, alla sofferenza, al coraggio, era costituito dalla
pratica della krypteia. Concluso il percorso dell’agoghé
intorno ai diciotto anni, i giovani più scaltri venivano
mandati nel territorio, chi in una zona chi in un’altra:
• «potevano portare con sé soltanto un pugnale, il necessario per
mangiare e nulla più. I giovani durante il giorno si
disperdevano in luoghi isolati, vi si nascondevano, e vi
riposavano; di notte, scendevano sulle strade e, se gli
sorprendevano qualche ilota, lo facevano fuori. Spesso facevano
scorrerie per i campi e ammazzavano gli iloti più robusti e
forti» (così Plutarco, Vita di Licurgo, 28).
• Una simile prova serviva a segnare l’ingresso dei giovani
spartiati nella comunità degli adulti guerrieri, attraverso un
periodo di separazione dalla vita comune e una prova di
coraggio: pratiche simili hanno luogo in molte culture
tradizionali.
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32
Il lato oscuro del kosmos
Il cammino di Atene è opposto a quello di Sparta:
La krypteia, con la sua ferocia elevata a modello educativo, è
anche il segno di una comunità che vive non solo per la
guerra, ma costantemente in guerra con gran parte della
popolazione che vive nel suo stesso territorio: e infatti
sappiamo che
ogni anno, «appena gli efori entravano in carica, per prima cosa
dichiaravano guerra agli Iloti, di modo che chiunque potesse
ucciderli senza commettere sacrilegio. Anche sotto altri aspetti
il comportamento degli Spartani verso gli iloti era duro e
crudele. Ad esempio li costringevano a bere grandi quantità di
vino puro [cioè non diluito con acqua, come erano soliti fare i
Greci] e poi li spingevano dentro i sissizi per mostrare ai
giovani lo spettacolo degradante di un ubriaco; oppure
imponevano loro di cantare canzoni e danzare danze ignobili e
ridicole» (Plutarco, Vita di Licurgo 28).
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33
• a Sparta l’ordine politico e sociale si va cristallizzando, Atene
vive una continua evoluzione sociale e sperimenta soluzioni
politiche sempre nuove;
• Sparta è una polis creata da un gruppo ristretto di invasori che
si impone sulla popolazione preesistente, gli Ateniesi si
vantavano di essere autoctoni, di essere cioè la popolazione
originaria del luogo;
• la storia spartana è segnata dal contrasto fra il nucleo degli
Spartiati residenti a Sparta e la popolazione asservita della
campagna, al contrario quella di Atene è caratterizzata
dall’eguaglianza di diritti fra abitanti della città e abitanti dei
villaggi, e dalla fusione di centro urbano e campagna in una
unica realtà politica;
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34
La geografia dell’Attica
• Sparta risolve il conflitto politico solo imponendo
l’uguaglianza totale dei cittadini, Atene invece saprà
coniugare eguaglianza di diritti politici e
diseguaglianze economiche.
• Sparta finisce per incarnare l’ideale dell’oligarchia (il
dominio dei pochi sui molti: da olìgos ‘poco’ e
arché, ‘comando’), ad Atene si imporrà infine quelle
che gli stessi Ateniesi definiranno ‘isonomia’, la
‘parità di diritti’ di tutti di fronte alla legge e
‘democrazia’, cioè il regime fondato sul potere del
popolo.
• Una parte di tale differente cammino ha le sue radici
nella geografia. Diversamente dalla vallata di
Laconia, l’Attica è una penisola, come tale in stretto
rapporto col mare e quindi aperta al commercio e ai
contatti con l’esterno; la stessa Atene, suo centro
principale, sorge a pochi chilometri dalla costa, dove
si svilupperà poi il comodo porto del Pireo.
• L’interno è in buona parte montuoso, il che riduce
l’importanza dell’agricoltura e spiega l’orientamento
alle attività artigianali e commerciali: nello stesso
tempo, non mancano varie pianure costiere, fra cui
la più ampia è quella in cui sorge la stessa Atene.
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36
• Così la popolazione attica comprende nello stesso
tempo ricchi proprietari terrieri, contadini di media
condizione, ma anche piccoli coltivatori di
modestissima condizione, artigiani e marinai che
non vivono di agricoltura.
• Questa compresenza di aree costiere, montagnose e
pianeggianti avrà un ruolo importante nelle vicende
politiche di Atene, e come anche la scarsità delle
terre costituirà, ad un certo punto, un elemento di
crisi – ma anche di corrispondente evoluzione – per
la polis.
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L’Atene delle origini mitiche
La tradizione sui re-arconti ateniesi
• Al contrario della Laconia, l’Attica rimase estranea, forse
proprio per la povertà del proprio territorio, alla penetrazione
dorica (vd. al riguardo Tucidide 1, 2, 5-6).
• Anche l’Attica, secondo la tradizione leggendaria, era stata
sede di un regno miceneo. All’epoca ‘micenea’ (XIII-XI
secolo a.C.) risalgono varie figure mitiche di re ricordati dalla
tradizione leggendaria (Cecrope, Erittonio, Pandione, Egeo)
fra cui spicca Teseo: a questo eroe del mito si attribuisce il
sinecismo dell’Attica, con centro politico ad Atene, «sebbene
ciascuno abitasse le proprie terre come prima» (così Tucidide,
Storie, 2, 15, 2).
• La tradizione ricorda, prima del re Teseo (che la tradizione
presenta come civilizzatore dei territori fra Attica e Peloponneso e
responsabile del sinecismo dell'Attica), i nomi di quattro re
(Cecrope, Erittonio, Pandione, Egeo) e poi, dopo Teseo, almeno
altri sette re fino a Medonte (1069-1049 a.C.) o Acasto (1049-1013
a.C.):
• (1049-753) con Medonte inizia la dinastia dei Medontidi, indicati
nella tradizione come ‘arconti a vita’ o ‘re’: “segno, comunque, che
questi basileis, ove sano storici, sono a tal punto integrati
nell'aristocrazia da poter essere ricordati come arconti“ (D. Musti,
Storia greca, p. 150). (753-683) Al periodo degli arconti a vita
sarebbe seguito quello dei sette arconti decennali (dekaeteîs): i
primi quattro ancora scelti fra i Medontidi, gli altri tre di varie
famiglie.
• A partire dal 683, con l’arconte Creonte, inizia la lista degli arconti
annuali, eponimi.
• Ma nota bene: ammesso che vi sia stato un sinecismo, esso potrebbe essere
avvenuto a tappe: aree periferiche, come Eleusi, erano ancora
indipendenti all’inizio del VII secolo (vd. l’Inno a Demetra); anche l’area
di Maratona, o del Sunio, possono essrsi aggregate in età posteriore a
‘Teseo’.
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La collina dell’Areopago
vista dall’Acropoli
• E’ ovvio che questa tradizione, con la sua regolarità
e progressività, presenta un carattere molto
artificioso, ma riflette almeno l’idea che vi sia stata
un ‘indebolimento graduale del potere monarchico e
una sua trasformazione in magistratura, con
progressiva distribuzione delle attribuzioni del ‘re’
fra più figure.
• Così Atene si trovò ad essere ormai governata da un
collegio di tre magistrati, ognuno con uno specifico
ambito di competenza.
• Questo processo dové compiersi dopo il 683 a.C. e
prima della fine del VII secolo.
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Solone si vantava d’essersi posto «fra le due fazioni
come pietra di confine» (fr. 37 W.)
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Il ‘Cavaliere Rampin’
Nell’Atene del VII-VI sec. numerosi
aristocratici commissionavano
statue dei propri familiari per le
tombe oppure dedicate alle divinità
nei santuari, anche con l’obiettivo
di celebrare la ricchezza e la
raffinatezza della famiglia.
Nella statua qui riprodotta, il‘Cavaliere
Rampin’ (560 a.C. ca.), un giovane
aristocratico, dai lineamenti
raffinati e dalla capigliatura curata,
viene raffigurato a cavallo, tipico
attributo aristocratico. [cfr. Arist.
Ath. Resp. 7, 4]
La corona di foglie di quercia sul capo
lo identifica come un vincitore di
giochi atletici in cui il premio
consisteva in una corona: le
competizioni sportive erano tipico
svago e vanto aristocratico.
• «al popolo ho fatto questo dono: ciò che gli
basta, senza togliere o aggiungere privilegi. E
quelli che avevano il potere e per ricchezza
erano illustri provvidi che non subissero nulla
di scorretto. Saldo, con forte scudo, li protessi
entrambi [poveri e ricchi], ma non permisi a
nessuno di prevalere con vittoria ingiusta» (fr.
5 W., trad. M. Cavalli).
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Ekklesia, Heliaia, Boulé
Verso la fine del VI secolo le monete attiche in argento
(dette dracme: la dracma è una misura di peso) assunsero
quegli emblemi che poi restarono stabili per gran parte
della successiva storia cittadina (la testa della dea Atena e
l’immagine della civetta, uccello sacro alla dea). Qui
vediamo un esemplare di dracma ateniese in argento
risalente al 450 a.C. ca.
Aspetti ‘democratici’ della riforma costituzionale soloniana.
1)Tutti i cittadini, compresi quindi i teti, potevano partecipare
all’ekklesìa, l’assemblea generale della cittadinanza, che poi
nel V sec. a.C. sarebbe divenuta il supremo organo statale.
2) Solone istituì un tribunale popolare (detto Elièa) alle cui
giurie potevano partecipare tutti i cittadini: in tal modo
l’amministrazione della giustizia era sottratta in gran parte
agli arconti e all’Areopago (e quindi agli aristocratici e ai
ricchi) e veniva gestita dal popolo, compresi dunque i teti:
come osservava secoli dopo Plutarco, «quest’ultimo privilegio
inizialmente parve trascurabile, ma in seguito si rivelò di
grandissima importanza, perché la maggior parte dei contrasti
finiva per cadere nelle mani dei giurati» (Vita di Solone, 18).
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La politica come strumento di risoluzione
intelligente e collettiva dei conflitti sociali
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Le tre ‘tirannidi’ di Pisistrato
e la difficoltà di una tirannide ad Atene
• La riforma soloniana, dunque, non intervenne sulle
disuguaglianze economiche (non vi fu la redistribuzione
della terra) ma evitò che le disuguaglianze economiche
portassero ad una spaccatura irrimediabile della
cittadinanza, e cercò di aprire anche ai più poveri uno
spazio di partecipazione alla vita politica.
• Sui ‘provvedimenti più democratici’ di Solone, vd. il
giudizio di Aristotele Ath. Resp. 9.
• Anzi, tale era l’importanza della partecipazione politica
nella visione di Solone che una delle leggi da lui introdotte
fissava come pena la perdita della cittadinanza per chi,
durante una situazione di conflitti interno (stasis) non
parteggiava per nessuna delle due parti. (vd. Arist. Ath.
Resp.8, 5]
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• Ma Atene era una polis troppo sviluppata perché l’ascesa al potere
tirannico fosse facile e lineare, e fondato sul banale uso della forza:
Pisistrato due volte prese il potere e due volte ne fu cacciato.
• La prima volta (nel 561 a.C.) ottenne il potere fingendosi vittima di
un attentato e ricevendo perciò dalla polis il permesso di usare una
guardia del corpo di trecento sostenitori, che però usò per imporre
il proprio potere;
• cacciato da Atene dopo cinque anni, vi rientrò grazie all’appoggio
della fazione dei paralioi con cui si era accordato, e rimase al
potere per altri cinque anni (544-538) ma fu poi cacciato quando
tale accordo venne meno.
• Dopo altri anni di preparativi in esilio, solo nel 534 prese il potere
definitivamente, stavolta con la forza militare, e lo tenne fino alla
morte avvenuta nel 528/7.
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I tre diversi colpi di Stato di Pisistrato.
• I modi con cui Pisistrato per tre volte si impadronì della
tirannide ad Atene meritano di essere visti da vicino, perché
sono piccoli capolavori di abilità politica e di propaganda:
segno di come già allora Atene fosse un vero e proprio
‘laboratorio politico’ anche sul piano delle forme della lotta
politica.
• La prima volta Pisistrato si impose approfittando del clima di
scontri che regnava in città: procurandosi delle ferite, inscenò
di essere rimasto vittima di un attentato ad opera dei suoi
avversari politici. Sull’onda dell’emozione e dell’indignazione
collettiva, ottenne di scegliersi, fra i cittadini, trecento
guardie del corpo personale (i cosiddetti ‘mazzieri’, perché
armate di mazze); poco dopo, Pisistrato, con i suoi trecento
fedelissimi, occupò l’Acropoli e impose il proprio potere.
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Erodoto 1, 59
sull’ascesa di
Pisistrato
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La seconda ascesa al potere
• Nonostante la moderazione mostrata nell’esercizio del
potere, egli restò in sella solo per cinque anni (561-555 a.C.):
contro di lui, infatti, si coalizzarono i capi dei pediakoi e
quelli dei paralioi, che riuscirono così a cacciare Pisistrato.
• Bastarono però pochi anni perché riemergessero i contrasti
fra le due fazioni. Ancora una volta ne approfittò Pisistrato,
che si accordò con Megacle, della famiglia degli Alcemonidi e
capo dei paralioi, per ritornare in patria al potere (544-538).
Hdt. 1, 60
sulla
seconda
ascesa al
potere di
Pisistrato
• Da abile politico, elabora una messinscena per trasformare il suo ritorno
in un’occasione per presentarsi come la guida indicata dagli dei per la
tormentata Atene. Una donna di bell’aspetto e alta statura viene fatta
abbigliare come la dea Atena, con lancia, elmo e scudo, e viene fatta salire
su un carro: su questo carro fa il suo ingresso in città, preceduto da araldi
che annunciano «ciò che era stato loro ordinato, così dicendo: “Ateniesi,
accogliete benevolmente Pisistrato, che la dea Atena in persona ha onorato
sopra tutti gli uomini e riconduce nella sua acropoli”. Essi andando qua e là
dicevano tali parole» (Erodoto, Storie, 1, 59, 4-5).
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La seconda
tirannide e il
secondo esilio
di Pisistrato in
Hdt. 1, 60-61
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La terza ascesa al potere
• L’alleanza politica tra Pisistrato e i paralioi, tuttavia, non
resse a lungo: Pisistrato dovette lasciare Atene una seconda
volta.
• Rimase in esilio solo per i pochi anni necessari ad
organizzare, nel 534, il suo terzo ritorno, che ebbe ora le
forme di un vero e proprio colpo di stato militare: raccolto
un esercito di mercenari e alleati da altre città, prima sbarcò a
Maratona – nella zona cioè di cui era originario; poi,
raccogliendo sostenitori dalla città e dalle campagne, marciò
su Atene, sconfisse le disorganizzate truppe cittadine e
occupò la città, mandò in esilio gli Alcmeonidi, e ritornò
saldamente al potere, stavolta definitivamente, fino alla
morte.
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La terza presa
del potere in
Hdt. 1, 62-63
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56
…segue…
Hdt.
1, 63-64
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La ‘tirannide illuminata’ di Pisistrato
• Ciò che permise a Pisistrato di recuperare ogni volta con
facilità il potere, imponendosi per ben tre volte sui suoi
oppositori, fu il fatto che egli in realtà seppe esercitare il suo
potere senza inutili violenze e prevaricazioni: come ci
informano gli autori antichi, Pisistrato non sconvolse le
cariche esistenti né abolì le leggi, ma si limitò a governare la
città piazzando uomini di fiducia nei posti di potere:
Il grande tempio a Zeus Olympios
(l’Olympieion) nella città bassa di Atene
• Erodoto afferma che Pisistrato «governò la città sulla base
delle istituzioni vigenti, amministrandola bene e saggiamente»
(Storie, 1, 59, 6);
• Aristotele, nel IV secolo, nella sua Costituzione degli Ateniesi
scrive che Pisistrato governò «con equilibrio, più da cittadino
che da tiranno» (16,3).
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Ca. 430 a.C.
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•
•
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Questo gruppo statuario in
marmo, detto ‘Gruppo dei
tirannicidi’, è la copia romana di
una statua in bronzo eretta
attorno al 470 a.C. nell’agorà di
Atene per celebrare Armodio e
Aristogitone, i due congiurati
che uccisero Ipparco e tentarono
di eliminare Ippia nella congiura
del 514 a.C. L’uno è giovane
(Armodio), l’altro più anziano:
la tradizione aristocratica
attribuiva grande importanza al
legame affettivo fra un
aristocratico adulto e un più
giovane allievo, che imparava
dall’esperienza del più grande; i
due avanzano brandendo le
spade con cui si avventarono su
Ipparco.
Una prima coppia di statue fu
realizzata già nel 509 a.C., ma fu
poi portata via da Atene al
tempo dell’invasione persiana di
Serse nel 480 a.C., e fu quindi
fatta questa seconda versione.
60
Le dieci tribù: come mescolare una popolazione divisa
• Clistene puntò in primo luogo a spezzare il legame fra fazioni
nobiliari e le diverse aree geografiche dell’Attica, espressione
di interessi e gruppi sociali diversi: la tirannide di Pisistrato si
era imposta proprio sfruttando le spaccature fra abitanti della
costa, della pianura e dell’interno.
• Per questo motivo, Clistene in primo luogo riorganizzò la
divisione in tribù della cittadinanza ateniese, con il chiaro
intento di «mescolarli, affinché partecipassero più numerosi al
governo» (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 21, 3): abolì
le quattro tribù tradizionali, alle quali si apparteneva per
discendenza; divise invece l’intera cittadinanza in dieci tribù
territoriali: il che significava che membri del medesimo clan
familiare (genos) potevano appartenere a tribù diverse,
perdendo così la possibilità di agire come un gruppo
compatto.
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61
Le trittie
• In secondo luogo ogni tribù doveva essere composta
di tre parti (chiamate trittie) fisicamente separate e
fra loro geograficamente diverse: un distretto della
costa, uno della città, uno dell’interno (esistevano
dunque dieci trittie della città, dieci della costa,
dieci dell’interno).
• Ogni tribù era dunque composta da cittadini
residenti in tutte e tre le aree geografiche (le trittie
della città, infatti, corrispondevano all’area della
pianura, sede dei pediakoi nell’età di Pisistrato).
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62
La Pnice, sede dell’ecclesia nel V sec. a.C.;
al centro, la tribuna (bema) degli oratori
• Mappa dell’Attica
modellata dalle
riforme di Clistene; la
linea spezzata indica i
confini delle trittyes; i
numeri nelle trittyes
indicano a quale trinù
appartengano; i
punti indicano alcuni
demi
• (da Christopoulos,
G., Bastias, J., Istoria
tou Ellinikou
Ethnous, vol.3/1,
Ekdotiki Athinon,
Athens 1972, p. 83).
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Il rapporto fra Boulé ed Ecclesìa
Due vedute della Pnice
• Boulé ed Ecclesìa, insomma, operavano
congiuntamente: all’ecclesia spettava l’approvazione
finale delle decisioni, ma era la Boulé che
permetteva alla volontà popolare di tradursi in scelte
concrete e ponderate (e infatti le leggi ateniesi si
aprono con la formula: “Così ha deciso il demos
[riunitosi in ecclesia] e la boulé”). Alla Boulé inoltre,
poiché si riuniva tutti giorni, toccava di controllare
l'operato dei magistrati e gestire gli affari quotidiani.
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L’organizzazione interna della Boulé
• Per rendere più efficaci i lavori, lo stesso Consiglio dei
Cinquecento era organizzato dividendo i cinquecento buleuti
in dieci gruppi di cinquanta, uno per tribù: ogni gruppo
prendeva, a turno, la presidenza, aveva cioè il compito di
preparare l’ordine del giorno e di organizzare i lavori
dell’intera Boulé: tale incarico è detto pritanìa, e i cinquanta
buleuti appartenenti alla stessa tribù che svolgevano erano
detti prìtani (prytanis è ‘presidente’, ‘primo’); ogni pritania
restava in carica per un decimo dell’anno, periodo definito
anch’esso pritania. Così ogni tribù, per un decimo dell’anno,
si trovava ad esercitare il governo in nome e per conto della
polis intera.
• A loro volta ogni giorno i pritani sorteggiavano fra di loro un
presidente (epitastes), che custodiva le chiavi degli edifici
sacri, dei tesori pubblici e i sigilli statali; egli restava in carica
un solo giorno, e così quasi tutti i buleuti, prima o poi, si
ad essere,Fonti,
perimmagini,
un giorno,
supremi ‘custodi’ della 67
Prof.trovavano
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polis.
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Partecipazione ed efficacia degli organi assembleari
• Si ammira anche sotto questo l’abile fusione fra la volontà di
assicurare una ampia partecipazione democratica (la boulè
aveva comunque cinquecento membri) e l’esigenza di rendere
tale assemblea efficace, affidando ad una sua parte la
preparazione e l’organizzazione del lavoro di tutti gli altri
buleuti, così come a sua volta l’intera Boulé preparava il
terreno per le decisioni dell’ecclesia.
• Inoltre, siccome tutti i buleuti erano pritani per un decimo
dell’anno, e quasi tutti i pritani finivano per essere
sorteggiati per essere presidenti per un giorno, ogni cittadino
ateniese, fino al più modesto, aveva la forte probabilità di
essere, un giorno nella vita, ‘presidente’.
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Il principio del sorteggio e della rotazione
• Ma come si diveniva membri della Boulé? I buleuti venivano
estratti a sorte, cinquanta per tribù, fra tutti i cittadini;
nessuno poteva però diventare buleuta più di due volte nel
corso della vita.
• Il divieto di essere sorteggiati come buleuti per più di due
volte assicurava una continua rotazione dei membri della
Boulé;
• il sorteggio apriva la partecipazione alla Boulé a tutti a
cittadini, anche a quelli di condizione più modesta.
• Dal 487/486 a.C. il sistema del sorteggio fu usato anche per
gli arconti (anche se il sorteggio avveniva entro una lista di
nomi, cinquecento, proposti dalle tribù): così la carica
tradizionalmente riservata agli aristocratici ateniesi perse
importanza, in quanto svincolata dall’effettivo peso politico
di chi la otteneva.
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Due ostraka: in alto, con il nome di ‘Cimone figlio di
Milziade’; in basso con il nome di ‘Temistocle, figlio di
Neocle del demo di Frearrio’
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