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SPECCHIO
LA GENETICA
DEL COMPORTAMENTO
ANGELO SPATARO
Pediatra di famiglia, Palermo
bambino, prima ancora di nascere e subito dopo
I lessere
nato, riceve molti stimoli, tattili, gustativi, ol-
fattivi, visivi, uditivi; ha sensazioni ma ancora non sa
che sono le sue sensazioni, non ha ancora una “coscienza di sé” e degli altri, egli è ma non sa ancora
di essere1. Nasce con degli istinti che sono essenzialmente istinti di sopravvivenza, e con un grande
progetto, quello di conoscere e di imparare. L’“io
sono” sarà quindi successivamente connesso con
l’“io conosco”, con l’innata predisposizione all’adattamento e all’apprendimento2.
Il livello biologico-genetico
Il livello biologico-genetico è il primo livello della
mente dell’Uomo, un livello di cui non ha controllo e
che non ha contribuito a formare in quanto trasmesso dai genitori biologici e scritto nel corredo genetico2. Nei primi giorni di vita il neonato ha dagli istinti
che non apprende da nessuno perché scritti nella
“memoria del gene”, nella “memoria della specie”,
una memoria ricca di informazioni che inducono il
neonato a cercare il capezzolo, a cercare il volto
della mamma, a seguire un oggetto che si muove
vicino al suo viso, specialmente se questo oggetto
ha forma ovalare e non triangolare, e che ha due segni per gli occhi, uno per il naso e uno per la bocca,
e a prestare attenzione ad alcuni tipi di rumore come il rumore ritmico del battito cardiaco materno o
il suono vocale ritmico del linguaggio materno, il cosiddetto “mammese”.
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Ma la “memoria del gene” ordina al neonato anche
di imparare subito ad apprendere, venendo a contatto con le persone e con le cose, a cercare nella
mamma una “base sicura”, a cercare in maniera
continua di stabilire una interazione con la famiglia e
con tutto il suo mondo sociale, con il padre, con i
fratelli e, successivamente, con i compagni di scuola, con gli amici, con i colleghi di lavoro3. Quindi,
possiamo dire che l’Uomo è il risultato di tutto quello che è scritto nei suoi geni e di tutto quello che
acquisisce nel corso della sua vita. Ma cos’è esattamente la “memoria del gene”? Cosa sa il bambino
quando nasce? Quanto vi è di congenito e quanto
di acquisito nel comportamento del bambino e dell’adulto?
L’istinto degli animali
L’influenza genetica sul comportamento dell’Uomo
è questione complessa dei cui meccanismi regolatori si conosce poco. In particolare non si sa ancora
distinguere in maniera chiara l’influenza dei geni da
quella dell’ambiente dopo le recenti acquisizioni sui
meccanismi epigenetici attraverso i quali specifiche
esposizioni ambientali, sia chimico-fisiche che psico-sociali, possono modificare l’espressione dei geni. Anche la protrusione della lingua e delle labbra
del bambino di un mese che imita la mamma è
qualcosa che è scritto nei geni o è qualcosa che il
neonato impara? Se un bambino è empatico, socievole, altruista, questo suo comportamento è scritto
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nei suoi geni o è determinato dall’ambiente in cui vive? O da entrambe le cose, come appare sempre
più probabile? E quindi quanto è congenito e quanto è acquisito nel carattere, nel temperamento, nella
personalità e quindi nel comportamento dell’uomo?
Esistono comportamenti esclusivamente genetici?
Lo studio dei geni del comportamento è stato meglio studiato negli animali che negli uomini, perché il
cucciolo di animale può essere utilizzato in laboratorio, e lo studio del suo comportamento è più semplice dello studio del comportamento dell’Uomo, le
cui variabili sono molte e spesso impercettibili, con
tempi di osservazione molto lunghi. Inoltre, per motivi etici, l’Uomo difficilmente può essere utilizzato
come oggetto di sperimentazione. Ma anche negli
animali stabilire se un comportamento è congenito
o appreso non è semplice. Facciamo l’esempio del
canto dell’usignolo, un canto che ha sempre le stesse caratteristiche, sicuramente programmato geneticamente ma che necessita senza dubbio di un apprendimento da parte degli altri usignoli per potersi
manifestare in tutta la sua modulazione; o l’esempio
della danza delle api, un linguaggio per indicare dove si trova il polline, sicuramente già presente nel
corredo genetico ma che verrà perfezionato e arricchito osservando la danza delle altre api. Ma esiste
un altro esempio, quello del cuculo, un uccello misterioso, molto particolare, che ci fa capire l’importanza dei geni nel determinare un dato comportamento. La coppia genitoriale del cuculo cerca il nido
di un’altra specie di uccelli per depositare il loro uovo che prenderà il posto di un uovo “legittimo” che i
cuculi gettano fuori dal nido. I cuculi sanno (è un sapere innato e/o appreso?) che il loro uovo schiuderà
prima delle altre uova. Vediamo cosa accade dopo
qualche giorno. L’uovo del cuculo si schiuderà prima delle altre uova e il cuculo neonato spingerà fuori dal nido le uova “legittime” così che gli uccelli
“proprietari” del nido nutriranno il piccolo cuculo al
posto dei loro piccoli figli. Ma come fanno a sapere i
cuculi neonati che per sopravvivere devono buttare
fuori dal nido le uova degli altri uccelli? Sicuramente
tutto è scritto nei loro geni, perché i piccoli non hanno potuto apprendere questo comportamento da
nessuno3.
Ma gli studiosi sono andati oltre e hanno affrontato
in laboratorio lo studio delle influenze genetiche sul
comportamento. La Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, è l’organismo modello per la ricerca genetica, perché è un insetto facile da allevare in laboratorio, perché ha un ciclo vitale abbastanza breve di sole due settimane, perché ha solo
quattro paia di cromosomi, di cui una sessuale e di
cui si conosce il sequenziamento di tutto il suo genoma. Il corteggiamento e l’accoppiamento della
Drosophila sono comportamenti geneticamente de-
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terminati, nel senso che sia il maschio che la femmina non necessitano di esperienze precedenti. Il loro
comportamento riproduttivo consiste in una sequenza di azioni che richiede uno scambio di segnali olfattivi, visivi e uditivi ben definiti. I maschi,
durante il corteggiamento, sono molto più attivi delle femmine poiché eseguono una complessa sequenza di movimenti specie-specifici che fungono
da segnali di riconoscimento tra individuo di sesso
diverso ma della stessa specie. Gli studiosi hanno
studiato le mutazioni in alcuni geni della Drosophila
maschio e in particolare del gene period (per°), la
cui mutazione determina una variazione della frequenza delle vibrazioni del battito di ali dell’insetto
maschio con una conseguente modificazione del
canto, prodotto dalla vibrazione delle ali, che diventa meno efficace nel determinare l’accoppiamento
che avverrà quindi con ritardo4.
La genetica comportamentale
dell’Uomo
Per quanto riguarda l’Uomo esiste naturalmente una
maggiore difficoltà ad assegnare a determinati geni
il ruolo di codificare per determinati comportamenti,
come succede per la Drosophila, essendo il comportamento dell’Uomo determinato anche dall’esperienza, tranne i primi atti che osserviamo nel neonato e che sono dettati dall’istinto. Anche nell’uomo
sono stati fatti degli esperimenti sui geni del comportamento. Sono stati studiati ad esempio dei geni
che codificano per la variante high dell’enzima monoaminossidasi A (h-maoa), enzima che inattiva alcuni neurotrasmettitori e in particolare la serotonina.
Si è visto che i maschi che posseggono tale variante
inattivano una maggiore quantità di serotonina e, se
crescono in un ambiente sfavorevole, hanno un rischio maggiore di diventare aggressivi e violenti rispetto agli individui con la variante low di questo
enzima (l-maoa), parimenti cresciuti in un ambiente
sfavorevole5. Altri ricercatori hanno studiato il gene
che codifica per il trasportatore della serotonina (5HTT) e in particolare della versione corta della sequenza promotrice di questo gene.
Gli studiosi hanno constatato che i soggetti che
possiedono questa variante genica sono maggiormente sensibili agli stimoli ambientali, maggiormente empatici e con un maggiore senso morale rispetto ai portatori della variante lunga6. Il neonato dell’Uomo, subito dopo la nascita, cerca il capezzolo
della mamma, cerca il suo odore, la sua voce, il suo
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volto e in tutto questo non c’è niente di premeditato, è tutto dettato dall’istinto e quindi scritto nei
“geni della specie”, gli stessi geni che lo indurranno
a volere bene alla sua mamma, al suo papà, ai suoi
fratelli, e a spingerlo a venire a contatto e a convivere con gli altri in quanto la vita dell’uomo è essenzialmente comunicazione interpersonale. Nel processo evolutivo che conduce il bambino a diventare
adulto si percorrono varie tappe, alcune delle quali
sono sempre esistite, anche nei primi uomini comparsi sulla Terra (il riconoscimento della mamma, il
pianto, i movimenti, i vocalizzi, il linguaggio dei gesti), altre comparse nel corso dell’evoluzione della
specie (il bipedismo, il linguaggio verbale, la lettura,
la scrittura), scritte tutte nei geni, alcuni dei quali si
esprimono alla nascita e altri durante la crescita,
grazie al sostegno dei più grandi, senza i quali il
bambino non acquisirebbe abilità superiori quali il
linguaggio articolato, la lettura, la scrittura, il pensiero astratto3. L’Uomo è il risultato di fattori genetici e di fattori ambientali ma la chiave per riconoscere e identificare la componente genetica del comportamento risiede nel poter controllare sperimentalmente le differenze ambientali che esistono tra gli
individui della specie umana.
Nella realtà studi sperimentali veri e propri sono irrealizzabili (possono avvenire solo “in natura”, come
è successo in alcuni bambini che non hanno mai
parlato o hanno parlato in modo molto rudimentale
perché vissuti isolati e con genitori psicopatici) perché non è possibile ed eticamente inaccettabile
controllare l’ambiente di un individuo per fini sperimentali. Ma molte informazioni possono essere ricavate dagli studi longitudinali nei quali si possono
mettere in relazione fattori ambientali con determinate caratteristiche del bambino e del bambino diventato adulto (molti esempi di questo sono forniti
nell’articolo sugli interventi precoci pubblicato in
questo stesso numero a pag. 299, ndr).
Australopithecus
robustus
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Homo habilis
SPECCHIO
Una componente genetica sicuramente influenza il
comportamento dell’Uomo, così come influenza il
comportamento della Drosophila, ma le conoscenze
finora acquisite ci dicono che si devono fare ancora
molti passi avanti per arrivare all’isolamento dei geni coinvolti nel comportamento umano e a capire i
meccanismi attraverso i quali si esprimono nel fenotipo. Anche il Progetto Genoma Umano, progetto di
ricerca iniziato nel 1990 e concluso nel 2006, con
l’obiettivo di conoscere la sequenza dei geni della
specie umana e la loro posizione sui vari cromosomi, non ha portato alla identificazione di sequenze
geniche che determinano il comportamento dell’uomo. È ancora da comprendere il ruolo di molte sequenze nucleotidiche in atto prive di qualsiasi funzione genica ma che verosimilmente codificano anche per il comportamento.
L’evoluzione dell’Uomo
Australopithecus è il primo uomo comparso sulla
Terra circa quattromilioni di anni fa. Era un bipede,
aveva un corpo coperto da una fitta peluria e una
dentatura molto sviluppata. Il suo cranio era molto
piccolo, di circa 500 ml, il linguaggio era non verbale, per comunicare non usava cioè la parole ma
suoni e gesti, e il suo pensiero era semplice, dipendente dalla realtà fisica. L’Uomo, come tutti gli esseri viventi esistenti sulla Terra, è andato incontro a
un processo evolutivo che lo ha condotto a diventare, circa 40.000 anni fa, Homo sapiens sapiens, con
un cranio di circa 1500 ml, con un linguaggio verbale articolato e complesso sostenuto da un pensiero
astratto, ipotetico, deduttivo. Grazie al linguaggio
Homo sapiens sapiens dava informazioni utili e trasmetteva quindi la cultura, favoriva il perfezionamento dell’agricoltura, dell’allevamento degli animali, della tecnologia7.
Homo erectus
Homo sapiens
neanderthalensis
Homo sapiens
sapiens
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Ma nell’evoluzione della specie umana esiste qualcosa di veramente eccezionale, che non si è avuta
in nessuna altra specie animale, e cioè il selezionamento e lo sviluppo del cervello con la sua intrinseca capacità di apprendimento2. Non abbiamo avuto
la selezione di un Uomo muscoloso, forte, resistente al freddo e al caldo, adatto alla fuga e alla lotta, in
grado di volare o di respirare in acqua, particolarmente resistente ai microrganismi batterici e virali,
ma di un Uomo intelligente come lo è l’Uomo contemporaneo, con capacità mentali così potenti da
condurlo ad orientare la maggior parte delle altre linee evolutive, a selezionare, ad esempio, varie razze di cani partendo dal lupo fino a ottenere il cane
da caccia, da guardia, da compagnia; a deviare corsi di fiumi e a costruire dighe, a produrre energia dal
carbone, dal petrolio e dall’atomo, sfruttando e forzando la natura fino ad arrivare a un preoccupante
cambiamento della fauna, della flora e del clima della Terra; a conquistare terre e a esplorare lo spazio
fino ad arrivare a camminare sulla Luna, ad adottare
“politiche razziali” che lo hanno portato a uccidere
milioni di suoi consimili. L’Australopithecus non parlava, non leggeva, non scriveva, perché non possedeva centri nervosi specializzati per queste abilità.
Come si è arrivati al possesso di queste abilità? Cosa è successo nel cervello dell’Uomo? Gli studiosi
hanno ipotizzato che il cervello dell’Uomo, nel corso
dell’evoluzione, ha riadattato e perfezionato delle
strutture preesistenti dedicate a funzioni filogeneticamente più antiche, sotto la pressione selettiva
proveniente dall’ambiente sociale sempre più articolato e complesso. Un’area della corteccia cerebrale che ha interessato gli studiosi è vicina al giro
fusiforme dell’emisfero di sinistra.
Studi di neuroimmagini hanno evidenziato che quest’area è specializzata al riconoscimento delle parole. Nei primati non umani quest’area si attiva in risposta a stimoli molto familiari verso i quali il primate ha potuto sviluppare una consistente esperienza
di riconoscimento attraverso una ripetuta esposizione, come ad esempio succede con i volti familiari.
Negli umani questo accade con le lettere dell’alfabeto che, con l’inizio della scolarizzazione, divengono oggetto di una esposizione ripetuta e massiva. Si
è ipotizzato quindi che l’Uomo abbia adattato, nel
corso della sua evoluzione, una struttura preesistente per riconoscere le parole e quindi per imparare a
leggere e a scrivere8. Anche la corteccia prefrontale
ha subito un importante processo evolutivo, aumentando la sua estensione e la sua complessità, diventando la sede del pensiero astratto, la sede dove si
valutano i propri pensieri e i pensieri degli altri, dove
si fanno i progetti per il presente e per il futuro9. Cosa sapeva il neonato dell’Australopithecus? Sapeva
ricercare il capezzolo, sapeva piangere, sapeva riconoscere il volto materno come il neonato dell’Uomo contemporaneo, ma non possedeva i geni che
possiede oggi e che hanno determinato lo sviluppo
di aree cerebrali deputate ad abilità superiori. Questi
geni sono stati selezionati dopo avere subito delle
mutazioni favorevoli, verosimilmente molto piccole
(l’evoluzione dell’Uomo è stata infatti graduale, non
essendosi verificati salti evolutivi che avremmo avuto soltanto con grandi mutazioni del corredo genetico) ma molto numerose e ripetute nel tempo, responsabili di continui mutamenti del fenotipo, che
hanno prodotto notevoli cambiamenti nell’architet-
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tura cerebrale, presumibilmente con una maggiore
forza e una maggiore durata delle sinapsi, un miglior
processo di “potatura” dei neuroni e una migliore
mielinizzazione delle fibre nervose3.
Conclusioni
Concludiamo con le parole del genetista Arturo Falaschi: “Avendo dedicato tutto il corso della mia attività scientifica, iniziata poco dopo la pubblicazione
della struttura del DNA, alla biologia molecolare, sono stato un appassionato spettatore di tutta quella
affascinante serie di scoperte che ha permesso di
ottenere una descrizione accurata del modo in cui la
sequenza di basi che porta inscritta la nostra eredità
biologica viene trasmessa fedelmente alla progenie,
e di come questa informazione giunga a permettere
la produzione di tutte le strutture fisiche della cellula
vivente e l’esplicarsi delle reazioni che la mantengono tale.
Una data sequenza di aminoacidi determina una e
una sola struttura tridimensionale della proteina. Invece quando guardo da puro spettatore piuttosto
distaccato, essendo un campo in cui non ho mai lavorato, agli studi sul sistema nervoso, non posso
mancare di rimanere stupito e quasi incredulo osservando l’evidenza di una importante base genetica del comportamento animale e, indubbiamente,
sia pure con l’enorme importanza in questo caso
delle influenze acquisite, anche di quello umano.
Faccio molta fatica a concepire come una sequenza
di basi possa codificare comportamenti così complessi e guardo con una forma di invidia le nuove
generazioni di biologi molecolari che potranno affrontare la decrittazione di quest’altro codice genetico, una impresa che non potrà mancare di offrire
nuove e illuminanti scoperte per avvicinarci alla
comprensione delle funzioni superiori della nostra
specie”3.
Indirizzo per corrispondenza:
Angelo Spataro
e-mail: [email protected]
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