Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia

2.
PROPRIETÀ COGNITIVE
DEL SISTEMA MOTORIO
NELLA CORTECCIA CEREBRALE
Leonardo Fogassi
doi: 10.7359/746-2015-foga
2.1.Il ruolo primario dell’azione nella cognizione
Il filosofo e psicologo americano William James scriveva: «Ogni rappresentazione mentale di un movimento risveglia a qualche livello l’effettivo
movimento che ne costituisce l’oggetto» (1890). Nelle ultime tre decadi la
ricerca neuroscientifica ha gettato le basi per comprendere a fondo il modo in cui il cervello elabora e controlla le rappresentazioni di movimenti
e azioni, portando anche ad un superamento della dicotomia classica tra
processi percettivi, cognitivi e motori. Credo che i nuovi concetti che emergono da questi studi creino anche vaste possibilità di interazione con varie
discipline non neurologiche, e in particolare con il mondo della pedagogia
e dello sport, e ritengo che l’indagine scientifica ci aiuti a riflettere su svariati aspetti presenti in questi ambiti.
Il punto centrale di questo manoscritto è, come credo sia evidente dalle
premesse, il fatto che il sistema motorio è fondamentale per la nostra vita e la nostra comprensione del mondo. È probabilmente più immediato
e ovvio pensare che siano le informazioni sensoriali a costruire la nostra
conoscenza del mondo, o che comunque esse siano essenziali per tale conoscenza. Questa idea era massimamente presente nel pensiero degli empiristi
del XVII secolo, ma in realtà anche i neurofisiologi e gli psicologi della seconda metà del secolo scorso avevano una visione simile. L’idea prevalente
era che il cervello di un individuo prima di tutto eseguirebbe un processo
di elaborazione sensoriale sempre più elevato, per giungere a ciò che chia79
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Leonardo Fogassi
miamo percezione. Il frutto di questa elaborazione sarebbe poi utilizzato
dal lobo frontale, che si incaricherebbe di eseguire un’azione sulla base di
quanto è stato percepito. Ad esempio, quando osserviamo un oggetto, il
nostro sistema visivo capta tutte le informazioni da esso provenienti e ci
restituisce, a livello cerebrale, una rappresentazione di quell’oggetto, che si
associa ad una semantica e ad una sua descrizione verbale. Tutto questo avviene nella porzione posteriore della corteccia cerebrale, che costituirebbe
perciò, sempre secondo la concezione classica, il «cervello che sa», mentre
la parte anteriore, quella motoria, sarebbe il «cervello che fa». È chiaro
che questa visione si basa soprattutto su un flusso unidirezionale dell’informazione. Tuttavia tutta una serie di studi, da trent’anni a questa parte, ci
dicono che le cose non stanno esattamente così. Si tratta di studi neuroanatomici, neurofisiologici e comportamentali. La conclusione a cui si giunge
in base ad essi è che il compito principale del nostro sistema motorio non
è quello di comandare l’esecuzione dei movimenti. Certamente, quando
io voglio muovermi, la porzione motoria della mia corteccia celebrale fa
partire un comando e attraverso vari passaggi questo viene eseguito e si
trasforma in un movimento; ma ciò non vuol dire che questo sia il compito
principale del nostro sistema motorio.
Il primo punto importante riguarda gli aspetti neuroanatomici. Ormai
da molti anni le tecniche neuroanatomiche permettono, negli animali, di
tracciare delle precise connessioni tra strutture cerebrali, tra cui anche
quelle tra aree differenti della corteccia cerebrale (proiezioni corticocorticali). Tramite queste metodiche si è dimostrato che ogni suddivisione
della corteccia frontale motoria ha connessioni reciproche con specifiche
aree appartenenti alla corteccia parietale posteriore (Rizzolatti & Luppino,
2001). Queste connessioni permettono la costituzione di altrettanti circuiti
parieto-frontali, coinvolti in importanti funzioni di integrazione sensorimotoria, cioè quei processi fondamentali che permettono di trasformare
le informazioni sensoriali in atti motori appropriati. Ad esempio uno di
questi circuiti permette di trasformare le informazioni visive riguardanti gli
oggetti in corrispondenti atti di prensione specifici per quegli oggetti, in
modo da guidare visivamente la prensione. L’aspetto della reciprocità anatomica presente in questi circuiti è importante, perché mette in discussione
la vecchia concezione seriale riportata precedentemente: se le connessioni
sono reciproche, il flusso di informazioni viaggia nei due sensi. Ciò ha fatto
pensare che la distinzione netta tra aree posteriori responsabili della percezione e aree anteriori per l’azione può essere considerata artificiale. In altre
parole si può ipotizzare, sulla base di questi dati, che azione e percezione
siano di fatto ampiamente integrate, e che questa integrazione avvenga sia
nella corteccia parietale che in quella frontale.
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2. Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia cerebrale
Il secondo punto riguarda lo studio elettrofisiologico dei singoli neuroni. Esso permette di vedere come ogni singolo neurone risponde in correlazione con un particolare evento, sia esso sensoriale o motorio. In particolare lo studio dei neuroni della corteccia parietale e frontale ci ha permesso
di arrivare ad una nuova concettualizzazione delle funzioni del sistema
motorio. Ad esempio, nella corteccia premotoria della scimmia la maggior
parte dei neuroni si attiva in relazione agli scopi dei nostri atti motori (Rizzolatti et al., 2004). Per esempio, vi sono neuroni che rispondono quando
una scimmia prende un pezzetto di cibo con la mano destra, con la sinistra
o con la bocca, cioè con tre parti corporee (effettori) molto diverse tra loro. Per quanto questi effettori siano diversi, agiscono con lo stesso scopo:
afferrare. Cioè il cervello contiene il concetto generale di afferramento,
indipendentemente dal modo in cui esso poi esso verrà eseguito. Quindi
i neuroni della corteccia motoria ci dicono gli scopi del nostro agire, che
consistono nell’afferramento, ma anche nella manipolazione, nello spezza­
mento di un oggetto, nel tenerlo in mano. Questi neuroni non servono
direttamente per muovere, ma per rappresentare qualcosa di più astratto
del movimento, cioè lo scopo. Il fatto che esistano nella corteccia cerebrale
queste rappresentazioni degli scopi degli atti motori è importante perché
di fatto costituisce un’attività mentale. Infatti è stato osservato, mediante
esperimenti di neuroimmagine sull’uomo, che quando immaginiamo di fare
un atto motorio, senza però realmente eseguirlo, si attivano comunque le
nostre aree premotorie (Roland et al., 1980). Il fatto che ci siano dei neuroni che rappresentano degli scopi motori è importante innanzitutto per
l’organizzazione motoria. Infatti è molto più economico codificare gli scopi
che non le combinazioni di movimenti. I primi, infatti, sono in numero limitato, le seconde sono potenzialmente infinite. Ma la scoperta di questi
neuroni porta anche ad una rivoluzione nella concettualizzazione del modo
in cui l’attività cerebrale è organizzata. In un certo senso si potrebbe dire
che il sistema motorio è più originario di quello sensoriale, rappresenta la
nostra conoscenza in «prima persona». Da questo punto di vista è molto
interessante ciò che viene evidenziato da studi ecografici ad alta definizione
che sono andati ad esaminare i movimenti fetali durante varie settimane di
gravidanza (Zoia et al., 2007). Essi dimostrano che un feto di 22 settimane
ha già un vasto repertorio di movimenti; per esempio le due mani interagiscono tra loro o la mano viene portata verso il viso o la bocca, ecc. Inoltre
gli autori di questi studi hanno registrato la cinematica di questi movimenti,
scoprendo che hanno delle caratteristiche molto simili a quelle dell’adulto.
Ciò vuol dire che quando nasciamo abbiamo già una conoscenza motoria.
Tale previa conoscenza ci permette, appena nati, di esplorare lo spazio, di
afferrare gli oggetti che ci vengono messi a disposizione, e così via. In altre
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parole il nostro patrimonio motorio ci permette di interpretare il mondo,
e questo aspetto ha molte implicazioni per il modo in cui apprendiamo.
Pensiamo alla scuola: noi impariamo agendo ed è il primo modo in cui apprendiamo in prima persona; altri modi di conoscenza sono delle strategie
differenti per apprendere.
Riassumendo gli studi neurofisiologici degli ultimi trent’anni sui neuroni motori, potrei usare una metafora: nel nostro sistema motorio cerebrale
esiste un vocabolario di atti motori. Vuol dire che abbiamo una memoria
all’interno del nostro cervello: un magazzino di conoscenze che ci permette
di conoscere lo spazio intorno a noi e gli oggetti. Vedremo successivamente
come questo stesso concetto si può applicare alla conoscenza del mondo
biologico. A questo punto del ragionamento sembra quasi che l’informazione sensoriale sia diventata secondaria. In realtà questo non è vero, ma
durante l’ontogenesi tale informazione, soprattutto quella visiva, serve per
validare ciò che abbiamo conosciuto secondo delle categorie motorie. In
altre parole il sistema visivo, che nel bambino alla nascita deve ancora svilupparsi completamente, una volta completato, ci permette di collegare e
confrontare gli elementi del mondo visivo con quello che già sa su base
motoria.
2.2. Comprendere le azioni degli altri:
il sistema specchio
Il sistema di rappresentazioni motorie contenuto nella nostra corteccia
cerebrale non serve solo per l’interpretazione degli oggetti e dello spazio,
ma viene applicato anche al riconoscimento del comportamento degli altri.
Sappiamo bene che chiunque guarda uno sport è capace di immedesimarsi in ciò che sta vedendo, anzi a volte si nota che gli osservatori di gare
sportive (p. es. calcio e pugilato) si muovono, utilizzando probabilmente gli
stessi muscoli degli atleti che stanno guardando. È interessante ricordare
che osservazioni simili sono riportate da Adams Smith più di due secoli
fa, parlando ad esempio dei movimenti degli astanti durante l’osservazione
della performance dei funamboli (Smith, 1976). Adesso queste osservazioni
trovano un riscontro a livello neuronale. Un altro esempio, appartenente
ad un altro dominio, della nostra capacità di riconoscere il comportamento
altrui, è quello del riconoscimento delle emozioni: quando osserviamo una
espressione emotiva di un altro siamo capaci di comprendere lo stato d’animo che l’altro sta provando.
Qual è il meccanismo che ci permette di capire, in maniera automatica e rapida, ciò che fanno gli altri? Esso è rappresentato dal sistema dei
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2. Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia cerebrale
neuroni specchio, che si trovano all’interno del sistema motorio. I neuroni
specchio sono neuroni, scoperti nella corteccia della scimmia (Gallese et
al., 1996), che si attivano quando essa compie un atto finalizzato (p. es.
afferrare un oggetto) e quando osserva un altro individuo (un’altra scimmia
o un uomo) compiere lo stesso atto. Questi neuroni non rispondono né alla
presentazione del solo oggetto, né quando l’atto motorio viene mimato dallo sperimentatore. Quindi per attivarli è necessaria l’osservazione dell’interazione tra un effettore biologico (mano o anche bocca) e un oggetto, in
altre parole di un atto finalizzato. Che questi neuroni riconoscano lo scopo
di ciò che viene osservato lo si è dimostrato studiandoli in una condizione in cui parte dell’atto osservato è nascosto dietro uno schermo (Umiltà
et al., 2001). In questa condizione alla scimmia da cui si sta registrando
l’attività neuronale si fa vedere un oggetto posto su un tavolino. Poi viene
introdotto uno schermo che copre l’oggetto e, immediatamente dopo, uno
sperimentatore, anch’egli di fronte alla scimmia, va ad afferrare l’oggetto,
ma la scimmia vede solo l’inizio dell’atto, perché l’afferramento vero e proprio si compie dietro lo schermo. La sorpresa di questo esperimento è che
il neurone specchio si attiva anche dopo che la mano è scomparsa dietro lo
schermo, cioè quando la scimmia può solo immaginare che l’afferramento
avvenga. Questa risposta non è magica, anzi corrisponde proprio a quello
che noi penseremmo se ci trovassimo in quella situazione, e cioè che l’individuo osservato sta andando a prendere l’oggetto nascosto. Si tratta di una
operazione mentale, perché per capire ciò che accade bisogna mantenere la
memoria dell’oggetto che non si vede più e ricostruire internamente quella
parte del gesto che viene oscurata. Come riusciamo a operare questa ricostruzione? Lo possiamo fare in quanto utilizziamo la rappresentazione
mentale dell’afferramento, che fa parte di quel magazzino motorio precedentemente menzionato.
Un altro chiaro esempio di come i neuroni specchio ci permettono
di interpretare lo scopo degli atti degli altri è rappresentato dai neuroni
specchio audiovisivi. Infatti, alcuni atti motori (p. es. spezzare un oggetto,
manipolare degli oggetti, stappare una bottiglia) provocano un rumore. Si è
visto che una categoria particolare di neuroni specchio si attiva sia quando
la scimmia osserva l’atto motorio e ne sente il rumore, sia quando può solo
sentirne il rumore, perché la vista è occlusa (Kohler et al., 2002). Questi
neuroni quindi sono capaci di attivare la rappresentazione motoria di un
atto anche solo su base acustica. Naturalmente perché questa rappresentazione si attivi è necessario che connessioni anatomiche intracorticali permettano all’informazione acustica di raggiungere il sistema motorio.
Dopo i primi studi eseguiti sulla corteccia premotoria frontale della
scimmia, si è visto che i neuroni specchio esistono anche nel lobo parietale
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Leonardo Fogassi
(Fogassi et al., 2005; Rozzi et al., 2008), per cui adesso si può parlare di
un sistema specchio parieto-frontale. In tempi recenti (circa due decadi)
sono state introdotte delle tecniche (per esempio la risonanza magnetica
funzionale) che ci hanno permesso di dimostrare l’esistenza di un sistema
specchio anche nell’uomo. Ormai molti studi di neuroimmagine mostrano
che anche nel cervello umano esiste questo tipo di circuito parieto-frontale,
verosimilmente omologo a quello della scimmia, che ci permette di capire, nella vita quotidiana, quello che stanno facendo gli altri (Caspers et al.,
2008; Cattaneo & Rizzolatti, 2009; Molenberghs, Cunnington, & Mattingley, 2012). Nell’uomo non abbiamo, in condizioni normali, la possibilità di
registrare l’attività di singoli neuroni, ma piuttosto quella di popolazioni
neuronali. Tuttavia la conoscenza del meccanismo «specchio» che ci deriva
dallo studio di singoli neuroni nella scimmia, ci indica che l’attività neuronale inizia contemporaneamente all’osservazione degli atti altrui, facendo
quindi ipotizzare che la comprensione che ne deriva sia immediata. Non
abbiamo quindi bisogno di inferenze (che normalmente richiedono più
tempo) per capire il significato di ciò che gli altri fanno.
Anche se già la scoperta del meccanismo specchio nella scimmia faceva intuire che esso potesse essere alla base di svariate capacità sociali, a
maggior ragione questo è valido anche nell’uomo. Le ricerche successive a
quelle che hanno dimostrato l’attivazione cerebrale durante l’osservazione
di azioni, hanno investigato proprietà cognitive sociali come l’imitazione,
la comprensione delle intenzioni altrui e quella delle emozioni. Le ricerche sull’imitazione hanno mostrato che il sistema specchio si attiva anche e
maggiormente durante l’imitazione di azioni nuove (Buccino et al., 2004).
Quelle sulla comprensione intenzionale hanno evidenziato che il sistema
specchio è in grado di rivelare non solo lo scopo dell’atto motorio osservato, ma anche lo scopo finale di azioni complesse eseguite da altri (Fogassi et
al., 2005; Iacoboni et al., 2005; Bonini et al., 2010).
Lo studio della comprensione delle emozioni è particolarmente interessante perché conferma la concettualizzazione proposta, riguardante il ruolo
centrale del sistema motorio, estendendo questo concetto anche al circuito
emozionale che, di per sé, si estrinseca non solo come azioni, ma anche
come effetti viscerali (p. es. variazione del battito cardiaco, della respirazione, liberazione di adrenalina, ecc.). Anche qui lo studio comportamentale
ci dice che noi comprendiamo le emozioni, gli stati d’animo altrui dalle
espressioni facciali (Ekman, 1992). Il risultato più interessante degli studi sull’osservazione di stati emotivi è che quando proviamo un’emozione,
per esempio di disgusto, e quando osserviamo l’espressione disgustata di
un altro, c’è una sovrapposizione delle aree attivate nelle due condizioni
(Wicker et al., 2003). La stessa cosa accade se ad esempio proviamo dolore
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2. Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia cerebrale
o sappiamo che un altro sta provando lo stesso dolore (Singer et al., 2004).
Anche in questo caso si attivano aree corticali simili. In genere queste aree
comprendono la corteccia del cingolo, che è sempre stata inclusa nei circui­
ti emozionali, e la corteccia dell’insula, già ritenuta importante in relazione
agli stati affettivi. In aggiunta si sa che l’insula può controllare numerose
reazioni visceromotorie, quali l’accelerazione cardiaca, il ritmo pressorio,
le dinamiche dell’apparato gastroenterico. Quindi si possono trarre due
conclusioni da questi dati. Primo, per comprendere ciò che provano emotivamente gli altri attiviamo le stesse aree cerebrali che si attivano quando
siamo noi a provare quelle stesse emozioni: si tratta cioè di un meccanismo specchio. Secondo, anche in questo caso la rappresentazione su cui
mappiamo il comportamento altrui è motoria, cioè visceromotoria. Quindi,
anche nel caso del riconoscimento delle emozioni viene confermata la regola che una conoscenza di tipo motorio viene utilizzata per interpretare il
comportamento dell’altro.
2.3. La plasticità cerebrale
e la sua rilevanza applicativa
È ormai ben noto che il nostro cervello è plastico, cioè possiede un’elevata
capacità di modificarsi con l’apprendimento e con l’esperienza. Tale capacità non è solo del bambino, dove peraltro i cambiamenti sono più veloci e più
ampi, ma persiste anche nell’individuo adulto. Numerosissimi studi hanno
dimostrato la plasticità del sistema nervoso in relazione all’apprendimento
direttamente a livello biochimico, studiando gli invertebrati (vd. Hawkins,
Kandel, & Siegelbaum, 1993) e poi i vertebrati (Malinow & Tsien, 1990).
Questi studi ci forniscono informazioni fondamentali sui meccanismi funzionali e sulle modificazioni anatomiche che intervengono quando un organismo vivente apprende e memorizza l’apprendimento. Dato che, da una parte, le modalità di apprendimento degli animali (abitudine, sensibilizzazione,
condizionamento, insight) sono le stesse che avvengono anche nell’uomo e,
dall’altra, il macchinario neuronale che viene utilizzato è anch’esso comune
a tutte le specie, si può ipotizzare che la plasticità del cervello umano possa
derivare da questi meccanismi. Queste considerazioni sono molto importanti, a mio parere, se le mettiamo in relazione alla ricchezza dei fenomeni di
apprendimento che avvengono in campo educativo e in campo sportivo.
La plasticità nell’uomo si può studiare all’interno di vari sistemi, sia sensoriali che motori. Nella scimmia sono famosi gli esempi di plasticità dimostrabili nello sviluppo del sistema visivo (Hubel, Wiesel, & LeVay, 1977) o
nel sistema somatosensoriale (Buonomano & Merzenich, 1998). Nell’uomo
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Leonardo Fogassi
vi sono diversi studi che mostrano come il sistema motorio possa modificare le sue rappresentazioni a seguito dell’apprendimento. Per esempio, un
semplice esercizio consistente in sequenze di opposizioni delle dita per un
tempo breve (anche pochi minuti) modifica in modo molto rapido la rappresentazione della mano della corteccia motoria (Karni et al., 1998). Si può
immaginare quindi come l’acquisizione di un’abilità sportiva vada di pari
passo con una modifica delle rappresentazioni motorie. A sua volta questo determina anche delle modifiche nelle nostre capacità di comprendere
il comportamento altrui. Infatti si è visto che la plasticità è resa evidente
anche nel sistema specchio, come è dimostrato da interessanti studi sull’attività cerebrale di ballerini esperti durante l’osservazione. In un primo studio
di neuroimmagine (Calvo-Merino et al., 2005) era stato arruolato un gruppo di ballerini di danza classica, uno di danza latino-americana e un gruppo
di controllo che non aveva esperienza di entrambe le danze. I soggetti di
tutti e tre questi gruppi dovevano osservare due tipi di video: uno di questi
mostrava dei passi di danza classica, l’altro dei passi di capoeira. È emerso
che, innanzitutto, il sistema specchio parieto-frontale si attivava in tutti e
tre i gruppi, ma l’attivazione era maggiore nei due gruppi di esperti. Ancora
più interessante era il fatto che sia nei ballerini di danza classica che nei ballerini di danza latino-americana l’attivazione delle aree del sistema specchio
era maggiore quando osservavano il proprio tipo di danza, mentre nei non
esperti l’attivazione cerebrale non differiva nelle due condizioni. Questo
significa che se abbiamo esperienza motoria di una determinata disciplina
(che ha già determinato una modificazione plastica del nostro cervello) essa
guida anche la nostra migliore comprensione del comportamento degli altri,
quando eseguono lo stesso tipo di disciplina. Noi quindi comprendiamo le
azioni degli altri attraverso il nostro repertorio motorio di base.
A livello di studi comportamentali si è potuto dimostrare che la conoscenza motoria acquisita da uno sportivo nella sua disciplina gli permette di
comprendere meglio e prima del non esperto cosa sta per fare un suo collega. In uno studio sono stati arruolati esperti giocatori di basket, giornalisti
sportivi specializzati nel basket e non esperti (Aglioti et al., 2008).
Come si può prevedere, queste conoscenze aprono immediatamente anche all’ambito applicativo. Ci si può chiedere ad esempio se attività
didattiche che coinvolgano l’aspetto motorio possano costituire un nuovo
punto di partenza per un percorso educativo. Ugualmente, nell’ambito
sportivo, l’approfondimento di quali siano i meccanismi che intervengono
nell’apprendimento per osservazione possono essere di valido aiuto per impostare determinati allenamenti.
In questi anni si è cominciato a dimostrare che le capacità plastiche del
nostro sistema cerebrale motorio possono essere sfruttate mediante terapie
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2. Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia cerebrale
basate sull’osservazione dell’azione e volte a riabilitare pazienti colpiti da
ictus, che presentano un deficit motorio. Sono stati condotti ad esempio
studi pre- e post-terapia con protocolli della durata di tre settimane, dove
pazienti con paresi dovevano guardare e ripetere azioni di vita quotidiana; si è visto che le loro performances motorie miglioravano molto dopo
la terapia, e le indagini cerebrali hanno dimostrato che le aree del sistema
specchio si attivavano di più dopo la terapia (Ertelt et al., 2007). Questa
dimostrazione ci conferma che il miglioramento, osservabile a livello comportamentale e quantificabile mediante riconosciute scale funzionali, si
accompagna a processi di plasticità cerebrale. Recentemente, uno studio
italiano multicentrico ha mostrato che questo tipo di riabilitazione si può
avere anche in bambini con paralisi cerebrale infantile anch’essi sottoposti
alla osservazione e riproduzione di azioni di complessità crescente per tre
settimane (Sgandurra et al., 2013).
2.4.Un esempio di utilizzazione
del meccanismo specchio in un altro dominio:
la comprensione del linguaggio
Il linguaggio è un tema enorme e complesso, e si potrebbe pensare che non
abbia nulla a che fare con il meccanismo specchio, anche perché una scuola
di pensiero molto influente ha sostenuto che non vi possano essere elementi
di continuità tra linguaggio umano e altri comportamenti appartenenti ai nostri antenati primateschi. Nella sua versione modificata (Hauser, Chomski,
& Fitch, 2002) è stato proposto che nel linguaggio c’è un nocciolo duro non
riconducibile ad altri domini animali, la cosiddetta funzione linguistica in
senso stretto, in cui il principio di recursività costituisce il principio fondamentale. Tuttavia, se confrontiamo le aree del sistema motorio della scimmia
e dell’uomo notiamo molte omologie, sia anatomiche che funzionali. Una di
queste è l’omologia tra una parte della corteccia premotoria ventrale della
scimmia (dove si trovano i neuroni specchio) e l’area di Broca nell’uomo,
che è implicata nella produzione linguistica (vd. Fogassi & Ferrari, 2007).
Come prima menzionato, l’area di Broca si attiva quando osserviamo atti
fatti dagli altri, non solo con la bocca, ma anche con la mano, e anche quando questi atti vengono eseguiti da noi stessi (Buccino et al., 2001; Iacoboni
et al., 1999). Una serie di esperimenti sul linguaggio ci dicono che quando
ascoltiamo gli altri che stanno parlando è come se tutto il nostro sistema
motorio entrasse in risonanza. In altre parole, quando ascoltiamo parole e
frasi dette da altri, entriamo in risonanza attivando quella parte del sistema
motorio che ci serve per produrre quelle stesse parole e frasi.
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Leonardo Fogassi
Vi faccio due esempi che confermano tale attivazione. Il primo è uno
studio di stimolazione magnetica transcranica (TMS) (Fadiga et al., 2002).
Brevemente, la TMS consiste in uno stimolo magnetico dato sullo scalpo
di un soggetto in condizioni di riposo o mentre quest’ultimo sta svolgendo
un compito. Ad esempio, dando uno stimolo magnetico a livello della corteccia motoria di una persona, si vede comparire un brusco movimento di
una parte del corpo, nel lato opposto a quello di stimolazione. Più specificamente, se dò uno stimolo sopra la zona di rappresentazione motoria della
lingua, posso evocarne il movimento. Se lo stimolo è applicato alla stessa
zona, ma in modo subliminale, non si osserva nessuna contrazione della
lingua. Cosa accade, in quest’ultima condizione, se il soggetto stimolato sta
ascoltando una parola contenente una sillaba che, se pronunciata, determinerebbe una forte attivazione dei muscoli della lingua? Accade che lo
stimolo subliminale questa volta evoca il movimento della lingua specifico
per quella sillaba, verosimilmente perché l’effetto subliminale dello stimolo
si è sommato a quello fisiologico determinato dall’ascolto di un fonema che
il soggetto sarebbe in grado di pronunciare. Questo stesso studio, oltre a
dimostrare che durante l’ascolto di parole avviene nel nostro sistema motorio una risonanza fonologica, ha anche rivelato un’attivazione correlata
alla semantica. Infatti l’ascolto di parole provoca un’attivazione dei muscoli
della lingua maggiore dell’ascolto di pseudoparole.
Il secondo esempio è tratto da uno studio di risonanza magnetica funzionale. Quando dei soggetti ascoltano frasi con verbi di azione, ad esempio «afferra la palla», «mangia la mela», «premi il pedale», fatti con la
mano, la bocca e il piede, rispettivamente, si «accendono» regioni motorie
della corteccia cerebrale che si riferiscono alle diverse parti del corpo implicate nelle frasi d’azione ascoltate (Tettamanti et al., 2005). Cioè quando
noi ascoltiamo del materiale verbale che attiene ad aspetti che richiamano
l’azione si attivano quelle zone che usiamo quando intraprendiamo queste
azioni: è una risonanza diretta. Noi pensiamo che parte della comprensione del linguaggio avvenga perché le informazioni di tipo acustico vengono
confrontate con quelle parti del nostro sistema motorio che ci permettono
di produrre questo stesso materiale verbale.
In conclusione, credo che gli studi neuroscientifici qui descritti possano far intuire che il sistema motorio cerebrale, lungi dall’essere un sistema
semplicemente esecutivo, è anche un sistema cognitivo, che ci permette
di conoscere vari aspetti del mondo, tra cui quelli sociali. Questo tipo di
comprensione, molto più rapida di quella basata sul ragionamento e sull’inferenza, si può rivelare, se incentivata, di estrema importanza come mezzo
pedagogico, di allenamento e di riabilitazione.
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2. Proprietà cognitive del sistema motorio nella corteccia cerebrale
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