Seminari di drammaturgia (17)

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 Seminari di drammaturgia (17)
Un lavoro inutile( come rendere utile la scrittura?)
di Alfio Petrini
Molto utile, molto seguito e vivace il seminario di drammaturgia condotto da
Angelo Longoni, dal titolo “Il lavoro inutile (come rendere utile la scrittura)”.
Il nostro drammaturgo/regista ha detto in premessa che “ il teatro non si può
insegnare”, che “non si può insegnare a scrivere”. Il problema della
trasmissione delle conoscenze se lo sono posto in molti - ricercatori, studiosi ,
scrittori e maestri di teatro impegnati nella formazione - nel corso del tempo.
Il trasferimento delle
abilità progettuali e realizzative è possibile
relativamente ad alcune questioni metodologiche di scrittura e di controllo
della scrittura. Il comportamento poetico, per esempio, è impossibile
trasmetterlo ad altri. Il drammaturgo o lo possiede o non lo possiede. Nessun
maestro può insegnarglielo. Glielo dà solo dio.
La seconda questione posta da Longoni in apertura del seminario ha
riguardato l’aspetto economico della produzione teatrale, che incide di
rimbalzo sulla libertà creativa dell’autore del testo linguistico. Nel romanzo lo
scrittore può dare libero sfogo alla sua immaginazione. Non è minimamente
condizionato dalla complessità dell’ambientazione o dal numero dei
personaggi della storia che si accinge a raccontare. L’immaginazione non
costa denaro. Lo spazio di libertà è illimitato e non ha risvolti economici.
Costa soltanto in termini di fatica, di lavoro necessario alla definizione di una
qualità alta della scrittura. In teatro, invece, tutte le componenti dello
spettacolo - numero di personaggi, spazio scenico, tecnologie, eccetera,
eccetera - comportano una spesa. Il denaro costa. E costa anche
procurarselo, sopratutto in tempi di crisi. Più è alto il costo dello spettacolo,
del film o dello sceneggiato televisivo più è forte il condizionamento della
produzione nei confronti dell’autore/regista. A meno che l’autore/regista di
teatro non faccia una scelta radicale come quella che fece a suo tempo
Grotowski. Con il teatro povero fece piazza pulita di ogni accessorio,
ornamento, atmosfera o aura poetica, puntando in modo deciso sulle figure
fondamentali, irrinunciabili, dell’attore e dello spettatore. Il teatro si può fare
senza scene e senza musiche, tanto per fare un esempio, ma non si può fare
senza attori e senza spettatori. Anche il teatro povero costa, ma costa di
meno.
Dopo aver raccontato, con la necessaria ironia, l’estasi e il tormento delle
alterne vicende legate ai suoi testi linguistici e alle regie (anche
cinematografiche e televisive) che sono venute dopo, Longoni ha cercato alla
fine di ricavarne un senso di carattere generale, facendo due considerazioni.
La prima: il successo di uno spettacolo dipende non soltanto dalla qualità
della scrittura drammaturgica e della successiva scrittura scenica, ma anche
dalle “oscillazioni del gusto” (Roland Barthes), legate allo stato di salute del
mercato di riferimento. La seconda: anche nella ipotesi di un chiaro successo
di critica e di pubblico, l’autore/regista che mette in vita un testo linguistico
deve ogni volta essere disponibile a ricominciare daccapo. Credibilità e
consenso sono a rischio. Non deve mai considerarli acquisiti per sempre.
Che sia difficile fare teatro nel nostro Paese è fuori discussione. Mancano
soldi e strategie di promozione. Manca il riconoscimento sociale del teatro.
Domina il clientelismo rivolto ai grandi elettori del politico di turno. Il
cosiddetto mercato libero - che libero non è -, condiziona la produzione.
Chissà quante volte gli artisti si sono detti “Basta, chi me lo fa fare!”.
L’alternativa sta nel cambiare lavoro? Sta nel fare, come si dice, un lavoro
normale? Non si riproporrebbero sostanzialmente gli stessi problemi?
L’alternativa sta nel trovare una “protezione politica” che amplifichi
l’immagine individuale o di gruppo? Perché la polis dei valori condivisi non
c’è? Non è la barbarie dilagante che induce i cittadini a fare i furbi ? Bisogna
fare i furbi? E’ meglio un (falso) teatro civile per in Paese incivile, oppure un
teatro incivile per un Paese civile? Chi è il principe che potrebbe/dovrebbe
salvarci? Chi ci salverà, se non ci salviamo noi stessi, dall’economicismo
becero, dal dirigismo violento, dalle lobby politiche, finanziarie e culturali? Ci
sono alcuni uomini (pochi) che lavorano onestamente al servizio dei cittadini,
ma sono messi nel sacco dai corrotti (molti), responsabili dello sfacelo delle
istituzioni pubbliche e provate. Altro che meritocrazia! Altro che equilibrato
rapporto e proficua compenetrazione tra economia e arte che saremmo pronti
a sottoscrivere immediatamente!
Che fare? Su questa antica domanda si è acceso il dibattito tra i partecipanti
al seminario che Longoni ha stimolato e gestito in modo brillante.
La risposta all’ultimo interrogativo non è facile. Ho, però, un’idea. Penso
d’iscrivermi al partito di Papa Francesco: l’unico che parla della parte
immateriale dell’uomo, anche se soprattutto sul versante metafisico-religioso,
perché - è ovvio - fa il suo mestiere. E’ l’unico che dice una cosa vera:
abbiamo veduto l’anima al dio denaro. Questa idea balorda è di destra o di
sinistra?
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