Benchmark e Fondi Comuni

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Benchmark
e fondi comuni
Le regole
per interpretare
e utilizzare correttamente
il parametro oggettivo di riferimento
presentazione
PRESENTAZIONE
La presente pubblicazione intende raggiungere uno scopo ben preciso: offrire un quadro
completo, rigoroso e comprensibile dell’utilizzo del
b e n c h m a r k nelle scelte di investimento in
fondi comuni.
Come è noto i fondi italiani sono i primi in
Europa ad offrire questo strumento di valutazione, la cui interpretazione richiede un
piccolo ma importante sforzo di conoscenza.
Il risparmiatore, approfondendo i temi legati all’utilizzo e all’interpretazione del benchmark, sarà in grado di dialogare attivamente
con i professionisti che lo assistono nelle
proprie scelte di investimento e di ottenere i
migliori risultati nella selezione dei servizi
di gestione.
Il manuale si articola in diversi capitoli che
coprono le principali tematiche attinenti al
benchmark, ma soprattutto si presta ad una
lettura su diversi livelli: alcuni spunti sono
principalmente utili ai professionisti e ai
commentatori economici specializzati, altri
invece si indirizzano ad un pubblico più largo. Comunque la comprensione e l’utilizzo
di questo manuale presuppone unicamente
l’interesse e la curiosità del lettore e non richiede particolari conoscenze finanziarie.
Questa pubblicazione è stata realizzata per
iniziativa dell’Assogestioni, l’associazione
italiana delle società che offrono servizi di
gestione del risparmio individuale e collettivo. Le associate aderiscono ad elevati standard professionali e offrono ai risparmiatori
una vasta gamma di servizi di investimento
caratterizzati dal più alto grado di efficienza
e trasparenza.
Il manuale per l’utilizzo del benchmark è
stato scritto grazie al contributo degli uffici
dell’Assogestioni, dei ricercatori delle società di gestione associate che partecipano ai
gruppi di lavoro dell’associazione e degli accademici che partecipano alle attività di sviluppo e innovazione dell’industria del risparmio gestito. In particolare si ringraziano
gli autori dei testi inclusi in questo manuale
e i membri del gruppo di lavoro Davide Alfano, Andrea Beltratti, Dario Brandolini,
Diego Cavrioli, Alessandro De Carli, Roberta D’Apice, Enrico Finzi, Fabio Galli, Silvio
Giudici, Fabio Innocenzi, Daniele Marvulli,
Stefano Raggi, Marco Ratti, Renato Rota,
Paolo Sacco, Raffaele Savi, Claudio Tosato,
Raffaele Zenti.
Chi volesse mantenere un aggiornamento
costante in tema di benchmark e sulla sua
applicazione nella realtà dei fondi comuni di
diritto italiano potrà visitare (all’indirizzo
www.assogestioni.it) il sito Web dell’Associazione, sotto la sezione Classificazione e
benchmark.
1
indice
3
Cosa è il benchmark
5
16 domande e 16 risposte sul benchmark
9
Il benchmark nelle decisioni di investimento
10
Il benchmark e i fondi comuni:la teoria
di Andrea Beltratti - Università Bocconi
25
La normativa:le regole della Consob e di Assogestioni
26
Il benchmark nel nuovo prospetto
30
Linee guida per la definizione di un parametro oggettivo
31
Le linee guida di Assogestioni
35
Come si costruisce e si seleziona un benchmark
37
Proprietà desiderabili di un benchmark
38
Indici per il mercato azionario
41
Indici per il mercato obbligazionario
45
Il manuale tecnico:come si calcola e si confronta il benchmark
46
Il periodo di confronto
50
Le classi di rischio
53
Una metodologia per l’analisi del rischio
di Dario Brandolini e Raffaele Zenti – RAS Asset Management SGR
61
La fiscalità
63
Procedura di calcolo del benchmark netto
di Silvio Giudici – Intesa Asset Management SGR
67
Il ribilanciamento
di Claudio Tosato – Deutsche Bank Fondi
I capitoli privi di autore sono stati elaborati dagli uffici di Assogestioni
2
benchmark
COSA È IL BENCHMARK
I risparmiatori, i distributori e i commentatori economici che desiderino approfondire
la conoscenza di un fondo comune di diritto
italiano potranno trovare indicazione del parametro oggettivo di riferimento (di seguito
benchmark) nel prospetto che accompagna
l’offerta del fondo.
Assogestioni intende promuovere e stimolare la conoscenza delle opportunità e delle
metodologie legate all’utilizzo del benchmark per i prodotti di investimento.
Il benchmark offre l’opportunità di una comunicazione oggettiva e trasparente tra
chi gestisce e offre il fondo e il risparmiatore,
poiché individua il profilo di rischio e le opportunità del mercato in cui tipicamente il
fondo investe. Un parametro oggettivo per i
fondi comuni rafforza il rapporto fiduciario
che è alla base della gestione del risparmio e
permette un dialogo efficace tra l’investitore
e il professionista che lo affianca.
Per cogliere appieno le opportunità offerte
da questo strumento a disposizione dei fondi comuni italiani, che sono i primi ad introdurlo in Europa, è comunque necessario
conoscerne i meccanismi specifici di calcolo
e funzionamento.
A cosa serve il benchmark
Il benchmark serve in primo luogo a comunicare al risparmiatore il rischio tipico del
mercato in cui il fondo investe, come si legge nel regolamento Consob.
La nozione di rischio deve peraltro essere
analizzata in relazione alla storia, alle attese,
ai fattori di cambiamento che caratterizzano
i mercati di investimento.
Per mezzo del benchmark il gestore permette al risparmiatore di valutare meglio, alla
luce delle proprie esigenze finanziarie, i rischi e le opportunità di diversi strumenti di
investimento disponibili sui mercati.
Le opportunità di investimento si presentano in una gamma molto ampia di mercati,
ognuna con caratteristiche proprie non
sempre conosciute dal risparmiatore; il benchmark ha quindi la funzione di congiungere le necessità finanziarie del risparmiatore con i prodotti offerti, ancora più trasparenti ed intellegibili grazie all’indicazione
del benchmark.
La valutazione del rischio tipico dell’investimento si ottiene analizzando la composizione
del benchmark o degli indici di mercato che
lo compongono, nonché le modalità di costruzione dello stesso, ossia le caratteristiche che
ne determinano nel tempo la volatilità.
Parte integrante dei servizi di gestione diviene dunque l’identificazione e la comunicazione di benchmark coerenti con la gestione del fondo medesimo.
È importante ricordare che anche con l’indicazione di un benchmark le società di
gestione hanno la facoltà di differenziarsi rispetto ad esso in relazione ai particolari obiettivi e modalità di investimento che
si prefiggono.
Pertanto lo scostamento, più o meno marcato, tra il rendimento del fondo e l’andamento del benchmark diviene un ulteriore
strumento di caratterizzazione del fondo su
cui basare il dialogo e l’informazione che il
gestore sviluppa con i propri investitori.
3
benchmark
Il confronto con il benchmark
L’attenzione del risparmiatore e dei commentatori economici si appunta anche sul
confronto tra rendimento del fondo e variazione di valore del benchmark. L’utilizzo del benchmark a fini di valutazione della
qualità dei prodotti di investimento è corretto se si tiene ben presente che:
•
il confronto non avviene tra due gestioni di portafoglio effettivamente
alternative, tranne che nel caso di un
confronto con indici di categoria. Nel
confronto diretto tra il rendimento del
fondo e la variazione del benchmark,
quest’ultimo rimane sempre un portafoglio virtuale, mentre il fondo sostiene i costi di gestione, di negoziazione, i costi di liquidità, i costi di servizio per la vendita, comprendendo in
primo luogo l’essenziale servizio di
consulenza alla scelta del prodotto. Soprattutto i costi fiscali non possono essere pienamente neutralizzati e pertanto incidono sui risultati del fondo nel
lungo periodo
•
il periodo di analisi e confronto tra
un fondo e il proprio benchmark è fon-
4
•
damentale. Un confronto tra diversi risultati su periodi infra annuali è praticamente privo di significato. Infatti su
periodi così limitati le differenze di
rendimento dei diversi fondi possono
avere una componente puramente casuale e solo sul lungo periodo tale
componente diviene trascurabile mentre acquistano peso le strategie e le valutazioni di gestione
il criterio del confronto col benchmark deve necessariamente essere affiancato ad altri criteri, anche e soprattutto qualitativi. Un’attenzione
unicamente incentrata sulle differenze
di rendimento fornisce un parametro
quantitativo inadatto a valutare la
qualità degli altri servizi resi dal gestore, in primo luogo la qualità dell’informazione e della consulenza nella
selezione dei prodotti di investimento.
I risultati finanziari sono soggetti nel
tempo a variazioni maggiori di quelle
che caratterizzano la qualità del servizio di consulenza alle decisioni di investimento, servizio che un riferimento
esclusivo al benchmark non mette nella dovuta luce.
domande&risposte
16 DOMANDE E 16 RISPOSTE SUL BENCHMARK
1
Cosa è il benchmark?
È un parametro oggettivo di riferimento che
dal 1 luglio 2000 si troverà nel prospetto
che accompagna l’offerta di un fondo d’investimento. Esso, in sostanza, è un indice, oppure una composizione di indici finanziari,
che chiarisce al risparmiatore quale è l’identità del prodotto offerto dal fondo e quale è
la valutazione del rischio di quel tipo di investimento.
2 Si può dire che il benchmark
serve al risparmiatore per capire dove
quel fondo investe?
Sì. Il benchmark indica in quali tipi di
mercati il fondo investe: il che è sempre
utile, ma lo è ancor di più se si tratta di un
fondo nuovo, di cui dunque non si conosce
la storia.
3 Il benchmark indica
il rendimento futuro del fondo?
Ovviamente no, dato che nessuno al mondo
è in grado di conoscere il futuro, sia in generale sia dei rendimenti delle attività finanziarie. Il benchmark aiuta in parte a capire le opportunità di quel tipo d’investimento e specialmente a valutarne il profilo
di rischio.
4
In che senso?
Analizzando il benchmark, al risparmiatore
è possibile comprendere quale rischio af-
fronta con quel fondo e se tale rischio è giusto per lui, per le esigenze sue e della sua famiglia: il tutto tenendo conto dell’arco temporale dell’investimento, cioè di quando
prevedibilmente avrà bisogno di disinvestire il suo patrimonio.
5 Insomma, l’analisi del benchmark aiuta
a capire meglio dove investire i propri soldi...
Sì, esso favorisce un dialogo serio ed efficace
tra il risparmiatore ed il professionista (promotore finanziario o sportellista bancario)
che lo affianca. Il risultato è una scelta più
consapevole, basata anche su tale strumento
di comunicazione - oggettiva e trasparente tra chi gestisce e offre il fondo di investimento e il suo cliente o potenziale cliente.
6 Si può usare il confronto col benchmark
per valutare i risultati della gestione e per capire
se il gestore ha operato bene o no?
Solo in parte ed in certi casi assolutamente no.
7 In quali casi non si deve usare
il benchmark per valutare i risultati della gestione?
Anzitutto se il confronto tra il fondo ed il
benchmark è fatto su periodi di tempo inferiori a un anno (per esempio in relazione ad
un semestre, ad un trimestre, ad un mese).
Il motivo è semplice: su periodi inferiori all’anno le differenze possono essere assolutamente casuali. E c’è chi, come il Premio Nobel Sharpe, ritiene che per giudicare un gestore ci vogliano decenni.
5
domande&risposte
8 Ma perché si può usare solo in parte
il benchmark per valutare i risultati della gestione?
Per molti motivi. Il primo è che il benchmark non si riferisce ad una vera gestione di
portafoglio come quella di un fondo d’investimento. Per esempio nel benchmark non
rientrano molti costi che il gestore deve sostenere al fine di offrire il miglior servizio
al risparmiatore: costi che rendono possibile
la negoziazione, il servizio per la vendita, la
rendicontazione, la gestione della liquidità.
In altre parole un vero fondo deve spendere
per comprare e vendere azioni, obbligazioni, titoli; per dare consulenza al cliente-risparmiatore tramite il consulente/promotore finanziario o lo sportellista della banca;
per fornire informazioni con vari mezzi; per
fornire i rendiconti periodici personalizzati.
9
C’è dell’altro?
Sì. C’è la questione dei costi fiscali. In Italia
il risparmiatore è avvantaggiato rispetto a
molti altri Paesi: infatti da noi è il fondo che
trattiene e versa le imposte per conto del
cliente, il quale ha perciò semplificata la vita (dal luglio 1998 l’aliquota fissa è per tutti del 12.5%).
10
E allora dov’è il problema?
Il problema è che prima del luglio 1998 il
fondo non poteva calcolare il costo fiscale
con una semplice formula analitica e dunque non si possono fare confronti omogenei
prima di allora. Inoltre, anche nel futuro ci
sono dei piccoli ma persistenti effetti fiscali
che non possono essere corretti, soprattutto
su un periodo di più anni: il che rende ancora più incerto il confronto storico “lungo” tra
le performance del fondo ed il suo bench6
mark. O cambia il sistema di prelievo fiscale, oppure il confronto sarà sempre un po’
distorto.
11 D’accordo,ma si può comunque
usare il benchmark per dare una valutazione
di massima del proprio gestore?
Solo di massima. A parte tutti i limiti indicati sin qui, il risparmiatore deve tener conto
del fatto che la qualità dell’informazione e
della consulenza che riceve ovviamente non
può essere analizzata tramite il benchmark; e
che non è detto che la gestione ottima per il
singolo cliente sia quella che “batte” il benchmark (ciò può essere vero nel lungo periodo).
Inoltre le gestioni possono essere distinte in
passive (quelle che mirano ad adeguarsi al
benchmark) ed attive (quelle che mirano a
cogliere le migliori opportunità dato un certo profilo di rischio scelto dal cliente: queste
ultime devono proporsi di scostarsi dal benchmark in modo esplicito).
12 Cosa si deve fare se il rendimento
del proprio fondo è inferiore al benchmark?
Se tale differenza si prolunga per un periodo
consistente è utile parlarne con il proprio
interlocutore della banca o della rete dei
promotori finanziari: il gestore dovrà spiegare i motivi di tale scostamento, il che consentirà al cliente di vedere se la sua scelta di
rischio/rendimento iniziale è stata valida, se
il gestore si muove adeguatamente, ecc...
13 Sarà sempre meglio una gestione
che “batte”il benchmark di una che non lo fa?
Non è sempre detto. Una gestione che “batte” il benchmark può aver “tradito” il patto
col risparmiatore, facendogli sostenere esa-
domande&risposte
gerati rischi non concordati, oppure garantire eccezionali risultati a breve termine ma
preparando cattivi risultati nel medio-lungo
termine.
dei servizi di investimento al normale risparmiatore.
16 Come si possono approfondire
le questioni legate all’utilizzo del benchmark?
14 Il benchmark è un utile strumento...
Sì, anzitutto di conoscenza del profilo di rischio del singolo fondo d’investimento: soprattutto prima di decidere e per decidere
quale fondo scegliere.
E poi, ma solo parzialmente ed imperfettamente, per valutare la qualità della gestione.
15 È uno strumento usato all’estero?
L’Italia è il primo Paese europeo ad introdurlo per decisione della Consob, l’autorità
pubblica di controllo sulla Borsa.
All’estero finora nessuno ha utilizzato il
benchmark per spiegare le caratteristiche
La lettura di questo manuale è un primo
passo utile sebbene richieda tempo e curiosità. Assogestioni, che rappresenta le società
di gestione dei fondi d’investimento, intende promuovere e stimolare la conoscenza
delle opportunità e delle metodologie legate
all’utilizzo del benchmark. Al lettore possiamo anticipare che altre pubblicazioni e
occasioni di dibattito pubblico vedranno
presto l’avvio. Resta comunque fondamentale il rapporto con il promotore finanziario
o il funzionario di banca di fiducia che assiste il risparmiatore al momento della scelta
di investimento. Il benchmark è un ottimo
strumento di dialogo e di informazione.
7
decisioni di investimento
IL BENCHMARK NELLE DECISIONI DI INVESTIMENTO
Un primo ed indispensabile inquadramento
alle problematiche legate al benchmark deve necessariamente aver luogo nell’ambito
della teoria della finanza e delle scelte di investimento.
La sezione di approfondimento, curata dal
professor Beltratti dell’Università Bocconi,
ha l’obiettivo di fornire una introduzione
chiara e rigorosa ai modelli teorici più validi
per affrontare l’analisi degli investimenti.
La conoscenza dei profili teorici rilevanti
consente da un lato di valutare l’impostazione normativa oggi in vigore e le soluzioni operative che ne conseguono, dall’altro
di dare un rilievo autonomo, ossia indipendentemente dagli obblighi di legge, alla comunicazione tramite benchmark delle opportunità di investimento e dei risultati finanziari conseguiti.
Una comunicazione efficace per mezzo del
benchmark è possibile solo dopo avere acquisito un linguaggio e un corpus concettuale comune.
Per agevolare la lettura, il testo proposto
evita di fare riferimento ai metodi di analisi
quantitativa che pure sono alla base dell’analisi finanziaria.
9
teoria
IL BENCHMARK E I FONDI COMUNI: LA TEORIA
di Andrea Beltratti - Università Bocconi
1
Obiettivi
In questa sezione del manuale intendiamo
discutere vari aspetti legati ai possibili utilizzi del benchmark dal punto di vista di
operatori esterni alla società produttrice del
servizio di gestione, ad esempio i risparmiatori e i commentatori economici.
Il benchmark è uno strumento che solleva
vari punti problematici a causa delle possibili ambiguità che nascono nella sua definizione teorica e applicazione, unitamente alla sua rilevanza nella comunicazione di alcune caratteristiche dei prodotti finanziari,
nella valutazione dei risultati degli investimenti e nella organizzazione del processo di
investimento.
Il presente scritto ha l’obiettivo di discutere
alcuni di questi elementi in maniera relativamente semplice. Si vuole fare a meno di
complicate equazioni, mantenendo al tempo
stesso caratteristiche di rigore scientifico e
tecnico. I vari utilizzi del benchmark da parte del gestore sono ignorati.
La scelta è dettata dalle finalità del documento, che mira a discutere l’applicazione
del benchmark in un contesto esterno a
quello dell’impresa che produce il servizio
di gestione.
Il piano di lavoro è il seguente.
Nella seconda sezione viene condotta una
analisi degli incentivi alla comunicazione
chiara da parte del gestore finanziario, evidenziando come il benchmark sia uno strumento che consente al risparmiatore di scegliere il benchmark piú appropriato per le
10
sue caratteristiche di avversione al rischio.
La terza sezione descrive le caratteristiche
del benchmark, definendolo in termini di
composizione di portafoglio e di proprietà
statistiche del rendimento del portafoglio,
in particolare nella misurazione del rischio.
La quarta sezione si sofferma quindi sulle
misure di rischio. Il portafoglio effettivamente gestito dall’intermediario finanziario
potrà discostarsi dal benchmark per vari
ammontari e in misura variabile. Nasce allora l’esigenza, discussa nella quinta sezione, di analizzare il benchmark nell’ambito
dello stile di gestione, distinguendo fra stile attivo e passivo.
La sezione discute il ruolo del benchmark
nella ripartizione dei rendimenti derivanti
dalla gestione finanziaria fra cliente e gestore e introduce naturalmente la sesta sezione,
che affronta il problema dell’utilizzo del
benchmark nell’ambito della valutazione
della qualità della gestione.
Il tema è estremamente delicato da vari
punti di vista.
In primo luogo occorre notare come il confronto fra rendimento del fondo comune e il
benchmark sia non perfettamente bilanciato, dato che il benchmark è un portafoglio
“virtuale” che in molti casi il risparmiatore
non può acquistare sul mercato. Quindi il
fondo comune per formare e mantenere questo portafoglio sostiene dei costi che contribuiscono a deprimere il valore della quota.
In secondo luogo occorre tenere conto del
diverso peso fiscale su fondo e benchmark.
La settima sezione si sofferma sulla utilizzazione del benchmark nell’ambito di una va-
teoria
lutazione del rischio dal punto di vista della
teoria di portafoglio, illustrando le difficoltà di ordine teorico e pratico connesse alla scelta di una appropriata correzione per il
rischio.
2
Incentivi alla comunicazione chiara
Prima di entrare nella discussione dei vari
aspetti del problema, è utile presentare una
analisi relativa agli incentivi alla comunicazione chiara del benchmark e alla collocazione del benchmark in un contesto di gestione
attiva o passiva.
Una definizione precisa di benchmark verrà
data nella prossima sezione. Per il momento
si può pensare al benchmark come ad uno
strumento che serve ad identificare e descrivere il prodotto (il fondo comune di investimento) che si vende ai risparmiatori.
Preliminare alla discussione sulla composizione del benchmark e sugli indicatori statistici che possono caratterizzarlo è una
analisi relativa agli incentivi che gli intermediari finanziari hanno nella comunicazione del benchmark.
In altre parole, esiste una convenienza per
gli intermediari finanziari a comunicare in
maniera chiara e comprensibile il benchmark?
Dal punto di vista del risparmiatore, il benchmark serve per la scelta di investimento.
Se si parte dal principio secondo cui il risparmiatore ha la capacità di analizzare il
prodotto finanziario e di scegliere in modo
coerente con il proprio profilo di rischio e
rendimento, è allora evidente che è essenziale e utile, sia per il risparmiatore sia per
la società finanziaria, proporre un benchmark molto preciso e definito, da cui emergano con chiarezza le caratteristiche finanziarie del portafoglio gestito dal fondo co-
mune di investimento. In questo modo il
risparmiatore può valutare il ruolo del fondo
comune nell’ambito del suo portafoglio finanziario. Eventuali confusioni vanno a discapito del risparmiatore, che si trova a scegliere un prodotto non confacente alle sue
esigenze e che proprio per questo, prima o
poi, potrebbe riservare sorprese spiacevoli.
La reazione del risparmiatore di fronte alla
scoperta di avere scelto un prodotto non
adatto alle sue esigenze alla fine va anche
contro gli interessi del venditore, che non
sarà in grado di mantenere il rapporto con
il cliente. Si può però anche credere che la
domanda del risparmiatore non sia totalmente esogena e sia invece influenzata dalla
comunicazione stessa effettuata dalla società finanziaria.
Anche in questo caso si può ritenere che
una comunicazione onesta e precisa sia nell’interesse della società e del risparmiatore.
Anzi, in questo caso esiste una e s i g e n z a
ancora maggiore di chiarezza dato che il
benchmark viene utilizzato dal venditore
nel processo che conduce alla quantificazione del profilo del cliente, basato su elementi come l’avversione al rischio e l’orizzonte temporale.
3
Il benchmark: caratteristiche di fondo
Dopo avere chiarito che il benchmark è uno
strumento di comunicazione utile sia al venditore sia all’acquirente del fondo comune,
si approfondiscono alcuni elementi importanti. Questa sezione ha lo scopo di illustrare alcuni degli elementi centrali, proponendo una visione relativamente sintetica che
viene poi approfondita nelle successive sezioni del documento.
Il benchmark è un indice di un prezzo di
una attività finanziaria o una composizione
11
teoria
di indici di prezzi di varie attività finanziarie che chiarisce al risparmiatore quale è la
identità del prodotto offerto dal fondo in
termini di struttura del portafoglio finanziario di riferimento del fondo.
Il principale ruolo che può essere assegnato
al benchmark è quello di identificare e caratterizzare il prodotto offerto dal fondo comune di investimento.
L’identificazione avviene tramite la descrizione della composizione di portafoglio
mentre la caratterizzazione riguarda il profilo di rischio associato a tale composizione di
portafoglio.
Più precisamente:
(i)
12
la caratterizzazione sintetica del prodotto che viene offerto riguarda sia le
caratteristiche di composizione del
prodotto sia le relazioni esistenti fra il
portafoglio effettivo del fondo e il benchmark. Anche se non è questa la sede
per soffermarsi su questo punto, è necessario che esista un importante ruolo
“educativo”, esercitabile dalla stampa e
dalla associazione di categoria dei fondi comuni, consistente nell’illustrare
con chiarezza quale è il significato degli indici di borsa e quali sono le differenze tecniche intercorrenti fra i vari
indici, ad esempio un indice price weighted o un indice di capitalizzazione,
un indice settoriale, un indice multipaese e così via. Nel caso di una gestione sostanzialmente passiva (la distinzione fra gestione attiva e passiva è esplorata in dettaglio in una sezione successiva) la
caratterizzazione avviene tramite la comunicazione del benchmark inteso come indice di una classe di attività finanziarie o come media ponderata di
indici o come regola di combinazione
delle classi di attività finanziarie, mentre nel caso di una gestione attiva tale
caratterizzazione avviene anche tramite la comunicazione di statistiche sommarie sugli scostamenti fra portafoglio
effettivo e benchmark
(ii) la caratterizzazione sintetica delle
proprietà finanziarie che descrivono
il prodotto. Una volta determinata la
composizione del benchmark è possibile effettuare analisi statistiche per associare a tale composizione una valutazione del rischio connaturato all’investimento. Tale caratterizzazione si
basa sulla comunicazione di indicatori
statistici come il rendimento atteso e la
volatilità del rendimento del benchmark e dello scostamento fra il rendimento del portafoglio effettivo e quello
del benchmark (tracking error). In questa fase subentrano varie problematiche
relative (a) alla definizione concettuale di un appropriato indicatore di
rischio, (b) al calcolo effettivo di tale
indicatore sulla base della serie storica
dei rendimenti del fondo comune e (c)
alla capacità dei calcoli effettuati di
fornire un indicatore che abbia u n a
valenza prospettica e non solo storica.
Un discorso molto più complesso riguarda la relazione fra il benchmark, il
rendimento del fondo comune che ha
indicato un certo benchmark e la valutazione della qualità della gestione. Infatti si può senz’altro affermare
che il benchmark sia utilizzabile per
misurare il rischio dell’investimento
mentre la sua utilizzazione per la misurazione del rendimento atteso dal fondo comune di investimento sia molto
più problematica.
teoria
4
La definizione e il calcolo del rischio
Il rischio del benchmark può essere definito
in vari modi, ad esempio come scarto quadratico medio (sqm) del rendimento del
benchmark, la soluzione tipicamente adottata. Lo sqm è un indicatore delle oscillazioni tipiche del prezzo di una attività finanziaria nel corso del tempo, e assume quindi
il significato di perdita possibile su un certo
orizzonte temporale. Ad esempio se la distribuzione dei rendimenti è normale, se il
rendimento atteso è del 5% e se lo sqm è del
10%, ci si può attendere nel corso di un anno un rendimento compreso fra -5% e
+15% con il 66% di probabilità.
Peraltro tale definizione non è l’unica possibile. Una possibilità alternativa è considerare lo sqm della serie dei rendimenti negativi dato che i rendimenti positivi, anche se
insolitamente alti, non rappresentano un
danno per gli investitori. Tale misura corrisponde al semi-sqm. Si può mostrare che il
semi-sqm differisce dallo sqm nel caso di distribuzioni di probabilità asimmetriche. In
genere lo sqm rappresenta una prima approssimazione accettabile nella maggior
parte dei casi di interesse pratico.
Una terza possibilità è costituita dall’indicatore di shortfall, vale a dire della frequenza con cui i rendimenti scendono al di sotto
di una certa soglia. In questo caso il rischio è
equiparato alla probabilità di avere un rendimento inferiore ad un certo obiettivo. Tale
definizione ignora l’ammontare della perdita per concentrarsi sulla probabilità.
Una quarta possibilità è data dalla definizione di rischio come covarianza fra il rendimento del benchmark e il rendimento di un
portafoglio di riferimento. Le problematiche
relative a tale definizione più complessa saranno descritte in una sezione successiva.
È in genere auspicabile che le varie possibilità siano considerate simultaneamente per
dare una fotografia più corretta possibile del
rischio del benchmark, anche se a fini di comunicazione con il risparmiatore si ritiene
che lo sqm sia l’indicatore più adatto per la
sua capacità di unire la semplicità di calcolo
all’intuizione del significato di rischio.
Occorre anche notare come nel caso di una
gestione attiva il rischio del benchmark sia
una stima per difetto del rischio del portafoglio che risente anche della dinamica della
struttura di portafoglio nel corso del tempo.
Ulteriori problemi si hanno quando si tratta
di passare dalla definizione teorica al calcolo
effettivo del rischio.
Un problema fondamentale riguarda l’ammontare di informazione utilizzata per i calcoli. La lunghezza della serie storica utilizzata per tale calcolo non è univocamente determinabile. Dal momento che il benchmark rappresenta un portafoglio di lungo
periodo è plausibile considerare una serie
storica lunga per il calcolo, anche se una serie eccessivamente lunga può fornire risultati fuorvianti. Ad esempio l’utilizzo di dati
provenienti dagli anni settanta può essere
poco rappresentativo della esperienza recente e futura dei mercati. Come secondo esempio, si noti che l’introduzione dell’euro ha
modificato in maniera radicale le caratteristiche dei mercati finanziari; in uno scenario
in cui il processo di integrazione europea
prosegue, il rendimento e la variabilità storica dei Buoni del Tesoro Poliennali sono
poco rappresentativi di quello che succederà
ai rendimenti obbligazionari in Italia nei
prossimi anni.
La problematica fondamentale riguarda infine la capacità dell’indicatore di fornire una
misurazione del rischio che abbia un significato prospettico, vale a dire indichi al ri13
teoria
sparmiatore l’incertezza che ci sarà nel futuro sul rendimento del portafoglio, e non
semplicemente un significato retrospettico
di pura misurazione storica.
Tale capacità varia nel corso del tempo dato
che la volatilità stessa del mercato assume
valori diversi in momenti diversi di tempo.
L’esistenza di variazione temporale della volatilità pone quindi il problema di validità
della misura di rischio calcolata come previsore della volatilità futura. Il problema può
essere affrontato in vari modi, ad esempio ricalcolando spesso lo sqm con serie storiche
brevi oppure stimando un modello statistico
complesso che tenga conto della dinamica
temporale della volatilità.
In entrambi i casi esistono margini di errore: la misurazione del rischio effettuata su
basi storiche tende inevitabilmente ad estrapolare l’andamento recente del rischio e
quindi a sottovalutare l’esistenza di punti di
svolta rapidi ed imprevedibili.
La misurazione del rischio del benchmark
che viene comunicata al cliente è quindi
soggetta ad un inevitabile errore di stima e
previsione, che è tanto maggiore quanto minore è l’orizzonte temporale di detenzione
del portafoglio.
5 Il benchmark
nel contesto dello stile di gestione
Come si è già sottolineato in precedenza, occorre collocare il benchmark nel contesto
dello stile di gestione perseguito dalla società finanziaria.
Semplificando all’estremo si può dividere la
gestione in attiva e passiva. Nella gestione
passiva il gestore mantiene in ogni momento un portafoglio con una composizione
uguale a quella del benchmark. Sulle modalità concrete di mettere in atto tale tipo di
14
gestione si veda una sezione successiva. Nella gestione attiva il gestore valuta le condizioni del mercato finanziario e decide a sua
discrezione di detenere un portafoglio che si
allontana dal benchmark.
Può essere importante, nel processo di comunicazione con il cliente, chiarire la differenza fra benchmark e portafoglio effettivo.
In questo modo il risparmiatore si rende
conto quale è la reale portata del benchmark
come strumento di comunicazione: non si
tratta di un punto immutabile al quale la
società di gestione deve rimanere aggrappata indipendentemente dalle condizioni di
mercato. Si tratta invece di un portafoglio
che funge da punto di riferimento per le
scelte effettive.
Da questo punto di vista la comunicazione
dovrebbe quindi focalizzarsi sulla caratterizzazione della variabilità del portafoglio effettivo attorno al benchmark. Questa caratterizzazione può essere basata su informazioni quantitative ottenute dall’analisi storica,
vale a dire la variabilità che storicamente
contraddistingue queste differenze in termini di quote di portafoglio, o meglio ancora
sulla definizione di uno stile, consistente
nella descrizione delle variabili che vengono
privilegiate dal gestore per prendere decisioni sulla ripartizione della ricchezza fra varie classi di attività finanziarie. In questo
modo si può fornire una descrizione efficace
dal punto di vista dinamico, che richiede
ovviamente maggiori sforzi e capacità di
comprensione da parte dei risparmiatori.
Nel processo di comunicazione deve anche
essere chiara quale è la ripartizione dei guadagni e delle perdite conseguenti alla scelta
di una gestione attiva del portafoglio: il gestore si muove in modo attivo con l’obiettivo di assicurare un rendimento particolarmente alto al risparmiatore. Proprio in que-
teoria
sto il fondo attivo si distingue dal fondo
passivo.
Il gestore si muove in maniera dinamica attorno al benchmark al fine di migliorare il
rapporto fra rendimento e rischio. La gestione attiva può però generare perdite sia in valore assoluto sia rispetto al benchmark. La
perdita non deve essere vista necessariamente come un esempio di cattiva gestione. In
linea di principio tali perdite possono essere
dovute ad errori del gestore oppure a fatalità, vale a dire a movimenti del mercato
imprevedibili anche da parte di esperti professionisti. È necessario disporre di una serie
di dati molto lunga per cercare di discriminare fra queste due ipotesi.
Un ulteriore messaggio che deve essere comunicato al cliente riguarda quindi l’esigenza di prendere decisioni sulla sottoscrizione o sull’abbandono di un certo fondo solo sulla base di una esperienza sufficientemente lunga (evidentemente tale argomento non può essere usato in modo asimmetrico, vale a dire per chiedere al risparmiatore
di pazientare di fronte alle perdite e allo
stesso tempo di abbandonare i fondi concorrenti dopo i primi segni di perdita). La
quantificazione della lunghezza dell’evidenza disponibile non è facile né oggettiva e varia a seconda che si tratti di rendimenti negativi o positivi.
6
Il benchmark come strumento di valutazione
Le sezioni precedenti hanno posto l’accento
sull’utilizzo del benchmark come comunicazione della struttura tipica di portafoglio e
del rischio ad esso connesso. Non si è ancora
parlato della utilizzazione del benchmark
nella valutazione di qualità della gestione.
Il punto è estremamente delicato dato che
un utilizzo scorretto del benchmark nel
campo della valutazione della qualità della
gestione può avere conseguenze negative sia
per i risparmiatori sia per i fondi comuni.
È bene sottolineare sin dall’inizio che esistono varie difficoltà, di natura statistica, teorica e tecnica che impediscono un uso corretto
del benchmark per l’analisi della qualità
della gestione. Esistono difficoltà:
(i)
tecniche. Il rendimento del fondo comune non può semplicemente essere
confrontato con la variazione del valore
di mercato del benchmark perché il
primo è un portafoglio in cui si può
investire mentre il secondo è a volte un
costrutto teorico. Esistono quindi motivi legati ai costi e alla tassazione che
tolgono rilevanza ad un confronto effettuato in maniera semplicistica
(ii) statistiche. È molto difficile stimare
con precisione il valore atteso del rendimento delle attività finanziarie. Anche con lunghe serie storiche rimangono margini enormi di incertezza. Ne
segue quindi che il differenziale fra
rendimento storico del fondo e del
benchmark è un indicatore molto impreciso del differenziale del rendimento atteso
(iii) teoriche. Il benchmark viene utilizzato
per la valutazione della qualità della
gestione in veste di indicatore utilizzabile per la correzione del rischio. Esistono varie posizioni accademiche in
merito, le quali sottolineano come non
ci sia un indicatore di rischio che possa
essere ritenuto il migliore in un’ottica
applicata
Prima di procedere alla trattazione diretta
del tema del benchmark come strumento di
15
teoria
valutazione della performance si ritiene utile proporre una discussione iniziale delle
modalità generali di valutazione delle attività finanziarie.
Tale discussione è importante per porre la
questione della valutazione della gestione
nel contesto delle problematiche generali
della valutazione delle attività finanziarie.
6.1 Rischio,rendimento
e valutazione delle attività finanziarie
Il problema della valutazione del rendimento offerto dall’investimento in un fondo comune di investimento presenta caratteristiche analoghe a quelle della valutazione del
rendimento offerto da una qualsiasi attività
finanziaria.
Per la valutazione della performance del
fondo comune si ripropongono quindi alcuni dei problemi insiti nella valutazione della
performance delle attività finanziarie che
spesso si incontrano nella realtà. Infatti non
ci si deve nascondere che, almeno dal punto
di vista del risparmiatore, nella pratica si
tende spesso a valutare il rendimento ottenuto in maniera estremamente semplice e
semplicistica. Un “buon investimento” è quello
che in un certo periodo ha aumentato in maniera considerevole il valore della ricchezza
investita, mentre un “cattivo investimento” è
quello che ha fatto diminuire il valore della
ricchezza investita.
Ex post si tende spesso a confrontare il rendimento degli investimenti con il rendimento offerto dall’investimento migliore.
Ad esempio si confronta il rendimento del
mercato azionario italiano con il rendimento
offerto dal mercato azionario statunitense
negli ultimi 100 anni, pari a circa il 7% reale medio annuo, e non con il rendimento offerto dal mercato azionario giapponese negli
16
ultimi 10 anni, pari a circa -60%. In questo
modo si diventa vittime di una illusione
statistica: si tende ad utilizzare come confronto un investimento di successo e non un
investimento “medio”. Esiste quindi un eccesso di severità implicito in una metodologia di valutazione che non sia effettuata con
elementi logici.
La valutazione, per essere effettuata in modo
corretto, non deve dimenticare l’ottica ex
ante che viene per forza assunta nel momento in cui si effettua inizialmente l’investimento. Dal punto di vista ex ante è molto
più difficile stabilire cosa è giusto e cosa è
sbagliato. In un certo senso si potrebbe pensare di definire un errore di investimento
come un acquisto eseguito sulla base di una
mancanza di un apparato logico di riferimento, indipendentemente dal successo dell’investimento. In questo modo un acquisto
fatto in maniera casuale di un titolo che ha
offerto ex post un rendimento elevatissimo
potrebbe essere considerato un errore. Il
problema nell’applicare tale concetto riguarda la mancanza di una definizione universalmente accettata di “un apparato logico
di riferimento” e nella difficoltà di distinguere praticamente fra un acquisto “fatto a caso”
e un acquisto eseguito sulla base di una corretta intuizione legata ad una corretta analisi qualitativa della situazione dei mercati finanziari.
I modelli di valutazione degli investimenti
sono quindi interpretabili come c o m p r omessi fra la necessità di tenere conto delle
realizzazioni ex post dei rendimenti e il desiderio di utilizzare uno schema di riferimento teorico.
Per fare questo si assegna ad ogni attività
finanziaria un indicatore di rischio e di rendimento in senso ex ante. La realizzazione
del rendimento rappresenta una realizzazio-
teoria
ne in senso statistico che fornisce informazioni sui parametri ex ante che sono quelli
rilevanti per la valutazione.
Se non si temperano l’ottica ex ante e quella
ex post si può incorrere in errori gravi. Si
consideri ad esempio una attività finanziaria
acquistata sulla base dell’ipotesi che essa
possa fornire un buon rendimento nello scenario di crisi economica temuta per l’anno
successivo, sapendo che la stessa attività potrà fornire un basso rendimento, al limite
anche negativo, se invece della crisi si realizza una forte crescita economica. Si immagini
che nell’anno successivo all’acquisto ci si
trovi effettivamente in un situazione di
boom economico e che l’attività considerata
fornisca un rendimento di -10% contro un
rendimento di +20% degli altri titoli.
Può l’acquisto essere considerato un errore?
Solo dal punto di vista di un operatore che
avesse conoscenza perfetta del futuro. Da un
punto di vista di un agente con conoscenze
limitate si può forse parlare di errore nella
previsione del ciclo economico più che nella
scelta del titolo. Ma se le probabilità di avere un ciclo economico positivo o negativo
fossero state oggettivamente identiche, si
può ancora concludere che l’agente abbia
fatto un errore nella valutazione del ciclo?
È evidente che una conoscenza delle condizioni in cui viene effettuata la scelta finanziaria è cruciale per la valutazione. È altrettanto evidente che una conoscenza di questo
tipo è disponibile (forse) solo a chi ha direttamente investito e non a chi cerca di fare
valutazioni esterne all’investitore.
L’essenza della valutazione finanziaria consiste quindi nel temperare i facili giudizi ex
post con il rigore dei criteri ex ante. A questo fine ci si avvale di teorie sviluppate nel
corso degli ultimi 30 anni, che presentano
vari aspetti di rigore e coerenza ma anche di
discutibilità. Dato che non è questo il luogo
per discutere tali aspetti, si prenderanno come dati alcuni di questi elementi di base e si
discuteranno solo gli elementi essenziali per
la trattazione seguente, vale a dire il loro
utilizzo in tecniche di costruzione del benchmark e valutazione della performance.
6.2 La possibilità di confronto fra portafoglio
e benchmark
Le considerazioni statistiche devono essere
combinate con quelle economiche. Si potrebbe sostenere che il benchmark deve essere utile come guida per l’azione e quindi
deve rappresentare una o più attività finanziarie che siano una vera e propria alternativa all’investimento effettuato. Una interpretazione stretta di tale concetto riduce moltissimo l’insieme delle attività finanziarie
utilizzabili per il confronto, dal momento
che in genere gli indici di borsa non rappresentano portafogli effettivamente acquistabili dalla maggior parte dei risparmiatori.
Per molte categorie sembra addirittura impossibile trovare un termine di confronto
realisticamente interpretabile come possibilità di investimento alternativa. Per alcune invece il compito sembra essere meno arduo, ad esempio per la categoria dei fondi
monetari.
Per la maggior parte dei fondi, l’unica possibilità nel caso di confronto con indici o attività finanziarie riguarda quindi una interpretazione in senso lato del concetto di “confronto realistico”.
Altri ostacoli devono comunque essere considerati per poter parlare di un confronto
realistico, tra cui la tassazione, i costi di gestione e la composizione di portafoglio del
benchmark.
La tassazione è stata considerata in un docu17
teoria
mento tecnico di Assogestioni a cui per il
momento si rimanda senza ulteriori approfondimenti.
I costi di gestione sono un elemento che distingue le scelte finanziarie del fondo comune da quelle del risparmiatore. Possono essere ricomprese in questa voce le seguenti
componenti:
• costi di sottoscrizione del fondo comune
• costi di gestione legati alla remunerazione del gestore (costi standard di gestione
più commissioni di incentivo)
• costi di uscita dal fondo comune
• costi legati alla contrattazione delle attività finanziarie, comprendenti sia i costi
espliciti di negoziazione sia i costi impliciti legati all’effetto di impatto
Alcuni di questi costi sono già compresi nel
valore delle quote pubblicate giornalmente
dei fondi comuni, altri no. Per procedere ad
un confronto significativo occorrerebbe anche esaminare la presenza delle stesse categorie nell’investimento dei singoli risparmiatori. Da questo punto di vista è ovvio
che i costi di entrata ed uscita siano nulli
per i singoli risparmiatori cosí come nulli
sono i costi legati alle commissioni di incentivo. Questi costi rappresentano quindi un
vero e proprio aggravio che deve essere sopportato dal risparmiatore per un investimento in un fondo comune rispetto all’investimento fai-da-te. D’altra parte i costi legati alla contrattazione delle attività finanziarie sono presenti e possono a volte essere
considerati maggiori per i singoli, anche se
la crescente diffusione della tecnologia sta
facendo diminuire questi costi per tutti. Da
questo punto di vista quindi l’acquisto dei
fondi comuni non è un aggravio rispetto all’investimento diretto. Il costo di transazio18
ne implicito legato all’impatto sul prezzo è
probabilmente minore per il risparmiatore.
Al contrario, una voce di costo che viene sostenuta dal risparmiatore ma non dal fondo
comune è rappresentata dal costo dell’informazione e del monitoraggio dei prezzi di
mercato, della struttura di portafoglio, la
gestione dei dividendi e altre voci.
Tra gli altri elementi che contribuiscono a
far divergere sistematicamente la struttura
del portafoglio del fondo e la struttura del
benchmark occorre tenere conto della possibile presenza nel benchmark indicato dal
fondo comune di una quota investita in liquidità, giustificata dalla esigenza di fare
fronte ai flussi incerti di riscatti e sottoscrizioni da parte dei risparmiatori.
Tale quota contribuisce a deprimere il rendimento del fondo rispetto a quello del benchmark se il benchmark non contiene tale
quota. Ad esempio un fondo azionario italiano che detiene in media il 10% del suo
portafoglio in liquidità viene penalizzato in
fasi di aumento del mercato azionario nella
misura in cui un benchmark composto al
100% dal mercato azionario viene utilizzato
per la valutazione della performance.
In secondo luogo occorre ricordare che il
benchmark indicato nel prospetto è per sua
natura di tipo strategico, rappresenta cioè
un punto di riferimento attorno a cui il fondo può muoversi nel breve periodo per cercare di migliorare il rapporto fra rendimento atteso e rischio del fondo. Nel breve periodo quindi il confronto fra un portafoglio
dinamico e il benchmark può risultare problematico specialmente in un contesto di
gestione attiva. Anche in un contesto di gestione passiva del resto il gestore del fondo
deve sostenere costi periodici di ribilanciamento se vuole mantenere la struttura effettiva del portafoglio vicina a quella del ben-
teoria
chmark. Il confronto, invece, fra fondi comuni non soffre di alcuni dei problemi precedentemente descritti.
6.3 Il benchmark nel contesto
della valutazione singola
Da Markowitz e Sharpe in poi, la teoria finanziaria insegna che la valutazione del rendimento di un singolo titolo dovrebbe essere effettuata nell’ambito del rendimento offerto dal portafoglio globale del risparmiatore e non separatamente per ogni attività
finanziaria.
La pratica mostra che gli individui tendono
invece a considerare le attività finanziarie o
da sole o in piccoli gruppi. In questa sezione
si assume l’ottica di un risparmiatore che
ignora le interazioni esistenti fra le diverse
attività finanziarie presenti nel portafoglio e
si concentra su un piccolo sottoinsieme. Il
caso qui considerato è quindi quello tipico
in cui un individuo detiene varie attività finanziarie, fra cui fondi comuni di investimento, oppure anche quello in cui l’individuo detiene soltanto fondi comuni di investimento oltre a depositi bancari.
In termini generali il risparmiatore che valuta le conseguenze dell’investimento finanziario in un fondo comune di investimento
X può utilizzare due termini di confronto:
(a)
il rendimento dell’investimento finanziario che sarebbe stato fatto in alternativa all’acquisto del fondo comune
di investimento X
(b)
il rendimento offerto da un altro fondo
comune Y appartenente alla stessa categoria del fondo X
In entrambi i casi il confronto non può av-
venire semplicemente sulla base del valore
del montante finale degli investimenti, dato che tale confronto ignora il rischio. Nel
confrontare attività finanziarie è necessario
selezionare attività con gradi simili di rischio, oppure effettuare una correzione per
tenere conto del rischio. La correzione più
semplice è quella consistente nel normalizzare il rendimento medio ottenuto, al netto
del rendimento del titolo senza rischio, dividendo per lo sqm. L’indicatore risultante
è l’indice di Sharpe, che trova ampia diffusione su alcuni quotidiani specializzati.
Nella versione semplice dell’indice di Sharpe, quella appena descritta, il confronto avviene con un benchmark rappresentato dall’attività senza rischio.
Due fondi comuni possono essere confrontati fra di loro mediante i relativi indici di
Sharpe, ma è importante chiarire che tale
confronto avviene in isolamento, in maniera
indipendente dalle interazioni fra i fondi
considerati e il resto del portafoglio.
Tale procedura può essere giustificabile nel
caso in cui entrambi i fondi considerati presentano simili coefficienti di correlazione
con il resto del portafoglio, un tema che
verrà affrontato diffusamente nel seguito.
Quando il termine di confronto è rappresentato dalla variazione percentuale del valore
di un portafoglio composto da uno o più indici occorre innanzitutto tenere presenti le
considerazioni effettuate nella sezione precedente, relativamente alla effettiva possibilità
da parte del risparmiatore di investire in tale portafoglio. Dopo avere effettuato le opportune correzioni si può considerare il differenziale fra rendimento del fondo e rendimento del benchmark diviso per lo sqm di
tale differenziale. L’indicatore risultante è
noto come information ratio.
A questo punto della trattazione conviene
19
teoria
anche riprendere una questione legata alla
utilizzazione del benchmark che è stata parzialmente affrontata nella terza sezione, in
cui è stato posto in evidenza come il benchmark possa essere utilizzato per fornire una
indicazione sul rischio del portafoglio di riferimento usato dal fondo.
Viene spontaneo chiedersi se il benchmark
possa anche essere utilizzato per fornire una
indicazione sul rendimento atteso del portafoglio di riferimento.
La già discussa presenza dei costi di formazione e gestione del portafoglio e del carico
fiscale suggerisce come il rendimento atteso
del benchmark non possa essere preso come
semplice indicatore del rendimento atteso
dall’investitore. Esiste un altro problema,
meno evidente ma forse persino più importante, relativo alla precisione statistica con
cui si possono stimare i rendimenti attesi
delle attività finanziarie a partire dalle medie storiche.
Si potrebbe infatti pensare che la stima dei
rendimenti attesi sia più semplice della stima della volatilità. Al contrario, la stima
dei rendimenti attesi è molto più complessa
della stima del rischio.
In presenza di 25 anni di osservazioni sul
rendimento di un mercato caratterizzato da
una (relativamente bassa) volatilità del
20%, si può collocare attorno al 12% l’intervallo di incertezza attorno alla stima storica. Ad esempio se la stima del rendimento
storico medio sui 25 anni è di 5%, l’intervallo di probabilità contenente il rendimento atteso è compreso fra -7% e +17%!
L’incertezza sul valore del rendimento atteso è superiore alla stima stessa di tale rendimento atteso. Tale osservazione evidenzia
come anche molti anni di osservazioni non
siano in grado di consentire previsioni precise sul rendimento atteso. La presenza di
20
cambiamenti strutturali nell’economia e
nei mercati finanziari peggiora sensibilmente la situazione. L’incertezza sulla stima
dei rendimenti attesi deve indurre un atteggiamento prudenziale sulla utilizzazione
del benchmark come indicatore di rendimento atteso e sulla validità statistica degli
esercizi di valutazione della qualità della
gestione.
La prossima sezione discute il benchmark
nella valutazione del fondo comune nell’ambito del portafoglio.
7
Il benchmark nella valutazione di portafoglio
Il modo teoricamente più corretto per la valutazione del fondo comune consiste nella
misurazione della performance nell’ambito
di un portafoglio. L’importanza di tenere
conto del contesto di riferimento per la valutazione del rendimento può essere illustrato con un esempio semplice. Si consideri una attività finanziaria il cui rendimento
può essere pari a +20% o -20% con uguali
probabilità.
Investire tutta la propria ricchezza in tale
attività significa sottoporre la propria posizione patrimoniale a elevata incertezza. Si
immagini ora che sia possibile investire il
50% della propria ricchezza in una seconda
attività caratterizzata da una struttura di
rendimenti particolare: ogni volta che la
prima attività rende il 20% questa seconda
attività fa perdere il 20% e ogni volta che il
rendimento della prima attività è di -20%
la seconda attività guadagna il 20%.
Un portafoglio ugualmente ripartito fra le
due attività è quindi caratterizzato da un rischio nullo. Il rischio dell’attività considerata dal punto di vista del suo contributo al
rischio del portafoglio è quindi molto diverso dalla sua oscillazione tipica.
teoria
7.1 Il beta e il benchmark
Il concetto di covarianza fra rendimento dell’attività e rendimento del portafoglio di riferimento consente di quantificare tale idea
in modo preciso. In particolare la teoria tradizionale descritta dal Capital Asset Pricing
Model (CAPM) identifica il beta del rendimento di un certo titolo con il rendimento
del portafoglio di mercato quale indicatore
di rischio. Secondo tale teoria il beta è un
indicatore di rischio. Si può quindi dare una
formulazione concreta al principio secondo
cui “non c’è rendimento atteso senza rischio” sostenendo che i titoli con beta piú alto sono
anche i titoli che devono essere caratterizzati
da un maggiore rendimento atteso come
compensazione per il rischio.
Se si ipotizza la validità del CAPM è possibile pensare di estendere la relazione fra rischio e rendimento atteso ai fondi comuni.
Infatti, dal momento che il fondo comune è
un portafoglio di titoli finanziari, si può calcolare il beta del fondo comune come una
media ponderata dei beta dei titoli che compongono il portafoglio.
Le implicazioni per la valutazione dei fondi
comuni sono teoricamente chiare: il rischio
di un fondo comune non può essere valutato
in isolamento ma nell’ambito di un portafoglio. In particolare, si tratta di effettuare
una regressione lineare del rendimento di
un certo fondo comune sul rendimento del
portafoglio di riferimento e valutare il termine costante della regressione, noto come
alfa di Jensen.
Un valore positivo di alfa indica una capacità
del fondo di fornire un rendimento superiore
a quello che dovrebbe essere fornito semplicemente come ricompensa per il rischio. L’esistenza di un valore positivo del termine alfa è attribuibile alla capacità del gestore di
selezionare i titoli giusti. È possibile effettuare una analisi più sofisticata per stimare
anche la capacità di market timing oltre a
quella di selectivity. In questa metodologia
quindi il benchmark è costituito dal portafoglio che viene utilizzato nella regressione come termine di riferimento.
Quale portafoglio? Nella teoria si tratta di
un portafoglio che può essere considerato
come punto di equilibrio fra domanda ed offerta e per questo rappresenta un punto di
riferimento appropriato per la misurazione
del rischio.
Nella teoria di un mercato finanziario chiuso, si tratta del portafoglio di mercato, che descrive il portafoglio molto diversificato
composto da tutte le attività finanziarie esistenti. Ciò equivarrebbe a calcolare il beta
del rendimento di un fondo comune con il
rendimento dell’indice della Borsa di Milano. Nella teoria di un mercato finanziario
aperto dal punto di vista internazionale l’identificazione è più difficile perché dipende
da vari fattori, fra cui le condizioni di integrazione dei mercati finanziari, la nazionalità degli investitori, l’andamento dei tassi
di cambio e la quota di copertura del rischio
di cambio. In questo caso il portafoglio di
riferimento sarebbe composto da vari mercati internazionali con una ipotesi sulla quota di copertura del rischio di cambio.
Esistono due difficoltà pratiche nel trasporre
in modo semplice tale idea al contesto di valutazione dei fondi comuni.
Il primo problema è che nella applicazione
ai fondi comuni di investimento le considerazioni teoriche devono essere temperate
dalle considerazioni pratiche relative agli
obiettivi perseguiti dai fondi comuni.
Un fondo obbligazionario non può essere
valutato rispetto ad un beta calcolato prendendo come riferimento il mercato aziona21
teoria
rio italiano. Allo stesso modo un fondo comune specializzato sul mercato azionario
italiano non può essere valutato sulla base
del beta con il rendimento di un indice
azionario internazionale.
L’approccio preferito consiste quindi nell’utilizzare come portafoglio di riferimento un
portafoglio diversificato nell’ambito della
filosofia di specializzazione del fondo.
Nella individuazione di tale portafoglio di
riferimento occorre naturalmente ricordare
le considerazioni precedentemente effettuate in merito alla effettiva acquistabilità del
portafoglio di riferimento. Per essere davvero una guida per l’azione pratica il portafoglio di riferimento deve essere acquistabile.
7.2 Il benchmark
e il modello di premio al rischio
Il secondo problema, la cui esistenza rinforza la soluzione precedentemente descritta di
considerare un benchmark nell’ambito della
specializzazione del fondo, consiste nella assenza di un modello oggettivamente riconosciuto come “giusto modello di determinazione
del rischio”, anche in un contesto idealizzato.
Il CAPM descritto precedente individua per
ogni titolo un fattore di rischio identificato
nel portafoglio di mercato. Esistono però
molti dubbi circa la validità di un modello
di rischio ad un solo fattore alla luce della
evidenza sulla prevedibilità dei rendimenti
dei titoli azionari.
Varie analisi empiriche infatti mostrano come sia possibile spiegare la dispersione dei
rendimenti offerti da vari titoli azionari
sulla base di modelli che considerano vari
fattori oltre al portafoglio di mercato.
Tali modelli sono noti come modelli multifattoriali proprio per il loro considerare più
di un fattore di rischio.
22
Nella analisi empirica i fattori di rischio sono definiti come portafogli esposti alle varie
caratteristiche rilevanti per la determinazione del rendimento atteso.
L’orientamento recente sostiene la validità di
un modello che comprende come fattori di
rischio il portafoglio di mercato, un portafoglio correlato all’effetto dimensione, un portafoglio correlato all’effetto price-book, vale
a dire il rapporto fra il valore di mercato e il
valore contabile delle imprese, e un portafoglio correlato con il fattore momentum, vale
a dire legato alla persistenza di breve periodo
dei rendimenti dei titoli azionari.
L’implicazione per la valutazione del rendimento dei fondi comuni tramite benchmark
è ovvia: secondo questa teoria occorrerebbe
definire il benchmark non semplicemente in
termini di rendimento di un portafoglio di
riferimento, ma di tanti portafogli quanti
sono i fattori di rischio.
L’alfa di Jensen viene calcolato a partire da
una regressione comprendente vari portafogli. Occorre effettuare due considerazioni a
riguardo di tale metodologia:
(i)
è molto complessa da applicare perché
richiede di partire dai dati di rendimento dei singoli titoli che vengono
poi aggregati in portafogli che sono
interpretati come approssimazioni dei
fattori di rischio
(ii) è al momento teoricamente incerta a
causa della mancanza di una teoria che
sia in grado di spiegare perché le variabili precedenti siano considerabili come fattori di rischio
Il modello intertemporale di Merton suggerisce che i rendimenti attesi sono funzione delle covarianze con l’andamento delle
teoria
variabili di stato, ma non specifica quali
sono queste variabili di stato.
Non è quindi sorprendente che ci siano più
elementi di prevedibilità ma occorre sottolineare che in assenza di una spiegazione
convincente sul perché alcune variabili rappresentino tali elementi non si può escludere che il risultato delle analisi empiriche sia
attribuibile ad una illusione statistica che
non ha alcuna validità fuori dal campione
di dati analizzato.
Come prova della precedente affermazione si
noti che due dei fattori precedentemente
menzionati sono il frutto di certi periodi
storici: l’effetto dimensione compare e
scompare a seconda dei periodi considerati
(è scomparso negli anni più recenti) e a seconda dei mercati (è presente nella borsa di
New York ma non al Nasdaq), mentre il
momentum è comparso solo recentemente.
La presenza di incertezza sulla struttura del
modello che descrive in maniera appropriata
il rischio deve essere ricordata quando si
confronta il metodo teoricamente corretto
di valutare il fondo nell’ambito di un portafoglio con il metodo teoricamente meno
fondato, descritto in precedenza, che guarda
ad un semplice indicatore di rischio come lo
sqm. È infatti possibile che l’indicatore più
semplice sia anche il più robusto.
7.3 Il benchmark e la scelta di portafoglio
Un’ultima implicazione deve essere sottolineata: i modelli teorici chiariscono che la
correzione del rischio effettuata tramite
benchmark non è altro che l’implicazione
di un modello di scelta di portafoglio ben
definito, con una soluzione che dipende
dalla funzione obiettivo del decisore (propensione al rischio, orizzonte temporale) e
dalla caratterizzazione dell’insieme di op-
portunità di investimento. Se questi elementi cambiano anche la correzione per il
rischio cambia. Applicare a tutti la stessa
correzione per il rischio equivale quindi ad
imporre condizioni di omogeneità molto
forti fra investitori e ciò può non essere sempre giustificato.
Ad esempio investitori che seguono strategie dinamiche di portafoglio, replica di opzioni oppure portfolio insurance, non possono
essere valutati con lo stesso metro di giudizio utilizzato per gli investitori che seguono
strategie statiche di scelta di portafoglio.
In tale ambito deve anche essere valutata la
possibilità di giustificare il benchmark come un modo di tenere conto della esistenza
di prevedibilità dei rendimenti che “chiunque” potrebbe sfruttare. La regressione dei
rendimenti del fondo comune sui rendimenti dei portafogli descritti precedentemente
rappresenta in questa luce l’extra-rendimento ottenuto da un gestore grazie alle sue abilità di selezione o di timing che sono ulteriori rispetto a quelle che gli hanno consentito di sfruttare la presenza di prevedibilità.
Sulla base di questo ragionamento un fondo
comune che ottiene un rendimento superiore a quello richiesto da un modello ad un
fattore può non essere rappresentato da un
gestore bravo, ma da uno che assume consapevolmente gradi di rischio sistematicamente legati ad alcuni fattori.
È ovvio che questo modo di interpretare il
benchmark è molto severo nei confronti dei
gestori. La maggior parte dei risparmiatori
sarebbe probabilmente felice di avere affidato il proprio denaro in gestione ad un professionista che ha ottenuto un rendimento
superiore a quello ottenuto da un indice di
mercato, anche se l’investitore avesse utilizzato l’informazione contenuta nella dimensione, book-to-price o momentum.
23
teoria
8
Conclusioni
I principali punti del lavoro possono cosí essere sintetizzati:
mark come indicatore di rendimento atteso e sulla validità statistica degli esercizi
di valutazione della qualità della gestione.
Bibliografia essenziale
(a) il benchmark è soprattutto uno strumento di comunicazione della struttura del
portafoglio detenuto in media dal fondo
comune
(b) il benchmark consente una comunicazione del rischio di tale portafoglio anche se
inevitabili errori di stima statistica rendono il rischio storico un previsore imperfetto del rischio futuro
(c) il rischio della ricchezza che il risparmiatore investe acquistando quote di fondi
comuni è fortemente legato al rischio del
benchmark, anche se può da esso discostarsi a seconda della politica di gestione
seguita dal fondo comune
(d) in teoria il benchmark può assumere un
ruolo rilevante nella valutazione della
qualità di gestione del fondo comune perché consente di effettuare la necessaria
correzione per il rischio, anche se su tale
correzione esistono notevoli incertezze di
natura teorica
(e) in pratica il benchmark è spesso un portafoglio virtuale che non rappresenta una
possibilità di acquisto effettiva da parte
dei risparmiatori e proprio per questo non
può essere semplicemente utilizzato nella
valutazione della qualità della gestione
(f) il portafoglio di riferimento che può essere utilizzato nella valutazione della qualità della gestione deve quindi discostarsi
dal benchmark per tenere conto dei costi
di formazione e gestione del portafoglio e
dell’imposizione fiscale
(g) l’incertezza sulla stima dei rendimenti attesi deve indurre un atteggiamento prudenziale sulla utilizzazione del bench24
I contributi accademici indicati di seguito
richiedono una lettura attenta e una conoscenza di buon livello dell’analisi quantitativa e statistica.
I cosiddetti “seminal papers”, che hanno gettato le basi della teoria degli investimenti,
sono i più chiari e più completi per i cultori
della materia.
Cochrane, J.H., 1997
Where is the market going? Uncertain facts and
novel theories
Federal Reserve Bank of Chicago,
November-December, 3-37
Dybvig, P.H. e S.A. Ross, 1985
The analytics of performance measurement using
a security market line
Journal of Finance, 40, 401-416
Grinblatt, M. e S. Titman, 1993
Performance measurement without benchmarks:
an examination of mutual fund returns
Journal of Business, 66, 47-68
Jensen, M.C., 1968
The performance of mutual funds in the period
1954-1964
Journal of Finance, 23, 389-416
Malkiel, B.G., 1995
Returns from investing in equity mutual funds
Journal of Finance, 50, 549-572
Roll, R., 1978
Ambiguity when performance is measured by the
securities market line
Journal of Finance, 1031-69
Sharpe, W.E., 1994
The Sharpe ratio
Journal of Portfolio Management, Fall, 49-58
normativa
LA NORMATIVA
LE REGOLE DELLA CONSOB E DI ASSOGESTIONI
I regolamenti attuativi del Testo Unico della Finanza emanati dalla Consob, l’autorità
di vigilanza per i profili di trasparenza delle
gestioni collettive, prevedono che nel prospetto dei fondi comuni di investimento si
indichi il cosiddetto parametro oggettivo di
riferimento, ossia il benchmark. Dunque,
poiché l’indicazione e la rappresentazione
del benchmark nasce da una previsione normativa, è necessario conoscere i capisaldi di
tale normativa, con particolare riguardo al
regolamento che definisce le regole di redazione del prospetto. Il presente capitolo si
compone di due sezioni, la prima dedicata
alla normativa della Consob, la seconda dedicata alle linee guida di Assogestioni.
Il regolamento Consob definisce le informazioni e le modalità di loro rappresentazione disponibili nel prospetto, ossia nel
documento che accompagna l’offerta del
fondo e nel quale l’investitore può sempre
trovare tutti i dati utili per valutare il prodotto finanziario.
Le linee guida dell’Associazione costituiscono il punto di riferimento per l’adozione di
criteri omogenei di selezione, calcolo e confronto del benchmark per tutti i servizi di
investimento collettivi.
25
prospetto
IL BENCHMARK NEL NUOVO PROSPETTO
INFORMATIVO
1 Il benchmark e la valutazione
del profilo rischio/rendimento dell’investimento
L’articolo 50, comma 2 del Regolamento
Consob n. 11522 del 1° luglio 1998 sugli
intermediari finanziari (pubblicato sul supplemento ordinario n. 125 alla Gazzetta Ufficiale
del 17 luglio 1998) prescrive alle SGR e alle
SICAV l’evidenziazione nel prospetto informativo di “un parametro oggettivo di riferimento (benchmark), costruito facendo riferimento ad
indicatori finanziari elaborati da soggetti terzi e
di comune utilizzo, coerente con i rischi connessi
alla gestione dell’OICR, al quale confrontare il
rendimento dell’OICR stesso”.
Le modalità di indicazione e di rappresentazione del benchmark all’interno del prospetto informativo sono previste negli schemi di
prospetto informativo n. 8 e n. 9, allegati al
Regolamento Consob n. 11971 del 14 maggio 1999 (pubblicato sul supplemento ordinario
n. 100 alla Gazzetta Ufficiale del 28 maggio
1999), recante la nuova disciplina sulla redazione dei prospetti informativi relativi alla sollecitazione all’investimento di quote o
azioni di OICR. Il nuovo prospetto informativo si compone di tre parti mobili:
•
la parte I illustra le caratteristiche del
fondo e le modalità di partecipazione
•
la parte II descrive il profilo di rischio/rendimento del fondo
•
il modulo di sottoscrizione.
Più precisamente, il nuovo prospetto informativo richiede le indicazioni e rappresentazioni relative al benchmark rispettivamente
nella parte I e nella parte II del prospetto secondo le modalità qui di seguito illustrate.
26
A
Parte I del prospetto informativo
La sezione 2 del prospetto informativo, relativa alla politica d’investimento e ai rischi
connessi, richiede di descrivere sinteticamente il benchmark adottato per il fondo
solo nel caso in cui tale parametro di riferimento sia inserito nel regolamento di gestione del fondo.
In caso contrario, il benchmark deve trovare evidenza in un’apposita sezione 3 d e l
prospetto, con la specificazione della relazione esistente tra questo e gli obiettivi
del fondo.
Detta relazione si può concretare nella indicazione circa la volontà del gestore di replicare l’andamento del parametro oggettivo
di riferimento, utilizzando quindi una strategia gestionale indicizzata, ovvero di discostarsi dal benchmark, realizzando così
una gestione che non si limita a riprodurre
la composizione dell’indice di riferimento
adottato.
L’omessa indicazione del parametro oggettivo di riferimento è consentita solo nei casi in
cui non sia possibile individuare un benchmark che si attagli al profilo di rischio/rendimento del fondo.
Simile eventualità si determina ad esempio
nel caso di fondi flessibili, attesa l’indeterminatezza delle politiche di investimento
che contraddistingue tale peculiare tipologia di OICR.
In ogni caso è necessario indicare nel prospetto le motivazioni che rendono non opportuna l’indicazione del parametro oggettivo di riferimento.
prospetto
B
Parte II del prospetto informativo
La sezione 2 del prospetto richiede di indicare una serie di evidenze grafiche e tabellari, descrittive del profilo di rischio/rendimento del fondo:
•
•
•
un grafico a barre che illustra il rendimento del fondo negli ultimi dieci
anni
un grafico lineare che riporta l’andamento del valore della quota del fondo
nel corso dell’ultimo anno solare
una tabella che indica il rendimento
del fondo, su base media annua nel
corso degli ultimi 3 e 5 anni solari
Nella costruzione di tali rappresentazioni
grafiche e tabellari i rendimenti illustrati
devono sempre essere confrontati con il benchmark, secondo le modalità qui di seguito
descritte.
B.1 Il grafico a barre
Sulle modalità di costruzione del grafico a
barre si è recentemente espressa la Consob
con Comunicazione n. DIS/99074364 del
12 ottobre 1999 (pubblicato su “Consob e
Informa” n. 40 del 18 ottobre 1999).
Ciò in seguito ad alcune considerazioni sottoposte all’attenzione dell’Autorità di controllo da parte di Assogestioni, volte ad evidenziare l’oggettiva difficoltà di operare un
confronto fra il parametro oggettivo e i rendimenti passati del fondo per un arco temporale eccessivamente esteso.
Secondo Assogestioni, infatti, la dinamicità
delle strategie allocative che ha caratterizzato i fondi negli ultimi dieci anni rende difficile una comparazione retrospettiva con il
benchmark, poiché non consente a un unico
parametro oggettivo di attagliarsi al profilo
di rischio/rendimento del fondo per l’intero
periodo di riferimento. La Consob, alla luce
di tali considerazioni e, tenuto conto che - a
partire dal 1995 - si sarebbe realizzata una
“sostanziale stabilizzazione delle caratteristiche
dei prodotti offerti”, ha ritenuto che il confronto tra rendimenti del fondo e del benchmark possa essere significativamente
realizzato a partire del 1° gennaio 1996.
Pertanto, nella fase transitoria di prima applicazione dello schema di prospetto (cioè
fino a quando non maturerà, a partire dal 1°
gennaio 1996, il periodo di dieci anni richiesto per la rappresentazione delle performance), i criteri di costruzione del grafico a
barre possono essere così sintetizzati:
(i)
i rendimenti del fondo devono essere
riportati a partire dal 1° gennaio 1996,
eccezion fatta per le ipotesi di OICR
aventi un periodo di esistenza inferiore
ovvero di fondi per i quali è intervenuto, successivamente a tale data, un
mutamento significativo delle politiche di investimento od una variazione
della società gerente (in caso di significative modifiche della politica di investimento occorre procedere all’azzeramento delle performance)
(ii) l’andamento del parametro oggettivo
di riferimento deve essere sempre riportato per l’intero periodo di dieci
anni, salvo il caso in cui il parametro
oggettivo prescelto non presenti una
serie storica che copra l’intero arco
temporale richiesto. In tal caso devono
essere evidenziate le sole performance
dei benchmark disponibili; tale circostanza deve essere comunicata e adeguatamente motivata da parte delle
27
prospetto
SGR nei confronti della Consob, nonché illustrata all’interno del prospetto
informativo
(iii) per i fondi la cui componente obbligazionaria è rappresentata da un indice
“euro” (ad esempio i fondi che anteriormente al 1° gennaio 1999 investivano
prevalentemente in obbligazioni di
emittenti italiani e che successivamente a tale data investivano in titoli obbligazionari di emittenti appartenenti
all’area euro), occorre indicare, per il
periodo precedente all’introduzione
della moneta unica, un diverso benchmark, coerente con la differente politica di investimento eventualmente
adottata in tale periodo
(iv) insieme alla rappresentazione del grafico a barre occorre altresì evidenziare
il migliore e peggiore rendimento trimestrale del fondo (calcolato in base ai
trimestri solari) nel corso del periodo
preso in considerazione. Tale informativa per assumere una significatività
rilevante deve essere riferita ad una serie storica minima di tre anni. I fondi
che hanno un periodo di esistenza inferiore ai tre anni non sono tenuti, quindi, all’indicazione del migliore e peggiore rendimento trimestrale
B.2 Il grafico lineare
Il grafico lineare relativo all’andamento del
valore della quota del fondo e del benchmark
nel corso dell’ultimo anno solare deve essere
costruito con punti di rilevazione mensili.
Nel caso in cui il fondo sia operativo da meno di un anno od abbia mutato significativamente la politica di investimento occorre ri28
portare esclusivamente l’andamento del benchmark, specificando che esso non è necessariamente indicativo delle future performance
del fondo. Il dato numerico relativo all’andamento della quota del fondo deve essere indicato in euro, a meno che non si riferisca al
periodo antecedente l’introduzione dell’euro;
qualora i fondi siano valorizzati in altra valuta occorre riportare il dato sia nella valuta di
denominazione sia in euro.
B.3 La tabella
Per quanto riguarda l’evidenziazione tabellare del rendimento del fondo su base media
annua a confronto con quello del benchmark
nel corso degli ultimi tre e cinque anni solari occorre tenere conto degli aspetti sopra
segnalati alla lettera B.1 con riferimento al
grafico a barre decennale. Pertanto, lo “sbarramento” posto alla evidenziazione dei rendimenti del fondo anteriori al 1996 non consente, allo stato attuale, di indicare il rendimento medio annuo degli ultimi 5 anni.
Al fine di consentire un corretto confronto
tra l’andamento del valore della quota e
quello del benchmark riportati nel grafico a
barre, nel grafico lineare e su base annuale a
3 e 5 anni, si richiede di evidenziare che la
performance del fondo riflette oneri, quali le
commissioni di gestione, gravanti sull’OICR ma che non trovano eguale rilievo nell’andamento del benchmark. Detto benchmark può essere riportato al netto degli oneri fiscali vigenti applicabili al fondo (cd.
“nettizzazione del benchmark”).
2 Il benchmark e la determinazione
delle commissioni di gestione
L’indicazione di un parametro di riferimento
all’interno del nuovo prospetto informativo
prospetto
è richiesta non solo al fine di consentire all’investitore di fornirsi un chiaro convincimento in ordine alle aspettative di redditività dell’investimento ed al livello di rischio
ad esso sotteso, ma anche ai fini della determinazione dell’ammontare delle commissioni di gestione.
La sezione 5 della parte I del prospetto
informativo, relativa agli oneri a carico del
sottoscrittore e del fondo, richiede, infatti,
che qualora l’ammontare della provvigione
di gestione sia correlato alla variazione registrata da un parametro di riferimento occorre indicare tale parametro, descrivendo in
estrema sintesi i relativi meccanismi di calcolo della commissione. I parametri di riferimento utilizzati per il calcolo delle commissioni possono essere anche diversi da
quelli utilizzati per il confronto dei rendimenti del fondo.
29
linee guida
LE LINEE GUIDA PER LA DEFINIZIONE DI UN
PARAMETRO OGGETTIVO
Assogestioni ha costituito un gruppo di lavoro dedicato alle problematiche del benchmarking. Tale gruppo si compone di rappresentanti delle società di gestione del risparmio associate e di consulenti esterni. L’obiettivo del gruppo di esperti è diversificato poiché l’impiego di un benchmark nella comunicazione con l’investitore impatta su molteplici profili organizzativi della gestione.
Il gruppo ha coadiuvato il Consiglio Direttivo nella definizione delle linee guida che
serviranno da riferimento per una applicazione omogenea ed efficace della regolamentazione della Consob.
Le linee guida di Assogestioni definiscono i
criteri omogenei di selezione, calcolo, composizione, nettizzazione, pubblicazione e
confronto per i fondi comuni di investimento di diritto italiano.
Le sezioni A.1 e A.2 indicano i principi di
selezione dei parametri disponibili e
identifica negli indici di mercato (per tutte
le categorie di fondi) e nei tassi di mercato
monetario (questi ultimi solo per una categoria di fondi) i parametri singoli o compo-
30
sti che possono essere selezionati.
La sezione A.3 indica i principi di composizione e calcolo dei parametri composti
da più indici. La metodologia indicata,
pur essendo onerosa sotto il profilo operativo, è assolutamente necessaria per tutelare
il sottoscrittore sotto il profilo della trasparenza e della costanza dell’allocazione tra
differenti classi di rischio.
La sezione A.4 evidenzia la necessità di un
parametro sostitutivo in caso di cessazione
degli indici indicati nel prospetto. Il parametro sostitutivo potrà essere individuato
solo in seguito all’indicazione del parametro oggettivo da parte di tutti i fondi, ossia
a partire dal 1° luglio 2000.
La sezione B.1 indica il metodo di nettizzazione dagli oneri fiscali virtuali che graverebbero sul portafoglio del parametro oggettivo e quindi definisce la correzione applicabile al benchmark a partire dal 1° luglio 1998.
La sezione B.2 indica il periodo minimo di
confronto tra la variazione del parametro oggettivo e il rendimento del fondo.
linee guida Assogestioni
LE LINEE GUIDA DI ASSOGESTIONI
Il Consiglio Direttivo di Assogestioni ha
approvato le linee guida per la definizione
del parametro oggettivo di riferimento, che
vengono riportate di seguito.
A Criteri di indicazione
e composizione del parametro oggettivo
A.1 Il parametro oggettivo di riferimento
deve essere un indice o una composizione
di indici di mercato calcolati da soggetti
terzi rispetto alla società di gestione promotrice del fondo.
Qualora il parametro si componga di indici
di “asset class” differenti, la composizione
dei pesi deve essere congruente con i limiti
di categoria di appartenenza del fondo e la
composizione dei pesi deve essere operativamente determinata secondo le linee guida definite al punto (A.3) successivamente
riportato.
Gli indici di mercato ricomprendono tutti
gli indici che sono costruiti sulla base di un
portafoglio rappresentativo di una classe di
rischio definita.
Il criterio di selezione e aggregazione dei
singoli titoli, di debito o azionari, può avvenire sulla base della capitalizzazione complessiva del titolo oppure sulla base della liquidità dello stesso (flottante degli azionari
e quantità scambiate degli obbligazionari).
La selezione dell’indice specifico rientra integralmente nell’ambito di discrezionalità
della società di gestione.
Per quanto concerne la composizione degli
indici e la congruenza degli indici composti
con la categoria di appartenenza, si ritiene
necessario che le modalità di composizione
degli indici siano congruenti con i limiti di
definizione della categoria di appartenenza;
quindi, a titolo di esempio, che per un fondo azionario la componente monetaria o obbligazionaria non ecceda il peso del 30%
nella composizione del parametro.
A.2 Un tasso semplice di breve periodo può
essere coerente solamente con un fondo di
liquidità. Il riferimento può essere inteso
esclusivamente al tasso semplice per l’intero periodo e fissato da un organo indipendente all’inizio del periodo, senza alcuna
trasformazione dei tassi giornalieri con
una funzione di media e senza alcuna forma di capitalizzazione che equivarrebbe
alla creazione di un indice di mercato.
È questa l’unica eccezione al principio A.1,
in quanto un tasso semplice di mercato costituisce una alternativa corretta ad un indice di mercato monetario.
Nel prospetto dovranno peraltro essere indicate le modalità di rilevazione all’inizio di
ogni periodo di riferimento del tasso indicato come parametro oggettivo. Ad esempio,
il tasso di riferimento potrà essere il tasso
Euribor ad un mese rilevato il primo giorno
lavorativo di ogni mese sulla pagina Reuters
appropriata.
A.3 Per ogni parametro oggettivo composto
da due o più indici di mercato, il periodo
di ribilanciamento dei pesi delle singole
componenti del parametro è stabilito dalla
società di gestione e non può eccedere i 3
mesi. La periodicità del ribilanciamento
31
linee guida Assogestioni
deve essere esplicitata nel prospetto.
Per il caso di fondi nel cui prospetto sia indicato un parametro che si compone di due
o più indici di mercato, il sistema più adeguato è ritenuto quello a proporzioni costanti, secondo il quale i pesi degli indici
che compongono il parametro di riferimento vengono periodicamente ribilanciati al
fine di mantenere costante la proporzione
di ogni componente ad inizio periodo.
La composizione di indici che fanno riferimento a classi di rischio differenti comporta di per sé la scelta della periodicità che caratterizza il ribilanciamento delle componenti, che dovrà pertanto essere indicata nel
prospetto.
Il metodo di composizione a proporzioni costanti è infatti determinato dall’esigenza che
non venga a mutare il profilo di investimento tipico del fondo e l’asset allocation implicita nel benchmark per sottoscrittori entrati
in tempi diversi.
A.4 In caso di cessazione del calcolo o della
pubblicazione di uno o più indici indicati
nel parametro oggettivo di riferimento la
società di gestione potrà fare automaticamente riferimento ad un parametro sostitutivo che l’Assogestioni definirà per ogni
categoria del sistema di classificazione. Il
parametro sostitutivo potrà essere indicato
nel periodo occorrente per modificare il
prospetto secondo le procedure regolamentari previste.
Si ritiene opportuno che l’Associazione
provveda ad individuare un indice di riferimento per ogni categoria che, in caso di sospensione o cambiamento da parte del provider o di indisponibilità dell’indice indicato nel prospetto, possa essere automaticamente adottato per il fondo nel periodo occorrente per la sua sostituzione.
32
B Criteri di confronto
tra parametro oggettivo e rendimento del fondo
B.1 Il confronto tra il rendimento del fondo e il rendimento del parametro oggettivo
dovrà compiersi operando un prelievo fiscale virtuale sul parametro oggettivo al
fine di rendere omogenei i due rendimenti. La nettizzazione del parametro oggettivo dovrà avvenire mediante moltiplicazione del parametro stesso per il fattore
0.8750.
Si ha ben presente che la metodologia di
nettizzazione del parametro oggettivo di riferimento risulta neutrale e non distorcente
nel confronto per periodi non superiori ad
un anno. Per periodi superiori all’anno la
nettizzazione risulta invece incompleta e penalizzante per il rendimento del fondo.
Pertanto per il confronto su periodi superiori che travalicano la scadenza annuale di pagamento dell’imposta, l’Associazione approfondirà modalità operative più appropriate di nettizzazione del parametro oggettivo al fine di tenere conto degli effetti del
mancato reinvestimento dei flussi fiscali.
B.2 Si ritiene opportuno che il confronto
tra il rendimento del fondo e il rendimento del parametro oggettivo avvenga sul periodo stabilito dall’Autorità di controllo e
perciò su un periodo minimo di 1 anno e
un suo multiplo (24-36-48-60-120 mesi).
Le Società di gestione forniranno esse direttamente agli organi di stampa i rendimenti dei parametri oggettivi in accordo
con le scadenze evidenziate.
La periodicità minima significativa del
confronto è stata definita dalla Consob con
proprio regolamento e pertanto si ritiene
che ad essa si debbano attenere le Società di
gestione nel comunicare i dati agli organi
linee guida Assogestioni
di informazione, che dovranno essere forniti direttamente dalle Società per evitare errori e per controllare il rispetto delle procedure di calcolo per gli indici composti, soprattutto per quanto concerne le procedure
di ribilanciamento.
• Comunicazione Consob n. dis. 99074364
del 12 ottobre 1999
• Circolare Assogestioni 1973/98
del 28 luglio 1998
Riferimenti
• Circolare Assogestioni 541/99
del 23 febbraio 1999
• Regolamento Consob 11522
del 1 luglio 1998
• Circolare Assogestioni 1810/99
del 25 giugno 1999
• Regolamento Consob 11971
del 14 maggio 1999
• Circolare Assogestioni 2652/99
del 14 ottobre 1999
33
costruire il benchmark
COME SI COSTRUISCE E SI SELEZIONA
UN BENCHMARK
In questo capitolo proponiamo alcune considerazioni in merito alle modalità di scelta e
costruzione del benchmark. Non vi è chiaramente pretesa alcuna di essere esaustivi, l’unico obiettivo è quello di offrire qualche
punto di riferimento sull’argomento, così da
agevolare la comprensione delle scelte effettuate dal singolo gestore.
È quasi implicito che la costruzione di un
benchmark debba mirare, per quanto possibile, a rappresentare un portafoglio efficiente, ovvero, un portafoglio che, relativamente
al mercato cui il benchmark si riferisce, offra
il migliore trade-off rendimento/rischio. È
dunque necessario sviluppare alcune riflessioni sul concetto di efficienza e rapportare
tale concetto alla selezione del benchmark.
Nel primo capitolo del nostro testo abbiamo
parlato di benchmark quale possibile strumento di valutazione della qualità di gestione. In altri termini, si è detto che il “successo” di un gestore è determinato dal confronto, su un periodo appropriato, tra le performance del fondo e del benchmark.
La qualità di gestione, tuttavia, non si misura esclusivamente dalla capacità di offrire un
extra-rendimento rispetto al benchmark,
ma anche da quella di sceglierlo. Ipotizziamo che il benchmark sia un portafoglio efficiente in media-varianza nell’accezione di
Markowitz (un portafoglio p è efficiente in media-varianza secondo Markowitz se non esiste un
portafoglio q che abbia, a parità di rischio sostenuto, un rendimento atteso superiore al rendimento atteso di p. Ovvero se non esiste un portafoglio q
che abbia, a parità di rendimento atteso, un rischio minore).
Battere tale portafoglio è, almeno in via teorica, impossibile, l’extra rendimento è sempre nullo, ma non per questo il gestore è un
“cattivo” gestore, tutt’altro. Non si realizzano valori di extra-performance per il semplice motivo che è già stata scelta una metodologia di investimento efficiente adottando lo
stile di investimento associato a quell’indice. L’unico modo per migliorare i rendimenti richiede di aumentare il rischio della gestione, ma non è detto che ciò sia ammesso
dai limiti operativi del fondo. La riflessione
finale è che la valutazione della qualità di
gestione risponde a principi ben più complessi e articolati che non ad una semplice
differenza di rendimenti; il saper scegliere
un benchmark “vincente” fa sicuramente parte di questi principi.
Come è facile intuire tutte queste considerazioni possono dare l’avvio ad un dibattito
molto interessante e complesso: se fosse operativamente possibile individuare anticipatamente un benchmark efficiente, ossia conoscere i criteri di selezione ‘automatica’ dei titoli da detenere in portafoglio, il gestore attivo non potrebbe mai battere il benchmark
in termini di maggiore efficienza (migliorare
il rapporto media-varianza), bensì solamente
offrire un portafoglio altrettanto efficiente
(sempre sulla frontiera), ma alternativo in
termini di rischiosità e rendimento. Non si
tratterebbe quindi di battere il benchmark
ma di confrontarsi con esso per offrire alla fine un portafoglio il più possibile rispondente alle esigenze del risparmiatore.
Poiché soltanto a posteriori si può affermare
se un portafoglio è efficiente in media-va35
costruire il benchmark
rianza, il gestore andrebbe valutato misurando quanto egli è stato in grado, con la
sua gestione, di avvicinarsi a tale efficienza.
Ciò significa che oltre alla misurazione di
quanto sia riuscito a superare il benchmark,
egli andrebbe valutato anche attraverso la
misura del tracking error, ovvero la misura
di quanto rischio aggiuntivo ha assunto rispetto al benchmark nel tentativo di batterlo. Ben si comprende, allora, l’importanza di
scegliere opportunamente il benchmark:
estremizzando, meglio un gestore che batte
di poco un benchmark efficiente piuttosto
di uno che batte di molto un benchmark
inefficiente; ovvero la bravura va misurata in
relazione alla difficoltà dell’obiettivo.
Adottare un indice invece di un altro può
comportare significative differenze nei valori di extra-rendimento, condizionando il
confronto tra l’investimento in fondi e in attività finanziarie alternative, nonché tra l’investimento in una categoria di fondi piuttosto che un’altra.
Malgrado l’attenzione che il problema ha suscitato nel mondo accademico e tra gli ope-
36
ratori quotidianamente impegnati nei mercati finanziari, non si è avuto modo di giungere a soluzioni.
Esiste, in altre parole, una relazione di dipendenza tra la misura dell’extra-rendimento e il benchmark utilizzato.
L’impossibilità di misurare oggettivamente
l’extra-rendimento di un’attività finanziaria
non ha ancora una soluzione. Importante è
avere inquadrato il problema in modo da
controllarne le potenziali distorsioni. Certo
è che bisogna prestare grande cura e attenzione alla scelta dell’indice.
Probabilmente molti indici non sono efficienti e non sarà possibile nel futuro prossimo individuare criteri di investimento “meccanici” che assicurino il raggiungimento della frontiera efficiente.
La gestione attiva consiste proprio nell’individuazione delle opportunità di miglioramento del benchmark entro un certo margine di rischio prestabilito e le capacità di
analisi e di decisione dei gestori non possono essere tradotte in regole semplici ed univoche di selezione del portafoglio.
proprietà desiderabili
PROPRIETÀ DESIDERABILI DI UN BENCHMARK
Vi sono alcune proprietà che un benchmark
idealmente dovrebbe possedere e delle quali
bisogna tenere conto nella scelta e nella costruzione del medesimo. Tali caratteristiche
costituiscono tutte delle condizioni necessarie affinché il benchmark sia tecnicamente
riproducibile da chiunque, ma non sono
condizioni sufficienti perché il benchmark
sia anche efficiente.
Normalmente i principi ritenuti auspicabili
per un indice sono:
1
2
Trasparenza: gli indici devono essere
calcolati con regole replicabili autonomamente dall’investitore.
Questo principio permette di anticipare i periodici cambiamenti nella composizione degli stessi, con un duplice
vantaggio: da un lato gli investitori
possono rivedere tempestivamente le
proprie decisioni; dall’altro gli operatori che vendono il prodotto, operando
in assoluta trasparenza, si pongono al
riparo da eventuali critiche sulla discrezionalità delle scelte effettuate
Rappresentatività: gli indici devono
essere rappresentativi del prodotto che
si dichiara di vendere ai clienti.
Un indice capace di rappresentare con
precisione le caratteristiche dell’inve-
stimento agevola l’investitore nella
scelta del profilo di rischio / rendimento desiderato, con evidenti ripercussioni positive sul rapporto fiduciario tra
venditore ed investitore
3
Replicabilità: gli indici dovrebbero
essere completamente replicabili con
attività acquistabili direttamente sul
mercato.
Il confronto tra un portafoglio costruito teoricamente e un portafoglio in cui
si possa effettivamente investire comporta una serie di problematiche legate
alla ponderazione dei costi di gestione
e alla tassazione fiscale. Tanto più il
benchmark è costruito con attività
realmente disponibili, tanto più rappresenta una realistica misura di
performance
4
Hedgeability: è preferibile che gli indici siano sottostanti di contratti derivati, così da permettere una tempestiva copertura dei portafogli e l’abbassamento dei costi di transazione
Entriamo ora nel merito delle metodologie
operative alla base della costruzione delle
due grandi famiglie di benchmark, quella
azionaria e quella obbligazionaria.
37
mercato azionario
INDICI PER IL MERCATO AZIONARIO
Prendendo esempio dalle metodologie utilizzate dai più importanti provider di indici
che operano sul mercato (come principale riferimento abbiamo assunto la metodologia impiegata
da MSCI), può essere interessante illustrare
una procedura per costruire il benchmark del
mercato azionario di un singolo paese (stiamo
assumendo che ogni paese abbia un solo mercato
borsistico di rilievo, sarebbe altrimenti più sensato
costruire un indice per ciascuna borsa. Ad esempio
negli Stati Uniti esistono due importanti mercati
borsistici: la NYSE e il Nasdaq).
Il processo si articola in cinque passi fondamentali:
1
Definizione dell’insieme dei titoli
quotati all’interno del mercato
2
Suddivisione dei medesimi rispetto all’industria di appartenenza e scelta dei
titoli rappresentativi di ogni settore
3
Scelta dei titoli con buona liquidità e
buon flottante
4
Esclusione delle partecipazioni incrociate fra i titoli presenti nell’indice
5
Ponderazione dei titoli attraverso i valori di capitalizzazione
1
Definizione dell’insieme dei titoli
Il primo passo per la costruzione dell’indice
è individuare i titoli che compongono il listino e raccogliere le informazioni necessarie
per ricostruirne le principali caratteristiche.
I dati tipicamente rilevanti riguardano l’evoluzione del valore delle azioni, la liquidità, la libertà di fluttuazione e le partecipazioni possedute in altre società. Inoltre si
possono prendere in considerazione aspetti
38
di natura giuridica quali, ad esempio, il domicilio della società emittente o il mercato
di quotazione.
2 Suddivisione dei titoli rispetto all’industria
di appartenenza e scelta dei titoli rappresentativi
per ogni settore
Raccolte le informazioni sulle caratteristiche del mercato, i titoli vengono suddivisi
rispetto all’industria di appartenenza. L’obiettivo è selezionare le società che descrivano opportunamente ogni settore. Un modo
per garantirlo è scegliere i titoli che rappresentano un determinato valore percentuale
della capitalizzazione del settore (la capitalizzazione di borsa è la valutazione di un titolo
ottenuta moltiplicandone la quotazione di borsa
per il numero delle azioni che compongono il capitale sociale. La capitalizzazione del settore si ottiene sommando i valori di capitalizzazione dei
titoli appartenenti al medesimo).
È ritenuto significativo un valore del 60%.
Si osservi che il rispetto di tale soglia non
sempre è agevole. A volte, per rispecchiare
la struttura del mercato e non distorcere il
peso dei settori, si devono escludere titoli
importanti per l’economia del paese. Pertanto, non necessariamente l’indice include tutte le principali società presenti sul mercato.
3 Scelta dei titoli
con una buona liquidità e un buon flottante
La liquidità rappresenta l’attitudine di un
investimento a trasformarsi in denaro rapidamente e senza perdite. La liquidità di un
mercato azionario
titolo può essere monitorata analizzando i
valori medi mensili di scambio e lo spread
delle quotazioni denaro-lettera, così da determinare il livello normale del volume di contrattazioni, depurato da picchi temporanei.
A parità di altre condizioni conviene includere nell’indice i titoli più liquidi, anche se
questo non può essere il criterio assoluto di
selezione.
Infatti:
•
la scelta di un minimo di liquidità sarebbe arbitraria e avrebbe differenti significati in relazione ai singoli mercati
•
la liquidità è in parte correlata alla ciclicità dei mercati e dei settori. Includere nell’indice solo i titoli più liquidi
introdurrebbe una distorsione contro i
titoli e i settori temporaneamente in
difficoltà. Una regola inflessibile per
sostituire i titoli meno liquidi con i titoli più liquidi provocherebbe, d’altronde, un inutile turnover nell’indice
Il flottante di un titolo è espresso dalla percentuale delle sue azioni effettivamente in
circolazione e liberamente negoziabili sul
mercato. Un basso flottante potrebbe essere
motivo di esclusione del titolo dalla considerazione dell’indice.
Definire una soglia minima per il flottante
non è tuttavia agevole: per i paesi sviluppati
è generalmente indicata nel 25%, ma in
molti mercati emergenti il valore medio è
addirittura inferiore a tale percentuale.
Conviene allora misurare la soglia relativamente al settore del singolo titolo e al paese.
Si osservi che il valore di flottante non sempre può essere facilmente e precisamente
calcolato.
Pertanto, come avviene per la liquidità, il
flottante è un importante parametro per valutare l’inserimento di un titolo nell’indice,
ma non una regola inflessibile.
4 Esclusione delle partecipazioni
incrociate fra i titoli presenti nell’indice
Esiste una partecipazione incrociata tra due
società quando ognuna di esse ha una significativa presenza nell’azionariato dell’altra.
Le partecipazioni incrociate possono creare
notevoli distorsioni nel peso dei singoli settori e nel reale valore di capitalizzazione
delle società e del mercato. Per questi motivi sarebbe auspicabile evitare che vi siano
partecipazioni incrociate tra le società incluse nell’indice. Si osservi che analoghi
problemi vengono provocati dalle holding,
ovvero da consistenti partecipazioni di una
società in un’altra.
5 Ponderazione dei titoli
attraverso i valori di capitalizzazione
Pesare l’importanza di un titolo attraverso il
suo valore di capitalizzazione ha un indubbio vantaggio in termini di oggettività, infatti: il numero delle azioni in circolazione è
sempre definibile con esattezza; tale informazione è facilmente reperibile. Un altro
vantaggio è la capacità di minimizzare il
turnover nella composizione dell’indice.
Si osservi che il criterio di ponderazione alternativo a questo fa riferimento alla nozione di flottante. Valutazioni di carattere pratico e teorico lo rendono tuttavia meno preferibile:
•
è difficile giudicare se una posizione
societaria attualmente stabile lo sarà
anche in futuro. In altre parole, è difficile prevedere future variazioni nel
flottante
•
la qualità e la tempestività delle informazioni sul flottante varia da mercato
a mercato. I relativi aggiustamenti penalizzerebbero i mercati con standard
39
mercato azionario
•
qualitativi superiori nella raccolta dei
dati sulle società
i risultati in termini di ponderazione
non sono materialmente così differenti. In fin dei conti, i valori di capitalizzazione aggiustati per il flottante sono
pressappoco proporzionali ai valori di
capitalizzazione pieni
Indice globale
Abbiamo proposto una procedura per realizzare un indice “locale”, ovvero riferito ad uno
specifico mercato nazionale. Molto spesso vi
è però l’esigenza di costruire un indice “globale”, riferito ad un mercato più ampio di
cui il primo faccia parte.
Per realizzarlo vi sono due possibilità:
•
costruzione di un indice composto sulla base dei sub-indici nazionali
•
costruzione diretta dell’indice globale
attraverso una metodologia analoga a
quella appena descritta
Il principale vantaggio della prima alternativa è la maggior facilità di realizzazione.
Costruire un indice composto di sub-indici
40
nazionali significa trovare un sistema di
ponderazione degli stessi (questo sistema di
ponderazione deve esprimere l’importanza relativa
di ciascun mercato locale. Ciò può essere fatto, ad
esempio, analizzando i valori internazionali di
scambio o confrontando il Pil dei singoli paesi,
nonché la capitalizzazione degli stessi). Ciò è
probabilmente più semplice del ripetere la
procedura in cinque passi su un universo di
titoli più grande. Lo svantaggio è quello di
costruire un indice che predilige la dimensione “paese” rispetto a quella “settore”. Ogni
sub-indice è tale da rispecchiare il peso dei
singoli settori nel mercato di riferimento. La
composizione di questi indici, tuttavia, avviene con una ponderazione che tiene conto
dell’importanza del singolo mercato nel
mercato più grande. In questo modo il peso
dei settori nel mercato più grande potrebbe
non essere rispecchiato. La seconda procedura ha il vantaggio di essere metodologicamente più corretta. Tuttavia ciò determina
una crescita dei costi di elaborazione ed implementazione. Inoltre, simmetricamente a
quanto detto prima, è privilegiata la dimensione “settore” rispetto a quella “paese”.
mercato obbligazionario
INDICI PER IL MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Introduzione
Un investimento sul mercato obbligazionario ha caratteristiche differenti da un investimento sul mercato azionario.
Tali differenze si riflettono nella realizzazione di un indice.
L’esigenza di un indice come termine di
confronto per valutare i rendimenti obbligazionari non è stata immediata; inizialmente
sembrava sufficiente scegliere un’obbligazione di riferimento per ciascun mercato.
Tuttavia, un fondo comune di investimento
detiene in portafoglio una vasta gamma di
obbligazioni, con caratteristiche di duration
e di merito di credito degli emittenti anche
molto differenziate. Ciò ha comportato la
necessità di costruire indici più complessi e
dettagliati, in grado di rappresentare la varietà dei mercati obbligazionari.
Un notevole impulso alla produzione di indici obbligazionari fu dato, all’inizio degli
anni ‘80, dalla Commissione Europea sulle
Obbligazioni dell’EFFAS (European Federation of Financial Analysts Societies). La
Commissione Europea sulle Obbligazioni è
stata istituita nel 1976 dall’EFFAS come
commissione permanente in materia di obbligazioni. La Commissione è composta dai
maggiori esperti in tema di obbligazioni di
ciascuno dei paesi membri. Ne fanno parte,
tra gli altri, direttori di centri di ricerca,
analisti, economisti, regolatori ed anche singoli investitori. La Commissione si riunisce
quattro volte all’anno. Gli obiettivi sono: 1)
elevare lo standard delle analisi in tema di
obbligazioni in Europa 2) incentivare una
standardizzazione delle regole all’interno
del mercato europeo; 3) diffondere informazioni relative al mercato obbligazionario europeo in modo da permettere a tutti di investire con sicurezza.
Partendo dal presupposto che le obbligazioni
governative di ogni nazione costituiscono un
mercato sufficientemente omogeneo, in collaborazione con Datastream, fu promossa la
realizzazione dei relativi indici. Inizialmente
furono realizzati gli indici per i mercati di
Austria, Belgio, Danimarca, Eire, Francia,
Germania, Olanda, Italia, Norvegia, Spagna,
Svezia, Svizzera e Regno Unito. Successivamente si aggiunsero quelli per Giappone e
Stati Uniti. Quasi contemporaneamente e
con analoga metodologia l’ISMA (International Securities Market Association) calcolò
degli indici per euro-obbligazioni, riferendosi a tutti i titoli presenti sul mercato e non
soltanto a quelli governativi.
Anche altre organizzazioni, tra cui J.P. Morgan, Salomon Brothers, Paribas e Lehman
Brothers, iniziarono a pubblicare i propri
indici, impiegando tuttavia delle formule e
dei criteri diversi da quelli fino allora adoperati. Ciò portò dei problemi non trascurabili in termini di confrontabilità degli indici presenti sul mercato, tanto è vero che la
Commissione sulle Obbligazioni dell’EFFAS sentì la necessità di riesaminare le regole per la costruzione degli stessi, tentando di
individuare delle linee guida che standardizzassero la metodologia. Fu istituito un
comitato di lavoro cui presero parte, oltre ad
esponenti della Commissione, rappresentanti dell’ISMA e delle principali organizzazio41
mercato obbligazionario
ni impegnate nella costruzione di indici. I
risultati furono pubblicati nel lavoro di P.J.
Brown, 1994, Constructing and Calculating
Bond Indices. A Guide to the EFFAS Standardized Rules; University Press, Cambridge. Il medesimo ha isprato alcune considerazioni proposte in queste pagine.
Caratteristiche dei titoli obbligazionari
Ogni titolo obbligazionario si contraddistingue per tre caratteristiche fondamentali,
ognuna delle quali definisce una componente di rischio dell’investimento.
Le caratteristiche sono:
1
La valuta di emissione (cui è associato il rischio relativo al tasso di cambio)
2
La durata (cui è associato il rischio relativo all’immobilizzo di liquidità nel
tempo)
3
L’emittente (cui è associato il rischio
relativo al grado di fiducia e affidabilità che il mercato gli attribuisce)
Un indice obbligazionario opportunamente
realizzato deve monitorare le obbligazioni
offerte sul mercato rispetto a queste caratteristiche, offrendo un’adeguata rappresentazione della loro struttura.
Alle caratteristiche proprie dei titoli obbligazionari si affiancano le caratteristiche dell’indice stesso. Proponiamo una tassonomia
delle principali caratteristiche in base a cui
si differenziano gli indici obbligazionari offerti sul mercato.
Tali risultano essere:
1
La frequenza di calcolo dell’indice
2
La fonte dei prezzi
3
La scelta dei prezzi
4
Il metodo di ponderazione
5
Il trattamento dei flussi di cedole
riscosse
6
La variazione degli elementi costitutivi
42
7
8
La vita residua dei titoli che compongono l’indice
Le statistiche fornite
Qualche considerazione
1 La frequenza di calcolo dell’indice è normalmente giornaliera.
2 Il naturale riferimento per i titoli quotati è il prezzo ufficiale di borsa. Per i titoli non quotati vi sono differenti alternative ma prevale l’adozione di prezzi interni.
3 La seconda decisione relativa ai prezzi riguarda il momento della loro rilevazione
ai fini del calcolo del valore dell’indice.
Le possibili alternative sono:
•
i prezzi di apertura
•
i prezzi di chiusura
•
gli ultimi prezzi after-hours
•
i prezzi medi
•
un prezzo rilevato contemporaneamente per tutti i mercati
Evidenti ragioni pratiche rendono non
conveniente la rilevazione dei prezzi in
un istante di tempo identico per tutti i
mercati. È impossibile selezionare un
orario che tenga significativamente
conto dei differenti fusi orari in cui si
collocano le principali piazze finanziarie internazionali.
Impiegare la media dei prezzi rilevati
nel corso della giornata porta a una serie di controversie nell’attribuzione dei
pesi ai valori rilevati. D’altro canto i
vantaggi connessi a questa soluzione
non sembrano tali da giustificarne le
difficoltà di implementazione.
Infine, i prezzi di chiusura vengono generalmente preferiti ai prezzi di apertura in
quanto costituiscono delle informazioni
più recenti sul valore e l’andamento dei
mercato obbligazionario
4
•
•
•
5
6
titoli. In teoria l’ultimo prezzo disponibile, anche dopo la chiusura ufficiale delle contrattazioni, rappresenterebbe la migliore alternativa. Tuttavia, affinché i dati utilizzati siano omogenei per tutti i titoli, si preferisce l’impiego dei prezzi di
chiusura. Infatti, non tutti i titoli sono
trattati dopo la chiusura. Inoltre, anche
per quei titoli che ammettono la contrattazione è difficile raccogliere le informazioni nello stesso istante di tempo.
Esistono diversi criteri per ponderare i
titoli obbligazionari presenti nell’indice.
In relazione al criterio utilizzato si distinguono:
indici equally weighted dove i titoli
presenti nell’indice hanno tutti il medesimo peso
indici price weighted dove i titoli sono ponderati in base ai prezzi di mercato
indici market capitalization o value
weighted in cui la ponderazione avviene in base alla capitalizzazione di borsa.
Come per gli indici azionari la metodologia di ponderazione più utilizzata fa riferimento al valore di capitalizzazione di
borsa.
I flussi di cedole riscosse possono essere o
meno reinvestiti. Laddove lo siano, i termini per il reinvestimento oscillano dal
giorno stesso al mese successivo. Il reinvestimento immediato dei flussi di cassa
rappresenta la pratica più frequente. Il
reinvestimento può avvenire nell’indice
o nel titolo che li ha generati.
I mercati sono in continua evoluzione.
È naturale che degli indici realizzati per
rispecchiarne le caratteristiche abbiano
un turnover dei titoli di cui sono costituiti. Sebbene un livello minimo di turnover sia imprescindibile e fisiologico, è
•
•
•
7
•
•
•
•
•
•
8
importante evitare che il ricambio avvenga in maniera aleatoria e superflua.
Un possibile criterio per impedirlo potrebbe essere il seguente:
costringere ogni titolo a rimanere nell’indice almeno sei mesi
non riammettere un titolo escluso dall’indice prima che siano trascorsi sei
mesi
escludere automaticamente ogni titolo
la cui scadenza avvenga nei dodici mesi successivi
Si osservi che occorre stabilire la frequenza con cui rivedere il paniere dei titoli che costituiscono l’indice. Una frequenza eccessiva quanto una frequenza
moplto sporadica possono provocare distorsioni nella rappresentatività dell’indice. La frequenza di revisione prevalente è mensile.
Per cogliere l’orizzonte temporale dell’investimento è utile calcolare dei sottoindici che tengano conto della vita residua dei titoli. Gli indici si riferiscono in
genere alle seguenti scadenze:
1-3 anni
3-5 anni
5-7 anni
7-10 anni
oltre 10 anni
titoli irredimibili
Si osservi che tale suddivisione non necessariamente è applicabile a tutti i mercati: se non esistono titoli con una determinata scadenza o il loro numero è troppo esiguo conviene realizzare una differente aggregazione.
È utile disporre di alcune statistiche in
relazione all’indice e al suo andamento
nel tempo. Tra queste, ad esempio, indichiamo: il rendimento, la duration, la
convessità, la scadenza e il coupon.
43
manuale tecnico
IL MANUALE TECNICO
COME SI CALCOLA E SI CONFRONTA IL BENCHMARK
Dopo avere preso in esame gli aspetti teorici e normativi che caratterizzano l’utilizzo
del benchmark, è necessario mettere in
chiaro le questioni più operative e nondimeno essenziali affinché la comunicazione
sia trasparente ed efficace.
Le sezioni di cui si compone il presente capitolo approfondiscono le tematiche già
delineate nell’illustrazione delle linee guida di Assogestioni, ossia:
•
il periodo di confronto, con particolare
riguardo al periodo minimo per categoria di appartenenza. I risultati finanziari di ogni attività di investimento
sono strettamente correlati all’orizzonte temporale di riferimento
•
la possibilità di individuare delle classi di rischio per l’universo dei fondi,
al fine di consentire una identificazione del prodotto più adatto alle necessità del singolo investitore
•
gli effetti della fiscalità e le correzioni
che devono essere apportate agli indici
di mercato. In Italia la normativa fiscale sui redditi da capitale presenta delle
peculiarità che impattano sulla misurazione dei rendimenti lordi e netti dei
gestori. È dunque necessario conoscere
i meccanismi correttivi che consentano
di depurare gli effetti fiscali
•
i criteri di calcolo del ribilanciamento per i parametri composti. Poiché
ogni fondo non è altro che un portafoglio composto di titoli immobiliari,
prodotti derivati e disponibilità liquide, di riflesso i parametri di confronto
richiedono la composizione di una
pluralità di indici di mercati diversi.
Per “assemblare” i diversi indici in modo corretto è necessario selezionare e
dichiarare le procedure matematiche
applicate
Ogni singola sezione mantiene un rilievo
autonomo e dunque può essere letta in maniera indipendente.
45
periodo di confronto
IL PERIODO DI CONFRONTO
L’orizzonte temporale costituisce l’elemento
fondamentale che deve essere tenuto in considerazione quando si effettua un investimento. La tolleranza al rischio e di riflesso i
rendimenti attesi dipendono direttamente e
inequivocabilmente dal periodo di riferimento per ogni investimento. Parimenti, sia
nell’analisi preventiva del profilo di rischio
del fondo sia nell’analisi successiva della
qualità del servizio di gestione è essenziale
fissare un periodo congruo.
Un fondo che offre una linea di investimento più rischiosa, e quindi potenzialmente
più redditizia, deve essere sottoscritto e valutato su un periodo di tempo minimo notevolmente superiore a quello necessario
per sottoscrivere e valutare un fondo di liquidità. In particolare Assogestioni ha individuato nell’anno il periodo minimo di confronto per tutti i prodotti di investimento.
Tale periodo minimo è sicuramente sufficiente per i fondi a bassa rischiosità, ossia i
fondi di liquidità e i fondi obbligazionari
dell’area euro a breve termine. L’aumento
del grado di rischio implicito in una categoria di fondi rende necessaria l’estensione del
periodo minimo di confronto, fino a raggiungere i cinque anni per i prodotti che
presentano il profilo di rischio maggiore,
quali ad esempio i fondi azionari dei mercati emergenti. Attraverso una simulazione
questa sezione illustra, in forma schematica
ed esemplificativa, la necessità di scegliere
opportunamente il periodo di confronto nel
valutare le attività finanziarie. La sezione
successiva preciserà come tale scelta avvenga
in funzione della rischiosità del mercato.
46
Ipotizziamo di confrontare un gestore con
un benchmark del mercato italiano composto al 60% dall’indice Comit e al 40% dall’indice JP Morgan ribilanciato giornalmente. Prendendo in considerazione il periodo
minimo di confronto fissato per l’universo
dei fondi (1 anno), simuliamo statisticamente l’operato di un gestore che abbia stabilmente una performance attiva con media
pari al 2% e un tracking error pari al 5%
annui. Assumiamo, in altri termini, che il
gestore sia in grado di “battere il mercato”
alla fine del periodo considerato. Cosa succede, tuttavia, nel frattempo? Quali sono i risultati del gestore, in relazione all’andamento del mercato, durante l’anno?
I grafici seguenti possono darci utili indicazioni. Nel primo troviamo la serie dei rendimenti del benchmark e del gestore. Nel secondo la serie costruita come differenza delle precedenti due.
Il data set utilizzato comprende i rendimenti giornalieri dal 02/01/98 al 30/12/98 per
un totale di 253 osservazioni (numero totale
dei giorni di apertura della Borsa di Milano). Per agevolare il confronto abbiamo posto pari a 100 il valore dei portafogli nel
giorno 01/01/98.
Il dato che emerge dall’osservazione dei grafici è che nel 1° e 2° trimestre dell’anno il
gestore sottoperforma sistematicamente il
benchmark. Il differenziale nei rendimenti
raggiunge un picco negativo di -3,16% il
giorno 10/06/98. Solo nel 3° trimestre la
gestione attiva “batte il mercato” ottenendo
il risultato finale di 2,05% (in accordo alle
assunzioni fatte).
periodo di confronto
I rendimenti del gestore e del benchmark
140
130
120
110
100
90
1
50
100
Gestore
150
200
250
Benchmark
Differenza tra i rendimenti del gestore e del benchmark
5
4
3
2
1
0
-1
-2
-3
-4
1
50
100
Assumere che una gestione sia vincente in
un intervallo di tempo t (1 anno) non implica, pertanto, analoghi risultati in sottointervalli di t (3 mesi). Laddove il processo di valutazione si fosse fermato ai primi sei mesi
dell’anno il manager sarebbe stato giudicato
negativamente, malgrado la serie statistica
generata riflettesse una gestione di ottima
150
200
250
qualità. La corretta valutazione di un’attività finanziaria non può prescindere dall’avere idee chiare sull’orizzonte temporale
dell’investimento.
Dopo aver prospettato l’importanza di valutare le attività finanziarie su un predeterminato orizzonte temporale, il passo successivo
è scegliere tale orizzonte in funzione della
47
periodo di confronto
Valori di performance a fine anno
Gestore
32.47%
Benchmark
30.42%
Rendimento attivo (per sottrazione)
2.05%
Tracking error del gestore (ex post)
4.81%
Information ratio annuale (ex post)
0.43%
Informazioni statistiche sui rendimenti
Dato
Media
Gestore
Benchmark
Perform.attiva
119.45%
120.09%
-0.63%
Mediana
121.72%
122.58%
-1.45%
Massimo
132.47%
133.26%
3.78%
Minimo
100.00%
100.00%
-3.16%
7.91%
8.26%
4.81%
Deviazione standard
rischiosità dell’investimento. Se ne occuperà
la prossima sezione una volta introdotto il
concetto di classi di rischio. Ci limitiamo ad
anticipare come, a causa dell’aleatorietà dei
mercati finanziari, il periodo di riferimento
non può essere prefissato una volta per tutte
affinché la valutazione sia significativa.
Riportiamo alcuni dati di sintesi relativi alla
simulazione per quanti volessero approfondire da un punto di vista analitico questa tematica. La differenza tra i rendimenti del gestore e del benchmark è mediamente negativa. Ciò avvalora le precedenti considerazioni
sulla necessità di scegliere in modo opportuno l’orizzonte temporale di riferimento.
Nel diagramma seguente è indicata la pro-
Probabilità di non battere il benchmark al variare dell’orizzonte temporale
(IR=0.40)
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
3
9
15
21
27
33
39
Orizzonte temporale (mesi)
48
45
51
57
60
periodo di confronto
babilità di non battere il benchmark al variare dell’orizzonte temporale considerando
uno stile di gestione attivo di un gestore che
batte mediamente il benchmark del 2% annuo con un tracking error del 5%, come nel
caso discusso finora.
I valori suggeriscono importanti osservazioni. Se la probabilità di non battere il benchmark dopo 3 mesi è addirittura superiore al
40%, dopo 24 mesi risulta comunque maggiore del 25% e dopo 60 è ancora ampiamente al di sopra del 15%. Eppure un gestore in grado di battere mediamente il benchmark ogni anno del 2% è un ottimo gestore.
Le ipotesi sul tracking error, d’altro canto,
sono assolutamente plausibili.
Modificando i parametri del modello è interessante vedere quale effetti si registrano ad un
aumento della qualità del gestore (information ratio più elevato) (diagramma seguente).
un caso particolare come quest’ultimo occorrono almeno 36 mesi per ridurre la probabilità dell’errore di valutazione ad un livello
accettabile. Per chi avesse familiarità con la
statistica, tutte queste brevi riflessioni non
descrivono altro che il concetto di stimatore
efficiente ed di intervallo di confidenza.
I risultati vanno così interpretati: valutare
una gestione di portafoglio mediante i valori
di performance passati ha senso soltanto su
un orizzonte temporale di medio/lungo periodo. Sul medio/breve periodo il riferimento
ai valori di performance deve essere quantomeno affiancato da altri criteri di tipo qualitativo. Si osservi che la definizione di breve,
medio e lungo periodo è relativa al tipo di
mercato analizzato. Ad esempio, per analizzare un portafoglio obbligazionario a bassa
duration i valori che abbiamo ipotizzato per
il tracking error e la capacità di battere il
Probabilità di non battere il benchmark al variare dell’orizzonte temporale
(IR=0.75)
45%
40%
35%
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
3
9
15
21 27
33
39
45
Orizzonte temporale (mesi)
Come appare evidente un gestore di qualità
eccezionale necessita di un tempo minore di
valutazione (la qualità è tale da compensare
con un numero minore di osservazioni gli effetti degli errori casuali). Tuttavia anche in
51
57
60
benchmark dovrebbero essere modificati.
Comunque la probabilità di non battere il
benchmark avrà un andamento decrescente
nel tempo e il senso delle considerazioni realizzate non ne viene alterato.
49
classi di rischio
LE CLASSI DI RISCHIO
Nel futuro del risparmio gestito si può intravedere l’aumento sostanziale del “financial planning”
Per “financial planning” si intende la consulenza alla vendita di prodotti di investimento che si fonda su una analisi delle attività e
passività finanziarie attuali e delle attese del
cliente.
Uno dei possibili errori che si compiono
quando ci si trova ad effettuare decisioni di
investimento è tipicamente quello di selezionare i fondi sulla base del loro rendimento atteso, trascurando viceversa di prenderne
in considerazione la rischiosità.
Più correttamente il risparmiatore dovrebbe
valutare in primo luogo il proprio vincolo di
rischio, direttamente correlato al profilo
temporale dell’investimento, e su tale base
cercare di massimizzare il proprio rendimento atteso.
In un certo senso si dovrebbe ribaltare la
logica più intuitiva che ci spinge a ricercare il massimo rendimento assoluto, anziché
il miglior rendimento vincolato.
La definizione del rischio e la sua identificazione con parametri sintetici apre sicuramente la porta a un dibattito di amplissima
portata.
Più in particolare è interessante esplorare la
possibilità di individuare un parametro di
rischiosità che sia, allo stesso tempo, fondato metodologicamente e molto facilmente
comprensibile al largo pubblico dei risparmiatori.
Un primo tentativo di analisi ha dato risultati incoraggianti, che dovrebbero essere oggetto di un approfondimento metodologico
50
per arrivare ad una definizione di comune
applicazione di una classificazione di rischiosità, in analogia a quanto avviene già
oggi per la classificazione di Assogestioni
delle categorie di mercato.
Si immagini infatti di volere costruire una
semplice ed efficiente classificazione di rischiosità, che consenta di associare al livello
di rischio del prodotto un valore numerico
di immediata comprensibilità.
Per ogni categoria di mercato definita da
Assogestioni si individua un benchmark di
riferimento.
Va sottolineato che si tratta solamente di
uno dei molti benchmark che potrebbero
validamente essere selezionati.
Infatti, dal punto di vista della scomposizione in classi di rischio omogenee dell’insieme
delle categorie, è necessario supporre che
tutti i possibili benchmark dei prodotti appartenenti alla medesima categoria non
identifichino gradi di rischiosità marcatamente differenti.
Quindi, sulla base delle volatilità del benchmark di riferimento, si identificano le classi
di rischio “tipiche”.
La volatilità del benchmark è stata calcolata
su un periodo di tre anni con rilevazioni a
frequenza settimanale (come prescritto dal
regolamento della Consob sulle modalità di
redazione del prospetto).
Il risultato è non solo di facile lettura, ma
anche pienamente coerente con le aspettative dei modelli finanziari e fondato metodologicamente (come si potrà rilevare dalla
lettura della sezione successiva).
Il grafico mostra i risultati ottenibili in pri-
classi di rischio
La volatilità e le classi di rischio indicative delle categorie Assogestioni
30%
25%
20%
15%
10%
5%
0%
ma battuta: ogni categoria di fondi di investimento si può collocare in una classe di rischio ben individuata, definita in base alla
volatilità minima e massima che la caratterizza. I diversi fondi si collocano in una delle sette classi di rischio identificate, non
sempre necessariamente coincidente con
quella della categoria di appartenenza.
Pur non evidenziando elementi di particolare sorpresa, si nota l’immediatezza e la leggibilità dei risultati.
Un semplice numero da 1 a 7 indicherebbe
la rischiosità del fondo, aiutando così il ri-
sparmiatore nelle sue scelte di investimento.
Lo sviluppo di una classificazione di rischio
necessita indubbiamente di una approfondita opera di valutazione sia dei suoi fondamenti metodologici sia dell’applicabilità ad
un contesto commerciale.
Come primo contributo, la prossima sezione
propone un’analisi statistica delle caratteristiche di volatilità delle diverse categorie di
Assogestioni.
La tabella seguente riporta le classi di rischio e la volatilità dei benchmark di riferimento per ogni categoria Assogestioni.
51
classi di rischio
Classe di rischio e volatilità
Classe di Rischio
1
2
3
4
5
6
7
52
Range
Categoria Assogestioni
Volatilità
0
Liq.Area Euro
0,1%
2,5
Obb.Area Euro BT
1,0%
2,5
Obb.Area Euro M/LT
3,7%
5
Obb. Area Europa
3,9%
5
Obb. Internaz.
5,5%
10
Obb. Misti
6,9%
10
Obb.Area Dollaro
9,8%
Bilanciati
13,4%
15
Obb. Area Yen
14,7%
15
Az.Internaz.
17,8%
Az.Europa
18,2%
20
Az. Area Euro
20,3%
20
Az.America
21,0%
Obb. Paesi Emerg.
22,6%
Az. Pacifico
23,8%
25
Az.Italia
23,9%
>25
Az. Paesi Emerg.
26,9%
analisi del rischio
UNA METODOLOGIA PER L’ANALISI DEL RISCHIO
di Dario Brandolini e Raffaele Zenti - RAS Asset Management SGR
L’obiettivo di questa sezione è quello di delineare una tecnica per verificare se il mutamento dello stile di gestione di un fondo,
ovvero il passaggio da una classe di rischio
ad un’altra, possa essere rilevato attraverso
un’analisi della volatilità dei suoi rendimenti storici (intenderemo la volatilità come deviazione standatd dei medesimi).
La metodologia
Per verificare l’aderenza di un fondo comune
di investimento ad una dichiarata categoria
di gestione, utilizzando come discriminante
la volatilità, si pone il problema di trovare
una metodologia in grado di stabilire se due
valori di volatilità siano significativamente
differenti.
Preliminarmente occorre definire i benchmark di ciascuna categoria gestionale, ossia
di ogni categoria di Assogestioni, e verificare che i valori di volatilità associati differiscano tra loro. Infatti, laddove le categorie
non presentino volatilità significativamente
diverse, mutamenti nello stile di gestione
non possono essere individuati utilizzando
la stima puntuale della volatilità. Il problema potrebbe essere parzialmente superato
confrontando i “path” di volatilità delle variabili finanziarie in esame.
Dopo aver effettuato questa verifica si può
procedere all’analogo test per stabilire se un
fondo presenta una volatilità assimilabile a
quella di una prefissata categoria gestionale.
Se ciò avviene abbiamo elementi a favore
dell’appartenenza del fondo alla categoria
gestionale in oggetto. Per verificare se due
valori di volatilità sono significativamente
differenti si può utilizzare il classico test F
sul rapporto delle varianze dei rendimenti.
Se σi è la volatilità del generico i-esimo benchmark, stimata utilizzando n osservazioni,
e σj è la volatilità del generico j-esimo benchmark, stimata
utilizzando
m osservazioni,
2
2
il rapporto σi /σj si distribuisce secondo
una distribuzione F con n-1 e m-1 gradi di libertà. L’ipotesi da sottoporre a verifica (tecnicamente detta “ipotesi nulla”) è:
2
2
H0 : σi = σj
Il test impiegato per verificare l’ipotesi nulla è:
2
2
σi /σj ∼ F(n-1, m-1, 1-α)
dove 1-α è il livello di confidenza prescelto
(per il test riportato, pari al 90%).
Si osservi che, per effettuare il test in esame,
occorrono dati storici in numero tale da garantire significatività ai risultati.
Come precedentemente si accennava, se due
volatilità non appaiono significativamente
diverse è opportuno procedere ad un’analisi
della loro dinamica (il “path” storico della
volatilità).
Relativamente all’analisi svolta, lo studio del
“path” di volatilità è stato effettuato utilizzando un modello della famiglia GARCH(1,1)
con possibilità di tenere conto di shock asimmetrici, ossia un TARCH(1,1) (si veda Closten,
L.R., Jaganathan, R., Runkle, D., “On the Relation between the Expected Value and the Volatility of
the Normal Excess Return on Stocks”, Journal of
Finance, n° 48, 1993).
53
analisi del rischio
Tale modello prevede che le “cattive notizie”
(ossia “innovazioni negative”) possano avere
un impatto differente dalle “buone notizie”.
La formulazione analitica del modello è:
rt = σt εt
2
2
2
2
σt = α + β σ t-1 + γ ε t-1 + dummyt-1 ϕ ε t-1
dove rt e εt sono, rispettivamente, il rendimento storico e la relativa innovazione
(shock idiosincratico) al tempo t; σt è la volatilità dei rendimenti nello stesso istante; α,
β, γ, ϕ sono parametri del modello. La variabile dummyt assume valore 1 se εt <0 (cioè se vi
è uno shock negativo al mercato), valore 0 negli
altri casi. In questo modello l’asimmetria è
evidente: le cattive notizie (εt <0) hanno un
impatto pari a ϕ+γ, mentre le buone notizie
(εt >0) hanno un impatto pari a γ.
La modellistica a disposizione per descrivere
la dinamica storica della volatilità è estremamente ampia e il modello impiegato è
soltanto una delle possibili soluzioni. La famiglia dei modelli GARCH, inclusi i modelli di tipo EWMA, offre un’ampia scelta
di specificazione. Nel proseguo del lavoro
abbiamo effettuato un’applicazione esemplificativa della metodologia proposta, riferendola a un insieme di benchmark rappresentativi di 16 categorie gestionali.
I dati
I dati utilizzati hanno frequenza giornaliera
e riguardano l’intervallo temporale che va
dal 04/01/99 all’11/07/99. La fonte dei dati
è MoneyMate. Le categorie gestionali considerate, la composizione dei benchmark ipotizzata e le abbreviazioni utilizzate sono riportate nella Tabella 1.
Tabella 1
Nome esteso
Composizione benchmark
Azionari mercati emergenti
Codice serie Codice volatilità
90% MSCI EM+10% BOT (MTS)
ASSOAZEM.BEP
F1
G1
Azionari Europa
90% MSCI Europe+10% BOT (MTS)
ASSOAZEU.BEP
F2
G2
Azionari Globali
90% MSCI AC World fr.+10% BOT (MTS)
ASSOAZGL.BEP
F3
G3
90% Comit G.+10% BOT (MTS)
ASSOAZIT.BEP
F4
G4
Azionari Pacifico
90% MSCI Pacific+10% BOT (MTS)
ASSOAZPA.BEP
F5
G5
Azionari EMU
90% MSCI EMU+10% BOT (MTS)
ASSOAZUE.BEP
F6
G6
Azionari Italia
Azionari USA
90% MSCI USA+10% BOT (MTS)
ASSOAZUS.BEP
F7
G7
Bilanciati
25% Comit G.+25% MTS G.+25%MSCI AC World fr.+25% JP Morgan G.
ASSOBILA.BEP
F8
G8
Liquidità
100% Indice medio Depositi in c/c
ASSOFLIQ.BEP
F9
G9
100% BOT (MTS)
ASSOOBBT.BEP
F10
G10
Obbligazionati Euro BT
Obbligazionari Euro
Obbligazionari Globali
Obbligazionari Giappone
Obbligazionari Misti
Obbligazionari Euro MT
Obbligazionari USA
54
Nome breve
90% JP Morgan Europe+10% BOT (MTS)
ASSOOBEU.BEP
F11
G11
90% JP Morgan G.+10% BOT (MTS)
ASSOOBGL.BEP
F12
G12
90% JP Morgan Japan+10% BOT (MTS)
ASSOOBJP.BEP
F13
G13
90% MTS G.+5% MSCI AC World fr.+5%JP Morgan G.
ASSOOBMI.BEP
F14
G14
70% BTP (MTS)+10% BOT (MTS)+20% CCT (MTS)
ASSOOBML.BEP
F15
G15
90% JPM USA+10% BOT (MTS)
ASSOOBUS.BEP
F16
G16
analisi del rischio
I risultati
Con riferimento a ogni possibile coppia di
benchmark delle categorie gestionali individuate, abbiamo testato l’ipotesi nulla che le
volatilità non fossero significativamente diverse.
I risultati dell’analisi sono riportati nella Tabella 2 e nella Tabella 3. La Tabella 2 mostra
le volatilità dei benchmark delle 16 categorie (oltre ad alcune statistiche descrittive ed
al test di normalità di Jarque-Bera); la Tabella 3 riproduce i risultati del test F. Nella
Tabella 3, le coppie di benchmark per le
quali non si riscontrano significative differenze delle volatilità sono evidenziate in
grassetto. Nelle pagine successive si trovano
inoltre i grafici delle volatilità TARCH(1,1)
dei benchmark esaminati .
Dall’analisi congiunta del test F e dei grafici
emerge che le coppie di volatilità che non
sono significativamente diverse secondo il
test F, se osservate nella loro dinamica storica, risultano invece chiaramente dissimili. A
titolo di esempio sono riportati i grafici delle serie storiche di volatilità dei benchmark
degli Azionari Globali (codice serie F3 e codice di volatilità G3) e degli Azionari Europei (F2, G2), che sulla base del test F non si
potevano statisticamente distinguere. È invece evidente dal confronto dei due grafici
come il “p a t h” storico di volatilità sia
profondamente differente e sia quindi possibile differenziare le due categorie di investimento azionario sulla base dell’esame delle
loro volatilità.
Unica eccezione i benchmark delle categorie Obbligazionari Misti (F14, G14) e Obbligazionari Euro MT (F15, G15), la cui
composizione è in effetti molto simile (cfr.
Tabella 1).
Si può quindi affermare che, nel campione
considerato, l’impiego contestuale del test F
e dell’analisi grafica offre la possibilità di valutare la presenza di significative differenze
nei valori di volatilità.
Conclusioni
La sezione ha proposto una metodologia di
supporto per verificare se il passaggio di un
fondo da una categoria gestionale ad un’altra possa essere rilevato mediante l’analisi
della volatilità dei suoi rendimenti storici.
La metodologia proposta si basa sull’impiego congiunto del test F sulle varianze dei
rendimenti e dell’analisi grafica del “path”
storico della volatilità, stimata con un modello della famiglia GARCH.
I risultati sul campione esaminato sono
piuttosto incoraggianti. Infatti abbiamo riscontrato che le differenze di volatilità che
sfuggono al semplice test F vengono colte
dall’analisi del “path” di volatilità.
In pratica è stato possibile verificare la possibilità di individuare valori di volatilità distinti per (quasi) tutti i benchmark che possono essere associati alle categorie di investimento dei fondi comuni definite da Assogestioni. Questo risultato non è del tutto scontato, quando si pensi che nel caso dei fondi
azionari internazionali la volatilità dei rendimenti dei mercati interagisce con quella
dei cambi, creando un movimento complessivo di difficile interpretazione.
In effetti l’utilizzo di un’analisi grafica dell’andamento storico della volatilità consente
proprio di individuare le determinanti di
queste diverse volatilità, che a livello di test
F sulla deviazione standard complessiva non
si potevano distinguere.
Il periodo di analisi utilizzato ha tenuto
conto dei cambiamenti strutturali intervenuti proprio sulle caratteristiche dei mercati
55
analisi del rischio
di investimento dei fondi, in particolare con
la nascita dell’euro, e quindi con la scomparsa di un fattore rilevante di volatilità nei
cambi. Si è poi preferito utilizzare i dati di
benchmark ragionevolmente associabili alle
categorie dei fondi comuni introdotte all’inizio di quest’anno, abbiamo infatti ritenuto che per certe categorie nuove (si pensi ad
esempio ai fondi bilanciati, categoria interamente ridefinita) il processo di trasformazione dei portafogli dei fondi che vi erano
confluiti, distorcesse l’esame della volatilità
media complessiva della categoria.
Con la progressiva creazione di serie storiche
di dati più significative si possono individuare alcuni sviluppi possibili di questa analisi.
Il primo punta ad una verifica su un più ampio periodo di tempo (ad esempio tre anni)
dei risultati ottenuti. Pur sapendo che la nascita dell’euro ha avuto un impatto importante sui mercati, sarebbe infatti interessante testare la robustezza di questo approccio
anche in presenza di break strutturali come
l’introduzione della moneta unica europea.
Un secondo approccio potrebbe invece puntare all’analisi diretta dei dati di volatilità
degli indici delle nuove categorie dei fondi
comuni; a questo fine si potrebbero utilmente impiegare gli indici RAM medi aritmetici delle categorie, che danno pari peso
56
a tutti i fondi appartenenti alla categoria.
Infine un ultimo approccio potrebbe partire
dall’individuazione di un benchmark medio
per ogni categoria, ad esempio attraverso
una “style analysis” degli indici medi aritmetici, e quindi testare l’esistenza di classi di
rischio separate e ben identificabili riferite a
questi benchmark.
Questa sezione mostra ancora una volta
l’importanza di valutare le attività finanziarie su un opportuno orizzonte temporale, la
cui scelta deve avvenire in funzione della rischiosità dell’investimento.
La conseguenza di questa analisi è di aver
trovato una sorta di prerequisito all’operazione di identificazione delle classi di rischio descritta nella sezione precedente. In
altri termini, abbiamo constatato la concreta
possibilità di suddividere l’industria dei
fondi comuni in classi di rischio, ovvero in
gruppi contraddistinti da un profilo di rischiosità assimilabile e ragionevolmente stabile nel tempo. Si può quindi affermare che
è possibile testare l’appartenenza di ogni
singolo fondo alla categoria di investimento
prescelta non soltanto attraverso l’esame dei
mercati di investimento, ma anche attraverso l’analisi della volatilità complessiva del
portafolgio e soprattutto del “path” storico
di tale volatilità.
analisi del rischio
57
analisi del rischio
58
analisi del rischio
Alcuni grafici delle serie storiche di volatilità
G2
30,00%
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
G3
20,00%
16,00%
12,00%
8,00%
4,00%
0,00%
59
analisi del rischio
G14
3,50%
3,00%
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,50%
0,00%
G15
4,00%
3,50%
3,00%
2,50%
2,00%
1,50%
1,00%
0,50%
0,00%
60
fiscalità
LA FISCALITÀ
In Italia, a differenza della quasi totalità degli altri paesi, l’imposizione fiscale sui redditi provenienti dall’investimento in fondi
comuni non grava sul risparmiatore al momento della dichiarazione del reddito, bensì
grava direttamente sul fondo in forma di
sostituto d’imposta.
In pratica il fondo paga direttamente le imposte e il risparmiatore non è gravato da
nessun adempimento fiscale.
Questo sistema, che presenta numerosi vantaggi per il fisco e per il risparmiatore (l’uno
perché deve controllare solo poche centinaia
di contribuenti anziché milioni di individui,
l’altro perché non è gravato dalle procedure
di adempimento e dalla progressività delle
imposte sul reddito), tuttavia penalizza le
performance del fondo a causa del mancato
reinvestimento dei cash-flow fiscali.
I fondi di investimento in Italia calcolano
una quota netta, ossia preventivamente
sgravata degli oneri fiscali. Virtualmente il
fondo accantona giorno per giorno la parte
del proprio patrimonio destinata al fisco,
fissa tale importo il 31 dicembre di ogni anno e versa l’ammontare il 28 febbraio dell’anno successivo.
Tale procedura determina un effetto distorcente: il fondo italiano non attende il momento del riscatto per liquidare l’intera
quota, bensì versa annualmente le imposte
pro quota per conto del sottoscrittore, subendo l’effetto del mancato reinvestimento
del pagamento fiscale.
Di tale mancato reinvestimento è necessario
tenere conto ogni qual volta si intenda confrontare il rendimento di un fondo italia-
no con quello di un fondo estero o con un
indice di mercato.
I pagamenti effettuati al fisco dal 1° luglio
1998 possono essere ricalcolati con buona
precisione per via analitica sulla base del valore delle quote nette e quindi possono essere oggettivamente ricostruiti.
Precedentemente a tale data, solamente la
singola società di gestione può disporre dei
dati inerenti ai pagamenti fiscali, in quanto
le molteplici imposte gravanti sulle diverse
attività finanziarie del fondo non consentivano di calcolarne il valore sulla base della
quota netta.
La regola fissata da Assogestioni per realizzare un confronto corretto tra le differenti
forme di investimento, reali o virtuali, è la
seguente:
•
fondo italiano (netto) <> fondo estero
(lordo)
Si procede “lordizzando” il fondo italiano, ossia reinvestendo virtualmente
i pagamenti effettuati al fisco. Il confronto lordo su lordo trova motivazione nell’aderenza allo standard internazionale dei mercati della gestione istituzionale, secondo il quale il gestore è
valutato indipendentemente da ogni
fattore esogeno (tassazione, struttura
delle commissioni)
•
fondo italiano (netto) <> indice di
mercato (lordo)
Si procede “nettizzando” l’indice di
mercato, ossia sottraendo dall’indice gli
oneri fiscali applicabili. Il confronto
netto su netto è richiesto dall’Autorità
di controllo, la Consob, al fine di man61
fiscalità
tenere la massima trasparenza sul valore
della quota netta che è reso pubblico
Sebbene apparentemente le due procedure,
di nettizzazione e di lordizzazione, siano ritenute di semplice applicazione, ossia richiedano una semplice moltiplicazione per
0.8750 o viceversa una divisione per
62
1.1250, in realtà l’effetto dovuto all’imposizione su base annua, anziché al momento
del riscatto della quota, diventa molto importante nel lungo periodo.
La sezione seguente illustra una metodologia di nettizzazione del benchmark utile ad
ovviare a questo problema.
calcolo benchmark netto
PROCEDURA DI CALCOLO DEL BENCHMARK NETTO
di Silvio Giudici - Intesa Asset Management SGR
In questa sezione si intende proporre una
procedura per il calcolo degli indici di riferimento o benchmark al netto degli oneri fiscali, che di seguito chiameremo semplicemente benchmark netti.
Gli indici di mercato, a differenza del portafoglio gestito, non sono gravati dagli oneri
fiscali né dalle commissioni di gestione.
La soluzione più semplice da adottare è senza dubbio quella di calcolare la performance
del portafoglio gestito al lordo di tali oneri.
Si ritiene peraltro che questa soluzione sia
inopportuna per le comunicazioni sul mercato domestico: il sottoscrittore italiano è
infatti abituato a ragionare con prezzi netti.
L’unica strada che rimane da percorrere è
quella della nettizzazione dei benchmark.
Tale operazione viene effettuata considerando solo gli oneri fiscali, essendo questi gli
unici oneri la cui incidenza è indipendente
sia dal gestore sia dal sottoscrittore e può essere calcolata in modo oggettivo.
Considerato che l’attuale regime impositivo
(in vigore a partire dal 1/7/98) prevede l’applicazione di un’aliquota τ (pari al 12.5%)
sulle variazioni di patrimonio, comunemente si ritiene sufficiente calcolare la performance netta dell’indice di riferimento nel
modo seguente:
performance netta=performance lorda*(1-τ) (1)
Questo calcolo, non tenendo conto del problema della capitalizzazione dei cash-flow
fiscali, risulta corretto solo quando, nel periodo considerato, non ci sia stato alcun cash-flow fiscale. In caso contrario, può co-
munque fornire una buona approssimazione
della performance netta del benchmark
quando il periodo non superi l’anno.
Presentiamo ora un metodo per il calcolo
dell’indice di confronto netto che tenga conto del problema della capitalizzazione dei
cash-flow fiscali.
Il metodo, che calcola i livelli dell’indice
netto a partire da quello lordo, ha la seguente formulazione
Nt=Nt-x [(Lt/Lt-x -1) (1-τ) + 1]
(2)
ovvero
Nt=Nt-x[Lt/Lt-x (1-τ) + τ]
(2’)
dove:
Lt
è il livello dell’indice benchmark lordo al tempo t
Nt è il livello dell’indice benchmark netto
al tempo t
x
misura il tempo trascorso dall’ultimo
cash-flow fiscale (uscita o entrata). Ad
esempio, se l’unità di misura del tempo sono i giorni, x è il numero di giorni trascorsi dall’ultimo cash-flow fiscale. t - x non può essere precedente
all’1/7/98
τ
è l’aliquota fiscale applicata.
La performance netta dell’indice di riferimento è quindi data da
performance netta = Nt/Nt-y - 1
(3)
dove y misura il periodo a cui si riferisce la
performance.
63
calcolo benchmark netto
È immediato verificare che l’equazione (3)
fornisce gli stessi risultati dell’equazione (1)
quando nel periodo considerato non ci sia
stato alcun cash-flow fiscale.
Derivazione del metodo
Il metodo proposto è stato derivato direttamente dal processo di nettizzazione contabile del patrimonio.
Per semplificare la trattazione assumiamo
che non vi siano flussi di liquidità oltre il
primo, cioè che i sottoscrittori operino un
solo versamento. Siano:
P0
rt
x
τ
υk
il patrimonio iniziale
il rendimento lordo del patrimonio
tra il tempo t-1 e t
il tempo trascorso dall’ultimo
cash-flow fiscale
l’aliquota fiscale applicata
il fattore di capitalizzazione (lordo)
dal tempo k al tempo t, ovvero
t
υk = Π (1+ri)
i=k
(4)
Al tempo t possiamo quindi esprimere:
•
il patrimonio lordo come
PLt = P0 υ1
•
il patrimonio investibile o disponibile come
Pt = Pt-x υt-x+1
•
64
(6)
il fondo imposte e tasse come
Tt = Pt-x τ (υt-x+1 - 1)
•
(5)
il patrimonio netto come
(7)
PNt = Pt-x [υt-x+1 (1-τ) + τ]
(8)
PNt = PNt-x [υt-x+1 (1-τ) + τ]
(8’)
ovvero
essendo il patrimonio investibile coincidente col patrimonio netto al tempo t-x (giorno
in cui vengono pagate le tasse):
Pt-x = PNt-x
Poiché Lt/Lt-x esprime il fattore di capitalizzazione (lordo) dal tempo t-x al tempo t, si
può concludere che l’equazione (2’) e la (8’)
definiscono i netti al tempo t nello stesso
modo. QED.
Primo esempio
Presentiamo ora un esempio numerico che
mostra come il processo di nettizzazione
contabile del patrimonio e il processo di
nettizzazione del relativo indice portino agli
stessi risultati in termini di performance.
Si è supposto di disporre di un patrimonio
iniziale pari a 500 da investire per nove periodi.
Le tasse vengono pagate/riscosse nel terzo,
sesto e nono periodo.
La tabella 1 illustra, per ogni periodo, l’andamento del patrimonio lordo e netto e del
relativo indice.
La tabella comprende anche una sezione dedicata al patrimonio disponibile contenente
i seguenti valori:
•
il livello del patrimonio disponibile
(numeri in grassetto)
•
le tasse pagate/riscosse
(numeri in corsivo)
•
il livello del patrimonio disponibile
prima delle tasse (numeri rimanenti).
calcolo benchmark netto
Tabella 1
t
Rend.
lordo
0
Patrimonio
lordo
disponibile
Indice
netto
lordo
netto
500.00
500.00
500.00
100.00
100.00
525.00
525.00
521.88
105.00
104.38
1
5%
2
10%
577.50
577.50
3
8%
623.70
623.70 15.46
4
-7%
5
-5%
567.81
115.50
113.56
608.24
608.24
124.74
121.65
580.04
565.66
570.98
116.01
114.20
551.04
537.38
546.24
110.21
109.25
617.98
6
15%
633.69
616.77
616.77
126.74
123.35
7
-11%
563.99
1.22
548.92
557.40
112.80
111.48
8
30%
733.18
713.60
701.49
146.64
140.30
9
6%
777.18
756.41
17.46 738.96 738.96
155.44
147.79
Performance
lorda 55.44%
55.44%
netta 48.51%
I rendimenti lordi di periodo sono riportati
in seconda colonna.
L’indice netto, costruito con l’equazione (2’),
fornisce al nono periodo la stessa performance del patrimonio netto, calcolato con l’equazione (8’), e del patrimonio disponibile,
calcolato con l’equazione (6).
Tale performance non coincide con quella
calcolata con l’equazione (1) e riportata in
terza e in penultima colonna.
47.79% 47.79%
riodo di un anno, l’indice lordo:
•
•
abbia un trend crescente (scenario 1)
fletta per poi riportarsi al livello di
partenza (scenario 2).
Nella tabella 2 riportiamo il livello degli indici lordi e netti nelle date seguenti:
•
•
Secondo esempio
•
Con questo esempio mostriamo come la
performance netta di un indice calcolata con
la (1) possa essere molto diversa da quella
dell’indice netto definito dalla (2’).
A tal proposito supponiamo che, su un pe-
48.51% 47.79%
1/7/98 (data di inizio periodo)
28/2/99 (data in cui vengono pagate e
riscosse le tasse)
1/7/99 (data di fine periodo).
Gli indici netti sono stati calcolati utilizzando l’equazione (2’). Le performance nette
in corrispondenza delle colonne “indice lordo” sono calcolate con l’equazione (1).
65
calcolo benchmark netto
Tabella 2
Scenario 1
data
Scenario 2
indice lordo
indice netto
indice lordo
indice netto
01/07/98
250.00
100.00
250.000
100.00
28/02/99
400.00
152.50
200.000
82.50
01/07/99
500.00
185.86
250.000
100.55
Performance
66
lorda
100.00%
netta
87.50%
0.00%
85.86%
0.00%
0.55%
ribilanciamento
IL RIBILANCIAMENTO
di Claudio Tosato - Deutsche Bank Fondi
Metodologia di calcolo della performance
per un benchmark composito
Non sempre il benchmark adottato per un
fondo comune d’investimento è composto
da un unico indice di mercato.
In diversi casi, tipicamente per i fondi bilanciati e quelli azionari (spesso i benchmark
utilizzati per fondi azionari prevedono una minima quota cash, tipicamente del 10%, finalizzata a creare un opportuno cuscinetto di liquidità
utile per fronteggiare brusche variazioni nelle sottoscrizioni o nei rimborsi), il benchmark è costruito come combinazione di più indici di
mercato variamente pesati.
In questa evenienza il calcolo della performance presenta qualche complicazione in
più rispetto ai benchmark basati su di un
unico indice di mercato, e richiede una certa attenzione nella scelta della frequenza di
calcolo, in quanto, specie in condizioni di
mercati particolarmente volatili, la performance cambia a seconda della frequenza
utilizzata.
Di seguito mostreremo la metodologia di
calcolo della performance nel caso semplice
di un benchmark composto di due soli indici di mercato, distinguendo tra due diverse ipotesi di frequenza di elaborazione: annuale (sebbene Assogestioni stabilisce che la frequenza di calcolo sia compresa tra il giorno ed il
trimestre, in questo ambito, a puro scopo esemplificativo, verranno utilizzate anche frequenze al
di fuori di tale range) e trimestrale.
Successivamente evidenzieremo con un
esempio numerico le differenze di risultato
che si possono rilevare al variare della fre-
quenza utilizzata. Infine, daremo la formulazione generale dell’algoritmo di calcolo
per N indici ed una generica frequenza variabile dal giorno all’anno.
Calcolo performance di benchmark
composto di due indici
Si supponga di dover calcolare la performance di un benchmark composto di due indici
di mercato, che indicheremo con I1 e I2, pesati rispettivamente con w1 e w2 (naturalmente dovrà essere w1 + w2 = 100% con w1
e w2 entrambi ≥ 0).
Prima ipotesi:frequenza annua
In questo caso la performance viene calcolata sulla base di due osservazioni per ciascun
indice:
I1 = {I1,0 , I1,T}
I2 = {I2,0 , I2,T}
ove I1,0 e I2,0 rappresentano il valore dei due
indici a inizio periodo, mentre I1,T e I 2,T
corrispondono al loro livello a fine periodo,
ovvero dopo un anno.
La performance annua per i due indici sarà
dunque data da:
i1= (I1,T - I1,0) / I1,0
i2= (I2,T - I2,0) / I2,0
Pertanto la performance del benchmark B è
data da:
pB = w1 i1 + w2 i2
67
ribilanciamento
Esempio:
Si voglia calcolare la performance nel periodo 31/12/97 - 31/12/98 di un benchmark
composto del 60% dell’indice Comit e del
40% dell’indice JP Morgan Italy
Siano:
I1
il valore dell’indice Comit
w1 = 60% il suo peso nel benchmark
I2
il valore dell’indice JP Morgan
Italy
w2 = 40% il suo peso nel benchmark
I1= {I1,0 , I1,T} = {1053.18 , 1486.99}
i1,3 = (I1,3 - I1,2) / I1,2
i1,4 = (I1,4 - I1,3) / I1,3
i2,1 = (I2,1 - I2,0) / I2,0
i2,2 = (I2,2 - I2,1) / I2,1
i2,3 = (I2,3 - I2,2) / I2,2
i2,4 = (I2,4 - I2,3) / I2,3
da cui si ricava la performance del benchmark in ciascun trimestre:
p1 = w1 i1,1 + w2 i2,1
p2 = w1 i1,2 + w2 i2,2
p3 = w1 i1,3 + w2 i2,3
p4 = w1 i1,4 + w2 i2,4
i1=(I1,T - I1,0)/I1,0 = (1486.99-1053.18)/1053.18 = 41.19%
La performance annua sarà data da:
I2= {I2,0 , I2,T} = {396.65 , 447.05}
pB = (1+p1) (1+p2) (1+p3) (1+p4) - 1
i2=(I2,T - I2,0)/I2,0 = (447.05-396.65)/396.65 =12.71%
Si osservi come con la stessa metodologia sia
possibile costruirsi un numero indice, per
esempio con base 100 all’inizio del periodo,
utile per rappresentare l’evoluzione del benchmark nel tempo e per calcolare la performance su diversi periodi.
Infatti, il numero indice con base 100 in
t=0, a t periodi è dato da:
pB= w1 i1+w2 i2 = 60% (41.19) + 40% (12.71) = 29.80%
Seconda ipotesi:frequenza trimestrale
Se la performance del benchmark viene calcolata con frequenza trimestrale e poi composta per ottenere quella annuale, saranno
necessarie cinque osservazioni per ogni indice: una riferita al primo giorno del primo
trimestre, I...,0, e quattro relative al valore
dell’indice alla fine di ciascun trimestre,
quindi, in questo caso, T=4:
Pt = 100 (1+p1) (1+p2) … (1+pt)
al variare di t da 1 a T si ottiene l’intera serie
storica del benchmark.
Esempio:
I1= {I1,0 , I1,1 , I1,2 , I1,3 , I1,4}
I2= {I2,0 , I2,1 , I2,2 , I2,3 , I2,4}
Si avranno quindi quattro performance trimestrali per ognuno dei due indici:
i1,1 = (I1,1 - I1,0) / I1,0
i1,2 = (I1,2 - I1,1) / I1,1
68
Nella tabella seguente sono riportati i dettagli relativi al calcolo della performance con
frequenza trimestrale del medesimo benchmark di cui all’esempio precedente. Come si
osserverà la performance alla fine del periodo risulta pari a 32.39% ((132.39-100)/ 100)
che è ben diversa dal precedente 29.8%.
ribilanciamento
Calcolo del benchmark con frequenza trimestrale
COMIT
JP Morgan Italy
Benchmark
giorni
N. Indice
Perf. Trim.
N. Indice
t
i1,t
I2,t
396.65
i2,t
0 31/12/97
I1,t
1053.18
Pt
100.00
1 31/03/98
1537.16
45.95%
409.43
3.22%
128.86
28.86%
2 30/06/98
1426.92
-7.17%
416.71
1.78%
124.23
-3.59%
3 30/09/98
1185.72
-16.90%
433.97
4.14%
113.69
-8.49%
T 31/12/98
1486.99
25.41%
447.05
3.01%
132.39
16.45%
Criticità e significato
della scelta della frequenza di calcolo
I due esempi appena visti mostrano come a
parità di benchmark la performance può essere diversa a seconda della frequenza di calcolo utilizzata. Per completezza, nella tabella
seguente riportiamo la performance del medesimo benchmark usato negli esempi precedenti, calcolata su frequenze che variano dal
giorno all’anno. Le significative differenze di
risultato (la performance varia da un minimo
di 29.8% ad un massimo di 32.4%) evidenziano come sia essenziale per i benchmark
compositi dichiarare accanto alla composizione (indici e pesi) anche la frequenza di
calcolo. Questa è, in effetti, un elemento integrante del benchmark stesso. Infatti, la fre-
Perf. Trim.
N. Indice
Perf. Trim.
pt
quenza di calcolo altro non è che la frequenza
di ribilanciamento dei diversi asset che compongono il benchmark, pertanto essa incide
sulla struttura dell’allocation e, in definitiva,
sul profilo rischio rendimento dello stesso.
In via teorica, se si volesse mantenere perfettamente costante il peso degli asset del benchmark, il ribilanciamento dovrebbe avvenire giornalmente; man mano che ci si allontana da questa frequenza la differente evoluzione degli indici che compongono il benchmark può modificarne la struttura variandone quindi le caratteristiche intrinseche. Nel
primo esempio visto, alla fine dell’anno la
forte crescita del mercato azionario rispetto a
quello obbligazionario ha portato i pesi degli
indici che compongono il benchmark a:
65% Comit e 35% JP Morgan Italy.
Performance del benchmark al variare della frequenza di ribilanciamento
COMIT
N. Indice al
N. Indice al
Performance
Differenza vs
31/12/97
31/12/98
annuale
freq.annuale
1053.18
1486.99
41.2%
JP Morgan Italy
396.65
447.05
12.7%
Benchmark calcolato con frequenza giornaliera
100.00
130.42
30.4%
2
Benchmark calcolato con frequenza settimanale
100.00
130.39
30.4%
0.59%
3
Benchmark calcolato con frequenza mensile
100.00
131.09
31.1%
1.30%
1
0.62%
4
Benchmark calcolato con frequenza trimestrale
100.00
132.39
32.4%
2.60%
5
Benchmark calcolato con frequenza annuale
100.00
129.80
29.8%
0.00%
69
ribilanciamento
70
N
Formule di calcolo nel caso di N indici:una
generalizzazione
pt= Σ wj ij,t
Sia Ij il generico indice componente il benchmark B, con j = 1...N
A questo punto per ottenere la performance
del benchmark nel periodo 0...T sarà sufficiente comporre la performance di ogni singolo sottoperiodo:
j=1
La performance del generico indice Ij nel periodo (t-1, t), sarà:
pB = (1+p1) (1+p2) … (1+pt) … (1+pT) - 1
ij,t = (Ij,t - Ij,t-1) / Ij,t-1
pB = Π(1+pt) -1
con j = 1...N variando t da 1 a T si ottiene la
serie temporale delle performance dei vari
indici.
La performance del benchmark nel generico
periodo (t-1, t) sarà:
Il numero indice con base 100 in t=0 rappresentativo dell’evoluzione del benchmark è
dunque dato da:
pt=w1 i1,t + w2 i2,t + … + wj ij,t + … + wN iN,t
al variare di t da 1 a T.
T
t=1
t
pB = 100 (1+p1) (1+p2)…(1+pt)= 100 Π (1+pk)
k=1
© Assogestioni 1999
finito di stampare nel novembre 1999
Officina Grafica La Commerciale
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