1 TERZA UNITA` TEMATICA La ridefinizione del ruolo dell

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TERZA UNITA’ TEMATICA
La ridefinizione del ruolo dell’intellettuale di fronte alla modernità all’insegna
dell’antiromanticismo (seconda modalità di reazione): dal realismo impersonale di G. Flaubert
(1821-1880) al romanzo naturalista e verista di E. Zola (1840-1902) e di G. Verga (Catania 18401922)
Premessa (repetita iuvant). Abbiamo visto come di fronte alla modernità e al progresso – di cui
sono emblema il treno e le città – gli intellettuali della seconda metà dell’Ottocento (e, come
vedremo più avanti anche dei primi del Novecento) maturano la consapevolezza di «aver perso
l’aureola» o meglio, messi di fronte alle trasformazioni culturali e antropologiche prodotte dallo
sviluppo industriale e tecnologico della seconda metà dell’Ottocento, essi avvertono la necessità di
ridefinire il proprio ruolo rispetto al modello romantico dell’artista-genio e del poeta-vate.
L’intellettuale, il poeta, l’artista hanno perso la missione di guida dei destini del “popolo” che
avevano in epoca romantica. Lontano dalla logica del profitto ad ogni costo in quanto cultore
dell’arte per sua natura disinteressata, perde il suo ruolo guida nella società e tende a essere
percepito come una figura marginale rispetto alla struttura della società borghese.
Le risposte alla crisi: l’artista maledetto e il romanziere scienziato, “operaio del progresso”
Le risposte alla crisi del rapporto tra intellettuale e società sono sostanzialmente due:
a) da un lato, come abbiamo visto nell’unità tematica 2, Baudelaire (e, più avanti, i poeti
maledetti del Simbolismo) e in Italia gli “Scapigliati” reagiscono alla condizione di marginalità in
cui viene relegato l’artista in generale nella società, ribadendo il carattere elitario dell’arte e dei
suoi valori, assumendo atteggiamenti volutamente ribelli e antiborghesi. L’artista si identifica
così con il ribelle, con il diverso, il drogato, il vagabondo, lo spostato. La figura del poeta maledetto,
e in Italia “scapigliato” sostituisce in chiave polemica quella romantica del poeta-vate. Essi
attribuiscono inoltre alla poesia l’importante funzione di indagare, di scandagliare quelle sfere del
reale che sfuggono tanto all’occhio distratto e superficiale dell’uomo comune, quando all’occhio
indagatore e oggettivo della scienza;
b) dall’altro gli esponenti del Naturalismo (francese) e in maniera diversa i principali autori del
Verismo italiano (Verga, Capuana, De Roberto) ridefiniscono la funzione della letteratura in
chiave “propositiva”, nel senso che intendono utilizzare il romanzo come strumento di indagine e
insieme di denuncia delle distorsioni, delle ingiustizie e degli squilibri sociali conseguenti
all’industrializzazione e alle trasformazioni radicali del sistema produttivo (dominio della borghesia
capitalista e sfruttamento delle masse proletarie nelle fabbriche) e della situazione economica
generale (si allarga sempre più la forbice sociale tra i diseredati, i nullatenenti, i poveri e i ricchi
industriali borghesi). La convinzione di fondo, che anima soprattutto la narrativa naturalista di Zola,
è che anche la letteratura, come la scienza, possa contribuire al progresso e al benessere
materiale; a differenza di Baudelaire e dei poeti della generazione successiva, che rifiutano di
asservire l’arte all’utile coltivando una concezione elitaria della poesia e della letteratura, il
romanziere naturalista e verista, che condividono l’ottimismo positivista per lo sviluppo scientifico
e sociale, non rifiutano ma al contrario cercano una collocazione all’interno della società borghese,
assumendo un ruolo specifico e limitato non più di ideologo, ma di tecnico e scienziato della
letteratura. Egli diventa un ricercatore che documenta, in modo oggettivo e impersonale, la realtà
della vita sociale. Ad altri, ai politici, spetta di intervenirvi con adeguate riforme.
L’argomento della terza unità tematica: l’evoluzione de romanzo realista e i presupposti teorici
del romanzo naturalista e verista
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In questa terza unità tematica approfondiremo la seconda modalità di reazione alla crisi del ruolo
sociale dell’intellettuale, che, come si è detto, è rappresentata dal romanzo naturalista di Zola e
dalle opere veriste di G. Verga. Analizzeremo in prima battuta le “dichiarazioni di poetica”, cioè le
riflessioni “programmatiche” che gli autori in questione ci hanno lasciato sui principi fondamentali
cui si ispira il nuovo modo di rappresentare il “vero”, la realtà sociale contemporanea, rispetto alla
narrativa realista della prima metà dell’Ottocento. In generale, essi, pur ricollegandosi a un’istanza
tipica della letteratura romantica – quella di privilegiare il racconto del “vero”, vale della realtà
contemporanea rispetto alla finzione mitologica -, si spingono oltre, trasformando, il romanzo,
sull’onda delle teorie positivistiche, in uno strumento di indagine oggettiva, impersonale e
scientifica della società e della modernità.
1.L’antiromanticismo e l’antisoggettivismo di Flaubert
Se c’è un anello di congiunzione tra il romanzo realista dell’Ottocento, rappresentato in Francia
dalle opere di Stendhal (in particolare dal Rosso e il Nero) e dalla monumentale Comedie Humaine
di Balzac (la cui ambizione è quella di fornire un affresco completo, una sorta di enciclopedia di
tutti i “tipi umani e sociali” e di tutti gli ambienti della Francia postnapoleonica) e il romanzo
naturalista e verista di Zola e di Verga, questo è senza dubbio costituito dall’opera di G. Flaubert,
il quale, soprattutto nel suo capolavoro, Madame Bovary, anticipa, in chiave antiromantica, uno
dei principi cardine della narrativa naturalista e verista della seconda metà dell’Ottocento.
Quale? Proviamo a scoprirlo leggendo due riflessioni dell’autore su Madame Bovary e sulla
rappresentazione della realtà attraverso il romanzo:
1.
Madame Bovary non ha niente di vero. È una storia totalmente inventata; non vi ho messo
nulla né dei miei sentimenti né della mia esistenza. L’illusione (se c’è) deriva invece
dall’impersonalità dell’opera. È uno dei miei principi: non bisogna scriversi. L’artista deve
essere nella sua opera come Dio nella creazione, invisibile e onnipotente da poter essere
sentito ovunque, ma senza essere visto. (Lettera del 18 mar. 1857 a Mdme Leroyer de
Chantepie).
2. «L'autore deve essere nelle sue opere come Dio nell'universo: presente dovunque e non
visibile in nessun luogo. Dato che l'arte è una seconda natura, il creatore di questa natura
deve operare in modo analogo al creatore della prima: bisogna che in tutti gli atomi, in tutti
gli aspetti di essa si senta un'impassibilità nascosta e infinita. L'effetto, per lo scrittore, deve
essere una specie di sbalordimento. Deve dire: com'è stato tutto ciò?» (Serini,1959).
Le due dichiarazioni di poetica confermano come G. Flaubert rappresenti un importante anello di
congiunzione tra la narrativa realista del primo Ottocento e il romanzo naturalista e verista della
seconda metà del secolo: egli si colloca al di là del Romanticismo, anche in chiave polemica, ne
mette in discussione tutti gli aspetti attraverso il ritratto impietoso di Madame Bovary,
anticipando il canone della narrazione impersonale e oggettiva del Naturalismo e del Verismo.
Il suo antiromanticismo è duplice:
a) è in primo luogo ideologico: basta rileggere il capitolo IX del romanzo (che hai letto per le
vacanze), per rendersi conto di come attraverso la figura della protagonista, Flaubert demolisce,
senza pietà, tutti i pilastri o luoghi comuni della cultura romantica: tutte le fantasie di Emma, che
sogna di evadere dal grigiore della provincia e alimenta il suo sogno attraverso la lettura di
romanzi d’amore e di rotocalchi (l’equivalente delle nostre riviste di gossip), non sono altro che un
catalogo di luoghi comuni della cultura e della sensibilità romantica (l’amore passione, la fuga dalla
mediocrità, la realizzazione di sé e delle proprie aspirazioni, la consapevolezza della propria
diversità, del dissidio con la realtà) la vita sfavillante della città), non sono altro che il succo del
Romanticismo nella sua versione banalizzata e semplificata: Emma, pur inseguendo il sogno
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dell’amore-passione, non ha il coraggio e la determinazione dell’eroina romantica, è debole; pur
disprezzando il marito Charles, non ha il coraggio di arrivare fino in fondo, preferisce tradirlo senza
spezzare il vincolo matrimoniale, rimanendo sostanzialmente ipocrita come i piccoli borghesi del
villaggio di campagna, bersaglio frequente delle sue critiche sferzanti;
b) in secondo luogo riguarda il profilo tecnico-letterario (della tecnica narrativa e dello stile):
fedele al principio dell’impersonalità, Flaubert, per tutto il romanzo adotta sostanzialmente due
punti di vista. 1) il primo è costituito dalla focalizzazione esterna centrata sul narratore: a
differenza dello scrittore romantico che “narra”, riportando ogni dettaglio all’interno di un disegno
complessivo (il senso della storia, la volontà della Provvidenza, la parabola ascendente del giovane
arrivista che si conclude poi in tragedia) che lo spiega, lo scrittore del nuovo realismo alla Flaubert
si limita a osservare, mettendo in risalto i particolari oggettivi (per es. Flaubert descrive
minuziosamente e in maniera oggettiva gli ambienti borghesi per metterne in risalto lo squallore e
la mediocrità, non dice espressamente che sono squallidi e mediocri come fa invece, per es.,
Balzac) e valorizzandoli in quanto tali, senza ricondurli a un ordine complessivo di significati. b) La
seconda è la focalizzazione interna centrata sul personaggio: in Madame Bovary abbiamo un
narratore impersonale, imparziale, oggettivo, che tuttavia ci fa vedere spesso le cose attraverso gli
occhi e le impressioni di Emma, dandole raramente la parola in maniera diretta (per di più in
forma di brevissime battute) e privilegiando invece il discorso indiretto introdotto da un verbo
enunciativo-dichiarativo (pensare, dire, ritenere, sembrare e simili) e il discorso indiretto libero (i
pensieri del personaggio vengono riportati direttamente senza essere introdotti da un verbo
enunciativo-dichiarativo).
In tutto il romanzo, come dimostra il passo tratto dal IX capitolo della seconda parte, si passa dalla
focalizzazione centrata sul narratore (focalizzazione esterna) a quella centrata sul personaggio e
viceversa. Flaubert fu l’iniziatore e il primo grande sperimentatore dell’uso di una focalizzazione
impersonale ma vicina al punto di vista del personaggio e della pratica stilistica del discorso
indiretto libero.
2.L’evoluzione del romanzo realista da Flaubert al Naturalismo di Zola.
Le novità rispetto al realismo del primo Ottocento e a Flaubert
a. L’apertura del romanzo a una nuova sfera del reale.
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Benché l’opera di Flaubert anticipi – soprattutto per la vena antiromantica e per il canone
della narrazione impersonale – il romanzo naturalista, essa tuttavia è ancora legata al realismo
francese del primo Ottocento, in particolare al modello di Stendhal e di Balzac, per un motivo
molto semplice: al centro delle vicende narrate compare sempre un individuo di estrazione
borghese o che aspira a diventare tale; in casi rarissimi il narratore dedica un’attenzione più
approfondita alle condizioni di vita e di lavoro delle classi più umili (proletari, manovali, umili
commercianti, operai nelle grandi fabbriche e nelle miniere). Per capire cosa cambia in Zola e nel
Naturalismo rispetto ai modelli realisti e a Flaubert, basta dare un’occhiata alle trame dei romanzi
di Zola o di Verga per il Verismo: ci si accorgerà che a) essi sono organizzati in cicli, che raccontano
la vicenda di una famiglia o di un gruppo esteso di persone in un arco di tempo molto ampio,
attraversando tutte le classi e gli ambienti sociali, dall’operaio al borghese arricchito, dalla
merciaia (come in Therese Raquin) alla prostituta (come in Nanà), dalla miniera alla villa sontuosa
di città ecc.; le vicende narrate, per così dire, hanno un respiro collettivo (i Malavoglia, per es.,
sono la storia di una famiglia); b) con essi la letteratura e nello specifico il romanzo si aprono ad
esplorare una nuova zona del reale, esclusa dalla narrativa tradizionale: le classi inferiori, le loro
miserie e i loro drammi, che vengono trattati in chiave seria con la massima oggettività (senza il
paternalismo alla Dickens, ossia senza quell’atteggiamento di compassione per i più umili, per i
diseredati da parte delle classi privilegiate) e con rigore scientifico.
b. L’apporto della scienza e della cultura positivista
Anche Zola, i naturalisti e lo stesso Verga, come Flaubert rifiutano la letteratura e la cultura
romantica, perché basata sul sentimento, sulla centralità del soggetto (espressa nel romanzo
dall’onnipresenza del narratore onnisciente) invece che sull’analisi rigorosa e oggettiva della realtà.
Tuttavia, rispetto a Flaubert, essi, pur con modalità molto diverse, compiono un passo avanti verso
una narrazione, sì impersonale, ma – e sta qui la novità – improntata sul metodo scientifico, cioè
sul metodo di indagine oggettivo e basato sull’esperimento in laboratorio proprio delle cosiddette
“scienze dure” (la fisica, la biologia, la chimica ecc.).
2.E. Zola: da Therese Raquin (1867) al “romanzo sperimentale” (1880).
Il primo passo verso il romanzo naturalista, per quel che riguarda l’opera di E. Zola (), è
indubbiamente Therese Raquin (1867), di cui hai letto la prefazione e alcuni estratti dal capitolo VI
e dal capitolo IX, per le vacanze estive. Partiamo dalla prefazione dalla quale emergono due aspetti
fondamentali:
a) l’antiromanticismo: al centro del romanzo c’è una vicenda di torbida passione e adulterio, temi
cari alla letteratura romantica (si pensi soltanto al Rosso e il Nero di Stendhal), ma l’impostazione
– come si capisce molto bene dalla prefazione – è decisamente antiromantica. La parola chiave
sotto questo aspetto è “studiare”: il romanzo si configura come uno “studio” (termine caro a
Balzac che definiva i suoi romanzi “studi sociali”) di “temperamenti”, cioè della psicologia di
determinati tipi sociali, non di “personaggi”. L’intento di fondo non è dunque quello di dar voce ai
sentimenti e all’interiorità, bensì di analizzare la complessa fenomenologia degli istinti umani, del
“carattere” che, secondo una prospettiva positivista, è il prodotto del condizionamento sociale e
dell’eredità biologica, di fattori genetici. L’amore, pertanto, perde la connotazione tipicamente
romantica di passione travolgente o di esperienza formativa per l’individuo, divenendo la semplice
e brutale soddisfazione di un bisogno, di un istinto animalesco o turba cerebrale sopraggiunta a
seguito di una crisi nervosa. L’amore tra i due personaggi – e si noti la precisione scientifica del
linguaggio – altri non è se non “il profondo turbamento che deriva dall’accostamento tra una
natura sensuale (quella di Teresa) e una natura nervosa (quella di Lorenzo)”;
b) la finalità del romanzo moderno: di fronte alla crisi del ruolo dell’intellettuale nella società,
Zola reagisce in maniera ottimistica e positiva assegnando al romanzo la funzione di strumento di
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indagine scientifica della realtà sociale: la letteratura deve proporsi lo studio dei caratteri – cioè
degli esseri umani – e delle modificazioni che l’organismo subisce “sotto l’influsso dell’ambiente e
delle circostanze”. A che scopo? Attraverso il romanzo – che è, per così dire, la relazione finale di
un esperimento scientifico compiuto sui “temperamenti”, sui “tipi umani”- l’autore offre un
documento oggettivo, una diagnosi scrupolosa dei mali della società, che serve “a investigare il
futuro”, a trovare una soluzione a livello politico ed economico in funzione del progresso e del
miglioramento dell’umanità. Il romanzo è in sostanza il documento oggettivo della realtà sociale
dal quale il politico può servirsi per intervenire concretamente, risolvendo quegli squilibri
all’interno della società che inducono le persone a uccidere, a rubare, a commettere crimini in
generale .
3.E. Zola, Il romanzo sperimentale
La prefazione a Th. R. anticipa non pochi aspetti teorici del nuovo romanzo naturalismo che Zola
tratta in maniera sistematica nel saggio “Il romanzo sperimentale” del 1880 può essere
considerato il manifesto teorico del Naturalismo, un movimento letterario che si afferma in
Francia nella seconda metà dell’Ottocento, tra gli anni ‘ 70 e ’80, e che riunisce diversi scrittori
(Zola è la figura di riferimento) accomunati dalla convinzione, mutuata dal filosofo Hyppolite Taine
(1828-1893), che anche il lavoro del narratore può contribuire al progresso dell’umanità, purché
adotti il metodo rigoroso di indagine propria delle scienze esatte (dunque, addio all’idealismo e
al soggettivismo romantici). Il romanziere è uno scienziato, o meglio, come afferma lo stesso Zola
è un operaio del progresso. Non leggeremo il passo proposto dal manuale; ci limitiamo a
enucleare i punti fondamentali del discorso di Zola nel saggio Il romanzo sperimentale:
a) In virtù di una progressione inarrestabile, la scienza entra anche nella letteratura (cioè nella
rappresentazione dei fenomeni e dei fatti umani): il romanzo, in quanto strumento oggettivo di
indagine sociale e psicologica, fa proprio il metodo sperimentale delle scienze “dure” (chimica,
fisica, biologia);
b) Il romanzo esplora il reale e rifiuta l’ideale, il sentimentale, l’immaginazione, il soggettivismo
propri del Romanticismo. Lo fa adottando il metodo sperimentale: come il chimico e il fisico, anche
il romanziere osserva i fenomeni umani, ne seleziona alcuni di particolare interesse e ne studia i
meccanismi riproducendoli in laboratorio (il laboratorio è la “finzione” romanzesca che attinge
direttamente alla realtà), arrivando a enucleare i meccanismi (le “leggi”) che ne regolano il
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funzionamento. Tale teoria si fonda sul presupposto ideologico che i comportamenti umani siano
determinati da fattori ereditari e dal condizionamento ambientale (luogo di nascita, estrazione
sociale ecc.) e sociale.
c) In tal modo il romanziere è operaio del progresso: attraverso il romanzo egli fornisce un
contributo fondamentale al benessere sociale, poiché, una volta scoperti i meccanismi alla base di
un comportamento criminale e violento, sarà facile intervenire su di essi per modificarli o estirparli.
L’influsso della cultura e dell’ideologia del Positivismo.
La teoria del romanzo sperimentale e più in generale il romanzo naturalista e verista di questo
periodo, risentono dell’influsso del Positivismo, la teoria filosofica dominante nella seconda metà
dell’Ottocento, da almeno tre punti di vista:
a) in primo luogo nel rifiuto dell’ideale e dell’immateriale, cioè di tutto ciò che non è reale e
positivo, vale a dire analizzabile in maniera oggettiva con gli strumenti dell’indagine scientifica;
b) in secondo luogo per il DETERMINISMO, OSSIA per la convinzione che ogni fenomeno umano
risponda a leggi o a meccanismi precisi, perché determinato da fattori ereditari o storicoambientali;
c) in terzo luogo nell’utilità sociale del sapere: la scienza studia la natura per impadronirsi dei
meccanismi e delle leggi che ne regolano il funzionamento e modificarla per il benessere
dell’uomo; allo stesso mondo il romanzo sperimentale esamina i comportamenti umani per
scoprirne i meccanismi e modificarli qualora essi siano nocivi per la società. In questo consiste la
sua utilità pratica e l’alta moralità.