Focus On «Turandot», l’opera antropologica di Giacomo Puccini di Sandro Cappelletto U n tempo non c’erano né la luna, né le stelle, né l’arcoreste amazzoniche. Gli enigmi, la morte, l’amore, la sterilità. baleno, e la notte era completamente oscuIl rifiuto del matrimonio, il ricordo dello stupro subira. Questa situazione mutò a to dalla principessa sua antenata, il piacausa di una ragazza che non si cere nel vedere decapitati i prevoleva sposare. Si chiamatendenti e nello sfidare le va “Luna”. Esasperaattese del padre e del ta dalla sua ostisuo popolo. Tunazione, la marandot è una dre la cacciò donna in rivia. La ravolta, ferogazza ercemente. rò a lunLa Méligo piansande di gendo, Debuse quansy è mido volle te, lei no. ritornaEd è la re in casa, prima volla madre ta che un sisi rifiutò di mile persoan 9 aprirle: “Non naggio femmi(1 do a l t ti resta che dorminile appare nel caa c nel S l’e d re fuori, così imparetalogo pucciniano: ll a a iz io tr o n e fi a rai a non volerti sposare!”, chi mai accostarle? Mimì, e T r mat ado, b a da F b gridò. Disperata, la ragazza corManon, Tosca, Minnie, Suor A io ra nc o Zef fir ell i e d i r et t a d a C l a u d reva di qua e di là, batteva alla porta di Angelica…? casa, singhiozzava. La madre si infuriò talmente per È questo il senso della frase rivolta dal compositore questo comportamento che prese un coltello da caccia, aprì ala Giuseppe Adami, librettista dell’opera assieme a Renato Sila figlia e le tagliò la testa. La testa rotolò a lungo, gemendo, atmoni: «Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tuttorno alla capanna; e dopo essersi interrogata sul suo avvenita la mia musica scritta fino a ora mi pare una burletta e non re, decise di trasformarsi in luna: “Così – pensò – mi vedranmi piace più»? no solo di lontano”.» Per il pubblico della Fenice il sipario calerà, questa volta, sul Quanti riferimenti, in questo mito amazzonico degli indiani mi bemolle acuto dell’ottavino che, assieme al coro, racconta Cashinawa, a Turandot: anche lei non si vuole sposare, anche il compianto per il suicidio di Liù. L’ultima nota scritta da Puclei, come una visione, si lascia ammirare soltanto da lontano. cini, prima che ragioni nobili e meno nobili di completamenPura come la luna alla quale, nel libretto dell’opera, si rivolge la to delle intenzioni del Maestro, o forse di prolungamento nel folla di Pechino, invocandola con epiteti apotropaici: «O testa tempo dei diritti d’autore, spingessero l’editore a persuadere mozza», «O esangue», «O amante smunta dei morti». E ancoFranco Alfano a scrivere il parossistico e pompieristico finara: «Come aspettano il tuo funereo lume i cimiteri». le: mal riuscito comunque, nella versione originale o in quella Solo quando la luna sorge e «dilaga in cielo la sua luce smorsforbiciata da Arturo Toscanini, primo direttore dell’opera, il ta» si potrà procedere col rito di morte voluto dalla Principes25 aprile 1926 alla Scala. sa di ghiaccio e solo all’alba, quando la «faccia pallida» sarà diPuccini si è fermato lì perché quelle erano le colonne d’Ercoleguata, si celebrerà il trionfo dell’amore. le del suo universo drammaturgico. La morte della schiava – Turandot, l’opera antropologica di Giacomo Puccini. Tolte le «Liù dolcezza, Liù poesia» - è l’apogeo dell’opera: e ne era concineserie, gli omaggi a un’idea oggi improponibile del folklosapevole sin dall’inizio, da quando lui stesso scrive i versi delre e dell’esotico, la monumentalità melodrammatica di cui poi l’aria della ragazza innamorata senza speranza. si sarebbe nutrita l’industria del cinema e il palato del suo pubLe angosce di Turandot, la sua ferocia, la sua fragilità, lo afblico, questo è l’orizzonte per lui nuovo con il quale si confascinano e lo raggelano, tenendolo distante. Si ferma lì perfronta nell’ultima e incompiuta opera. Lei è della famiglia di ché lì sta il punto di crisi. Turandot non è l’opera ultima delSalome, di Elettra, di Medea: un mito fondante della nostra la lunghissima vicenda dell’antico melodramma italiano, ma cultura e diffuso ovunque, se le radici della la prima di un nuovo capitolo della sua sto«fiaba» persiana intercettata da Carlo Gozria, figlio del Novecento europeo, delle sue zi nel 1762 leggendo la raccolta francese Le scoperte e inquietudini. Puccini, da comVenezia – Teatro La Fenice Cabinet des Fées, si diramano dalla Russia alla 11, 12 13, 14, 18 dicembre, ore 19.00 positore informato e colto, mai soddisfatto, Germania, dalle campagne italiane alle fo16 dicembre, ore 15.30 l’aveva prediletta per questo. r 83 Tu ). « Focus On La favola «noir» di Puccini di Paolo Fabbri I l trionfo dell’amore. Così era intitolato un dramma che Giacosa, in seguito ripetutamente librettista di Puccini, aveva tratto nel 1875 dalla favola teatrale Turandotte del veneziano Carlo Gozzi (1762). A quel testo settecentesco s’erano interessati anche altri musicisti come Antonio Bazzini (Turanda, 1867), uno dei maestri di Puccini al Conservatorio milanese, e soprattutto Ferruccio Busoni, cui si devono le musiche di scena per un adattamento tedesco della fiaba di Gozzi rappresentato a Berlino nel 1911 sotto la regia di Max Reinhardt (di quell’insolito, originale spettacolo, a Puccini aveva parlato un’amica), e poi una vera e propria opera in due atti intitolata Turandot e rappresentata a Zurigo nel 1917. Dopo i debutti all’estero (La fanciulla del West, New York 1910), da ultimo con una serie di «piccole» prove (la «commedia lirica» La rondine [Montecarlo, 1917] e gli atti unici quasi da camera de Il trittico [New York, 1918]), per il suo ritorno ad una «prima» italiana, e alla Scala, Puccini intendeva ripresentarsi con una prova importante, ma pur sempre nelle sue corde. Scrivendone all’amica Sybil Seligman, il 20 ottobre 1921, auspicava: «Se avessi un soggetto carino, leggero, sentimentale e anche doloroso e con un po’ di burlesco credo che potrei ancora fare del buono, ma cose serie – e sul gran serio – no». Scelto il soggetto attorno a quel 1920, e messisi prontamente al lavoro i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, l’opera procedette con fatica tra pentimenti e sconfessioni, col risultato che alla morte di Puccini (29 novembre 1924) ai tre atti mancava ancora il risolutivo duetto finale. E così venne eseguita alla Scala, il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Toscanini. Sempre teso a «tentar vie non battute», Puccini era stato attratto da quella vicenda favolosa e irreale, con esotismi e comicità burlesche (le maschere della commedia dell’arte, presenti nell’antigoldoniano Gozzi), che andava a sfociare nella finale esplosione della «passione di Turandot che per tanto tempo ha soffocato sotto la cenere del suo orgoglio» (lettera a Simoni, 18 marzo 1920). Magari corretta dall’introduzione ex novo di un personaggio femminile «piccolo» ma intensamente patetico come Liù. «Credo che Liù va sagrificata di un dolore ma penso che non può svilupparsi – se non si fa morire nella tortura. E perché no? Questa morte può avere una forza per lo sgelamento della principessa», commentava il compositore scrivendo ad Adami, l’otto novembre 1922, ribadendo così una convinzione espressa a suo tempo a proposito di un altro soggetto: «Ma c’è dello chagrin? Almeno una scena che pianga». Affidato al compianto funebre degli astanti, il personaggio è congedato con parole di esemplare icasticità: – Liù!.. bontà... – Liù!.. dolcezza... – Dormi!.. – Oblia! – Liù!.. – Poesia!.. Oltre a questo culmine, i «puccinismi» di Turandot si possono ravvisare nella scrittura tenorile appassionata e perfino follemente eroica, nello stile di conversazione media e comica di Ping, Pong, Pang, nell’alternanza di tali registri in ossequio alla lucida consapevolezza di drammaturgo espressa nella citata lettera alla Seligman. Ma c’era molto di nuovo accanto a tutto questo. Ambizioni simboliste e post-wagneriane, anzitutto: con esiti che non paiono tra le cose memorabili della partitura. Ben altrimenti riusciti sono la magnifica concezione corale – a masse in perenne movimento – specie dell’atto I, e la copiosa vena di tono lieve, di macabra giocosità, di comico grottesco con aperture liriche, rime da filastrocca («Notte senza un lumicino, | gola nera d’un camino, | son più chiare degli enigmi di Turandot!») e perfino di stile operettistico-boulevardier delle parti che vedono agire appunto il terzetto Ping, Pong, Pang (un sentore del Mikado di Gilbert e Sullivan?). Lo stesso esotismo favoloso dell’ambientazione complessiva si presenta più inquietante che decorativo. Piuttosto che nell’uso di temi originali desunti da qualche raccolta etnofonica o carpiti al carillon dell’amico barone Fassini (già addetto al consolato italiano in Cina), Puccini fece leva sul carattere «barbarico» di quel mondo extra-europeo, in sintonia con quanto realizzato altrove da più giovani colleghi (Stravinsky, Bartok, Prokofiev). Accanto alle preziose sonorità di un esotismo più convenzionale, il clima della raffinata crudeltà orientale è reso con dissonanze, politonalità, ampio uso di ottoni e percussione, impasti secchi ed asprigni, ritmi appuntiti, ostinati ossessivi. La stessa Turandot, per la sua linea di canto, fa pensare spesso allo Strauss «espressionista» di Salome e di Elektra: come ben si addice a una Vergine crudele, vindice reincarnazione di un’ava violentata. Libretto e partitura di Turandot sono abbondantemente esulcerati da componenti di sadismo da teatro della crudeltà, dove le sonorità pungenti della partitura si combinano con uno stile poetico 10 Focus On «petroso» e allitterante. Un solo esempio sarà eloquente: La gelida bianchezza della luna si diffonde sugli spalti e sulla città. [...] Una lugubre nenia si diffonde. I Servi del Boia Ungi! Arrota! Che la lama guizzi, sprizzi fuoco e sangue! Il lavoro mai non langue dove regna Turandot! La tinta, lividamente lugubre, si avvicina assai alle atmosfere sinistre del Pierrot lunaire di Arnold Schönberg (1913), da Puccini ascoltato a Firenze nel 1924. La folla Dove regna Turandot! La luna malata O luna ogni notte moribonda sul nero pantano dei cieli, il tuo occhio febbrilmente dilatato rapisce come una ignota melodia. I Servi del Boia Dolci amanti, avanti, avanti! Con gli uncini e coi coltelli noi le vostre auguste pelli siamo pronti a ricamar! [...] Turandot all’Opera di Vienna (1983) I Servi del Boia sghignazzando Quando rangola il gong gongola il boia! Del resto, non mancano certo gli esempî di umor nero e di allucinata visionarietà. Una didascalia nell’atto I: «Ma ecco richiami incerti, non voci ma ombre di voci, si diffondono dall’oscurità degli spalti. E, qua e là, appena percettibili prima, poi, di mano in mano, più lividi e fosforescenti, appariscono i fantasmi. Sono gli innamorati di Turandot che, vinti nella tragica prova, hanno perduta la vita». Un’altra nell’atto III, dopo che Liù ha esalato il suo ultimo respiro: «Allora un terrore superstizioso prende la folla: il terrore che quella morta, divenuta spirito malefico perché vittima di una ingiustizia, sia tramutata, secondo la credenza popolare, in vampiro». L’apparizione della luna, nel primo atto, è non meno spettrale: Decapitazione La luna, lucente scimitarra sul nero cuscino di seta, taglia grande e spettrale la dolorosa oscurità della notte. Pierrot, vagante senza meta, fissa con spavento mortale la lucida spada lunare [...] Nel delirio gli sembra sentire la luna, lucente scimitarra tagliargli il collo peccaminoso. La folla Perché tarda la luna? Faccia pallida, mostrati in cielo! Presto! Vieni! Spunta, o testa mozza! Vieni, amante smunta dei morti! – O esangue! – O taciturna! – O squallida! Come aspettano il tuo funereo lume i cimiteri! Ecco... laggiù! Un barlume dilaga in cielo la sua luce smorta! [...] Una volta di più, si conferma la vocazione internazionale del teatro e della scrittura del Lucchese: quella che per Fausto Torrefranca (Puccini e l’opera internazionale, 1930) era un limite e un tralignamento, sempre più ci appare come uno dei suoi punti di forza. 11 Focus On «Turandot» autentica ed essenziale Denis Krief spiega l’allestimento dell’opera in scena alla Fenice di Patrizia Parnisari T ra entusiastici sostenitori e ferosvolti anche da questo punto di vici detrattori delle sue regie, Desta. Dunque, a me preme far emerVenezia – Teatro La Fenice nis Krief si muove con amabilità gere l’essenza di Turandot e non far 9, 11, 12, 13, 14, 18 dicembre, ore 19.00 e ironia proseguendo per una strada ch’egli finta che ci troviamo in un’improba15, 16 dicembre, ore 15.30 stesso definisce difficile e coraggiosa. Ha firbile Cina di chissà quale secolo. Non mato allestimenti di opere classiche e contemporanee districandosi con mi considero certo un falsario. disinvoltura tra sentieri differenti e passando da Mozart a Verdi, da Quali sono le differenze nell’allestimento di Turandot del 2007, Wagner a Schönberg, con uno sguardo sempre diverso. È la volta di qui con l’utilizzo della partitura originale, rispetto alla sua preceTurandot in scena al Teatro La Fenice. dente realizzata nel 2000 a Sassari e che vinse il prestigioso premio Quando allestì la Luisa Miller, diretta da Donato Renzetti, lei Abbiati? E cosa ha in comune questa Turandot con quelle allestiasserì che pur rimanendo fedele allo spirito verdiano e rispettando te per la Karlsruhe e la Suntory Hall di Tokyo? dunque la volontà compositiva del musicista, l’unica cosa della quaLa regia è più o meno la stessa. Qui va tenuto conto delle non aveva tenuto conto erano le indicazioni spazio-temporali che, l’esperienza maturata in sette anni e che, alla mia età, va a suo avviso, in quel a coincidere con contesto non avevano il tempo di una più motivo di esistemaggior esperienre. Rimane fedele alza e consapevolezla sua «poetica» anza. Sento dunque che nella produzione questa regia come di Turandot? definitiva. Ciò che Nel teatro conla differenzia legtemporaneo è orgermente dalle almai da molto che tre è una maggioil tempo non viere astrazione anne più rispettato. che visiva. Prima, Facciamola finiad esempio, era ta con queste poprevista in scena sizioni che conuna piattaforma sidero ridicole. con un letto e un La preoccupaziotavolo, per rapprene spazio-temposentare una camerale è una strana ra da letto e una preoccupazione, cucina. Ora tutse non addirittura to ciò viene sinpatologica. Quetetizzato al massto atteggiamensimo con un cuto nasconde, il più bo di legno astratdelle volte, una to che simbolegvera e propria ingia la casa ed è al capacità registica tempo stesso fundi rapportarsi al zionale alla scena. testo musicale, alHo poi introdotla narrazione. Ciò to la presenza di che a me interessa un gong che nelle è riflettere, pensaprecedenti ediziore, porre l’uomo al ni non c’era. Ho centro della storia. pensato che queTutta la nostra arsto cerchio di ferte e cultura occiro che viene batdentali sono basatuto possegga un te sull’uomo, anforte potere simche la filosofia, la bolico, come tutto psicanalisi e l’opeciò che di geomera di Puccini postrico appare sulla siede molteplici riscena. Anche l’uso 12 Focus On delle bambole di le. Tra il vecchiume Turandot è leggerinsopportabile e la mente diverso; pripseudomodernima erano ammuctà credo ci sia una chiate dentro a un terza via. Per quancilindro, ora sono to riguarda la mia installate in punti opera è stata defidiversi. La princinita una «moderpessa gioca anconità all’italiana». ra con le bambole La finalità è quelpoiché teme gli uola dell’onestà, delmini, ecco ciò che la sincerità e dello conta. studio. Il significaIl suo linguaggio reto di una storia degistico sta avvicinanve essere lì, sul paldo i giovani all’opecoscenico. Cerco ra. È un obiettivo che di capire una stolei si è preposto consaria, cosa racconta, pevolmente o è l’imponon la verosimistazione della sua reglianza con l’abitigia ad attirare comunno cinese, non laque i giovani? voro per un’agenzia che organizza viaggi in Cina. QuanTutto ciò avviene da parte mia a livello inconscio. Fordo si assiste a questa Turandot si sente che i costumi non se la parte giovane che dimora in me prende il sopravpuzzano di cucina cinese… L’opera spogliata da orpelli fa vento perché io amo l’opera e non voglio vederla morire. scattare e scaturire tutta la modernità insita, quella di PucSe piace ai giovani vuol dire che questo mio intento pascini, soprattutto dell’ultimo Puccini e lo pone nuovamensa anche a loro. Trovo ridicolo mettere in scena un telete tra i grandi del secolo che si è ormai chiuso. È la mofono cellulare o vestire dernità degli anni venabiti rock o fare di Tuti quella che ho voluto randot una principessa riproporre, quella apScene da Turandot punk di periferia: non è punto del musicista con secondo Denis Krief, questo il modo di avvila ricca commistione di Badisches Staatstheater Karlsruhe (2007) cinare i giovani. Non li grandi movimenti artifa sognare. Trovo questici dell’epoca. Il mio sto tipo di operazione è anche un omaggio al borghese e deleteria. teatro storico, a MejerAlcuni registi cercano chol’d, al teatro naturadi imitare cose che non lista che ho avuto moconoscono, ad esempio do di vedere a Mosca. periferie desolate, vite Non si tratta di raffiguemarginate, bassifondi rare un’ipotetica Cina che non hanno mai frelontana e sconosciuta, quentato né visto e tutma un’epoca che Puccito ciò suona falso; sulni visse e raffigurò nella scena si percepisce la sua musica, un’epoquesto falsare la realtà. ca che ha visto molI sentimenti e le situate grandi opere incomzioni reali sono quelle piute come lo fu Turanche più si comprendodot. Da Proust a Musil, no, non quelle per forza da Berg a Schönberg… trasferite. Non bisogna Anch’io seguirò la vernecessariamente «trasione del finale così coslocare» da un’epoca alme lo diresse Toscanini l’altra. Sono un regista e alla prima, il 25 aprile traslocare non è il mio del 1926 alla Scala, termestiere. minando con la morE quale può essere allora il te di Liù e con le parole cammino registico da percorche pronunciò il grande rere? Il suo è stato definito direttore: «Qui termina di volta in volta stravagante, l’opera, qui è morto il coraggioso, innovativo… Maestro», proprio con Coraggioso forse sì; un’incompiuta, in stile non è un cammino facicon il proprio secolo. 13 Focus On La bacchetta di Zhang Jemin per la «Turandot» di Puccini La giovane direttrice cinese torna sulle scene della Fenice di Enrico Bettinello A dirigere la Turandot, in scena alla Fenice dal 9 al 18 di dicembre, con la regia di Denis Krief, si alterneranno due direttori, il maestro Yu Long e la giovane e affascinante direttrice Zhang Jemin, che abbiamo raggiunto per conoscere meglio nei dettagli il suo lavoro. Partirei da Turandot, come si è accostata a quest’opera, con quali chiavi di lettura intende affrontarla? Per una giovane direttrice, quale sono io, è davvero sempre difficile pensare a una chiave di lettura nuova per un’opera così celebre, anche se interpretata da un cast giovane e quindi molto interessante da questo punto di vista. Se proprio devo dire qualcosa, allora vorrei una Turandot più umana, meno «urlata» di tante versioni, una donna che ama e che esprime i suoi sentimenti di principessa regale in un’epoca in cui gli imperatori venivano considerati quasi delle divinità. Credo che noi cinesi possiamo portare questo gusto per un amore vissuto in maniera molto interiorizzata, poco esibita, frutto della nostra cultura e della nostra tradizione. Che ulteriori chiavi di lettura le dà il fatto di essere cinese? So che è ormai quasi un luogo comune che noi cinesi siamo migliori interpreti di Turandot rispetto ad altri colleghi, ma io mi permetto di non essere per niente d’accordo. Puccini è un compositore italiano e come tale per affrontarlo serve tutta la sensibilità necessaria per capire il verismo italiano, anche se poi è vero che ci sono alcune melodie che hanno una struttura musicale cinese, seppure con armonie tipiche di una orchestrazione occidentale. Cosa le piace del repertorio operistico italiano, che già ha affrontato con successo in questi ultimi anni? Amo molto Puccini, ma anche Verdi, che ho diretto molto in Cina e anche in Europa sin da giovane. Conservo un ottimo ricordo delle orchestre del Nord Europa, dove ho diretto Boheme all’inizio della mia carriera, così come una Traviata che ho diretto pochi mesi fa Zhang Jemin a Madrid. Ho affrontato anche Mascagni, con Cavalleria Rusticana questa estate al San Carlo di Napoli. Come concilia la differente sensibilità musicale orientale, e cinese in particolare, con il repertorio europeo classico? La mia è comunque una preparazione classica e quindi se vogliamo «occidentale», dunque faccio un po’ fatica a trovare delle differenze di sensibilità in quanto ho studiato in Europa, a Firenze prima e a Toulouse poi, dove ero assistente stabile all’orchestra allora diretta da Michael Plasson. In Europa ho avuto modo di sviluppare molte delle mie conoscenze, non solo in ambito musicale, ma anche per quanto riguarda quelle classiche e umanistiche. Ci piacerebbe sapere qualcosa di più sul suo lavoro con il compositore Tan Dun. Con Tan Dun ho cominciato a collaborare diversi anni fa, in molte produzioni nelle quali mi occupavo di preparare il lavoro orchestrale delle sue composizioni. Ultimamente ho realizzato anche la preparazione a Shanghai per Il Primo Imperatore, l’opera andata in scena l’anno scorso al Metropolitan. Tan Dun mi ha dato molto, non solo sul piano professionale, ma anche sul piano umano. Quali sono i suoi prossimi impegni e progetti? Venezia e la Fenice sono diventate un po’ la mia «casa», nel senso che il Teatro mi ha invitato anche a dirigere nella prossima stagione e la cosa mi rende particolarmente onorata per l’affetto che mi è stato dimostrato. Nel teatro veneziano dirigerò un’opera cinese composta proprio per la Fenice, La leggenda del serpente bianco, che poi porteremo a Pechino durante le Olimpiadi. A marzo tornerò in Spagna con una produzione d’opera al Palazzo dello Sport, poi in maggio sarò di nuovo in Italia, per dei concerti con la Filarmonica di Roma. Inoltre ci sono altri progetti di cui non vorrei parlare per scaramanzia, ma quello che è certo è che vivrò molti mesi l’anno in Italia. 14 Focus On Principessa di morte! Principessa di gelo! Il personaggio Turandot da Gozzi a Puccini di Bruno Rosada L a vicenda è nota. Turandot, figlia dell’Imperatore della che raccolgono l’eredità del Pantalone gozziano, e soprattutChina, «la Pura sposa sarà di chi, di sangue regio, spieto la sostituzione di Adelma con Liù, entrambe innamorate ghi i tre enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cidi Calaf. mento e vinto resta porga alla scure la superba testa!». Così la Il pregio del libretto pucciniano è quello di cogliere gli aspetti «Principessa di morte!» si libera di un gran numero di pretenpsicologicamente più intensi della vicenda, fino alla drammadenti, che non sanno spiegare i suoi enigmi. Il principe Calaf, tica interruzione, dovuta alla malattia mortale del Maestro, che costretto a vita errabonda dopo la sconfitta del padre, giunlasciò a Franco Alfano per volontà di Toscanini il compito del ge a Pechino, resta ammaliato alla vista di Turandot, decide di completamento del testo musicale. tentare la prova e la vince. Turandot lo respinge ancora, poi alNon è privo di significato che l’interruzione si sia verificata la fine cede al suo bacio. Fu Renato Simoni, che nel 1903 aveva in un momento cruciale della vicenda (che Toscanini evidenscritto una commedia intitolata Carlo Gozzi, frutto di rigorosi e ziò, come è noto, nel terzo atto, dopo le parole «Liù poesia» che appassionati studi, a suggerire a Puccini «l’inverosimile umaniconcludono la tragica vicenda della morte di Liù), sussurrando tà del fiabesco» della storia di Turandot, narrata da Carlo Gozzi in una fiaba teatrale, e con Giuseppe Adami scriverà il libretto della Turandot pucciniana. La prima della Turandot di Gozzi, il 22 gennaio 1762 al teatro di San Samuele, ebbe sette sere di repliche e «gentile pienissimo concorso ed applauso», come si legge nella Prefazione dell’edizione Colombani. Ma più grande fu il successo nel mondo germanico dove fu tradotta in tedesco niente meno che da Schiller. Sembrano quasi stupire questi successi. A noi «moderni» questo testo non appare fra le cose migliori dello scrittore veneziano: l’essenza della vicenda si esaurisce già col secondo atto e negli altri tre atti la narrazione è stiracchiata e divagante. Sono poi chiaramente superflue le maschere, messe lì a proclamare la nostalgia di Gozzi per la La Turandot di Carlo Gozzi, presentata alla Biennale di Venezia nel 1981 commedia dell’arte e il suo rifiuto del teatro e interpretata da Valeria Moriconi per la regia di Giancarlo Cobelli. «moderno», in testa quello di Goldoni, acerrimo rivale, che aveva già pronte le valigie per Parigi. al pubblico: «Qui termina la rappresentazione perché a questo Ma le ragioni del successo della Turandot del Gozzi risiedopunto il Maestro è morto». Ed è legittimo il sospetto che una no nello spirito del tempo, che mostrava grande interesse per profonda perplessità abbia afflitto Puccini: forse era la poca vel’Oriente. In particolare la vicenda di Turandot si ritrova in Les rosimiglianza della repentina trasformazione di Turandot da mille et un jour, tradotte nel 1712 da E. Pétis de la Croix, con la donna crudele e fredda in donna innamorata, però alcune parevisione di Alain-René Lesage che nel 1719 scriveva La prinrole di Puccini sembrerebbero indicare una soluzione, là dove cesse de la Chine. il Maestro parla di «esaltazione amorosa di Turandot che per È l’attrazione del diverso. Il fascinoso mondo orientale tortanto tempo ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgonerà ad attrarre, anche se con modalità diverse, nel primo Noglio». È qualcosa di più di una interpretazione, è un vero e provecento. E questo consentì a Puccini, Simoni e Adami (ma è prio approfondimento psicologico nella costruzione del persoil caso di dire la Turandot di Puccini, dato che il Maestro internaggio Turandot, è la scoperta dell’inconscio. ferì fortemente e inevitabilmente con l’opera dei librettisti) di Ma la scelta pucciniana decisiva, quella che gli consente di difmuoversi su un terreno irrazionale, più ricco di situazioni imferenziarsi in modo radicale da Gozzi, è l’invenzione del perpreviste e imprevedibili: così ciò che lo stesso Calaf, protagosonaggio della giovane schiava Liù e l’introduzione di un forte nista maschile, chiamava «fola»», prima di restare stregato alelemento emotivo con la sua morte. Il sacrificio per amore di la vista del ritratto di Turandot, diventa una tremenda inspieLiù e il bacio di Calaf nel duetto del terzo atto sono infatti le tapgabile realtà. pe verso le quali Puccini fa convergere la semantica implicita di Ci sono però delle inevitabili differenze profonde tra la TuranTurandot, in vista della sua umanizzazione, nel superamento dot di Gozzi e quella di Puccini: sembra quasi doverosa l’escludel trauma trasmessole dall’antenata che subì violenza, «trascisione delle maschere; poi l’introduzione di tre figure sagge e rinata da un uomo come te, [cioè come Calaf] come te straniero, dicole al tempo stesso, i Ministri del regno, Ping, Pong e Pang, là nella notte atroce dove si spense la sua fresca voce!» 15