CENTRO DI STUDI SULLA CULTURA E L’IMMAGINE DI ROMA
SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura
LAZIO | 2
Province di Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo
a cura di
Bartolomeo Azzaro, Giancarlo Coccioli, Daniela Gallavotti Cavallero, Augusto Roca De Amicis
con un saggio introduttivo di
Augusto Roca De Amicis
DE LUCA EDITORI D’ARTE
CENTRO DI STUDI SULLA CULTURA E L’IMMAGINE DI ROMA
SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
DIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA
col patrocinio di
REGIONE LAZIO
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO
SOPRINTENDENZA PER I BENI STORICI, ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI DEL LAZIO
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI PER LE PROVINCE DI ROMA,
FROSINONE, LATINA, RIETI E VITERBO
I gruppi di ricerca sono stati coordinati
da Bartolomeo Azzaro, Giancarlo Coccioli,
Daniela Gallavotti Cavallero, Augusto Roca
De Amicis. La schedatura della Provincia di
Rieti è stata avviata da una équipe di
schedatori sotto la direzione di Daniela
Del Pesco, a cui si sono poi aggiunti altri
schedatori sotto la direzione di Augusto Roca
De Amicis e Giancarlo Coccioli.
Al lavoro di messa a punto e redazione delle
schede hanno inoltre contribuito Mario
Bevilacqua, Maria Celeste Cola, Giada Lepri,
Michela Peretti.
La ricerca è stata finanziata dal Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca,
Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale:
– PRIN 2002, Lo sconosciuto patrimonio del
Barocco italiano: l’architettura del XVII e XVIII
secolo nel Lazio e nell’Umbria, coordinatore
nazionale Sandro Benedetti;
– PRIN 2004, Atlante tematico del barocco in
Italia. 4. Residenze nobiliari e trasformazioni
urbane, coordinatore nazionale Marcello
Fagiolo.
Il volume accoglie inoltre alcuni risultati
della Ricerca della Facoltà di Architettura
della Sapienza Università di Roma, 2002,
Le residenze della nobiltà e dei ceti emergenti
in età barocca nelle province di Roma e Viterbo,
diretta da Marcello Fagiolo.
In copertina:
Amatrice, S. Maria del Suffragio, altare
maggiore (foto di Gianluigi Simone).
Si ringraziano per la collaborazione
e per la concessione di documenti e materiali
iconografici le seguenti istituzioni.
I Direttori e i funzionari dell’Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione, della
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici
ed Etnoantropologici del Lazio, della
Soprintendenza per i Beni Architettonici
e Paesaggistici per le province di Roma,
Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo.
I Direttori e i funzionari degli Archivi di:
Acquapendente (Archivio della Curia
Vescovile), Anagni (Archivio Vescovile),
Arpino (Archivio Parrocchiale di S. Maria
di Civita), Atina (Archivio della Cattedrale),
Caprarola (Archivio del Convento di Santa
Teresa), Casamari (Archivio dell’Abbazia),
Casperia (Archivio Storico Comunale), Città
del Vaticano (Archivio Segreto Vaticano),
Civita Castellana (Archivio Vescovile),
L’Aquila (Archivio di Stato), Latera (Archivio
Comunale), Montecassino (Archivio
dell’Abbazia), Montefiascone (Archivio della
Curia vescovile), Napoli (Archivio di Stato),
Nepi (Archivio dei Padri Domenicani di
S. Teodoro), Orte (Archivio della Curia
vescovile), Parma (Archivio di Stato), Rieti
(Archivio Diocesano, Archivio di Stato,
Archivio Storico Comunale), Rivodutri
(Archivio Parrocchiale), Roma (archivi
dell’Accademia Nazionale di San Luca,
Caetani, Centrale dello Stato, del Collegio
Germanico e Ungarico, Doria Pamphili,
Lante, Massimo, Archivio di Stato, Storico
Capitolino), Sora (Archivio Diocesano),
Subiaco (Archivio Colonna), Tuscania
(Archivio Capitolare), Valentano (Archivio
Storico Comunale), Vallerano (Archivio
Storico), Viterbo (Archivio di Stato), Viticuso
(Archivio Parrocchiale).
I Direttori e i funzionari delle Biblioteche di
Orte (Biblioteca Comunale), Rieti (Biblioteca
Comunale), Roma (Angelica, dell’Accademia
Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Apostolica
Vaticana, di Archeologia e Storia dell’Arte, di
Architettura e progetto e di Storia, disegno
e restauro dell’Architettura della Sapienza
Università di Roma, della Fondazione Besso,
Bibliotheca Hertziana, Vallicelliana), Viterbo
(Biblioteca Comunale).
Si ringraziano inoltre i funzionari delle
Amministrazioni comunali e delle Istituzioni
religiose nonché i parroci che in vari modi
hanno agevolato la ricerca.
Le piante del Catasto sono state fornite dal
Consiglio Nazionale Geometri e Geometri
Laureati. Si ringraziono per la collaborazione
il Presidente Fausto Savoldi, Adriano Angelini,
Marco D’Alesio. L’elaborazione grafica delle
piante del Catasto è a cura di Anna Mirca
Schembari.
Le fotografie sono state in gran parte fornite
dagli autori o provengono dall’Archivio
fotografico del Centro di Studi sulla Cultura e
l’Immagine di Roma. Alcune fotografie sono
state fornite dall’Istituto Centrale per il
Catalogo e la Documentazione del Ministero
dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo, dalla Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici per le province
di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo,
dall’Archivio di Max Hutzel (Courtesy of the
Getty’s Open Content Program, Paul Getty
Trust, Malibu).
Sommario
7
Augusto Roca De Amicis Per una geografia dell’architettura barocca nel Lazio:
diffusioni, scambi, autonomie
19
SCHEDATURA DEI CENTRI URBANI E DEL TERRITORIO
21
PROVINCIA DI FROSINONE a cura di Augusto Roca De Amicis
21 Frosinone 22 Acquafondata 23 Acuto 23 Alatri 26 Alvito
30 Amaseno 32 Anagni 37 Arce 38 Arnara 38 Arpino 42 Atina
44 Ausonia 45 Boville Ernica 46 Campoli Appennino 47 Casalattico
47 Casalvieri 48 Cassino 51 Castelliri 51 Castelnuovo Parano
51 Castro dei Volsci 51 Castrocielo 52 Ceccano 53 Ceprano
53 Cervaro 53 Colle San Magno 54 Collepardo 57 Coreno Ausonio
58 Esperia 60 Ferentino 61 Filettino 62 Fiuggi 64 Fontana Liri
65 Fontechiari 65 Fumone 66 Gallinaro 67 Giuliano di Roma
68 Guarcino 69 Isola del Liri 70 Monte San Giovanni Campano
71 Morolo 72 Paliano 74 Pastena 75 Patrica 76 Picinisco 77 Pico
78 Piglio 79 Pofi 80 Posta Fibreno 81 Ripi 82 Rocca d’Arce
82 Roccasecca 83 San Donato Val di Comino 85 San Giovanni Incarico
86 Sant’Ambrogio sul Garigliano 86 Sant’Elia Fiumerapido 88 Santopadre
88 Settefrati 89 Sgurgola 90 Sora 93 Strangolagalli 94 Supino
95 Torrice 96 Trevi nel Lazio 97 Vallecorsa 99 Vallerotonda 100 Veroli
104 Vicalvi 105 Vico nel Lazio 105 Villa Latina 106 Villa Santo Stefano
107 Viticuso
109
PROVINCIA DI LATINA a cura di Bartolomeo Azzaro
109 Latina 110 Castelforte 110 Cori 112 Fondi 113 Formia
117 Gaeta 119 Itri 121 Lenola 123 Minturno 124 Monte San Biagio
125 Ponza 125 Priverno 127 Prossedi 128 Roccagorga
131 Roccasecca dei Volsci 132 Sabaudia 134 San Felice Circeo
135 Sermoneta 137 Sezze 141 Sonnino 142 Sperlonga
142 Santi Costa e Damiano 142 Terracina 146 Ventotene
147
PROVINCIA DI RIETI a cura di Giancarlo Coccioli
147 Rieti 155 Accumoli 155 Amatrice 158 Antrodoco 159 Ascrea
160 Belmonte in Sabina 160 Borbona 161 Borgorose 161 Borgo Velino
162 Cantalice 163 Cantalupo in Sabina 165 Casperia 166 Castel Di Tora
167 Castel Sant’Angelo 167 Castelnuovo di Farfa 168 Cittaducale
172 Cittareale 172 Collalto Sabino 173 Colle di Tora 173 Collevecchio
174 Concerviano 175 Configni 175 Contigliano 177 Cottanello
178 Fara in Sabina 179 Fiamignano 180 Forano 180 Greccio 182 Labro
182 Leonessa 186 Longone Sabino 187 Magliano Sabina 188 Marcetelli
189 Mompeo 189 Montasola 190 Montebuono 190 Monteleone Sabino
190 Montenero Sabino 191 Morro Reatino 191 Orvinio 192 Petrella Salto
193 Poggio Bustone 194 Poggio Mirteto 196 Poggio San Lorenzo
196 Posta 198 Pozzaglia Sabina 198 Rivodutri 199 Roccantica
200 Salisano 200 Scandriglia 201 Selci in Sabina 201 Stimigliano
202 Tarano 202 Toffia 202 Torricella in Sabina 203 Turania
203 Vacone 204 Varco Sabino
205
PROVINCIA DI VITERBO a cura di Daniela Gallavotti Cavallero
205 Viterbo 224 Acquapendente 225 Arlena di Castro 225 Bagnoregio
226 Barbarano Romano 227 Bassano in Teverina 227 Bassano Romano
231 Blera 231 Bolsena 234 Bomarzo 235 Calcata 235 Canepina
237 Canino 239 Capodimonte 240 Capranica 242 Caprarola
246 Carbognano 246 Castel Sant’Elia 248 Castiglione in Teverina
248 Celleno 249 Cellere 249 Civita Castellana 252 Fabrica di Roma
253 Farnese 254 Gallese 255 Gradoli 256 Grotte di Castro
258 Ischia di Castro 260 Latera 262 Lubriano 262 Marta
263 Montalto di Castro 266 Montefiascone 269 Monte Romano
270 Monterosi 271 Nepi 273 Oriolo Romano 275 Orte 279 Piansano
280 Ronciglione 287 San Lorenzo Nuovo 288 Soriano nel Cimino
292 Sutri 295 Tarquinia 299 Tessennano 299 Tuscania 302 Valentano
304 Vallerano 307 Vasanello 308 Vejano 308 Vetralla 312 Vignanello
315 Villa San Giovanni in Tuscia 315 Vitorchiano
317
Bibliografia
345
Indice dei nomi a cura di Michela Peretti
SCHEDATURA DEI CENTRI URBANI
E DEL TERRITORIO
De Luca Editori d’Arte
Cura editoriale
Federica Piantoni
Impaginazione
Laura Lanari
Coordinamento tecnico
Mario Ara
L’editore si dichiara pienamente disponibile a soddisfare eventuali oneri derivanti da diritti
di riproduzione per le immagini di cui non sia stato possibile reperire gli aventi diritto.
È vietata la riproduzione, con qualsiasi procedimento, della presente opera o parti di essa.
© 2014 De Luca Editori d’Arte s.r.l.
00199 Roma - Via di Novella, 22
tel. 06 32650712 - fax 06 32650715
[email protected]
ISBN 978-88-6557-048-7
Finito di stampare
nel mese di ottobre 2014
Stampato in Italia - Printed in Italy
pone le consuete immagini degli Evangelisti. La
terza cappella a destra dell’Immacolata Concezione, patronato dei Del Secco, vede la fruttuosa
collaborazione, nell’ultimo decennio del ’600, tra
l’architetto ticinese Michele Chiesa e il reatino Antonio Gherardi, impegnato a Roma nell’esecuzione delle sue celebri cappelle in S. Carlo ai Catinari e S. Cecilia in Trastevere. L’elegante e ricca
decorazione a stucco della volta e delle pareti con
putti, ghirlande e bassorilievi raffiguranti i simboli legati alle litanie della Vergine – Ianua Coeli, Turris eburnea, Turris Davidica, Templum Divinae Gratiae – è attribuibile a Gherardi, autore anche della pala d’altare con l’Immacolata Concezione.
cenzo de Medici per 19.800 ducati. Il ritorno sotto la corona di Napoli si ebbe nel 1736.
La città toccò la sua massima fase di crescita nel
1561, quando raggiunse i 750 fuochi: un secolo
dopo, nel 1669, ne contava meno della metà (336
fuochi) e nel 1775 poco più di un terzo (269 fuochi). L’importanza del centro, che ebbe titolo di
città nel 1445 (o, secondo alcuni, nel 1511), è testimoniata dai suoi notevoli palazzi – che risultano allineati secondo un disegno urbano unitario,
dalla presenza degli ordini francescano e agostiniano, di un acquedotto e di un teatro pubblico.
Di quest’ultimo si ha notizia già prima del 1545,
ma fu più volte distrutto e ricostruito, scomparendo dopo la metà dell’800.
29. VILLA PONAM, località Case S. Benedetto.
L’edificio, di grande interesse per le scelte compositive particolarmente originali, mostra nell’insieme caratteri non completi ed elementi eseguiti con qualità discontinua. Pur in mancanza di riferimenti documentari, è stata recentemente riferita all’architetto-stuccatore Michele Chiesa. Venne edificato nella prima metà del ’700 per i Ponam, famiglia di mercanti di origine francese protagonista di una rapida ascesa sociale tanto da dotarsi di un’arma gentilizia che il Perotti de Cavalli descrive come “un huomo con un vaso di fiori
in testa in campo turchino”. Un duplice filare di
sempreverdi accompagna idealmente verso la fastosa concavità della facciata, armoniosamente incorniciata dai due corpi ortogonali in aggetto.
La villa è costituita dall’aggregazione di due corpi di fabbrica, di cui uno evidentemente preesistente, cui è sovrapposta una facciata a tre ordini
con arcate in cotto. Sul retro è la scenografica facciata concava a due ordini con mezzanino superiore, in cui si apre al centro il portale a bugnato
sormontato da terrazzino con porta-finestra affiancata da pilastri ed esili colonne in stucco. Le
finestre sono intercalate da lesene in mattoncini,
decorate da cornici in stucco. Lungo il sottotetto, scorre una teoria di oculi, che stilisticamente
si armonizzano con gli ovali affiancati al portale
d’accesso.
Esuberante anche la sistemazione di alcuni ambienti interni, sviluppati intorno al salone ovale
dal colonnato in mattoni che sostiene la trabeazione da cui s’affacciano i putti musicanti tendendo da una colonna all’altra augurali ghirlande
di fiori.
Ileana Tozzi
BIBL.: A.L. Antinori s.d., I, pp. 4-8; A. Marcucci
1766; F. Milizia 1785, II, p. 222; L. Giustiniani 1797,
I, pp. 21-25; G.A. Guattani 1828, II, pp. 258-260;
A. Cappello 1829; V. Bindi 1883, p. 127; F. Palmegiani 1932, pp. 409-411; E.B. Garrison 1951, pp.
293-304; L. Mortari 1957, p. 18, e 1965, II, p. 590;
A.M. D’Achille 1985, p. 189; M.G. Aurigemma
1992, p. 130; Il Lazio paese per paese, I, 1992, pp.
7-8; C. Grappa 1994, pp. 9-10; L. Celani 1995; Itinerari Sabini 1995, pp. 203-208; V. Di Flavio 1996,
pp. 15-19; C. De Angelis 1999, pp. 44-56; V. Di
Flavio 1999; E. Calabri, C. Cristallini 2001, pp. 133134; A. Cappellanti 2004, pp. 32-33; A. Cantalamessa 2006, pp. 54-55; F. Festuccia 2006, p. 14; G.
Maceroni 2006, pp. 67-69, 87-88; A. Cantalamessa 2007, pp. 27-28; G. Simone 2010, p. 160; A.A.
Cappellanti 2011; V. Di Flavio, R. Colucci 2012.
ACCUMOLI
Le prime tracce di abitati nella zona sembrano risalire al III-II secolo a.C., legati al tracciato della
via Salaria. Corrado II, nel 1037, confermando al
vescovo di Ascoli la giurisdizione su questi territori, nominava nel suo diploma “Acumulo”, toponimo forse derivato da “ad-culmines”. Nella seconda metà del XII secolo il processo di incastellamento portò il borgo a divenire polo di aggregazione spontanea degli abitati sparsi dei dintorni, grazie alla posizione strategica a guardia della Salaria e dei valichi montani per l’Umbria. Fu
dotata di una cerchia di mura, lunga circa tre chilometri, rafforzata da bastioni e aperta da quattro
porte: S. Maria (Porta Pescara) a sud-ovest, S. Pietro a ovest, S. Nicola (Porta Vecchia) a est, S. Leonardo (Porta Pacino) a nord. Resti delle prime due
sono tuttora visibili, insieme ad alcuni bastioni.
Alle porte corrispondevano i quattro quarti, ognuno con la propria parrocchia.
Accumuli nel 1528 resistette a un assedio di otto
mesi delle truppe di Francesco I re di Francia; si
unì poi alle truppe imperiali di Carlo V nel saccheggio di Amatrice. L’imperatore, allora, le conferì il titolo di “fedelissima”, confermando la sua
natura demaniale. Nel 1643 venne venduta a Vin-
RIETI - AMATRICE
1. S. MARIA DELLA MISERICORDIA, via Roma. La facciata si segnala per un portale bugnato
chiuso da lesene scanalate. Presenta una pianta a
croce commissa con nave traversa posta in corrispondenza dell’ingresso; in controfacciata, oltre
alla cantoria d’organo, si trova un’epigrafe funeraria marmorea del 1650, riferibile all’avvocato Filippo Pasqualoni, ornata dal ritratto su rame del
defunto e dall’arme della famiglia.
Il maestoso altare ligneo barocco, ornato nei plinti dagli stemmi dell’Università di Accumoli – che
si era impegnata a mantenerlo sin dal 1661 – è in
legno di noce e presenta quattro colonne tortili
riccamente decorate con fioroni. Al centro, dove
già si trovava una tela raffigurante S. Giuseppe, è
oggi una statua dell’Addolorata datata 1797. L’altare ligneo dei Pasqualoni a sinistra inquadra una
tela con la Vergine in gloria e i SS. Francesco, Anna e Giacomo e, sulla cimasa, una Trinità, entrambe attribuite da Federico Zeri ad Alessandro
Turchi, detto l’Orbetto.
2. PALAZZO CAPPELLO, via Piave 10. L’ampio palazzo, seicentesco nel suo aspetto complessivo ma incorporante edifici più antichi, risulta,
con i suoi cinque livelli, quasi sovradimensionato
rispetto all’intorno, e vede esaltate le sue proporzioni anche dalla posizione dominante sull’abitato. Il piano terreno, concepito come un basamento, è caratterizzato da un apparecchio murario pseudoisodomo, in cui si apre il portone principale a bugne, coronato da cornice marcapiano
dalla conformazione a toro; corposi cantonali a bugnato inquadrano il prospetto. Dall’ingresso principale parte una scala elicoidale.
Appartenente alla famiglia Cappello – i cui stemmi ornano i camini delle sale, molte delle quali
cassettonate – passò agli Organtini ed è oggi diviso tra la famiglia Ambrosi Sacconi e il Comune
che lo ha destinato a Museo naturalistico.
3. PALAZZO MARINI, via Salvatore Tommasi 56.
L’ampio prospetto dove appare la data 1631 presenta sei assi di finestre e tre livelli, con un’intelaiatura di fasce marca davanzale e bugne angolari.
Il portale ha un paramento di bugne al quale sono addossate due colonne dalle scanalature a spirale, che sorreggono con mensole il balcone; le mo-
Accumoli. Palazzo Marini.
stre interne delle finestre presentano l’originale soluzione di un corposo toro affiancato da piedritti
e mensole riccamente intagliate.
Nel salone principale del palazzo, con soffitto cassettonato, un grande camino è ornato col Ratto
d’Europa. Nel fregio che corre sotto il soffitto sono affrescate le allegorie delle Stagioni e di alcuni Paesi d’Europa, scandite da paesaggi, dallo
stemma gentilizio della casata, e da grottesche. Anche le sale che affiancano il salone sono similmente
decorate. Il fronte dell’edificio versa in cattivo stato di conservazione a causa del degrado della pietra arenaria locale.
4. PALAZZO ORGANTINI, via della Rimembranza. Il settecentesco palazzo si compone di tre
piani scanditi da marcapiani e finestrature regolari. Il Cappello (1829) testimonia la passata ricchezza dell’arredo interno, ricordando “ricche
stoviglie, arazzi e galleria di quadri”. Nelle sale
cassettonate e dotate di camini in pietra, si sviluppano affreschi con storie tratte dai poemi cavallereschi.
Dintorni:
5. S. MARIA DELLE COSTE, strada per monte
Ciambella. La chiesa, forse di origine eremitica,
fu restaurata nel ’400. Nel 1636 fu ristrutturata
grazie al giureconsulto Cinzio Camerari, come attesta un’epigrafe all’interno. Nella chiesa ad aula
unica coperta a volta, con facciata in pietra a capanna, spicca l’altare maggiore a portelle, ornato
dagli stemmi della famiglia Camerari e del vescovo di Ascoli Giulio Gabrielli (1641-1668), pesantemente depauperato da furti.
Gianluigi Simone
AMATRICE
Situata lungo la via Salaria in posizione centrale
tra Ascoli, Rieti e L’Aquila, Amatrice sorge sulla
sommità di un colle che domina l’alta valle del
Tronto, nel punto di confluenza col Castellano.
Nel territorio limitrofo sono distribuite numerose “ville” o frazioni, attualmente 69 ma in origine
più di 90, di cui molte dotate di un proprio edificio sacro, in antico legato amministrativamente
alle chiese cittadine. Fu abitata sin dall’età protostorica; della civiltà sabina fanno fede i resti dell’antica Summata. Citata col nome “Matrice” nel
1012 nel regesto dell’abbazia di Farfa, venne espugnata nel 1271 dal vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, per ordine di Carlo d’Angiò. For-
155
pone le consuete immagini degli Evangelisti. La
terza cappella a destra dell’Immacolata Concezione, patronato dei Del Secco, vede la fruttuosa
collaborazione, nell’ultimo decennio del ’600, tra
l’architetto ticinese Michele Chiesa e il reatino Antonio Gherardi, impegnato a Roma nell’esecuzione delle sue celebri cappelle in S. Carlo ai Catinari e S. Cecilia in Trastevere. L’elegante e ricca
decorazione a stucco della volta e delle pareti con
putti, ghirlande e bassorilievi raffiguranti i simboli legati alle litanie della Vergine – Ianua Coeli, Turris eburnea, Turris Davidica, Templum Divinae Gratiae – è attribuibile a Gherardi, autore anche della pala d’altare con l’Immacolata Concezione.
cenzo de Medici per 19.800 ducati. Il ritorno sotto la corona di Napoli si ebbe nel 1736.
La città toccò la sua massima fase di crescita nel
1561, quando raggiunse i 750 fuochi: un secolo
dopo, nel 1669, ne contava meno della metà (336
fuochi) e nel 1775 poco più di un terzo (269 fuochi). L’importanza del centro, che ebbe titolo di
città nel 1445 (o, secondo alcuni, nel 1511), è testimoniata dai suoi notevoli palazzi – che risultano allineati secondo un disegno urbano unitario,
dalla presenza degli ordini francescano e agostiniano, di un acquedotto e di un teatro pubblico.
Di quest’ultimo si ha notizia già prima del 1545,
ma fu più volte distrutto e ricostruito, scomparendo dopo la metà dell’800.
29. VILLA PONAM, località Case S. Benedetto.
L’edificio, di grande interesse per le scelte compositive particolarmente originali, mostra nell’insieme caratteri non completi ed elementi eseguiti con qualità discontinua. Pur in mancanza di riferimenti documentari, è stata recentemente riferita all’architetto-stuccatore Michele Chiesa. Venne edificato nella prima metà del ’700 per i Ponam, famiglia di mercanti di origine francese protagonista di una rapida ascesa sociale tanto da dotarsi di un’arma gentilizia che il Perotti de Cavalli descrive come “un huomo con un vaso di fiori
in testa in campo turchino”. Un duplice filare di
sempreverdi accompagna idealmente verso la fastosa concavità della facciata, armoniosamente incorniciata dai due corpi ortogonali in aggetto.
La villa è costituita dall’aggregazione di due corpi di fabbrica, di cui uno evidentemente preesistente, cui è sovrapposta una facciata a tre ordini
con arcate in cotto. Sul retro è la scenografica facciata concava a due ordini con mezzanino superiore, in cui si apre al centro il portale a bugnato
sormontato da terrazzino con porta-finestra affiancata da pilastri ed esili colonne in stucco. Le
finestre sono intercalate da lesene in mattoncini,
decorate da cornici in stucco. Lungo il sottotetto, scorre una teoria di oculi, che stilisticamente
si armonizzano con gli ovali affiancati al portale
d’accesso.
Esuberante anche la sistemazione di alcuni ambienti interni, sviluppati intorno al salone ovale
dal colonnato in mattoni che sostiene la trabeazione da cui s’affacciano i putti musicanti tendendo da una colonna all’altra augurali ghirlande
di fiori.
Ileana Tozzi
BIBL.: A.L. Antinori s.d., I, pp. 4-8; A. Marcucci
1766; F. Milizia 1785, II, p. 222; L. Giustiniani 1797,
I, pp. 21-25; G.A. Guattani 1828, II, pp. 258-260;
A. Cappello 1829; V. Bindi 1883, p. 127; F. Palmegiani 1932, pp. 409-411; E.B. Garrison 1951, pp.
293-304; L. Mortari 1957, p. 18, e 1965, II, p. 590;
A.M. D’Achille 1985, p. 189; M.G. Aurigemma
1992, p. 130; Il Lazio paese per paese, I, 1992, pp.
7-8; C. Grappa 1994, pp. 9-10; L. Celani 1995; Itinerari Sabini 1995, pp. 203-208; V. Di Flavio 1996,
pp. 15-19; C. De Angelis 1999, pp. 44-56; V. Di
Flavio 1999; E. Calabri, C. Cristallini 2001, pp. 133134; A. Cappellanti 2004, pp. 32-33; A. Cantalamessa 2006, pp. 54-55; F. Festuccia 2006, p. 14; G.
Maceroni 2006, pp. 67-69, 87-88; A. Cantalamessa 2007, pp. 27-28; G. Simone 2010, p. 160; A.A.
Cappellanti 2011; V. Di Flavio, R. Colucci 2012.
ACCUMOLI
Le prime tracce di abitati nella zona sembrano risalire al III-II secolo a.C., legati al tracciato della
via Salaria. Corrado II, nel 1037, confermando al
vescovo di Ascoli la giurisdizione su questi territori, nominava nel suo diploma “Acumulo”, toponimo forse derivato da “ad-culmines”. Nella seconda metà del XII secolo il processo di incastellamento portò il borgo a divenire polo di aggregazione spontanea degli abitati sparsi dei dintorni, grazie alla posizione strategica a guardia della Salaria e dei valichi montani per l’Umbria. Fu
dotata di una cerchia di mura, lunga circa tre chilometri, rafforzata da bastioni e aperta da quattro
porte: S. Maria (Porta Pescara) a sud-ovest, S. Pietro a ovest, S. Nicola (Porta Vecchia) a est, S. Leonardo (Porta Pacino) a nord. Resti delle prime due
sono tuttora visibili, insieme ad alcuni bastioni.
Alle porte corrispondevano i quattro quarti, ognuno con la propria parrocchia.
Accumuli nel 1528 resistette a un assedio di otto
mesi delle truppe di Francesco I re di Francia; si
unì poi alle truppe imperiali di Carlo V nel saccheggio di Amatrice. L’imperatore, allora, le conferì il titolo di “fedelissima”, confermando la sua
natura demaniale. Nel 1643 venne venduta a Vin-
RIETI - AMATRICE
1. S. MARIA DELLA MISERICORDIA, via Roma. La facciata si segnala per un portale bugnato
chiuso da lesene scanalate. Presenta una pianta a
croce commissa con nave traversa posta in corrispondenza dell’ingresso; in controfacciata, oltre
alla cantoria d’organo, si trova un’epigrafe funeraria marmorea del 1650, riferibile all’avvocato Filippo Pasqualoni, ornata dal ritratto su rame del
defunto e dall’arme della famiglia.
Il maestoso altare ligneo barocco, ornato nei plinti dagli stemmi dell’Università di Accumoli – che
si era impegnata a mantenerlo sin dal 1661 – è in
legno di noce e presenta quattro colonne tortili
riccamente decorate con fioroni. Al centro, dove
già si trovava una tela raffigurante S. Giuseppe, è
oggi una statua dell’Addolorata datata 1797. L’altare ligneo dei Pasqualoni a sinistra inquadra una
tela con la Vergine in gloria e i SS. Francesco, Anna e Giacomo e, sulla cimasa, una Trinità, entrambe attribuite da Federico Zeri ad Alessandro
Turchi, detto l’Orbetto.
2. PALAZZO CAPPELLO, via Piave 10. L’ampio palazzo, seicentesco nel suo aspetto complessivo ma incorporante edifici più antichi, risulta,
con i suoi cinque livelli, quasi sovradimensionato
rispetto all’intorno, e vede esaltate le sue proporzioni anche dalla posizione dominante sull’abitato. Il piano terreno, concepito come un basamento, è caratterizzato da un apparecchio murario pseudoisodomo, in cui si apre il portone principale a bugne, coronato da cornice marcapiano
dalla conformazione a toro; corposi cantonali a bugnato inquadrano il prospetto. Dall’ingresso principale parte una scala elicoidale.
Appartenente alla famiglia Cappello – i cui stemmi ornano i camini delle sale, molte delle quali
cassettonate – passò agli Organtini ed è oggi diviso tra la famiglia Ambrosi Sacconi e il Comune
che lo ha destinato a Museo naturalistico.
3. PALAZZO MARINI, via Salvatore Tommasi 56.
L’ampio prospetto dove appare la data 1631 presenta sei assi di finestre e tre livelli, con un’intelaiatura di fasce marca davanzale e bugne angolari.
Il portale ha un paramento di bugne al quale sono addossate due colonne dalle scanalature a spirale, che sorreggono con mensole il balcone; le mo-
Accumoli. Palazzo Marini.
stre interne delle finestre presentano l’originale soluzione di un corposo toro affiancato da piedritti
e mensole riccamente intagliate.
Nel salone principale del palazzo, con soffitto cassettonato, un grande camino è ornato col Ratto
d’Europa. Nel fregio che corre sotto il soffitto sono affrescate le allegorie delle Stagioni e di alcuni Paesi d’Europa, scandite da paesaggi, dallo
stemma gentilizio della casata, e da grottesche. Anche le sale che affiancano il salone sono similmente
decorate. Il fronte dell’edificio versa in cattivo stato di conservazione a causa del degrado della pietra arenaria locale.
4. PALAZZO ORGANTINI, via della Rimembranza. Il settecentesco palazzo si compone di tre
piani scanditi da marcapiani e finestrature regolari. Il Cappello (1829) testimonia la passata ricchezza dell’arredo interno, ricordando “ricche
stoviglie, arazzi e galleria di quadri”. Nelle sale
cassettonate e dotate di camini in pietra, si sviluppano affreschi con storie tratte dai poemi cavallereschi.
Dintorni:
5. S. MARIA DELLE COSTE, strada per monte
Ciambella. La chiesa, forse di origine eremitica,
fu restaurata nel ’400. Nel 1636 fu ristrutturata
grazie al giureconsulto Cinzio Camerari, come attesta un’epigrafe all’interno. Nella chiesa ad aula
unica coperta a volta, con facciata in pietra a capanna, spicca l’altare maggiore a portelle, ornato
dagli stemmi della famiglia Camerari e del vescovo di Ascoli Giulio Gabrielli (1641-1668), pesantemente depauperato da furti.
Gianluigi Simone
AMATRICE
Situata lungo la via Salaria in posizione centrale
tra Ascoli, Rieti e L’Aquila, Amatrice sorge sulla
sommità di un colle che domina l’alta valle del
Tronto, nel punto di confluenza col Castellano.
Nel territorio limitrofo sono distribuite numerose “ville” o frazioni, attualmente 69 ma in origine
più di 90, di cui molte dotate di un proprio edificio sacro, in antico legato amministrativamente
alle chiese cittadine. Fu abitata sin dall’età protostorica; della civiltà sabina fanno fede i resti dell’antica Summata. Citata col nome “Matrice” nel
1012 nel regesto dell’abbazia di Farfa, venne espugnata nel 1271 dal vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, per ordine di Carlo d’Angiò. For-
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e S. Francesco sono disposte secondo un modello triangolare tipico del periodo, in particolare per
quello che riguarda gli ordini mendicanti (in questo caso S. Agostino e S. Francesco) che ha per
baricentro il palazzo comunale e la torre civica.
Questi ultimi due edifici rafforzano l’asse trasversale marcato dalla presenza del complesso di S.
Francesco. La larghezza delle strade e l’ampiezza
quasi costante degli isolati confermano la fondazione duecentesca dell’impianto urbanistico.
Non si possono comprendere le vicende del patrimonio edilizio e artistico della cittadina senza
tener presente che essa fu nel tempo sconvolta da
violentissimi terremoti, in particolare nel 1639,
1646, 1672, 1703, 1730.
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Pianta di Amatrice (Catasto unitario).
tificatasi, fu presa nuovamente nel 1274. Nel corso del XIII secolo la città si organizzò in Comune autonomo, che – secondo un diploma reale del
1384 – comprendeva possedimenti fino ai confini
di Cittareale, includendo il territorio di Campotosto, e con estensioni anche nel teramano.
Fu tradizionale alleata di Ascoli mentre numerosi furono gli scontri con Norcia, Arquata e Cittareale, ma soprattutto con L’Aquila. Nella guerra
di successione (1435-1443) fra Renato d’Angiò e
Alfonso d’Aragona, Amatrice si schierò al fianco
degli Aragonesi che uscirono vittoriosi e offrirono benefici alla città.
Nelle lotte tra Francesco I di Francia e Carlo V
Amatrice sostenne il partito francese, e fu per questo messa a ferro e fuoco, e le sue mura abbattute (1529). Carlo V donò la città a un suo capitano (1538), Alessandro Vitelli di Città di Castello,
costringendola al dominio feudale.
Con la morte dell’ultima erede di questo ramo dei
Vitelli, che aveva sposato Virginio Orsini, la città
passò al figlio di questi, Latino. Il nipote Alessandro Maria Orsini (1611-1692), fautore della casa di Spagna, sposò Anna Maria Caffarelli, che era
favorevole invece alla politica del papa e della
Francia. Con la rivolta di Masaniello anche Amatrice si sollevò (1647) contro gli Spagnoli e contro il principe Orsini, che allora si trovava a Mantova. La repressione del principe fu violenta: nel
1648 il capo degli insorti fu impiccato, e la prin-
cipessa Caffarelli fu trovata assassinata. Orsini fu
allora arrestato con l’accusa di uxoricidio, e poté
tornare ad Amatrice solo nel 1683. Ma, nel frattempo, tra il 1641 e il 1648, poi nel 1676, e ancora tra il 1680 e il 1682, un terzo delle ville si
erano separate dal Comune, che si avviava così allo smembramento.
Quando Alessandro Maria Orsini morì, nel 1692,
la città fu rivendicata dalla granduchessa Vittoria
di Toscana: dal 1693 al 1759 rimase dunque soggetta ai Medici. Infine, il feudo entrò a far parte
dei domini personali del re di Napoli.
Una tradizione priva di fondamento attribuisce il
tracciato urbano a una ricostruzione dopo il sacco del 1529, progettata da Cola dell’Amatrice. In
realtà, il tessuto urbano conserva il disegno di una
fondazione di metà Duecento. L’impianto si sviluppa lungo un asse principale, corso Umberto I,
dall’andamento est-ovest (declinante verso ovest).
A est il tessuto e le strade si chiudono a imbuto
tra la chiesa di S. Agostino e l’antica chiesa di S.
Lorenzo a Trione, ora sostituita da un piazzale.
In posizione urbana baricentrica sorgono la torre e il palazzo comunale, mentre gli ordini mendicanti si insediano in prossimità delle mura, di
cui rimangono in piedi alcuni tratti e alcuni accessi: Porta Carbonara, Porta S. Francesco, Porta Castello e Porta Ferrata (tamponata e inglobata nella chiesa di S. Maria di Porta Ferrata).
In particolare le chiese di S. Emidio, S. Agostino
Amatrice. S. Agostino, altare maggiore.
Amatrice. S. Giovanni.
156
BIBL.: I. Millesimi s.d., pp. 37, 39, 77; G. Orologi 1669; G. Pansa 1892 e 1898; F. Palmegiani 1932;
F. Caffarelli 1958; G. Marchetti 1960; G. Chiaretti
1965, p. 15; Restauri in Sabina 1966, p. 9; A. Massimi 1971; M. Moretti 1971; E. Lear 1974; A. Massimi 1979; C. Verani 1979; G. Carbonara 1982; I.
Gavini 1983, II pp. 207-211, 225; A.M. D’Achille, T. Iazeola 1985; E. Guidoni 1985; A.M. Orsini 1985; A. Di Nicola 1990; E.A. Di Carlo 1992;
A. Ruggeri 1995; M. Natoli 1998, p. 117; L. Aquilini 1999; A. Ruggeri 1999; A. Massimi 2001; L.
Aquilini 2002, p. 77; N. Cariello 2003; C. D’Angelo 2003; E. Gigli 2003; A. Ruggeri 2003; C. Blasetti, L. Aquilini 2004; F. Festuccia 2004; M. Mozzetti 2004; A. Ruggeri 2004a e 2004b; P. Berardi
2005; Museo Civico di Amatrice 2005; Gli scritti
di Padre Giovanni Minozzi 2005; M. Mozzetti
2005; A. Di Nicola 2006; F. Gangemi 2006; I. Tozzi 2006a, p. 157; V. Di Flavio 2007; A. Ruggeri
2007; G. Simone 2008a, 2008b, 2008c, 2008d,
2008-2009a, 2008-2009b; 2009 e 2010; A. Di Nicola 2011; T. Leggio 2011.
a. TORRE DEL COMUNE. Posta al centro della città, con forte valenza di riferimento urbano,
è alta circa 25 m. Nasce dalla trasformazione di
una precedente torre, menzionata già in un documento del 1293, e accresciuta in altezza nel
1675, come ricorda un’iscrizione. Nel 1684 il principe Alessandro Maria Orsini isolò la torre demolendo le strutture edilizie adiacenti e ampliò il
piazzale antistante, intitolandolo al suo casato, come ricorda tuttora un’epigrafe sul lato occidentale della torre.
b. FONTANA ORSINI. Databile al XVII secolo,
si trova lungo il fianco sinistro della chiesa del Suffragio, collocazione diversa da quella originaria.
Nel documento di fondazione della chiesa, il sito
prescelto per l’edificio religioso è posizionato
“avanti la fontana sotto il palazzo baronale”, e il
Lupacchini descrive il palazzo Orsini ornato da
due fontane, “una a capo et un’altra a piedi”. Uno
stemma Orsini sormonta la semplice struttura della fonte.
Amatrice. S. Maria della Concezione, interno.
PROVINCIA DI RIETI
Amatrice. S. Maria di Porta Ferrata, altare.
Amatrice. S. Maria del Suffragio, cappella laterale.
Amatrice. S. Maria del Suffragio, altare maggiore.
1. CHIESA DEL CROCIFISSO. Fondata nel XV
secolo, deve il suo nome al coevo crocifisso ligneo
che si conserva sull’altare maggiore. Ad aula unica
coperta da una volta ribassata e scavata da unghie,
è il frutto di un rifacimento settecentesco, ancora
leggibile dopo gli interventi intrapresi dal 1919.
Il convento è addossato alle mura cittadine e presenta al suo interno un grande chiostro loggiato
quadrangolare. Benché l’impianto sia medievale,
sul lato meridionale del chiostro leggiamo la data 1753, a testimonianza di rifacimenti successivi
al sisma del luglio 1751.
2. S. AGOSTINO, piazza S. Agostino. Prese tale
intitolazione dall’annesso convento agostiniano, ma
in realtà era intitolata a S. Nicola di Bari. Presenta in pianta una scarsa estensione longitudinale e
l’attuale sagrestia sembra ricavata dall’antico presbiterio. Probabilmente in seguito al terremoto del
1703 la parte alta della facciata venne rimaneggiata e ridotta, e venne aperto un finestrone poi sostituito da un rosone in pietra aquilana durante i
lavori di restauro del 1933-1935, quando la facciata venne elevata di quattro metri. Contestualmente l’interno venne privato della decorazione barocca; fu abbattuta la volta a incannucciato (già rifatta nel 1845) ripristinando le capriate a vista; nel
1963-1965 furono infine demolite la cantoria a tre
arcate addossata alla controfacciata e i quattro altari laterali. Della facies barocca rimane l’altare maggiore settecentesco in stucco, con coppie di colonne in progressivo aggetto sorreggenti un frontespizio spezzato con fastigio centrale. Il convento,
soppresso nel 1809, è andato nel tempo distrutto.
4. S. GIOVANNI, via Roma. L’impianto è frutto
di vari rimaneggiamenti di cui l’ultimo è forse coevo alla data del 1736, leggibile su una targa nel
campanile. La facciata si presenta a profilo rettangolare, scandita da quattro paraste. Il portale
è sormontato da un finestrone e affiancato da due
nicchie che contenevano statue lignee di S. Giovanni e S. Lucia. L’interno si presenta ad aula unica con volta ribassata solcata da unghiature in rispondenza delle finestre, crociera e ampia abside; gli altari laterali a edicola sono organicamente connessi all’articolazione parietale. Le pareti,
secondo le fonti, erano ricche di affreschi, poi ricoperti. Fu chiusa definitivamente al culto nel
1979.
5. S. GIUSEPPE, corso Umberto I. Eretta alla fine del ’600 dall’abate Domenico Paolini, divenne
luogo di sepoltura dei membri della sua famiglia,
che risiedeva nel palazzo di fronte alla chiesa. Il
portale risulta da un complesso incastro di elementi: la mostra interna ornata da una testa di cherubino tra festoni; i piedritti che la inquadrano e
sorreggono il frontespizio arcato; e semiparaste ai
lati. L’interno è ad aula unica, scandita da paraste e con due altari laterali. Un lungo stato di abbandono, durato fino a pochi anni fa, ha causato
il crollo della volta e il deperimento di stucchi e
decorazioni.
3. CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO,
piazza S. Francesco. La più antica notizia della
presenza dei Francescani in Amatrice risale al
1282; l’edificio attuale fu costruito intorno al XIV
secolo e solo a partire dal XVIII ha preso nell’uso
corrente il titolo di S. Francesco, spettante in realtà solo al convento. Un’epigrafe del 1687 ricorda la riconsacrazione della chiesa – forse a seguito di lavori di restauro dopo il terremoto del
1672. Come documentano alcune fotografie storiche dell’edificio lungo la navata si trovavano sette altari barocchi. La veste decorativa sei-settecentesca, venne rimossa negli anni trenta del ’900.
L’altare dedicato alla Madonna di Filetta, patrona della città, a metà della navata destra, è in legno intagliato, con due colonne che inquadrano
un tabernacolo; fu realizzato dall’intagliatore Marco Gigli nel 1641 e dorato da Giuseppe Frigerio
da Norcia nel 1739. I plinti alla base delle colonne recano gli stemmi di Amatrice. La chiesa fu
scelta come luogo di sepoltura dei principi Orsini, come ricorda un’epigrafe del 1735 affrescata
nell’abside.
AMATRICE
6. CHIESA E CONVENTO DI S. GIUSEPPE
DA LEONESSA. Dopo che nel convento cappuccino morì San Giuseppe da Leonessa – che qui
era sepolto fino al 1639 – la chiesa, prima intitolata a S. Caterina, prese l’attuale denominazione.
L’altar maggiore, in legno intagliato, fatto erigere
da Alessandro Maria Orsini sul finire del ’600, reca una tela del 1627 rappresentante il santo. Sul-
Amatrice. S. Maria di Loreto, altare.
157
Amatrice. Palazzo de Bernardinis, portale.
Prato (frazione di Amatrice). Madonna delle Grazie, interno.
la parte sinistra una lapide del 1692 segnala la sepoltura in chiesa dei precordi del principe. Una
tela con lo Sposalizio mistico di S. Caterina e santi qui custodita ci ha lasciato memoria delle fattezze del principe Orsini, identificabile grazie allo stemma nobiliare, e rappresentato in veste di
offerente inginocchiato.
Il vecchio convento è oggi parte dell’ospedale civile “Francesco Grifoni”, e conserva – nonostante
le profonde trasformazioni – la cella dove morì S.
Giuseppe da Leonessa, col suo ritratto eseguito dal
vero da Pasquale Rigo di Montereale nel 1612.
sul Corso. L’interno a pianta approssimativamente quadrata è ad aula unica, coperta a cassettoni;
è scandito da paraste policrome e da due ricchi altari laterali concavi a edicola, organicamente inseriti nelle arcate cieche, mentre l’altare maggiore,
affine ai primi, è reso ancor più rappresentativo
da due colonne tortili affiancate a quelle dell’edicola e da un coronamento scultoreo.
7. S. MARIA DELLA CONCEZIONE. Ad aula
unica coperta da volta ribassata, con un’ampia
cappella in fondo alla parete destra, l’edificio venne rinnovato dopo il terremoto del 1703 e restaurato nel 1849. L’interno è animato da due altari laterali a edicola, in legno intagliato e dorato,
e da un altar maggiore probabilmente successivo
con trabeazione centinata e ricco coronamento mistilineo.
8. S. MARIA DI LORETO e Museo Civico “Cola Filotesio”, via Cola 47. L’impianto è a due navate divise da pilastri romanici sorreggenti quattro arcate lievemente ogivali (la prima campata e
la facciata dell’edificio sono state demolite nel
1876). Il ricco altare ligneo della navata sinistra,
scandito in tre sezioni, è attribuibile alle maestranze locali e databile tra il 1666 e il 1672, mentre quello della navata destra in stucco, fu realizzato tra il 1711 e il 1730.
9. S. MARIA DI PORTA FERRATA. Iniziata poco dopo il 1599 a custodire un’immagine sacra posta al di sopra di Porta Ferrata, venne ricostruita
a pianta ottagonale nella seconda metà del ’600 a
seguito di un terremoto.Il settecentesco altare
concavo in fondo al presbiterio è stato danneggiato da un incendio nel 1923, che ha distrutto la
restante decorazione dell’interno
10. S. MARIA DEL SUFFRAGIO (del Purgatorio), corso Umberto I. La confraternita del Suffragio aveva inizialmente sede nella chiesa di S.
Giovanni, ma nel 1694 fondò un nuovo edificio
sacro dedicato al culto delle anime del Purgatorio. La veste decorativa è del secondo ’700 e la piccola facciata piana – abbellita da un portale in pietra datato 1724 e, in asse, da un ovale affrescato
con ai lati due finestrature – si apre direttamente
158
11. PALAZZO DE BERNARDINIS, corso Umberto I. Presenta una facciata settecentesca lievemente convessa che segue l’andamento della strada, aperta da due portali con sovrastanti balconi
a balaustrata. Il piano nobile, con finestre incorniciate da mostre di pregevole fattura con coronamento mistilineo a volute, è sormontato da un
mezzanino coronato da un ricco cornicione. Il palazzo ospitò re Ferdinando II nel 1847.
12. PALAZZO ORSINI, corso Umberto I 78. Fu
eretto probabilmente da Alessandro Vitelli e passò agli Orsini nel 1582. La lunga fronte aperta sul
Corso – a due piani, separati dalle botteghe al pian
terreno da una cornice modanata – ha subito alterazioni nel tempo. Danneggiato dal terremoto
del 1639 fu restaurato e ampliato da Alessandro
Maria Orsini, come ricorda un’iscrizione sull’architrave di una porta nel cortile del palazzo. Dal
1693 al 1759 fu residenza del governatore assegnato dal granducato di Toscana, poi divenne caserma, e fu ceduta nel 1814 al Comune. Quanto
ne rimane è oggi suddiviso in abitazioni private.
Su alcune architravi delle finestre si legge ancora:
“ALEXANDER MAR. I URSINUS”.
Prato (frazione di Amatrice)
1. MADONNA DELLE GRAZIE. Sulla modesta
fronte un’iscrizione del 1613 ricorda che la chiesa nacque dall’ampliamento di un’edicola votiva.
L’immagine sull’altare maggiore è un affresco mariano qui traslato nel 1617. L’interno ad aula unica è abbellito da due raffinati altari in noce, e dalla ricca macchina lignea policroma dell’altar maggiore (1657-1659). Sulle portelle laterali di quest’ultimo vi sono le statue di S. Lucia (l’originale
risulta trafugato) e S. Sebastiano.
Il secondo altare a sinistra (ante 1653) è intagliato e presenta nel plinto sinistro uno stemma Caetani-Orsini-Vitelli, riferibile a Latino Orsini. Al
centro una Crocifissione e santi di Giulio Cesare
Bedeschini. Il secondo altare a destra (1653-1661),
presenta nel plinto sinistro uno stemma OrsiniCaffarelli, riferibile ad Alessandro Maria Orsini,
ed è ornato da una tela con la Madonna del Rosario e santi. L’altare maggiore è opera dell’intagliatore Marco Gigli. In chiesa è sepolto un altro
membro di questa famiglia di artigiani, Giovanni
Battista Gigli, che una lapide del 1684, voluta da
Alessandro Maria Orsini, ricorda come faber lignarius, sculptor e archytectus. Chi scrive ha attribuito a G. C. Bedeschini anche lo stendardo dipinto raffigurante la Madonna con Bambino (1623)
che si conserva nel retroaltare entro una ricca cornice lignea.
Varoni (frazione di Amatrice)
1. MADONNA DELLE GRAZIE. La chiesa a navata unica, con soffitto a cassettoni da cui pende
un lampadario in legno scolpito e dorato, ha la zona presbiteriale inquadrata da un’arcata. L’altare
maggiore (1607) si struttura come un arco trionfale, e custodisce una quattrocentesca Madonna col
Bambino. È ornato da dipinti, bassorilievi lignei e
dagli stemmi dei committenti, tra cui si distingue
quello di Latino Orsini. I due altari laterali principali presentano una struttura a retablo, secondo
una tipologia frequente nelle chiese cappuccine e
francescane. Quello di sinistra (1600) è dedicato
a S. Barbara, quello che lo fronteggia alla Madonna del Rosario.
Gianluigi Simone
ANTRODOCO
Situata lungo la via Salaria, presso la diversione
per Amiternum (San Vittorino), il borgo si colloca in posizione mediana fra tre gruppi montuosi
(i monti Giano, Nuria e Terminillo). Il toponimo
osco poi romano Interocrium appare già in Strabone come vicus interocrea e Introthoco nelle fonti altomedievali. In epoca romana Antrodoco fu
una delle stazioni di posta (mansio) sulla Salaria,
nota anche per le proprietà benefiche delle sue
acque solforose.
L’attuale cittadella munita di rocca fu edificata solo a partire dal medioevo, quale avamposto militare e commerciale. L’annessione al regno di Sicilia si registra a seguito della conquista normanna, e fu Ruggero II a concedere il feudo alla casata dei Lavareta, nella figura di Raimondo. Il pos-
PROVINCIA DI RIETI
Eugenio IV concesse la facoltà di vendere i benefici a Cola Mareri, al quale si deve la definizione dei limiti territoriali dell’abitato, la cui comunità nel 1570 non contava più di 160 abitanti. A
testimonianza del dominio dei Mareri persistono
tutt’oggi le rovine del castello rinascimentale, a ridosso delle mura della chiesa un tempo annessa
e recante sulla porta lo stemma familiare. A causa del continuo malgoverno (la popolazione era
principalmente dedita al brigantaggio), sotto il
pontificati di Pio V e Paolo V i Mareri subirono
la confisca del feudo, al distruzione della rocca
(1568) oltre alla condanna a morte del capostipite Marzio (1615). I diversi possedimenti della famiglia furono contesi dai Farnese, dai Soderini sino a pervenire nel XVIII secolo ai Vincenti Mareri e in seguito ai Gentili che ne risultano feudatari nel 1738. Sempre nel corso del XVIII secolo vennero ridefiniti i confini territoriali dalla
Congregazione del Buon Governo di Roma a seguito delle annose controversie con il vicino paese di Varco, dipendente dall’abbazia di San Salvatore Maggiore, per i pascoli di Mirandella. La
popolazione subì un costante ma modesto incremento (nel 1656 contava 209 abitanti, 225 nel
1708, 300 nel 1742, 408 nel 1801) e il borgo rimase principalmente costituito dai caseggiati e dalla chiesa parrocchiale.
BIBL.: F. Corridore 1906, pp. 83, 148, 217, 262263; A.R. Staffa, R. Lorenzetti 1987; A.R. Staffa
2000, pp. 177-181; E. Calabri, C. Cristallini 2001,
p. 137; T. Leggio, M.V. Patera in S. Boesch Gajano, L. Ermini Pani 2008, I, pp. 32-33; M.C. Dominici 2012, pp. 17-19.
1. S. NICOLA DI BARI. Stando alle fonti, l’edificio risale al 1252, ma venne completamente rimodulato nel 1570 a spese di Lavinia Savelli, vedova Mareri, che lo fece riedificare sulla parte superstite del castello. La struttura cinquecentesca
ad aula unica con volte a botte lunettata nel solo
lato sinistro (ove si concentrano le uniche aperture) presenta una facciata essenziale, inglobata
nelle antiche mura della rocca. Interventi barocchi sono riscontrabili esclusivamente nella decorazione interna, soprattutto nell’altare maggiore
addossato all’abside, che si presenta articolato da
paraste ioniche inclinate a trenta gradi e poste a
sostegno di un sistema frontonale mistilineo. Al
di sopra della tela centrale, una piccola finestra
ovale, assieme all’ornato scultoreo con angeli e
raggi di luce, rimanda sia pur in modi semplificati a celebri modelli quali la cattedra di S. Pietro di Bernini. Della decorazione pittorica, oltre
all’unico affresco cinquecentesco sopravvissuto
che ritrae San Nicola, San Francesco e la Madonna con Bambino, sono degne di nota due tele più
tarde raffiguranti rispettivamente S. Nicola e la Madonna del Rosario.
Alessandro Spila
BELMONTE IN SABINA
Le origini risalgono probabilmente ai primi anni del
XIII secolo, anche se alcune testimonianze letterarie parlano della presenza sullo stesso sito di una
città romana di nome Vatia o Batia. I primi documenti che attestano l’esistenza di un castrum Belmontis sono due bolle di papa Giovanni XXII e si
riferiscono alla controversia sorta per il possesso del
castello tra i fratelli Napoleone, Braccio e Giacomo
“De Romangia”. Nel 1353 attraverso il consumo di
sale è possibile stimare la popolazione del borgo a
circa 250 anime (“rubra salis 12” per un totale di
3.533 quintali in totale). Intorno al 1450 i Brancaleoni di Romagna, signori di Belmonte, possedevano territori e case a Stipes, Castelvecchio Canemorto, Ornaro e Rieti. In questo periodo all’interno del castello esisteva la chiesa di S. Salvatore (do-
160
cumentata nel 1398), e appena sotto le mura la Madonna di S. Rufina. Nelle vicinanze, a sud-ovest era
impiantata l’antichissima chiesa di S. Elena “in
Lumbriculo” che sino alla fine del XVIII secolo conserverà il titolo di parrocchiale, mentre a ovest si
trovava il cenobio di S. Nicola, documentato dal
1153, abitato nel Duecento dai frati Minori.
Nel 1573 il territorio di Belmonte comprendeva
13 tra chiese e cappelle officiate. Passato per transazione ai Cesarini, dopo che i Brancaleoni erano
stati inquisiti e prosciolti da papa Paolo II (1468)
“per fatti contro la Chiesa Romana”, il castello subì nel 1483 l’assedio dei reatini ribellatisi contro
Gabriele Cesarini il quale però riuscì con la protezione di papa Alessandro VI a riottenere il possesso della “serra” nel 1501. Nel 1562 Belmonte
contava 488 abitanti; pochi anni dopo (1573) si
procedette ai lavori di ampliamento del convento di S. Nicola con l’erezione del chiostro e il ritorno dei frati Conventuali avvicendati precedentemente dai Carmelitani.
Nel 1600 i Cesarini alienarono Belmonte e Roccasinibalda alla famiglia Mattei che commissionò
a Paul Bril una veduta del borgo e che mantenne
fino al 1676 quando i due feudi vennero ceduti
per la somma di 82.500 scudi a Ippolito Lante della Rovere. Pochi anni dopo Belmonte viene eretto a marchesato da Innocenzo XI. In questo periodo furono costruiti una serie di fabbricati fuori dalla cinta muraria (o dal perimetro delle casetorri, come si evince dalle fonti) in direzione sud,
acquisendo l’attuale fisionomia con il nucleo originario concentrato in alto attorno a una ampia corte (piazza Roma), e il successivo sviluppo urbano
caratterizzato da un abitato sviluppatosi lungo l’asse stradale mediano. Gli abitanti, altro indice di
espansione, sono 672 nel censimento del 1709.
Nel 1781 Belmonte e Rocca Sinibalda passarono
al marchese Amanzio Lepri come conferma un
chirografo di Pio VII. Lo stesso pontefice, con bolla del 1788, “unisce e aggrega in perpetuo” i titoli e le proprietà della chiesa di S. Elena (che a
quella data era ridotto a rudere) a S. Salvatore.
Nel corso del XIX secolo Belmonte conobbe un
forte incremento demografico che si interruppe
nel 1858 per una epidemia di tifo che uccise il 10%
della popolazione.
BIBL.: F. Palmegiani 1932, p. 611; M. Cerafogli
1994; L. Mortari 1957; C. Verani 1983; P. Carrozzoni 2005; I. Tozzi 2006b.
A. PRIMA CINTA MURARIA. Il nucleo centrale
di Belmonte è sorto sul vertice del colle, l’attuale
piazza Roma, protetto da una cinta muraria, mentre il resto del paese si è sviluppato secondo le curve di livello con le abitazioni lungo la dorsale. Alcune di queste sono concepite secondo il classico
disegno delle case-torri, edifici di residenza che potevano trasformarsi in baluardi difensivi.
B. SECONDA CINTA MURARIA. La struttura
rinascimentale subì un consistente ampliamento tra
la fine del ’600 e i primi anni del ’700, quando le
nuove costruzioni superarono l’antica cinta muraria, allineandosi lungo l’asse stradale principale.
1. S. SALVATORE, piazza Roma. La chiesa, rimaneggiata nel ’700, è a unica navata con soffitto ligneo e una navatella laterale sulla destra divisa dalla centrale mediante tre arcate. Custodisce nell’abside un affresco raffigurante S. Giovanni Battista, databile ai primi anni del XVIII secolo, e una
copia di del S. Michele Arcangelo di Guido Reni La
facciata è a un solo livello articolato da semplificate lesene, con al centro il portale e la finestra superiore dalla mostra che si inflette alla base.
Dintorni:
2. CHIESA E CONVENTO DI S. NICOLA. Il
convento è collocato su un’altura, a circa un chilometro a nord-ovest di Belmonte. La chiesa si
presenta a nave unica con copertura a capriate e
con quattro anguste cappelle ricavate lungo le pareti perimetrali. L’altare maggiore, in stucco composto da una coppia di colonne con decorazione
a motivo di pampini d’uva nella parte superiore
e scanalature in quella inferiore, è sormontato da
un timpano semicircolare spezzato decorato con
due teste di cherubino con vari fregi, foglie e ovuli. Il paliotto presenta al centro una croce con ai
lati iscrizioni del nome di Maria e di Cristo, riconducibile al 1751. L’altare conserva un tabernacolo in legno dorato a forma di tempietto con
colonnine tortili, fastigio e coronamento, databile agli inizi del XVIII secolo.
Elena Onori
BORBONA
L’abitato subì danni ingenti dal terremoto del
1703, e con la ricostruzione assunse la caratteristica di raggruppamento di 12 piccole contrade.
L’antico castrum difensivo, che sorgeva nella terra alta del paese, ora denominato “Lama”, fu potenziato nel ’500 con una rocca, andata poi distrutta. È plausibile che il nome del centro si leghi etimologicamente al “fango” causato dagli allagamenti della valle: la prima attestazione del toponimo è del 1018, e figura nel Regesto di Farfa.
Situata nei pressi della Salaria, Borbona era, già in
epoca preromana, un concentramento di “ville”
agrarie che in seguito all’abbattimento del potere
feudale dei signori di Machilone – operato dagli
aquilani nel 1299 – si riunirono. Borbona risulta
tra i castelli fondatori della città dell’Aquila. La
pieve romanica di S. Croce extra moenia è per la
prima volta citata in una bolla di Anastasio IV del
1153 e venne abbandonata nel corso del XVI secolo. Perso il ruolo di riferimento dell’insediamento feudale, la chiesa assunse l’importante funzione di santuario angioino di confine. Nel 1326
la cittadina fu distrutta da un incendio e ricostruita;
data poi in amministrazione alla città dell’Aquila,
fu concessa dal 1536 a Pietro Vais (o Pedro De Yicis). Nel 1570 fu venduta a Margherita d’Austria
per 4.500 ducati, entrando a far parte dei cosiddetti stati farnesiani d’Abruzzo. Nel 1586 tali feudi passarono in eredità ai Farnese di Parma e, nel
1731, vinta la guerra di successione, passarono a
Carlo III di Borbone come “stati allodiali”, cioè
patrimonio privato della corona. Numerose nel
tempo sono state le liti per motivi di confine con
la vicina Posta e con Cagnano Amiterno.
Nel censimento dei fuochi del 1508 il centro contava 53 fuochi con 345 anime, nel 1653 circa 1.100
abitanti.
FONTI: ASAq, fondo Archivio Civico Aquilano,
ms. S52, Libro grande dei conti.
BIBL.: O. Lopez 1957; A. Lipinsky 1969; A. Di Nicola 1987-1988; F. Palmegiani 1988, pp. 415-416;
C. Grappa 1994, pp. 140-141; G. Guarnieri 1995;
G. Guarnieri in “RM. Borbona”, 1996, 4, pp. 6-7;
6, pp. 29-32; G. Belardinelli 1996; D. Teofili 1996;
A. Polacco in “RM. Borbona”, 1998, 16, pp. 33-36;
18, pp. 31-34; 19, pp. 31-34; 20, pp. 31-34; 21, pp.
33-36; 22, pp. 33-36; E. Pietrangeli in “RM. Borbona”, 1999, 26, p. 54; I. Tozzi in “RM. Borbona”,
1999, 27, pp. 32-37; 28, pp. 33-36; 29, pp. 36-39;
30, pp. 33-36; 31, pp. 33-36; 32, inserto pp. 113116; 33, inserto pp. 117-120; 34, inserto pp. 121124; 2000, 35, pp. 26-27; P. Berardi 2003 e 2004;
G. Guarnieri 2003a, 2003b, 2003c; E. Pietrangeli
in “RM. Borbona”, 2003, 73, p. 49; D. Teofili 2003;
V. Di Flavio in “RM”, 2005, 90, p. 12; 2006, 99, p.
10; 100, p. 50; E. Pietrangeli in “RM Borbona”,
2005, 87, p. 35; 92, p. 34; 96, p. 41; 2006, 99, p. 54;
101, p. 38; G. Guarnieri, P. Berardi 2006; I. Tozzi
2006a; P. Berardi 2010; P. Berardi, G. Simone 2010.
1. S. CROCE. Distrutta dal terremoto del 1703,
la chiesa parrocchiale di Borbona fu ricostruita e
PROVINCIA DI RIETI
Borbona. S. Croce, interno.
consacrata nel 1732. È una vasta aula ornata da
sei altari laterali (quattro lignei, due in stucco),
coperta da volta nel presbiterio e da un soffitto
ligneo dipinto nella navata. L’altare maggiore, in
stucco, databile agli anni trenta del ’700 presenta il motivo delle paraste elasticamente “sedute”
di derivazione pozziana; è ornato al centro da una
Crocifissione attribuibile a un collaboratore di Simon Vouet, ed è coronato da un ovale a bassorilievo col motivo eucaristico dell’Ultima cena. Sulle portelle dell’altare si trovano le statue di S. Restituta e S. Elena, a grandezza naturale.
2. CHIESA ED EX CONVENTO DI S. ANNA.
La chiesa, ad aula unica, è certamente anteriore
all’annesso convento, come confermano alcuni affreschi di poco anteriori al giubileo del 1500, ricomparsi dietro gli altari e sotto gli intonaci. Ricca è la suppellettile lignea seicentesca che comprende il soffitto a cassettoni ornato da tele dipinte,
la cantoria per l’organo in controfacciata, il grande altare maggiore con struttura “a trittico”, scranni in noce per i celebranti, un coro e sei altari laterali a edicola. Le uniche due cimase dipinte superstiti sono attribuibili a Scipione Manenti.
Il convento francescano nacque nel 1616 con i Riformati, che lo lasciarono nel 1635; nel 1637 passò ai Minori Osservanti, che vi restarono fino alla soppressione del 1809. Vi tornano nel 1853, per
abbandonarlo definitivamente nel 1866.
Bisognoso di restauri, si organizza attorno a un
cortile quadrangolare porticato; il pianterreno è
ornato da un ciclo di lunette, ora molto deteriorate, con storie francescane, databili agli anni 5060 del ’600 e attribuibili a Vincenzo Manenti, pittore originario di Orvinio e molto attivo in tutto
il reatino, e bottega.
Borbona. S. Anna, interno.
da un artista modesto che continua in senso decorativo i modi manentiani.
in cattivo stato di conservazione o oggetto di trasformazioni moderne.
6. PALAZZO “DUCALE” (asilo della Regina Elena). È la costruzione barocca più nobile di Borbona, forse un edificio pubblico dove si svolgeva la
vita amministrativa del paese e dove avevano dimora i governatori. Mostra una lunga fronte con
due livelli di finestre e segnata da due portali. Le
mostre delle finestre legate ancora a un lessico tardocinquecentesco e i fornici trapezoidali usati in
ambito postmichelangiolesco farebbero assegnare
l’edificio alla prima metà del ’600.
Gianluigi Simone
BIBL.: P. Piccirilli 1911, p. 181; F. Palmegiani
1988, p. 427; C. Grappa 2008, p. 54.
BORGOROSE
Conosciuto fino al 1960 con il toponimo di Borgo Collefegato, mostra un impianto urbanistico a
fuso, allungato com’è lungo la strada principale
che lo attraversa, in lieve pendio sul margine settentrionale di un piccolo pianoro.
Il nucleo originario dell’insediamento, riedificato
per lo più dopo il terremoto del 1915, si snoda
intorno a piazza Garibaldi, intorno alla quale sono disposte le case più antiche di epoca medievale. Sulla piccola piazza convergono vari edifici
alcuni dei quali presentano in facciata elementi architettonici riconducibili al XVIII secolo, spesso
1. S. ANASTASIA, via Roma 38. L’edificio sacro,
che sorge nella parte alta del paese, risale al 1745,
secondo l’iscrizione murata al di sotto del rosoncino di facciata: “SACROS LATERAN: ECCLES / LIBORIVS ABBAS MOSCA / POSVIT ANNO DOMINI 1745”.
La prima chiesa, distrutta dal terremoto del 1703,
insisteva, secondo il Palmegiani, sui resti di strutture romane. Si caratterizza per il reimpiego in facciata di elementi di spoglio provenienti dalla vicina chiesa altomedievale di S. Giovanni in Leopardis. La pianta, a croce latina, con cupola su archi
ribassati all’incrocio e caratterizzata da un forte prolungamento del transetto destro, si presenta oggi
fortemente rimaneggiata.
Cristina Aglietti
BORGO VELINO
La tradizione consolidata attribuisce la fondazione di Borgo Velino (in origine Borghetto) nel secolo XIV agli abitanti del castello di Forca Pretula. Si hanno però notizie di un sito pelagico, Via-
3. S. GIUSEPPE. Venne costruita intorno al 1654,
ad aula unica. Intorno al 1860 l’edificio venne ampliato con una nuova piccola navata, dove trovò
posto un altare marmoreo settecentesco proveniente – secondo la tradizione – dalla chiesa di S.
Bernardino a L’Aquila. L’altare maggiore in stucco ospita La morte di S. Giuseppe, tela del XVIII
secolo che si rifà esplicitamente al dipinto di eguale soggetto opera di Carlo Maratta (1676), ora conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
4. S. MARIA DELLA MISERICORDIA (della
Fraternità) Piccola aula unica ornata da un altare
in stucco della metà del ’700, ai lati del quale due
nicchie ospitano le coeve statue di S. Marcello e
S. Michele Arcangelo. Da qui proviene la Crocifissione su tela, ora in S. Croce, attribuita dallo
scrivente a Pasquale Rigo da Montereale.
Dintorni:
5. PALAZZO MARINUCCI BOCCONE, presso
la località I Forti. La compatta struttura a blocco
conserva una sala interamente affrescata nel ’600
ASCREA - BORGO VELINO
Borbona. S. Giuseppe, altare.
Borgo Velino. S. Matteo Apostolo, volta.
161
CITTADUCALE
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3
Pianta di Cittaducale (Catasto unitario).
funzione di difendere i possedimenti dell’abbazia,
che accoglierà la popolazione dei vicini castelli di
Cavallaria e di Agello in abbandono. Il feudo rimase sempre sotto lo stretto dominio dell’abbazia di Farfa, degli abati prima e dei commendatari poi. Dal 1421 al 1553 la commenda fu degli
Orsini, nel 1567 e fino al 1589 fu dei Farnese per
passare ai Peretti che la tennero fino al 1622. Nel
1627 subentrarono i Barberini inaugurando un secolo di dominio, prima con il cardinale Francesco seniore (1627-1654), poi con il cardinale Carlo (1654-1704) e infine col cardinale Francesco juniore (1704-1738), conclusosi nel 1738. Seguirono i cardinali Domenico Passionei (1738-1746),
Federico Marcello Lante (1746-1763) e Antonio
Lante (1763-1789).
Il compatto tessuto urbano medievale che caratterizza ancora oggi il borgo è inscritto nell’antica
cinta muraria, oggi leggibile dall’andamento curvilineo degli edifici, è interrotto da alcuni notevoli episodi architettonici come i palazzi Simonetti
oggi Salustri Galli, Perelli (XVI secolo) e Cherubini (XVI secolo con rimaneggiamenti del XVIII
secolo), nonché la chiesa di S. Nicola, ricostruita
da Virginio Bracci tra il 1768 e il 1779. La chiesa
di S. Maria degli Angeli a pianta centrale con cupola, sorta nell’anno giubilare 1600 nell’estremità ovest del borgo, venne demolita nel 1933 e totalmente ricostruita. Fuori dal borgo su via Roma, l’andamento convesso di alcuni prospetti (palazzetti ai numeri civici 68, 64), l’orientamento delle fabbriche che si affacciano sulla strada e la posizione della fontana monumentale (XVII secolo)
suggeriscono una addizione da collocarsi probabilmente sotto il dominio dei Barberini.
BIBL.: Il Lazio paese per paese, I, 1993, p. 243; O.
Malfranci, A. Pistolini, T. Nardella 1940; R. Randolfi 2006.
1. S. NICOLA. La chiesa figura tra le opere realizzate da Virginio Bracci in Sabina, assieme ai SS.
Pietro e Paolo di Salisano e di S. Lorenzo Martire a Poggio San Lorenzo; commissioni favorite dal
ruolo di architetto della Congregazione del Buon
168
Governo ottenuto da Bracci nel 1764.Come sappiamo in base a un capitolato del 1768 con il muratore Antonio Lepri, la nuova costruzione soppiantava una chiesa preesistente. Una sintetica facciata a due livelli con paraste semplificate introduce all’interno ovato longitudinale sormontato
da cupola. Le cappelle laterali seguono una disposizione alternata di spazi intermedi a terminazione absidata e – intervallati da paraste binate –
spazi a terminazione piana sormontati da finestre,
che segnano l’asse trasversale dell’impianto. La
sorvegliata gradazione gerarchica trova poi il climax nel profondo spazio absidale, separato dalle
cappelle tramite paraste singole e segnalato da un
arco ribassato memore di quelli usati da Vanvitelli in S. Maria degli Angeli a Roma, a evidenziare una chiara discendenza da modelli improntati a un compiuto neocinquecentismo.
2. PALAZZO SIMONETTI (Salustri-Galli). Famiglia tra le principali di Castelnuovo, i Simonetti erano rappresentati nel secondo ’700, per il ramo ecclesiastico, da monsignore Giuseppe, divenuto cardinale nel 1766 poco prima di morire, e
per il ramo secolare dal fratello, marchese Simone. Il cardinale era titolare della chiesa romana di
San Marcello al Corso e contemporaneamente la
famiglia aveva preso in enfiteusi il frontistante palazzo De Carolis. Deve essere probabilmente in
questo stesso periodo, in cui sono documentati acquisti di dipinti e suppellettili per abbellire il palazzo romano ma anche altre residenze, che vennero eseguiti i lavori nel palazzo di Castelnuovo,
successivamente passato in proprietà alla famiglia
Salustri-Galli. Il palazzo domina il perimetro nord
dell’abitato, affacciandosi su un giardino. Il prospetto su questo lato è qualificato da due avancorpi laterali che compongono una planimetria a
C, uno scalone a doppia rampa che inquadra una
fontana, un doppio loggiato sovrastante articolato da quattro arconi a sesto ribassato. All’interno,
oltre ad alcune sale affrescate con paesaggi, si trova una cappella con un ricco altare scandito da colonne in progressivo aggetto.
Giancarlo Coccioli
Le emergenze archeologiche sono numerose nella zona, grazie alla prossimità con via Salaria e alla ricchezza di fonti termali, sfruttate sin dall’antichità. La fondazione di Cittaducale va inquadrata
nell’ambito della politica di rafforzamento dei
confini settentrionali del regno di Napoli operata dagli Angioini. La nuova città rappresentava un
tassello importante per il completamento della fortificazione della Montanea Aprutii e del controllo sulla Salaria, in contrapposizione diretta con la
vicinissima Rieti, in territorio papale.
Già Carlo II d’Angiò nel 1308 concedeva di edificare una città – da chiamarsi Civitas Ducalis in
onore del figlio Roberto, duca di Calabria – sul
colle di Radicara. Nel 1310 Roberto d’Angiò eleggeva Colle Cerreto Piano – luogo di confluenza
del fiume Fosso delle Valli con la via Salaria – come nuovo sito per l’erigenda città: l’atto segna definitivamente la nascita del centro urbano. La fondazione avvenne secondo un impianto estremamente regolare, derivato da modelli toscani e arnolfiani. Il risultato è un abitato di rara qualità urbana: una griglia di strade ortogonali delinea isolati uniformi, nei quali le popolazioni dei castelli
inurbati si dispongono riproponendo nelle intitolazioni delle chiese il nome degli edifici sacri più
importanti dei villaggi di provenienza. Centro di
unificazione simbolica e perno urbano è la piazza, col palazzo e la torre civica.
L’asse principale – la cosiddetta via recta (corso
Mazzini), che fa da cardo maximus – andò nel tempo monumentalizzandosi con le fronti dei più importanti palazzi; parallele ad esso corrono tre strade a nord e altrettante a sud. Ortogonale al corso è l’asse – che fa da decumano – congiungente
virtualmente via Vittorio Veneto e via Mantova;
anch’esso è affiancato da tre parallele a est e tre
a ovest.
L’incrocio degli assi divide l’abitato in quattro
quarti: ogni quarto aveva la sua chiesa il cui santo protettore dava il nome al quartiere: S. Maria,
S. Croce, S. Giovanni, S. Antimo (nessuna di esse oggi sopravvive). Conosciamo il nome dell’autore del piano della città: Enrico de Recuperanti
o, come dice l’Antinori, “di Recuperanzia de Viceconti di Pisa”. Nella cinta muraria, in gran parte persa ma ancora chiaramente leggibile intorno
al tessuto urbano, si aprivano quattro porte: di S.
Magno (attuale Porta Napoli), di Lugnano, della
Valle, di Balviano.
Frequenti furono i contrasti con la vicina Rieti per
il controllo dei ricchi pascoli del Terminillo, ma
anche con L’Aquila, che tentò più volte di impadronirsi della città, nonché con il vicino castello
di Antrodoco. Nel 1539 la città fu data in feudo
dall’imperatore Carlo V alla figlia Margherita,
sposata in seconde nozze con Ottavio Farnese, che
vi fece visita nel 1541 e vi pose la propria dimora dal 1569 fino al 1572. Questo pur breve periodo diede l’avvio a nuove opere pubbliche, alla
ristrutturazione degli acquedotti, delle fontane e
delle strade, oltre che al restauro del palazzo della Comunità – destinato a residenza di Margherita d’Austria – per il quale fu chiamato Vignola.
Nel 1571 la sovrana stipulò la pace tra Cantalice,
Cittaducale e Rieti, sempre in lotta per questioni
di confine, ed emanò gli Ordini, leggi e tavole di
madama d’Austria per tutti li suoi Stati d’Abruzzo,
dando prova di grande capacità amministrativa.
Alla sua morte (1586) i feudi passarono ai Farnese, fino al 1731, quando giunsero come beni allodiali a Carlo di Borbone.
Dopo l’Unità, appartenne all’Abruzzo Ulteriore II
con capoluogo L’Aquila e nel 1927, con la creazione della nuova provincia di Rieti vi confluì amministrativamente. La città ebbe da Ferdinando
II il privilegio di battere moneta. In essa si stabilirono gli ordini benedettino, agostiniano, francescano conventuale e cappuccino, e dal 1502 fu
elevata a diocesi. Alta è la qualità generale del-
PROVINCIA DI RIETI
Cittaducale. Ex Cattedrale, interno.
l’architettura civile, d’impianto medievale ma con
estesi rimaneggiamenti settecenteschi.
FONTI: ASPr, Fondo Mappe e Disegni, vol. 49, n. 20.
BIBL.: P. Pesci s.d.; M. Valenti s.d.; P. Carrera 1788;
G.A. Guattani 1828, II, pp. 272-276; A. Signorini 1868, I, pp. 367-432; S. Marchesi 1875; D. Monterumici 1876; V. Bindi 1889, III, pp. 869-871; N.
Persichetti 1893; M. Michaeli 1898-1899; G. Pansa 1909; A. Muñoz 1917; I.C. Gavini 1927-28, II,
pp. 124, 130-131, 140, 153, 184, 256; C. Verani
1928; E. Martinori 1931; F. Palmegiani 1932, pp.
433-438; G. De Caesaris 1934; A. Sacchetti Sassetti 1956; L. Mortari 1957, pp. 82-86; C. Verani
1962; L. Mortari 1965, II, p. 591; L. Mortari
1966, p. 15; A. Berti Bullo 1973; E. Lear 1974; L.
Mortari 1979; F.P. Fiore 1980; A. Di Nicola 1981;
A.C. Cenciarini, M. Giaccaglia 1982, p. 106; A.
Di Nicola 1982; A. Conte 1983; A. Marino 1983;
G. Carbonara 1984; A. Di Nicola 1985; A. M.
D’Achille, T. Iazeolla 1985; E. Guidoni 1985, p.
170; M. Righetti Tosti Croce 1985; L. Carrozzoni, A. Di Nicola 1986; C. Galimberti 1986; V. Di
Flavio 1988; A. Di Nicola 1988; F. Palmegiani
1988; W. Capezzali 1990; U. Michele 1990; M. Valenti 1990; Cittaducale 1992; R. Novelli 1992; C.
Grappa 1994, pp. 45-47; E. Battisti, T. Leggio, L.
Osbat, L. Sarego 1995; A. Di Nicola 1995; I. Tozzi 1995; V. Di Flavio 1996, pp. 80-87; A. Conte
1997; R. Marinelli 1997; M. Natoli 1998, p. 119;
L. Candotti 2001; A. Di Nicola 2004; F. D’Amore 2005; F. Festuccia 2006; A. Di Nicola 20072008; F. Festuccia 2008.
1. CATTEDRALE DI S. MARIA DEL POPOLO,
piazza del Popolo. La fondazione della chiesa
coincide con quella della città. Occupa l’angolo
rivolto a est della piazza, fronteggiando la chiesa
di S. Agostino. Quando la città divenne sede vescovile, la cattedra episcopale fu eretta dapprima
nella distrutta chiesa di S. Antimo, e solo successivamente fu trasferita in S. Maria del Popolo, forse con breve di Clemente VIII del 1597.
La facciata trecentesca di stampo abruzzese è a
profilo rettangolare. La nave principale è ornata
da un soffitto ligneo; due stemmi sembrerebbero riferire l’opera al vescovato di Giacomo Pichi
(1713-1733): è dotato al centro da una tela mariana, ma è privo di ornamenti negli altri riqua-
CASTELNUOVO DI FARFA - CITTADUCALE
Cittaducale. Ex Cattedrale, altare della Madonna del
Rosario.
dri, segno di un mancato completamento decorativo. Durante le trasformazioni barocche, l’aggiunta del soffitto ligneo comportò la chiusura
del rosone e l’apertura di due finestre in facciata; i restauri degli anni ’70 del ’900 hanno riaperto il rosone e tamponato le due finestre. La
struttura è frutto di accrescimenti progressivi: la
navata sinistra fu aggiunta dal vescovo Pietropaolo Quintavalle (1609-1627) annettendo la cappella e l’ospedale di S. Paolo, anche se i lavori
furono conclusi sotto il vescovato di Pomponio
Vetuli, che consacrò la cattedrale nel 1636. La navata destra fu aggiunta dal vescovo Filippo Tani
(1696-1712), che la ricavò all’interno dell’attuale palazzo vescovile, forse ampliando longitudinalmente la preesistente cappella di S. Antonio
da Padova, istituita nel 1599 dal vescovo domenicano Giovanni Gregorio de Padilla y Vasconcellos (1599-1609). L’altare principale, ornato di
marmi commessi, risale al vescovo Francesco Rivera (1733-1742) e ospita l’urna col corpo di san
Giuliano, qui traslato nel giubileo del 1750. Dietro l’altare è disposto un coro in noce settecentesco, sopra al quale si dispiegano sei teleri concepiti come finti arazzi, con scene dell’Antico Testamento, e un quadro con la Madonna del Carmine. Gli stucchi barocchi che informano l’interno della cattedrale risalgono al vescovato di Filippo Tani (1686-1712) che fece apporre il suo
stemma ai lati dell’arco trionfale. Pregevole l’organo settecentesco in controfacciata e la sua ampia cantoria lignea.
Alla fine della navata sinistra, si apre la cappella
del SS. Sacramento, dove lavorò anche Tobia Cicchini (Civita di Bagno – † Rieti 1591). Lungo la
navata destra spicca per la ricchezza degli stucchi
tardo settecenteschi l’altare della Madonna del Rosario, con tela firmata da Gerolamo Troppa e datata 1692. Nel 1598, per volontà del reverendo
Achille Roselli, si diede l’avvio al rimaneggiamento dell’altare del Crocifisso, con stuccature e
una nuova pala, disponendo anche l’abbattimen-
Cittaducale. Chiesa di S. Agostino, altare laterale.
Cittaducale. S. Caterina, Portale.
169
Cittaducale. S. Agostino, interno.
to del muro che ne impediva la vista dall’ingresso della chiesa.
2. CHIESA E CONVENTO DI S. AGOSTINO,
piazza del Popolo. Sorge nell’angolo occidentale
di piazza del Popolo. La sua costruzione, per lo
storico Marchesi, andrebbe datata al 1387, per iniziativa di fra Giacomo dell’ordine agostiniano, ma
è verosimile che essa risalga alla metà dello stesso secolo. Il fianco destro della chiesa, che dà sulla piazza, fa da fronte principale e si presenta composto di una cortina lapidea regolare, scandita da
lesene come nelle chiese conventuali di Amatrice,
per poi lasciare il posto, ad una certa altezza, a
una muratura intonacata successiva al terremoto
del 1703, su cui si aprono cinque finestroni. Il monumentale portale strombato, datato 1450 e raffrontabile con i più importanti esemplari aquilani, come la Porta Santa in S. Maria di Collemaggio, presenta una ornamentazione plastica di altissima qualità.
Se l’esterno conserva in buona parte l’aspetto trecentesco, l’interno, a navata unica, appare una riuscita reinterpretazione barocca, databile agli anni
trenta del ’700, della spazialità medievale (un tempo abbellita da affreschi che tuttora affiorano nella calotta absidale, al di sotto delle scialbature settecentesche): le paraste i cui aggetti si trasmetto-
Cittaducale. Palazzo Maioli, portale.
170
Cittaducale. S. Caterina, interno.
no alla trabeazione, articolano le arcate della navata e, poste in diagonale, l’area presbiteriale coperta da cupola, mentre nel coro trova posto un
organo con grande cantoria decorata en grisailles.
Altari in stucco di grande raffinatezza – con colonne tortili, festoni, putti e figure a tutto tondo –
ne scandiscono la nave. L’attuale volta e la cupola, entrambe a incannucciato, sono rifacimenti del
genio civile riferibili agli anni trenta del ’900, resisi necessari a seguito del sisma del 1915, ma tracce delle strutture originarie in muratura – degli
anni ’30 del ’700 – sono evidenti nel sottotetto.
Purtroppo l’edificio non è più officiato; giacciono nei depositi della Soprintendenza le tele degli
altari, due delle quali di Giuseppe Viscardi, e l’annesso ampio convento agostiniano, organizzato attorno ad un armonioso cortile, è adibito a caserma dopo la soppressione del 1809.
La guglia del campanile crollò all’interno della
chiesa in occasione del terremoto del 1650.
3. CHIESA E MONASTERO DI S. CATERINA
D’ALESSANDRIA, piazza Marchesi 9. Il monastero delle Benedettine è la prima casa religiosa ad
essere stata eretta in città, nel 1327, per opera di
fra Gentile da Foligno, dell’ordine degli Eremiti di
S. Agostino. Nel 1581 contava almeno 19 monache. La facciata risale all’ultimo decennio del ’600
Cittaducale. S. Maria delle Grazie.
e si sovrappone con scarso aggetto al fronte del fabbricato: è articolata da quattro paraste con al centro un frontespizio con finestrella nel timpano di
gusto borrominiano e un portale in pietra con putti nel coronamento arcato. A destra della chiesa si
addossa perpendicolarmente un’ala successiva del
convento, edificata nel 1736, con un portale in pietra sormontato da un balcone. Sul cornicione che
corre sotto lo sporto del tetto rilievi a stucco raffigurano simboli legati a santa Scolastica e santa
Caterina. Tra il 1846 e il 1855 si registrano lavori
di ammodernamento alla chiesa e al convento. La
chiesa presenta un’aula voltata e, separato da semicolonne, un presbiterio con cupola ovale e, in
fondo, un altare maggiore settecentesco, in stucco
ma imitante marmi verdi: l’edicola che lo compone, retta da una doppia coppia di colonne, è sormontata da una gloria dello Spirito Santo. Ai due
lati dell’altare le statue di S. Colomba e S. Genoveffa, sorrette da mensole con lo stemma del vescovo Pier Giacomo Picchi (1713-1733).
4. S. CECILIA, piazza Cerreto Piano. La piccola
facciata si segnala per un portale datato 1471. Le
dissimmetrie della facciata sono il segno delle ampie trasformazioni subite dall’edificio, specie successivamente al sisma del 1703. L’interno rinnovato presenta un impianto ad aula con due cam-
Cittaducale. S. Maria delle Grazie, presbiterio.
PROVINCIA DI RIETI
pate scandite da paraste e archi ciechi e sormontate da una volta scandita da arconi trasversali. Il
coro con cupola ovale ha un altar maggiore con
colonne divergenti e ricco coronamento mistilineo. Dietro l’altare maggiore si trova un ambiente (forse l’abside della chiesa più antica) dove sono stati riscoperti affreschi cinquecenteschi. Anche l’attuale sagrestia – spazio a quattro campate
coperte da volta a crociera – sembra essere quanto resta di un ambiente più antico. Il fianco sinistro, lungo via Duca Roberto, denota l’adozione
di un presidio antisismico, con il rinfianco di un
muro a scarpa.
5. CHIESA S. MARIA DEI RACCOMANDATI
E SEMINARIO, via Giacomo Matteotti. Detta anche di S. Maria della Fraternita, la chiesa fu fondata per opera della Confraternita ospedaliera dei
Raccomandati, soggetta al Capitolo Lateranense.
Nel 1589 si iniziò la costruzione di un annesso monastero di monache a opera del mastro lombardo
Antonio Scalabrino “de Brensono”, opera in effetti mai portata a termine. La chiesa, a tre navate, presenta una facciata trecentesca a profilo rettangolare a coronamento orizzontale e un campanile sul lato destro. L’interno a tre navate presentava una leggera volta settecentesca a sesto ribassato scandita da fasce e plafoni ovali che venne rimossa in un incauto “restauro” degli anni settanta del ’900 per rendere visibile il tetto a capriate; analogamente i piloni sono stati rimossi per
mettere alla luce gli antichi sostegni. Resta integro il coro voltato a botte con un altare a colonne divergenti.
Unito al lato sinistro della facciata della chiesa sorge l’ex Seminario (fondato nel 1660), ora storica
caserma del Corpo Forestale dello Stato, dotato
di un piccolo chiostro romanico all’interno. Nel
1509 i locali a uso di ospedale furono ceduti all’Università di Cittaducale, che li destinò a residenza del vescovo, fino a che essa non fu trasferita nell’edificio adiacente la cattedrale. In seguito ospitarono anche i funzionari di Margherita
d’Austria (1569-72). Nel 1726 tali locali furono
per un certo tempo trasformati in teatro, provocando le vive proteste dell’autorità vescovile. Sul
lato destro della chiesa sorgeva un tempo la chiesa di S. Giovanni: benché già diroccata, era ancora visibile ai tempi di Muñoz, che ne aveva ritrovato il portale – trafugato e poi recuperato –
nei magazzini di S. Bonaventura al Palatino.
6. PALAZZO VESCOVILE, piazza del Popolo.
La città appartenne alla diocesi di Rieti fino al
1502, quando papa Alessandro VI la eresse a sede vescovile. Le continue rivalità con Rieti ben giustificano la decisione presa, vista anche l’ampiezza del territorio civitese che contava una ventina
di villaggi, altrettante parrocchie e oltre 40 chiese. Anche gli Orsini giocarono un ruolo importante nella decisione: essi miravano a fare della città il proprio caposaldo, in opposizione alla vicina
Rieti che lo era per i Colonna. La prima cattedrale
fu la chiesa di S. Antimo, e una delle prime residenze del vescovo furono i locali della confraternita ospedaliera di S. Maria dei Raccomandati.
L’attuale palazzo vescovile, nonostante i primi rimaneggiamenti iniziassero già nel 1562, trovò la
sua unità con i lavori del vescovo Quintavalle
(1609-1627), il cui nome è inciso nell’architrave
delle finestre. I lavori si conclusero nel 1623, come si legge nella fascia marcapiano della facciata,
sulla quale sono state riscoperte due antiche bifore trilobate, che confermano come l’edificio nasca in buona parte dalla profonda trasformazione
di corpi preesistenti. Sulle pareti del salone principale del palazzo, ornato durante il vescovato di
Pomponio Vetuli (1632-1652), sono dipinti sulle
pareti, in una fascia continua sotto la volta, tutti
i paesi componenti la diocesi, accompagnati da un
distico latino: Cittaducale, S. Rufina, Micciani,
Pendenza, Calcariola, Casette, Grotti, Cantalice,
Lugnano, Lisciano, Castel Sant’Angelo, Paterno,
CITTADUCALE
Cittaducale. S. Maria di S. Vittorino.
Cittaducale. S. Maria di S. Vittorino.
Cittaducale. Palazzo Dragonetti De Torres.
Borgovelino, Collerinaldo, Rocca di Fondi. Inoltre sono presenti gli stemmi di diversi vescovi.
tramite un arco che – all’altezza della scalea esterna – scavalcava il corso. L’arco era ornato da loggiati, ma fu poi demolito, forse a seguito del terremoto del 1703: ce ne resta testimonianza iconografica nel modellino votivo di città retto dalla statua cinquecentesca di S. Emidio in duomo,
e nella rappresentazione di Cittaducale presente
negli affreschi del salone dell’Episcopio.
7. PALAZZO CAROSELLI (palazzo Comunale),
corso Mazzini 109-115. Risale al XVII secolo ed
è dotato di un portale dall’ampia superficie bugnata al di sopra del quale quattro mensoloni sorreggono una balconata in pietra. Il palazzo ha un
solo piano ma, vista l’imponenza dell’ingresso, forse in origine vi era previsto un mezzanino. La mostra in pietra delle finestre del piano terreno è unita, tramite mensole e volute, a quella delle finestre del seminterrato, con un efficace effetto compositivo.
8. PALAZZO DELLA COMUNITÀ, corso Mazzini. Sorge accanto alla torre civica. Nel 1569 furono fatte modifiche per renderlo atto a ospitare
la duchessa Margherita d’Austria. Nel riordino
dell’edificio si seguì il progetto – conservato nell’Archivio di Stato di Parma e datato 25 agosto
1569 – di Jacopo Barozzi da Vignola, operante in
quegli anni a Rieti, anche se oramai le tante modifiche succedutesi non rendono riconoscibili gli
interventi e la passata fisionomia del palazzo.
Il palazzo, elevato di un piano dall’architetto, non
aveva scale interne: una doppia rampa esterna di
scale portava al salone al piano superiore, che si
apriva su un cortile. Il palazzo del Capitano, che
sorge di fronte, era congiunto a questo palazzo
Cittaducale. S. Maria dei Raccomandati.
9. PALAZZO DRAGONETTI DE TORRES, corso Mazzini. La fronte del palazzo è l’esempio più
riuscito di edificio civile settecentesco in città. Il
portale affiancato da semicolonne tuscaniche sorregge una balconata in pietra. Le finestre del piano nobile presentano una mostra interna orecchiata e un’incorniciatura esterna di derivazione
borrominiana, sormontata da un coronamento
ondulato. L’edificio è chiuso in altezza da un mezzanino, mentre un’altana articolata da paraste ribadisce il carattere romano dell’intervento. L’interno custodisce un’elegante cappella in stucco
con una volta ribassata e un altare dal coronamento inflesso che ospita una finestrella ovata; l’altare, gli archi d’imposta del soffitto e il plafone
ovato alla sommità sono punteggiati da preziose
decorazioni vegetali.
10. PALAZZO MAOLI, piazza del Popolo 11. A
due piani, è uno dei palazzi più vasti e armoniosi, e risale al XVII-XVIII secolo. Il portale è af-
Cittaducale. Veduta aerea.
171
pellinus. L’imponente chiesa, a croce greca, un
tempo coperta da volte e piccola cupola centrale,
è scandita in altezza da un alto cornicione che corre per tutto il perimetro interno. È ora uno scenografico rudere invaso dall’acqua: la chiesa venne infatti costruita tra due sorgenti ma, agli inizi
dell’800, il loro spostamento andò a coincidere
con l’area interna dell’edificio. I crolli più importanti si verificarono negli anni ottanta del ’900.
La Salaria gli corre alle spalle, e la bella facciata
barocca in travertino, rivolta a est, guarda la piana: è articolata in uno pseudo pronao lievemente
aggettante, e aperta da tre portali, mentre il timpano di coronamento è crollato. Si legge la data
del 1608 sul portale centrale, e quella del 1613 sul
fregio del cornicione che divide la fronte in due
ordini. L’edificio è ormai fuori asse e semisommerso per circa due metri e mezzo.
Cittaducale. S. Antonio, altare.
fiancato da due colonne doriche sorreggenti un
balcone. Al centro dell’architrave lo stemma della famiglia.
Dintorni:
11. S. MARIA DELLE GRAZIE. A navata unica
coperta da volta, sorge isolata appena fuori dalla
città, ai suoi piedi, lungo la strada che porta a Rieti, al posto di un’edicola con una immagine della
Vergine che nel 1694 lacrimò miracolosamente. La
chiesa fu voluta dal vescovo Filippo Tani (16961712); importanti lavori furono compiuti nel 1796.
All’estremità destra del primo cornicione in facciata una iscrizione data il completamento dell’edificio al 1806. La facciata presenta un paramento in conci lapidei nel primo ordine, con portale affiancato da tre paraste per lato, mentre nel
secondo ordine il disegno prosegue in muratura
intonacata, coronata da timpano.
Un’immagine mariana è conservata sull’altare
maggiore, incoronata da putti, con statue in stucco dei profeti Michea e Isaia. Sulla parete destra
si apre la cappella Vetuli.
12. S. MARIA DEL MONTE, sul colle di Poggio
Giraldo. Sorto fuori le mura, in posizione più elevata, è uno dei primissimi conventi della famiglia
cappuccina che si impiantò in città intorno al
1516, prima del riconoscimento ufficiale, ma la
fondazione della chiesa risale – come testimoniato dall’erudito Sebastiano Marchesi – al 1533. A
sinistra del portale si apre una piccola cappella
dedicata a S. Felice da Cantalice, che in questo
convento dimorò per qualche tempo: la cappella
è ornata da una pittura su muro in tecnica mista
databile al tardo ’600, raffigurante La Madonna
che porge il Bambino a S. Felice, mentre all’interno della chiesa è dipinta con la stessa tecnica una
Pietà. L’altare maggiore fu consacrato nel 1690 dal
vescovo Tani, ed è circondato da un coro ligneo
e chiuso da balaustra lignea. Allo stesso intagliatore spettano gli sportelli sovrastanti le porte laterali che immettono nel coro e racchiudevano reliquiari. Un notevole affresco tardo seicentesco
rappresentante l’Adorazione dei Magi orna infine
il refettorio del convento.
13. S. MARIA DI SAN VITTORINO. La si vuole sorta sui resti di un tempio pagano, sul luogo
dove fu martirizzato san Vittorino, e nasce dalla
radicale ristrutturazione di una chiesa più antica
operata dai vescovi de Padilla e Quintavalle, tra
il 1606 e il 1613, per mano del mastro lombardo
Antonio Trionfa di Domodossola “de villa Roscie
de Val de Premia”, definito nei documenti scar-
172
14. S. MARIA DI SESTO. La costruzione della
ferrovia ha sottratto il sagrato a questo piccolo edificio sacro, di antichissima origine, il cui nome è
dovuto al fatto di trovarsi lungo la Salaria, al sesto miglio da Rieti. Le prime notizie risalgono al
967 d.C., quando risulta tra i beni dell’abbazia di
Farfa, ma dovette nascere su preesistenze romane, se ancora nel XVI secolo si potevano ammirare nel piazzale antistante una pavimentazione a
mosaico e delle sepolture.
È una aula unica rivolta a occidente e coperta da
capriate: la pianta rettangolare è vivacizzata da una
calotta absidale semicircolare affrescata con pitture settecentesche. Tracce di pitture medievali
scialbate affiorano, comunque, in più punti. Il vescovo Pietro Paolo Quintavalle (1609-1627) la restaurò, elevandone l’altezza perché corrispondesse alla larghezza della navata. In una epigrafe datata 1620, posta al centro del pavimento, il vescovo
la indica come “Umbilicus Italiae”, e la elevò a
basilica.
Gianluigi Simone
CITTAREALE
L’abitato sorge presso l’antico vicus Phalacrinae
nella valle in cui si trovava il villaggio natale di Tito Flavio Vespasiano (9 d.C.) e dove, nella zona
di San Lorenzo, sono stati recentemente (2005)
identificati i resti della villa dell’imperatore. La
fondazione risulta ancor oggi di origine controversa. Da un lato si suppone fosse nata sulle rovine della mitica Apolline dai ribelli di Erice, inviati da Manfredi di Svevia nel 1261 (Di Cesare
1837), dall’altro – e sulla base di più certi supporti documentari – sarebbe stata fondata con decreto di Roberto D’Angiò nel 1329, e quindi detta Civitas regalis. Il nucleo principale, parzialmente distrutto durante il terremoto del 1703, sarebbe perciò nato dalla fusione di più centri abitati, contestualmente abbandonati, il principale
dei quali era Falacrine.
Nel medioevo la chiesa di S. Pietro ospitò una comunità monastica alle dipendenze dell’abbazia di
Farfa. La Rocca, edificata in posizione strategica
al confine tra il regno delle Due Sicilie e lo Stato
pontificio, è provvista di torri cilindriche angolari e presenta ancora tratti imponenti di mura con
rivestimento in grandi blocchi litici. Nel corso dei
secoli sono stati numerosi gli interventi di “aggiornamento” operati sulla fortezza. Il complesso, nella forma quadrilatera e nell’ampia estensione attuale, è quello ricostruito dagli aragonesi
nel 1479.
Sul rettifilo principale (l’attuale corso Vittorio
Emanuele II) sorgono le chiese di S. Silvestro e di
S. Maria Assunta detta di Piazza. Essa si attesta
lungo il lato meridionale delle mura del castello,
strutturando un abitato di forma prevalentemente allungata, che si dispone sulla sommità dell’altura, parallelamente alle curve di livello.
Collalto Sabino. Palazzo.
BIBL.: A. D’Andreis 1961; R. Lorenzetti 1994b; E.
Calabri, C. Cristallini 2001, pp. 166-167; R. Lorenzetti 2003.
1. CHIESA E CONVENTO DI S. ANTONIO.
Fra i conventi di cui Innocenzo X, nel 1650, decretava la chiusura in mancanza di rendite sufficienti al proprio mantenimento, figurava anche
quello di S. Antonio in Cittareale, allora retto dai
frati conventuali di S. Francesco. Nel maggio del
1660, tuttavia, con lettera del cardinale Giambattista Spada, il convento fu reintegrato e munito di
un patrimonio cinque volte superiore al precedente, fornito dalle numerose donazioni delle più
note famiglie locali. Da segnalare, sul lato destro
dell’edificio, il piccolo corpo di fabbrica oggi adibito a museo e sicuramente coinvolto nei rifacimenti seicenteschi. La minuta ed elegante scala
esterna si divide in due rampe rettilinee, che si
riavvicinano in due bracci curvi nel livello inferiore.
La facciata piana della chiesa affiancata dalla torre campanaria medievale presenta un unico elemento di rilievo nel portale romanico decorato,
nella ghiera dell’arco a tutto sesto, da un bassorilievo con girali vegetali. L’interno, a navata unica,
è frutto della ricostruzione avvenuta nei primissimi anni del XVIII secolo. L’aula è ritmata da paraste e rincassi arcati con altari a edicola che presentano interessanti soluzioni nell’uso delle cornici mistilinee aggettanti e degli stucchi colorati.
Il passaggio dall’aula alla zona presbiteriale è mediato da due paraste aggettanti, al di sopra delle
quali si aprono simmetricamente finestre ricavate direttamente nello spessore della volta. Si crea
in tal modo un’interessante soluzione luministica,
ripresa nell’oculo ovale che illuminava la pala dall’altare non più in situ.
Marco Corsi
COLLALTO SABINO
Situato a 980 metri sul livello del mare, Collis Altus sorse in quello che era il territorio del ducato
di Spoleto, intorno all’891, quando le popolazioni locali della Valle del Turano si rifugiarono, a
causa delle scorrerie saracene, sulla collina. Le prime notizie riguardanti il castrum risalgono al X
secolo e nel XI secolo, a causa dell’aumento demografico, si diede inizio a un’espansione del territorio e alla costruzione di una cinta muraria più
PROVINCIA DI RIETI
ri dell’abitato nei pressi del cimitero, consta della chiesa, risalente al XV secolo, e dei resti dell’insediamento conventuale fondato dai francescani osservanti, stabilitisi in città tra il 1639 ed il
1680. Un recente restauro ha consentito di recuperare le superstiti strutture residenziali, ampie
porzioni dei muri perimetrali e alcune tracce microarchitettoniche e di plastica decorativa del
chiostro.
Salvatore Enrico Anselmi
LABRO
Centro del reatino sorto in area collinare in prossimità del lago di Piediluco, secondo tradizioni
pseudo-storiche sarebbe stato fondato a seguito
della migrazione di popolazioni elleniche di provenienza magnogreca che avrebbero colonizzato
il territorio, successivamente romanizzato. L’origine del nome potrebbe derivare dal termine aper,
cinghiale, che figura anche nello stemma civico,
o da lavabrum, in riferimento al vicino bacino lacustre (Palmegiani 1932, pp. 386-387).
Le prime testimonianze di età altomedievale risalgono al X secolo in concomitanza con fenomeni
di incastellamento e di feudalizzazione da parte
della famiglia de Nobili. Il centro faceva parte di
un’ampia area di dodici castelli dei quali nel 956
Aldobrandino de Nobili ricevette investitura da
parte dell’imperatore Ottone I. Nel corso delle lotte con i Brancaleoni, che detenevano il feudo della vicina Luco, Labro tentò di ampliare i propri
possedimenti allo scopo di conquistare il territorio dominato dal monte Caperno e di costruirvi
una rocca. L’iniziale attestarsi del controllo della
zona da parte dei Brancaleoni subì una battuta
d’arresto nel 1298, quando Bonifacio VIII affidò
al cardinale Matteo Orsini, con l’appoggio del vescovo di Sabina, l’incarico di far demolire le fortificazioni erette fino a quel momento. Nel 1364
gli abitanti di Labro assalirono e saccheggiarono
Luco e l’autorità pontificia sottrasse alla famiglia
de Nobili il controllo dell’abitato, conservando
soltanto parte del castello e della cinta muraria.
Nel 1397 la città, entrata sotto la giurisdizione di
Rieti, chiese l’intervento dei priori di questa per
la ricostruzione delle mura urbiche, gravemente
danneggiate in più punti, ottenendo anche l’esonero temporaneo dal pagamento delle imposte.
Ancora nel 1454 il perimetro difensivo necessitava di interventi di risarcimento che furono compiuti soltanto nel 1495.
A ridosso di parte della cerchia muraria fu costruito tra XV e XVI secolo il palazzo de Nobili
che conserva evidenti caratteri di fortilizio. Verso
la fine del ’500 la famiglia si imparentò con i Vitelleschi e, a partire dal 1624, il casato assunse il
doppio nome. A partire dal XVII secolo Labro
entrò, in forma permanente, sotto il controllo della Camera Apostolica. La diocesi di appartenenza in età barocca è quella di Rieti.
La struttura urbana, che consta di un andamento
degradante per progressivi terrazzamenti, denuncia caratteri medievali sia per quanto riguarda i
criteri di inurbamento della collina, sia per quanto attiene consistenza e agglomerazione degli edifici, pubblici e privati. A eccezione del monumentale palazzo Vitelleschi, gli interventi di età
moderna sono limitati a parziali ampliamenti del
costruito preesistente.
Nel 1656 Labro aveva una popolazione di 288 unità che nel corso del ’700 subì un certo incremento; nel 1701 gli abitanti erano saliti a 705 e nel
1708 a 760. Dopo la flessione nel 1742 a 703, il
numero dei cittadini era aumentato nel 1782 a 793.
BIBL.: E. Palermo, J. Convent, s.d.; F. Corridore
1906, pp. 88, 98, 148, 217, 241; U. Tarani 1926,
pp. 16-17; F. Palmegiani 1932, pp. 386-392; U.
Tarchi 1937, III, tav. CXXIV; G. Torselli 1968, p.
80; G.M. De Rossi 1975, p. 34; C. Verani 1981b,
pp. 30-33; A.C. Cenciarini, M. Giaccaglia 1982,
p. 106; A.M. D’Achille, A. Ferri, T. Iazeolla 1985,
p. 45; V. Di Flavio 1986b, pp. 207-237; T. Leggio
1995a, pp. 15-17; P. Giannini 1996a, pp. 109-132,
e 1996b, pp. 386-392; S. Dionisi 2000, pp. 49-72;
E. Calabri, C. Cristallini 2001, p. 179.
A. MURA MEDIEVALI, coeve al periodo d’incastellamento furono ampliate e ricostruite più
volte in età medievale e moderna nel 1397 e ancora tra il 1454 ed il 1495. Dovevano consistere
nel perimetro più esterno, costruito a difesa del-
182
LEONESSA
Labro. Collegiata di S. Maria Maggiore, altare (foto M.
Hutzel, 1960 circa).
l’abitato, e in una cerchia più interna, relativa alla rocca.
A 1. ROCCA MEDIEVALE, costruita nel X secolo sull’area occupata in seguito dalla chiesa di
S. Maria Maggiore, all’indomani della perdita del
castello da parte della famiglia de Nobili.
A2. PORTA, accesso alla città di epoca medievale, immette nell’attuale via Cavour.
A3. PORTA REATINA, immette all’abitato per il
tramite dell’attuale via Garibaldi.
B. CASTELLO DE NOBILI VITELLESCHI.
L’edificio che conserva nella sua struttura le tracce evidenti degli ampliamenti radicali subiti tra
’400 e ’500 sorge in parte sull’area della rocca risalente al X secolo. Nel corso della ricostruzione
rinascimentale furono conservati le mura e una torre, inserite nel nuovo palazzo fortificato. Il suo attuale aspetto risente anche degli interventi di fine
’800 e dei primi del ’900, in stile neo-medievale.
1. COLLEGIATA DI S. MARIA MAGGIORE,
sullo slargo omonimo. Dubbio è l’utilizzo del costruito preesistente all’istituzione della chiesa, in
relazione al quale la storiografia locale riporta la
presenza di una sala d’armi pertinente alla rocca altomedievale, poi adibita a parrocchiale ed
eretta a collegiata con l’attuale dedicazione, nel
1508. È dibattuta l’ipotetica collocazione, nell’area della chiesa odierna, di un edificio altomedievale di ridotte dimensioni, forse una delle
tre chiese di Labro sconsacrate nel 1508 (Verani 1981b, p. 32).
La struttura della chiesa, a navata unica alla quale fu addossata una seconda aula, con nuova definizione unitaria nel ’600, e la attigua ubicazione
dell’oratorio del Rosario (1494), confermano la testimonianza di diverse fasi costruttive succedutesi in età moderna.
Compiuta entro il 1610 doveva essere la cappella
gentilizia il cui giuspatronato spettava ad Ottavio
Celi, notaio rogante a Labro e nominato in quell’anno governatore di Albano. Secondo le disposizioni testamentarie di questi l’avello avrebbe dovuto accogliere anche le spoglie di Orazio e di
Alessandro Tabulazi, il secondo dei quali veniva
nominato erede universale (AVR, Acta civilia 15901610, n. 12; Di Flavio 1986, p. 208, n. 4).
Dintorni:
2. CHIESA E CONVENTO DELLA MADONNA DELLA NEVE. Il complesso, che si trova fuo-
La città sorge a 974 metri di altitudine in un lembo di territorio reatino tra Umbria, Abruzzo e
Marche. Le prime testimonianze scritte sui nuclei
abitati dell’altopiano leonessano risalgono al 770774, con la donazione della curtis di Narnate fatta dai Longobardi all’abbazia di Farfa.
La città nasce nel 1278, quando Carlo I d’Angiò
ordina di fortificare il castello di Ripa di Corno
con la torre che tuttora domina dall’alto la cittadina e di creare dunque una nuova roccaforte, allora chiamata Gonessa forse in riferimento a Gonesse, borgo dell’Ile-de-France. È da queste origini angioine, e dalla continua presenza di capitani francesi in città, che provengono gli influssi
di stile gotico transalpino che caratterizzano l’architettura medievale leonessana.
La formazione di organismi urbani lungo il confine con lo Stato della Chiesa testimonia la volontà
di rendere sicure zone che sfuggivano al controllo della corona, assicurandosi la fedeltà delle popolazioni che per sinecismo vi confluivano. Proprio per questa sua posizione di confine Leonessa, fin dalla fondazione, fu città demaniale e non
feudo: fu posta cioè sotto la diretta giurisdizione
del regno, insieme alle altre terre della “Montagna d’Abruzzo”. Carlo V concesse (1539) in feudo alla figlia Margherita la città di Leonessa (assieme a Montereale, Cittaducale, il ducato di Penne e la terra di Campli) come dote per il matrimonio con Ottavio Farnese. La città perse così la
sua demanialità, ma godette del suo periodo di
maggiore prosperità, legata soprattutto all’industria della lana: nel 1587 esistevano ben 82 mercanti, 4 tintori, 5 purgatori, 2 valcalani, 6 accomodatori di panni e 16 tessitori. Fu dotata allora
(1547-1548) della fontana che orna la piazza principale e regolarizzata ulteriormente nel suo sistema viario. Alla morte della sovrana (1586), la città andò ai Farnese di Parma fino al 1731, quando gli Stati farnesiani d’Abruzzo passarono a Carlo III di Borbone come stati allodiali. Con l’unità d’Italia entrò a far parte della provincia dell’Aquila, ma nel 1927 fu aggregata alla nuova provincia di Rieti.
Dal punto di vista urbano la città è impostata su
due strutture distinte: l’insediamento lungo l’asse longitudinale costituito da corso Vittorio Emanuele, Porta Spoletina e piazza del Municipio a
cui si sovrappone una grande piazza pubblica ad
andamento curvilineo, segno visibile dell’inserimento di un preciso modello progettuale in un nucleo fortificato preesistente, quello di Ripa di Corno, che si era formato nel tempo adattandosi all’andamento del terreno. Il convento degli Agostiniani, segna il limite e allo stesso tempo domina questa parte del borgo.
Questo modello urbano avanzato, analogo a realtà insediative della Francia meridionale, caratterizza anche altri centri di fondazione angioina in
Sabina: Cittaducale, Cittareale, Antrodoco, Amatrice, Borgo Velino. Si può inoltre notare la presenza di un asse trasversale, segnalato dalla piazza sulla quale si affaccia la chiesa di S. Francesco,
con valenza ancora debole, che segna il limite nord
della prima cinta muraria oltre la quale si iniziò a
edificare dopo il terremoto del 1315, rendendo necessario un nuovo tracciato murario. Di esso si am-
PROVINCIA DI RIETI
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Pianta di Leonessa (Catasto moderno).
mirano ancora: a nord Porta Spoletina e a sud-est
quella Aquilana, mentre dall’alto del monte Tilia
dominano la città i resti di una torre poligonale.
Si è delineata così la definitiva divisione in “sesti”, ciascuno con un proprio statuto e una propria chiesa: Poggio, Croce, Corno, Forcamelone,
Torre, Terzone; rispettivamente di giurisdizione
reatina i primi tre e spoletina gli altri. A ogni sesto erano aggregate le “ville” dei dintorni che avevano contribuito a popolarlo.
Il patrimonio architettonico di Leonessa ha risentito nel tempo dei terremoti particolarmente
distruttivi che spesso si sono verificati nell’area,
tra cui spicca quello del 1703, causa dei profondi rimaneggiamenti settecenteschi delle architetture cittadine. Vari gli ordini religiosi un tempo
presenti in città: Agostiniani (convento di S. Pietro, già S. Agostino) e Agostiniane (prima nel convento, scomparso, di S. Antonio, poi in quello di
S. Giovanni Evangelista), Francescani (S. Francesco), Francescane Cappuccine (S. Chiara) e Clarisse (monastero di S. Lucia), Carmelitani (se ne
andarono nel 1609 dal convento, ormai scomparso, di S. Andrea Corsini, stabilendosi nella fra-
LABRO - LEONESSA
Leonessa. S. Carlo Borromeo, altare maggiore.
zione di villa Carmine), Cappuccini (tuttora nel
convento a ridosso della chiesa di S. Maria di Loreto, fuori le mura).
Gianluigi Simone
BIBL.: I. Millesimi s.d. pp. 41, 43, 45, 79; F. Costantini, P. Labella 1900; G. Chiaretti 1965, 1968 e
1970; C. Blasetti 1980; A. Conte 1980; M. Righetti
Tosti Croce 1982; G. Carbonara 1984; G. Maceroni, A.M. Tassi 1985, pp. 110, 113, 115, 159, 187,
201; L.A. Clementi 1985; E. Guidoni 1985 pp. 163170; A. Di Nicola 1987; A. Flamminii 1991; C. Rossini 1991; I. Serafini 1991; L. Barroero 1992; G.
Chiaretti 1995; V. Di Flavio 1996; G. Stockel 1996;
I. Tozzi 1999a; E. Calabri, C. Cristallini 2001 pp.
180-182; A. Conte 2001; P. Ettorre 2001; T. Scarpa
2001; I. Tozzi 2000a; F. Pasquali, G. Cultrera 2002;
A. Conte 2005; L. Casula, M. Zelli 2009; Leonessa,
la città di San Giuseppe 2006; V. Di Gennaro 2010
pp. 70-74; M. Marcotulli in Santuari d’Italia. Lazio
2010, pp. 185-187; G. Simone 2010.
1. S. CARLO BORROMEO, corso S. Giuseppe
56. Si presenta come un ambiente unico voltato a
botte ribassata, scandito da paraste corinzie e
quattro altari laterali, con presbiterio cupolato. La
chiesa fu edificata nei primi anni del XVII secolo; danneggiata dal sisma del 1703 fu allora dotata della cupola, successivamente affrescata (forse
da Giuseppe Viscardi). La Gloria in stucco alle
spalle dell’altare maggiore risale alla fine del XVIII
secolo ed è attribuita ai Bisini.
Gianluigi Simone
2. CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO,
via S. Francesco. La chiesa è costituita da due edifici sovrapposti, dove l’impianto più antico, che
attualmente funge da cripta, risale all’ultimo quarto del XIII secolo. La chiesa superiore risale invece al XIV secolo, forse come semplice chiesafienile, subendo ampliamenti progressivi in tempi diversi, sia nel numero delle navate, sia nella
loro lunghezza, sino a raggiungere l’attuale configurazione basilicale.
Attualmente si presenta a tre navate absidate. Ma
molte sono le difformità: la navata centrale è coperta da volta a botte unghiata; la nave destra ha
cinque campate, la sinistra, più stretta, ne ha sei.
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Leonessa. S. Francesco, tabernacolo dell’altare maggiore.
Entrambe le navate sono coperte da volte a crociera costolonate solo nelle prime quattro campate. Anche la facciata in pietra rosa, a terminazione orizzontale secondo un modello di derivazione abruzzese, è composta di un corpo centrale più alto e due laterali, seriori, di larghezze e disegno diversi.
In seguito, verosimilmente, al terremoto del 1703,
la chiesa fu reinterpretata in senso barocco, attraverso la costruzione della volta della nave principale, il rifacimento dell’abside, e la commissione di altari in legno e in stucco. Restauri della fine degli anni ’50 hanno eliminato molti elementi, come il soffitto ligneo della navata sinistra firmato nel 1760 dall’indoratore Giuseppe Frigerio
da Norcia (attivo anche ad Amatrice), o l’altare
in stucco dei Mongalli.
Rimane, privato delle porte d’ingresso alla sagrestia, il tabernacolo dell’altare maggiore, affiancato da due angeli cerofori. Si tratta di un’architettura lignea a pianta centrale, poggiante su quattro leoni intagliati, formata da due corpi poligonali sovrapposti, chiusi da una cupola sorreggente il Cristo risorto. Nelle sue numerose nicchie trovavano posto piccole statue di santi.
Nella navata sinistra si apre la cappella del Crocifisso, della prima metà del ’700, ornata da stucchi simulanti marmi colorati. Alle pareti due tele
di Giuseppe Viscardi, raffiguranti la Flagellazione e la Salita al calvario, copia dei dipinti di Francesco Trevisani conservati in S. Silvestro in Capite a Roma. Nella nave destra è la cappella del Presepe – nota per il presepe in terracotta attribuibile a Giovanni Antonio Percossa – dove si conservano alcune tele settecentesche. Sulla quinta colonna di destra si ammira l’epigrafe funeraria, in
marmi policromi, di Manlio Mongalli (1633).
Nell’attiguo convento fu ricavato, intorno alla metà del XVI secolo, l’appartamento ducale destinato a ospitare Margherita d’Austria. Il loggiato
del chiostro, databile verosimilmente al XIV-XV
secolo, è ornato, al pian terreno, da un ciclo di lunette affrescate nel XVII secolo con episodi della vita di san Francesco, fatti eseguire, tra gli altri, da Manlio Mongalli (1573-1633). Soppresso
nel 1809, è divenuto ora, dopo un lungo restauro, sede del Museo civico di Leonessa.
Gianluigi Simone
3. CHIESA E MONASTERO DI S. GIOVANNI
EVANGELISTA, via Durante Dorio. Il primo
convento ospitava, a partire dai primi anni del
XVII secolo, le monache agostiniane trasferitesi
dal convento di S. Antonio presso Porta Aquilana. I gravi danni riportati durante il terremoto del
1703 vennero risarciti grazie ai fondi della famiglia Scattola, tanto che nel 1776, essendo stata dotata di un più ampio dormitorio, la struttura po-
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teva ospitare una ventina di religiose. Soppresso
nel 1809 e poi nel 1861, il complesso fu abitato
dalle Clarisse di S. Chiara e di S. Lucia, fino alla
definitiva chiusura avvenuta nel 2003.
La chiesa, inclusa nel complesso conventuale, mostra solo due prospetti verso l’esterno. Il principale su via Durante Dorio si presenta intonacato
con coronamento orizzontale ed è caratterizzato
da due alte finestre laterali con vistose strombature, riquadrate da cornici modanate. Nel mezzo
si apre il portale in pietra locale, di gusto seicentesco, formato da conci di pietra bianca, sui quali s’imposta un arco a tutto sesto. Il prospetto laterale sinistro, pure intonacato, mostra finestre trapezoidali strombate e dall’architrave ricurvo. L’aula a pianta quadrilatera irregolare è coperta da volta a botte con quattro lunette finestrate. Un arco
trionfale ribassato introduce all’area presbiteriale, interamente rimaneggiata negli anni trenta del
’900. Distaccato rispetto al piano della parete di
fondo, l’altare maggiore è realizzato in marmi policromi. La mensa, costituita da un piano in granito, è incassata in una lastra verticale in marmo
rosa e sorretta da pilastrini ionici. La pala d’altare rappresenta la Madonna con Bambino e i SS.
Giovanni Battista, Agostino, Monica, che appaiono a San Giovanni Evangelista martirizzato, firmata
da Pasquale Rigo di Montereale e commissionata
da Grisostomo Dionisi di Leonessa nel 1604.
Gianluigi Simone
4. SANTUARIO DI S. GIUSEPPE DA LEONESSA, corso S. Giuseppe. L’edificio, che ospita le spoglie di san Giuseppe da Leonessa (15561612) – trafugate nel 1639 dal convento dei Cappuccini di Amatrice – è composto da due corpi a
pianta centrale. Il primo, ovale, fu costruito nel
1629 e affrescato, nella cupola, con una Gloria dei
santi in Paradiso, forse da Giacinto Boccanera
(1666-1746), mentre dopo la beatificazione del
santo, avvenuta nel 1737, l’architetto Filippo Brioni vi affiancò un corpo circolare, anch’esso cupolato.
L’intero complesso, composto oltreché dalla chiesa anche dalla sacrestia e dalla torre campanaria,
si sviluppa in larghezza occupando lo spazio di
due schiere di case nel mezzo della via Durante
Dorio, con la facciata principale (XX secolo) su
corso S. Giuseppe, e quella retrostante su via Mastrozzi. Il portale seicentesco della facciata precedente, per la quale furono impiegati materiali
di spoglio tratti dalla chiesa diruta di S. Maria di
Pianezza, venne rimosso e collocato nella facciata lungo via Mastrozzi, ed è realizzato in pietra
con timpano triangolare. La torre campanaria, realizzata nel 1787, riprende elementi tratti dai campanili gotici di S. Francesco e S. Pietro.
Internamente lo spazio della chiesa si articola in
due ambienti, l’oratorio del Suffragio e il santuario vero e proprio, realizzato dopo la beatificazione del santo, di cui conserva le spoglie dietro
l’altare principale. L’oratorio è coperto da cupola ovale impostata su quattro archi a tutto sesto e
pennacchi poggianti su pilastri angolari. Lungo
l’asse minore sono poste due cappelle laterali,
mentre in fondo vi è l’accesso al santuario; sull’altro lato, verso l’entrata vi è la cantoria, che ospita l’organo realizzato da Corrado Werle nel 1759.
Gli altari laterali sono in legno e sono composti
da colonne tortili, capitello composito e timpano
spezzato. Nell’altare di sinistra, eretto nel 1637, e
in origine dedicato a san Filippo Neri, è conservato il reliquiario in argento, con il cuore di San
Giuseppe, realizzato da orafi lombardi nel 1646
per volere del cardinale Francesco Maria Farnese e in origine conservato nel convento dei Cappuccini di Leonessa (soppresso nel 1866). L’altare di destra venne anche esso eretto nel 1637. La
cupola affrescata da Giacinto Boccanera, allievo
del Brandi e attivo nel XVIII secolo, è delimitata
da una fascia di imposta, sopra la quale sono collocati, secondo un modello tipicamente berniniano, quattro angeli in corrispondenza degli archi,
che sorreggono delle conchiglie con al centro un
iscrizione.
Anche l’aula del santuario è coperta da cupola a
lanterna con finestre sull’imposta; i quattro grandi arconi su pilastri su cui è impostata la cupola
individuano due cappelle laterali. In fondo, in asse con l’entrata, è l’abside, che ospita l’altare maggiore dietro il quale è posta l’edicola con le spoglie del santo. L’altare laterale a sinistra, realizzato in gesso e stucco, è dedicato ai santi patroni,
che sono raffigurati con la Madonna, nella Pala
centrale (Vergine con Bambino tra i SS. Giorgio ed
Emidio), attribuita a Giuseppe Viscardi (17201795). L’altare a destra, detto invece del Suffragio, ospita una tela con La Madonna del Suffragio realizzata nel 1777 da Venanzio Bisini, esponente di una locale famiglia di decoratori. Sempre allo stesso artista, e al padre Lorenzo, sono
attribuiti i Miracoli di San Giuseppe, posti ai lati dell’altare maggiore entro cornici in stucco, e
realizzati intorno al 1780. Dietro l’altare maggiore, sormontato dall’edicola decorata con stucchi
marmorizzati, timpani e statue, è posto un quadro di Paolo Monaldi, realizzato nel 1752, e raffigurante San Giuseppe che benedice Leonessa e i
suoi abitanti. L’urna lignea del santo fu commissionata dai Priori di Leonessa nel 1737, mentre il
mausoleo marmoreo che la contiene risale alla prima metà del XIX secolo
L’unitarietà della chiesa è data dall’uso di un unico ordine architettonico, composito, e dalla trabeazione che corre lungo tutto il perimetro della
chiesa, riunificando l’intero spazio.
Marco Corsi
5. S. MARIA DI LORETO E CONVENTO DEI
CAPPUCCINI, lungo la Strada Statale. In origine, il nucleo della chiesa era costituito da una semplice cappella votiva che venne donata nel 1534
ai frati cappuccini. Nel 1571, quando la presenza
cappuccina divenne stabile, la chiesa e il convento vennero ampliati; i lavori si protrassero sino al
1615. Il convento, costruito secondo le indicazioni
presenti nelle Costituzioni del 1536, è organizzato intorno al chiostro, sul quale si affacciano sia
le parti comuni – tra cui il refettorio con affresco
del XVIII secolo e la biblioteca – sia le celle dei
monaci. Al centro del chiostro vi è un pozzo.
La chiesa, la cui facciata è stata rifatta nel XX secolo, è costituita da una navata centrale con tre
cappelle per lato. Custodisce un tabernacolo ligneo dorato (XVII secolo), ornato da uno stemma Orsini, proveniente dalla chiesa cappuccina di
Amatrice.
Gianluigi Simone
6. S. MARIA DEL POPOLO (dei Preti), corso
S. Giuseppe, 99-102. Già menzionata negli Statuti cittadini del 1378, la chiesa era in origine a
navata unica, poi ampliata con due navate laterali a partire dalla seconda metà del XV secolo. Anche la facciata in pietra rosa, a coronamento orizzontale, reca le tracce degli ampliamenti. A seguito
di lavori successivi al terremoto del 1703 l’interno prese l’attuale aspetto barocco, alterato da alleggerimenti degli anni ’50, dalla perdita della volta in muratura (crollata dopo il sisma del 1979) e
da alcune modifiche al presbiterio. Nella navata
destra si trova l’altare dedicato a S. Antonio Abate, con una statua lignea del XVIII secolo; nella
navata sinistra si apre la cappella dedicata al SS.
Sacramento, che ospita attualmente un settecentesco ciborio ligneo dorato, proveniente dal convento leonessano dei Cappuccini, ascrivibile allo
stesso intagliatore che realizzò i cibori delle chiese di S. Agostino e di S. Rufina Nuova a Posta.
Gianluigi Simone
PROVINCIA DI RIETI
Leonessa. S. Giuseppe, interno.
Leonessa. S. Giuseppe, altare Maggiore.
7. S. MATTEO, via della Ripa 48. Impianto ad
aula rettangolare concluso da un’abside semicircolare e arricchito da un altare in stucco opera dei
Bisini (fine XVIII sec.) che si connette organicamente all’articolazione parietale, mantenendo al
suo interno la trabeazione che si inarca.
Gianluigi Simone
8. CHIESA DI S. PIETRO E CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI, piazza VII Aprile. L’edificio, un tempo il più importante di Leonessa, così come si evince anche dalla sua collocazione, era
officiato dagli Agostiniani. La chiesa, che risale al
XIII secolo, è di fatto formata da due edifici sovrapposti comunicanti fra loro attraverso una scalinata posta al centro dell’aula superiore.
La chiesa inferiore in origine un ambiente unico con
volte a crociera è intitolata a S. Maria delle Grazie
e ornata da due cantorie lignee, quella sinistra ospita un organo seicentesco da attribuire all’organaro
leonessano Luca Neri. Il catino absidale, affrescato, è ornato da angeli in stucco. Attiguo alla chiesa
inferiore è l’oratorio della Confraternita Pietà e
Grazie, ora adibito a sagrestia: la volta presenta affreschi con episodi della vita della Vergine, del Nuovo e del Vecchio Testamento, datati 1610, inquadrati
da cornici, decori e figure tratte dal repertorio della grottesca. Tra i nomi degli appartenenti alla confraternita che si leggono dipinti sulle pareti vi è anche quello del pittore Gioacchino Colantoni, che
potrebbe essere l’esecutore degli affreschi.
La chiesa superiore, risalente al XIII-XIV secolo,
presenta una facciata in pietra rosa a coronamento orizzontale, secondo un modello di derivazione
abruzzese. L’interno, originariamente a tre navate
(o a navata unica con cappelle laterali comunicanti) fu trasformato dopo il terremoto del 1703. Preceduto da un vestibolo è a navata unica con tetto
a capriate scandita da dieci cappelle, otto brevi e
due più profonde, terminante nell’abside che i restauri della seconda metà del ’900 hanno riporta-
LEONESSA
to alle primitive forme gotiche. L’interessante intelaiatura settecentesca, che attualmente copre la
navata fino all’arcone del presbiterio, è ritmata da
paraste composite giganti su cui s’imposta la ricca
cornice ribattuta che si ferma sotto il livello delle
finestre delle pereti laterali della navata.
Sul primo pilastro della parete sinistra vi è un’epigrafe fatta apporre dal fabbro murario Iacopo
Ciardetto nel 1639. In controfacciata sono collocate una cantoria e l’organo settecenteschi. I cassettoni lignei che rivestivano il soffitto sono stati
rimossi in un restauro del 1911. Tra le opere d’arte di epoca barocche si segnalano La Madonna col
bambino tra i santi Carlo Borromeo, Caterina
d’Alessandria e Agostino, firmata da Giovanni
Lanfranco, scoperta da Luisa Mortari nel 1957,
una Sacra Famiglia attribuita a Simone Pignone e
una Madonna attribuita ad Alessandro Turchi detto l’Orbetto. La quinta cappella destra che ospita un monumentale tabernacolo del XVIII secolo ha volta a cupola semisferica su tamburo finestrato.
Marco Corsi
9. S. SALVATORE, via Mastrozzi 42. La chiesa,
inserita in una delle numerose spine di lotti a schiera che compongono il tessuto urbano di Leonessa, è delimitata ad ovest dalla via Durante Dorio
e ad est da via Mastrozzi, dove si apre l’ingresso.
L’edificio attuale è il risultato della fusione, avvenuta alla metà del XVIII secolo, dell’originaria
chiesa del Salvatore con la retrostante chiesa di
S. Anna (usata, prima della ristrutturazione, come oratorio della confraternita). Il risultato è un
corpo di fabbrica che si estende per l’intero spessore della schiera.
La facciata su via Mastrozzi, di gusto cinquecentesco, presenta un prospetto intonacato con un coronamento orizzontale. Internamente l’ambiente
si configura come uno spazio allungato (22.40 x
7.20 m) in cui si distinguono l’aula vera e propria,
il presbiterio e la parte absidale retrostante l’alta-
re. Lo spazio tardobarocco è scandito da paraste
composite con capitelli in stucco, al di sopra dei
quali s’innesta una ricca trabeazione. Sulla cornice aggettante, che circonda l’aula, si imposta la volta a botte a sesto ribassato, attraversata da fasce
in rilievo. Frammenti di cornici in stucco – riposizionati di recente – lasciano immaginare la ricchezza decorativa originaria della volta, i cui riquadri dovevano essere anche affrescati. Sulla sinistra, una porta permette la comunicazione con
quelli che erano gli ambienti dell’ospedale (ora adibito a teatrino parrocchiale): è riquadrata da fasce in stucco con cornice soprastante e piccole volute laterali. Nella parete destra, la mostra (senza
apertura) è replicata simmetricamente. In corrispondenza dell’ultima campata è l’arco trionfale a
sesto ribassato, che si imposta su due colonne a
tutto tondo, con capitelli e cornici aggettanti.
L’altare maggiore in muratura e stucco mostra in
basso una mensa in forma di vasca, con zampe di
leone per sostegno, inserita in una composizione
a lesene tronche con volute. A un livello superiore è un tabernacolo a tempietto, circondato da colonnine composite, che sorreggono una trabeazione mistilinea e una piccola cupola formata da
foglie d’acanto.
La parete di fondo, leggermente inclinata per assecondare l’andamento della strada, è definita da
lesene addossate agli angoli, sulle quali termina la
cornice proveniente dall’aula. Qui sono presenti
tre cornici in stucco con centinature, che accoglievano tele (oggi conservate nella locale chiesa
di S. Maria del Popolo). Nelle pareti laterali, in
corrispondenza della campata centrale, sono due
altari in muratura e stucco dal disegno “a vasca”,
affrontati simmetricamente. Al di sopra degli altari laterali, sono due cornici rettangolari in stucco che un tempo ospitavano altre due tele (oggi in
S. Maria del Popolo). L’altare, gli stucchi, e le decorazioni sono attribuiti alla famiglia di decoratori locali Bisini (fine XVIII secolo).
Marco Corsi
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GIACINTO BOCCANERA. Gloria (affreschi nella cupola di S. Giuseppe a Leonessa).
10. PALAZZO ETTORRE, via S. Francesco 3. La
famiglia Ettorre, coinvolta nella produzione e nel
commercio della lana, risulta presente a Leonessa dal XVI secolo e alcuni suoi rappresentanti
compaiono come Consoli di tale Arte. Il palazzo
familiare venne edificato tra il XVII e il XVIII secolo grazie all’annessione successiva di più unità
immobiliari percepibili nella facciata su via S.
Francesco che presenta un portale centrale bugnato, ai lati del quale si aprono altri accessi (forse per botteghe). Al piano nobile le finestre con
cornici in pietra sono tangenti alla cornice marcapiano scarsamente rilevata. Al di sopra, il piano mezzanino è scandito da finestre ovali. Manca una cornice di coronamento. Dalla stessa strada si accede alla cappella di S. Maria della Pietà,
fatta costruire da Fabrizio Ettorre nel 1686. Il
fronte interno e quello su largo C. Palmieri risultano completamente indipendenti dal precedente, in quanto le aperture del piano nobile si situano a una diversa altezza, mantenendo la continuità con il prospetto solo a livello del mezzanino, ove compaiono però finestre quadre in luogo di quelle ovali.
Gianluigi Simone
11. PALAZZO MONGALLI, piazza 7 Aprile
1944. Attuale sede del Municipio, presenta in facciata un interessante portale del XVII secolo.
Gianluigi Simone
12. PALAZZO VANNI, via S. Francesco 97. Lungo edificio a tre piani, con portale settecentesco,
con sopra un balcone con ringhiera in ferro battuto; all’interno stucchi opera dei Bisini.
Gianluigi Simone
13. EDIFICIO, corso S. Giuseppe 160. Sull’architrave di una finestra al primo piano compare
la seguente iscrizione: AUSPICIIS | SEREN. DUCIS
ODOARDI FARNESII | MDCXXXXIV.
Gianluigi Simone
Dintorni:
14. MADONNA DEL CARMINE, presso villa
Carmine. Impianto cinquecentesco inizialmente
dedicato a San Domenico, venne donato nel 1609
ai Carmelitani, che costruirono l’attiguo convento, e ampliato nel 1625. L’impianto ad aula rettangolare è coordinato da altari seicenteschi a edicola con colonne libere e frontespizio spezzato.
Gianluigi Simone
15. S. MARIA DELLE GRAZIE, presso Volciano. Impianto realizzato tra 1589 e 1599, presenta una facciata a profilo rettangolare con pregevole portale. L’interno ad aula si arricchì di alta-
186
Leonessa. S. Pietro, interno.
ri nel corso del ’600. L’altare maggiore si presenta come una struttura lignea “a trittico” che incornicia un affresco del XVI secolo. L’altare laterale dedicato alla Madonna del Carmine con colonne laterali affiancate a colonne aggettanti e con
coronamento rettangolare mostra una tela seicentesca con la Madonna del Carmine e i SS. Giovanni Battista ed Evangelista.
Gianluigi Simone
LONGONE SABINO
L’origine del toponimo deriva probabilmente dall’aggettivo latino longus, in riferimento ad un insediamento di forma allungata sul crinale del colle; la vicinanza della antica via Cecilia e il ritrovamento nel territorio circostante di numerosi reperti d’età romana, inducono effettivamente a
ipotizzare la presenza di un nucleo abitato, anche
se le prime notizie storiche certe non posso rintracciarsi prima del medioevo.
Attestato nel corso della seconda metà del X secolo, Longone fu in origine proprietà dell’abbazia di Farfa, per poi passare sotto il controllo del
monastero di S. Salvatore Maggiore, costruito nel
735 dai monaci benedettini, che estesero in breve tempo la propria signoria territoriale tra le vallate del Salto e del Turano.
Le mura (oggi inglobate in abitazioni) delimitavano una circonferenza ellittica di tre chilometri
che racchiudeva una superficie a fuso (con buona probabilità a rimpiazzo dell’acropoli vera e propria) di circa tre ettari. Questa rocca, nel XIV e
XV secolo, fu residenza degli abati-conti Mareri.
Nel 1282 gli abitanti di Longone e degli altri castelli sottomessi a S. Salvatore Maggiore, con il sostegno dei reatini, assalirono e saccheggiarono il
cenobio, passando, con quest’atto violento, sotto
la giurisdizione del Comune di Rieti. I monaci ricorsero allora a Clemente V, che ordinò al Comune
di Rieti di restituire all’abbazia i castelli usurpati, nominando il re di Sicilia Roberto D’Angiò defensor della stessa. Tornato sotto il controllo dell’abbazia, Longone ne seguì le vicende nel corso
dei secoli diventando, a partire dall’XI, sede estiva degli abati commendatari.
BIBL.: R. Lorenzetti 1994b; E. Hubert 2000; E.
Calabri, C. Cristallini 2001.
1. CHIESA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE. Quando l’abate Landuino di S. Salvatore Maggiore, nel 989, accettò da Ugo di Farfa
il castello di Longone, la chiesa intra moenia era
dedicata alla Vergine Maria, ripetendo il titolo
della basilica abbaziale di Farfa. L’edificio, ancora
nel 1252, è ricordato come ecclesia Divae Mariae.
La pianta ha forma allungata irregolare. La parete sinistra dopo l’entrata secondaria (la Porta
del Governatore) si restringe verso l’ingresso
principale. Sulle pareti laterali sono presenti due
altari dedicati alla Madonna del Rosario, a destra,
e al Crocifisso, a sinistra, quest’ultimo fatto erigere nella prima metà del XVII secolo dalla famiglia Santi, amministratrice di S. Salvatore Maggiore. L’altare principale, costruito probabilmente
a spese dei Santi, è a edicola con colonne e frontespizio spezzato. Analogamente a quanto accade in S. Maria della Porta a Castel Sant’Angelo
(Rieti) la macchina asseconda l’andamento della
parete absidale ed è affiancata da due nicchie per
statue, al di sopra delle porte di accesso alla sacrestia.
2. S. ANNA (già S. Maria delle Grazie). La chiesa romitorio presenta una pianta approssimativamente rettangolare, influenzata dalla preesistenza
di una struttura di culto romana dedicata a Diana. Era originariamente divisa da un muro che riservava, in corrispondenza dell’abside, un piccolissimo vano all’eremita, mentre la parte restante
dell’invaso rimaneva accessibile ai fedeli. La dedicazione a S. Maria delle Grazie si è mantenuta
fino al 1686, allorché i sinodi di Farfa e di S. Salvatore Maggiore sancirono concordemente l’impossibilità di assegnazione ad alcun monaco di un
romitorio quale dimora permanente. È ipotizzabile che in questa occasione sia avvenuta l’introduzione dell’altare ligneo con l’effigie di S. Anna.
Dintorni:
3. S. ANTONIO DA PADOVA. La chiesa, annessa a un piccolo convento, sorge in un luogo
conosciuto come Faneto, forse in riferimento a un
fanum sostituito dall’edificio cristiano, nei pressi
di uno dei tracciati della transumanza.
I documenti mostrano che la chiesa era inizialmente dedicata a S. Francesco (già dal 1228) e la
dedicazione al santo permaneva ancora nel 1664,
quando padre Bonaventura Theuli rendeva conto dell’avvenuto passaggio della struttura dai benedettini di Farfa alla comunità locale. In questa
occasione, è possibile ipotizzare la collocazione
degli altari lignei. Di essi, il maggiore presenta una
cornice centrale sormontata da un coronamento
curvilineo spezzato; è concluso lateralmente da
due lesene con specchiatura centrale riccamente
intarsiata a motivi geometrici. La struttura a trittico è munita di due ali con effigi di santi e teste
di cherubini dorate.
Gli altari laterali, come anche il maggiore, sono
trattati a rosso e oro a complemento del generale tono scuro del legno. Recano entrambi una cornice mistilinea centrale (sebbene con variazioni);
sormontata da angeli che si adattano non senza
PROVINCIA DI RIETI
ste giganti doriche, poste a sostegno di un frontone triangolare a sua volta articolato da risalti alle estremità. Le campate laterali sono raccordate
alla mediana da estesi setti, decorati in sommità
con motivi a duplice voluta.
Alessandro Spila
POSTA
Poggio Mirteto. S. Maria Assunta, altare Maggiore.
Poggio Mirteto. S. Maria Assunta, interno.
novato una prima volta a partire dal 1603-1604
(pagamenti al capomastro della Confraternita del
Gonfalone, cfr. Capolino, Costantini, Micozzi
1992). L’aula unica con due cappelle laterali per
parte fu sopraelevata e rinnovata nel 1779, conservando l’orientamento della facciata verso Porta Farnese. Quest’ultima, infatti, costituisce il punto d’osservazione privilegiato della studiata scenografia urbana del Borgo novo, dalla quale il timpano triangolare posto a coronamento della chiesa appare perfettamente in asse con il profilo del
colle retrostante.
Nel 1633 ad Andrea Benedetti, padre del più noto abate Elpidio, venne concesso l’altare della Natività dove venne collocata Adorazione dei Pastori di Giuseppe Puglia (Primarosa 2012). Nel 1699
ai lati dell’altar maggiore vennero collocate le statue di San Rocco e San Sebastiano, realizzate dallo stuccatore ticinese Michele Chiesa.
La facciata, sormontata da un frontespizio, è ripartita in due ordini: il primo registro, tripartito
verticalmente da paraste lisce, presenta la parte
centrale leggermente concava; il secondo livello,
con le partizioni laterali arretrate rispetto al corpo centrale sormontate da volute e piccoli obelischi, presenta al centro un finestrone leggermente rientrante con lo stemma in stucco del
Gonfalone, inserito nella lunetta sopra il finestrone. Il campanile a base quadrata sul lato sinistro, con copertura a gradoni ottagonali, fu restaurato nel 1794 da Giulio Camporese (17541840).
so. La Veduta di Castel San Pietro di Paul Bril,
commissionata nel 1601 al pittore fiammingo da
Asdrubale Mattei insieme a un gruppo di cinque
tele con vedute dei feudi della famiglia, costituisce una testimonianza preziosa della facies primoseicentesca del palazzo baronale.
Castel San Pietro (frazione di Poggio Mirteto)
1. CASTELLO. Nel 1449 Francesco Orsini acquistò il vicino feudo fortificato di Castel San Pietro, passato in seguito alla famiglia Mattei, che ne
resse le sorti dal 1599 al 1683, quando il palazzo
baronale fu ceduto a Nicola Silva di Siviglia e, nel
1706, alla famiglia Buonaccorsi. Ricostruito dagli
Orsini sul sito dell’antica rocca medievale, il palazzo presenta una pianta a ferro di cavallo con
un portale ad arco decorato a bugnato. Tra il XVII
e il XVIII secolo fu prolungata l’ala sud dell’edificio, rivolta verso valle, inglobando un bastione
preesistente. Il principale accesso al borgo è costituito dalla Porta Romana, monumentale torre
trecentesca a pianta trapezoidale, edificata con
conci squadrati sugli spigoli e sull’arco d’ingres-
196
Yuri Primarosa
POGGIO SAN LORENZO
Situato su un colle verso l’antico tratto della via
Salaria, ebbe origine da un castrum romano le cui
mura in opus reticolatum persistono tutt’oggi in
minima parte. L’origine romana sarebbe inoltre
testimoniata dal primevo appellativo di vicus Nervae. L’attuale toponimo scaturirebbe, già a partire dal IV secolo, dal passaggio di sant’Emidio che
secondo la tradizione predicò nel paese il martirio di san Lorenzo. Secondo alcune fonti un primo castello sarebbe sorto nel territorio nell’VIII
secolo dando al borgo il nome di Castel di Picte
(dal nome del possessore) per un breve periodo.
Più probabilmente l’insediamento fortificato sorse intorno al 1150 quale baluardo di controllo della via Salaria. Le prime notizie certe risalgono infatti al 1198 allorché per volere di Innocenzo III
la rocca (con tutti i suoi possedimenti fra cui una
chiesa) venne data in privilegio all’abbazia di Farfa, entro il cui controllo rimase costantemente sino al 1817. Fra secoli XVII e XVIII il borgo mantenne di dimensioni contenute (la popolazione nel
1708 contava 370 abitanti, 426 nel 1742).
Il borgo sorge su un’altura a guardia della valle
del Velino e della via Salaria. Nonostante l’andamento irregolare del terreno una serie di stradine
parallele con andamento nord-ovest sud-est caratterizza la parte alta del paese, un tempo cinta
da mura (di cui sono ancora visibili alcuni tratti
con ampi torrioni quadrangolari), mentre nella
parte pianeggiante a valle l’abitato si dispone lungo il tracciato dell’antica via Salaria.
La valle del Velino fu territorio dei Sabini; con
l’avvento dei Longobardi fu aggregata al ducato
di Spoleto, per entrare poi a far parte dei domini
della Chiesa. Contro i saccheggi dei Saraceni, a
presidio della valle, fu costruito il castello di Machilone, attorno a cui crebbe un villaggio. Nel
1294 un forte terremoto danneggiò il castello.
L’Aquila, fondata da pochi anni, ne approfittò per
assediarlo e distruggerlo, al fine di estendere la
sua influenza in una delicata zona di confine vicina a Spoleto e a Rieti. Nel 1299 Carlo II diede
l’assenso alle popolazioni scampate di riunirsi nel
luogo detto “l’Apposta”, quasi di fronte al diruto castello, ma dall’altra parte del Velino e della
Salaria, dove già esisteva la chiesa di S. Matteo col
convento dei Francescani, e dove era il mercato e
la gabella.
Posta nasce dunque nel 1300, e il nome gli deriva dall’essere luogo dove si riscuoteva il dazio e
il pedaggio. L’aggettivo “reale” che accompagnava in origine il nome esprimeva l’appartenenza al
demanio regio, o era un atto di gratitudine politica verso il re. Ma le popolazioni dovettero pagare al re il permesso di fondare il nuovo centro,
e la città di L’Aquila dovette prestare cauzione.
Esse non furono poi in grado di rimborsarla e Posta fu annessa ai domini aquilani. Nel 1530 Carlo V accordò varie esenzioni fiscali alla cittadina
per essere rimasta fedele al re contro i Francesi.
Nel 1535 l’Università di Posta si donò come feudo a Ferdinando Cornejo. Nel 1572 il feudo fu
acquistato per 10.000 ducati da Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, entrando a far parte dei cosiddetti stati farnesiani d’Abruzzo. I feudi rimasero ai Farnese di Parma fino al 1731, quando passarono a Carlo III di Borbone come “stati
allodiali”, cioè patrimonio privato della corona. Il
terremoto del 1703 colpì pesantemente il patrimonio edilizio. Le leggi di soppressione del 1809
resero Posta un libero comune, ma portarono alla chiusura dei locali conventi. Entrò a far parte
della provincia di Rieti nel 1927.
BIBL.: F. Corridore 1907, pp. 139, 215, 242; T. Leggio, M.V. Patera in S. Boesch Gajano, L. Ermini
Pani 2008, II, pp. 180-181.
BIBL.: F. Palmegiani 1932, p. 419-420; L. Mortari 1957, pp. 20-21; F.G. Carbonara 1982; A.M.
D’Achille, T. Iazeola 1985, p. 225; A. Di Nicola
1987-1988; A. Putaturo Murano 1991; T. Leggio
1995b; P. Berardi 1996 e 1997; G. Mosca 1999;
C. Ciocca 2000; R. Colapietra 2000; O. Orfei
2000; G. Mosca 2000; Buttarelli 2002; A. Agostini 2004; G. Simone 2010.
1. S. LORENZO MARTIRE. È la parrocchiale del
paese, situata in piazza Guglielmo Marconi. Di origine trecentesca, era inizialmente dedicata a S. Michele Arcangelo. Venne completamente rinnovata nel 1780 con radicali restauri che portarono alla luce i resti di una tomba romana.
Il moderno impianto è a unica navata con cappelle laterali. La facciata rivestita in stucco con un
essenziale ordine a fasce, è caratterizzata da un
settore centrale a due piani inquadrato da para-
1. S. RUFINA NUOVA. La chiesa parrocchiale
fu costruita riprendendo il titolo della chiesa madre, S. Rufina antica presso Picciame, fondata nel
1137 e tuttora esistente. La chiesa nuova era già
edificata nel 1570, anno della prima visita pastorale del cardinale Marcantonio Amulio, ma subì
ampi danni nel terremoto del 1703 e venne successivamente rinnovata.
Si struttura in un’unica navata, coperta originariamente da cassettoni, e ora da una solaio into-
PROVINCIA DI RIETI
Posta. S. Francesco, altare laterale.
Posta. S. Rufina Nuova, navata.
nacato. Un arco inquadra la zona presbiteriale, un
altro il coro, mentre le pareti dell’aula sono articolate da arcate cieche contenenti quattro pregevole variati altari in stucco, accomunati dai piedritti in diagonale e dai ricchi coronamenti. Apprezzabile il ciborio settecentesco in legno dorato, attribuibile alle stesse maestranze che realizzarono quello della chiesa di S. Antonio a Posta
e quello della chiesa di S. Maria del Popolo a Leonessa. La facciata a profilo rettangolare e intelaiata da paraste semplificate è a due livelli.
1703: a navata unica con un modesto soffitto a
cassettoni. È ornata da altari in stucco; quello maggiore è affiancato da due sculture in gesso che sovrastano gli ingressi alla sagrestia. Ha subito ristrutturazioni nel 1937 e nel 1969.
2. CHIESA DEL SUFFRAGIO O (delle Anime
Sante). Fu eretta, probabilmente, per iniziativa di
S. Antonio Baldinucci, due anni dopo il terremoto del 1703, per ricordare le vittime del sisma, e
terminata nella decorazione interna solo nel 1708.
L’altare maggiore ha due coppie di colonne in
stucco inquadranti una tela con le Anime del Purgatorio e un Eterno per cimasa. Fu risistemata nel
1967 con un sensibile alleggerimento nella decorazione e con l’eliminazione di altari laterali.
5. S. FRANCESCO. Intitolata a S. Matteo, è detta di S. Francesco perché, secondo la tradizione,
fu voluta dal santo prima della fondazione di Posta. In realtà, la chiesa doveva già esistere a quel
tempo e Francesco potrebbe avervi fondato l’insediamento minoritico. La chiesa attuale sorge inglobando un edificio preesistente, anteriore al
XIII secolo. Non dovette subire grossi danni dal
terremoto del 1703 – contrariamente al suo campanile, in seguito ricostruito dalle fondamenta –
perché nel 1709 era già ripristinata, come ci in-
forma un’epigrafe dipinta sul lato destro del coro. La parete absidale e il tiburio si presentano
esternamente con un paramento in pietra a vista
che deve risalire alle fasi più antiche dell’edificio.
Dell’assetto dell’aula unica rimane ormai poco,
dopo il lungo abbandono che ha preceduto il recente recupero; degli altari laterali a edicola resta
solo quello a destra del presbiterio, con colonne
in muratura e stucco dalle eleganti decorazioni vitinee. Accanto alla chiesa sorge l’ampio convento, da poco ristrutturato, che fu ricco e importante fino alla soppressione del 1811. Subì profonde ricostruzioni dopo il terremoto del 1703.
Dintorni:
6. S. MARIA DELLA NEVE nella frazione di Bacugno. Fu completamente ripristinata nel 1647 per
3. S. ANTONIO. Detta in precedenza di S. Agostino, ma da sempre intitolata a S. Maria Maddalena, sorse nel XIV secolo. Vi era annesso un convento di monache; nel ’500 subentrarono i frati
Eremitani Agostiniani e l’edificio fu ampliato. Nel
1652 il convento fu soppresso da papa Innocenzo X e gli Agostiniani vi fecero ritorno solo nel
1669. Con le leggi di soppressione francesi (1809)
il convento fu chiuso e abbandonato fino a scomparire.
La chiesa, con facciata a capanna, presenta un integrale intervento di rinnovamento settecentesco.
L’aula rettangolare coperta a cassettoni, è scandita da paraste dai capitelli liberamente ionicheggianti che inquadrano i rincassi arcati delle cappelle contenenti altari lignei, ed è raccordata agli
angoli da scantonature concave. Un arco affiancato da pulpiti immette nella zona presbiteriale.
Anche l’altare principale organizzato a trittico, con
le sezioni laterali aggettanti scandite da coppie di
colonne, è ligneo, e ornato dalle statue di S. Pietro e San Paolo e, sulla cimasa, da una Madonna
con Bambino.
4. S. FELICE. Fu forse costruita nello stesso anno di fondazione di Posta, come dimostrerebbe
un’epigrafe murata nello stipite e datata 1300. Si
presenta nell’assetto successivo al terremoto del
POGGIO MIRTETO - POSTA
Posta. S. Antonio, interno.
197
gerisce importanti interventi: costruzione di una
nuova sagrestia e di un nuovo altare, rinnovamento
del battistero e degli arredi, riparazione del tetto.
Nel 1817 Montorio divenne appodiato di Pozzaglia Sabina di cui è attualmente frazione.
BIBL.: C.B. Piazza 1703, p. 182; Lazio paese per
paese, III, 1992, p. 222; L. Tersilio 2003.
1. S. STEFANO. Il blocco rettangolare dell’edificio, più volte rimaneggiato, è posto trasversalmente a concludere lo slargo centrale dell’abitato e reca un campanile settecentesco articolato da
paraste che insiste sul lato destro della facciata.
All’interno, l’ingresso coincide con uno spazio absidato che testimonia l’opposto orientamento del
primo impianto. L’aula, scandita da volte a crociera, è arricchita da due vivaci altari tardobarocchi, stilisticamente precedenti alle indicazioni
della visita pastorale del 1782: l’altar maggiore addossato alla nuova abside, con colonne poste in
diagonale e frontespizio interrotto, e quello sulla
parete destra dalla trabeazione convessa che occulta in parte pregevoli affreschi di fine ’500 forse da mettere in connessione con gli altari “bene
ornati” segnalati nel 1703.
Giancarlo Coccioli
Pozzaglia Sabina. S. Stefano, altare laterale.
volontà di Sallustio Cherubini, come ci rende noto un’epigrafe. La facciata medievale, che conserva
la bifora al centro, appare rinnovata tramite l’aggiunta di un portale al centro, di semplificate paraste ai lati e di un cornicione. L’interno è a tre
navate, con le navi laterali coperte a volta e quella centrale a capriate lignee. Presenta una serie di
altari laterali in muratura e stucco, ornati da tele,
nei cui coronamenti sono organicamente inserite
delle finestrelle ovate.
Gianluigi Simone
POZZAGLIA SABINA
Montorio in Valle (frazione di Pozzaglia Sabina)
Il castrum sorge in posizione dominante sulla valle del Turano non lungi del monastero di S. Maria del Piano appartenuto all’abbazia di Farfa.
Montorio, il cui territorio era abitato in epoca romana, è citato per la prima volta nel 1094 nella definizione dei confini del castrum vetus di Oppiano (l’attuale Castel di Tora), e seguirà le sorti dei
borghi limitrofi Pozzo Gallo (attuale Pozzaglia Sabina) e Canemorto (oggi Orvinio). Appartenne ai
Colonna nei secoli XIII e XIV. Nel 1360 in seguito a una sommossa capeggiata dai Savelli, Pozzo
Gallo venne presa dai Romani che ne distrussero
le mura. Questo evento indusse Bonifacio IX a
confiscare il feudo allora di Niccolò e Giovanni
Colonna. Questi si opposero alla confisca e nel
1401 ottennero la reintegrazione dei possedimenti. Di lì a breve i Colonna concessero a Giacomo
Orsini Pozzo Gallo e Montorio in cambio del feudo di Rocca di Cave, inaugurando un lungo dominio degli Orsini che unirono in un feudo unico
anche Canemorto (Orvinio) fino al 1558 quando
vennero concessi in dote a Maria Orsini in vista
del matrimonio con Vincenzo d’Estouteville. Passati in eredità al figlio Muzio d’Estouteville furono venduti a Carlo Muti e dai Muti nel 1632 a Marcantonio Borghese. Nella Gerarchia cardinalizia
(1703) di Carlo Bartolomeo Piazza il borgo è descritto come un “assai alpestre ed ignobile castello” dotato di una chiesa parrocchiale dedicata a
S. Stefano con tre altari “bene ornati”. La visita
pastorale del cardinale Andrea Corsini nel 1782
rappresenta invece il degrado della chiesa e sug-
198
RIVODUTRI
Secondo la tradizione leggendaria, il centro sarebbe stato fondato da Enotrio, principe arcade
capo delle spedizioni in Occidente di popolazioni di stirpe ellenica, in accordo con buona parte
delle vicende pseudo-storiche che accomunano le
origini di numerosi centri sabini, in parte accolte
e tramandate anche dalla letteratura latina.
È probabile che il nome derivi dalla fusione, a seguito di spostamenti migratori in età altomedievale, degli abitanti di due centri in origine separati: Rivo, la cui denominazione sarebbe giustificata dalla ricchezza di corsi torrentizi, e Utri, situato nell’area di Cantalice. Le prime fasi di incastellamento e di fortificazione dovettero avvenire entro il 1171, quando i tenimenta di Poggio
Bustone e di Rigum d’Utri sono menzionati in un
documento relativo agli atti di locazione di due
appezzamenti di terreno concessa dai signori della rocca di Rivodutri, Pietro e Giovanni di Sinibaldo (Leggio 2000, p. 47). Nella prima metà del
XII secolo i feudatari locali erano sottoposti alla
dichiarazione di sub-dominio nei confronti del duca di Spoleto, Corrado di Urslingen.
Nel 1251 il castello passò sotto il controllo del Comune di Rieti; intorno all’ottavo decennio del XIV
secolo la città fu sottoposta ad assedi e parziali distruzioni (1375) nel corso delle lotte tra reatini e
cantaliciani. Nel 1376, conquistato dalla fazione
guelfa di Rieti, l’abitato fu assunto come roccaforte e centro di collegamento; a questo periodo si deve far risalire l’inizio delle ricostruzioni che avrebbero avuto conclusione tra XIV e XV secolo.
La struttura urbana presenta caratteri di inurbamento medievale a cui si sono sovrapposte addizioni in età rinascimentale; il tracciato viario si snoda secondo diverticoli radiali rispetto all’asse longitudinale che attraversa per intero l’abitato. Rilevante la costruzione nel corso del Sei-’700 di edifici chiesastici legati alla pratica di culti particolarmente diffusi in area reatina. A questa fase di
qualificazione del tessuto urbano e del contado si
devono ascrivere la parrocchiale dedicata a S. Michele Arcangelo, patrono della città, e la chiesa
rurale dedicata alla Vergine della Valle.
In età barocca Rivodutri apparteneva alla diocesi di Rieti. Nel 1683 contava 511 abitanti, nel 1656
745 e nel 1696 sono documentati novanta fuochi
per circa 400 abitanti. Nel 1701 gli abitanti erano 755, scesi a 599 unità nel 1708. Nel 1736 e nel
1742 il numero era salito rispettivamente a 745 e
754 abitanti. Alla fine del XVIII secolo il numero oscillava tra le 915 e le 919 unità.
BIBL.: E. Lear (1846) 1974, pp. 146-147; A. Ronchini 1864, pp. 165-166; F. Corridore 1906, pp.
87, 98, 148, 196, 217; F. Palmegiani 1932, pp. 397398; R. Lefevre 1969, pp. 138-154; V. Di Flavio
1979-1980, pp. 225-238; L. Vannozzi 1984, II, p.
39; G. Maceroni, A.M. Tassi 1985; M.C. Spadoni Cerroni, A.M. Reggiani Massarini 1992, pp. 4751, 116-124; S. Coccia, D. Mattingly 1992, pp.
213-289, e 1995, pp. 105-198; R. Lorenzetti 1994a;
A.M. Tassi 1994, pp. 242-275; T. Leggio, M. Marinelli 1995; S. Dionisi 2000, pp. 49-72; T. Leggio
2000, pp. 27-49; G. Maceroni 2000, pp. 73-106;
I. Tozzi 2001c, pp. 104-105.
A. MURA MEDIEVALI. Dovevano tracciare, a difesa della rocca altomedievale, un perimetro, conservato in parte, ineguale in pianta e disposto a
quote diverse. L’area collinare limitrofa all’abitato era presidiata da torrette di avvistamento di cui
rimangono in essere alcuni lacerti.
A1. ROCCA, Coeva al periodo di fondazione del
primo abitato, era raggiungibile grazie ad anguste cordonate di cui rimane ancora traccia.
A2. PORTA MEDIEVALE, è ancora in essere un
doppio passaggio in corrispondenza dell’accesso
al castello posto a valle.
1. S. MICHELE ARCANGELO, piazza della
Chiesa. Edificio di fondazione duecentesca, ricostruito dopo il terremoto del 1703, è a navata unica con volta a botte e area presbiteriale introdotta da un arco trionfale a sesto ribassato. L’interno, di gusto arcadico, è caratterizzato dalla successione di paraste polistili a sostegno della volta, che individuano il vano per gli altari laterali,
di modesta cubatura. I partiti architettonici e decorativi presentano rilievi in stucco dorato con
motivi fitomorfi di fattura non provinciale, sia lungo le pareti perimetrali, sia sulla volta a botte.
Dall’elenco delle chiese di Rivodutri risalente al
1252 si ricavano le notizie circa l’esistenza della
prima parrocchiale, verosimilmente ubicata sulla
stessa area della chiesa attuale. Dalle sacre visite
condotte nel corso del XVI e del XVII secolo
(AVR, Visite Pastorali, anni 1560, 1566, 1574,
1696, 1751; Maceroni 2000, pp. 83-84, nn. 26, 27,
28, 31) risulta che la chiesa doveva avere quattro
altari, compreso il maggiore, il fonte battesimale,
due confessionali e un organo. Nel 1613 il cardinale Pietro Paolo Crescenzi, vescovo di Rieti, aveva concesso al patrizio Giovanni Battista Leoni il
consenso per l’erezione della cappella di famiglia
da consacrare alla Pietà. Dalla visita pastorale del
1628, l’altare gentilizio è menzionato come manufatto portato a termine. Già a quella data doveva essere stata collocata la tela raffigurante La
Pietà, attribuita a Vincenzo Manenti. Ulteriori citazioni sono presenti nelle visite compiute dal vescovo Giorgio Bolognetti nel 1655 e del 1658 (Tozzi 2001c, pp. 104-105).
La ricostruzione settecentesca della chiesa, iniziata nel 1703, si protrasse fino al 1769; a quella data gli altari dovevano essere ancora portati a compimento. Il campanile, addossato al corpo di fabbrica sul lato destro e sormontato da cella campanaria con quattro aperture a sesto leggermente ribassato, fu compiuto nel 1775 con la messa in situ
dell’orologio. L’edificio fu oggetto di restauri già
nel 1829 per scongiurare il crollo del tetto che era
direttamente impostato sulla volta senza intermediazioni di substrutture e minacciava il crollo. Nel
1712 la sacrestia era già stata edificata in quanto
documentata nelle relazioni di sacre visite come ambiente già in essere e raggiungibile dalla chiesa per
mezzo di una porta aperta sul lato destro.
2. S. MARIA DELLA VALLE, edificata sulla
sommità dell’altura che domina l’abitato, è rag-
PROVINCIA DI RIETI