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La pubblicità
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LA PUBBLICITÀ
Oltre a fissare i prezzi o le quantità, scegliere gli investimenti ed esercitare pressioni
sulle autorità, le imprese intraprendono molte altre azioni strategiche per aumentare
i propri profitti. Una delle più importanti è l’impiego della pubblicità.
Vi sembra di vedere e rivedere sempre lo stesso messaggio pubblicitario in televisione? Non vi sbagliate. Nel luglio del 1998, i messaggi pubblicitari di Burger King
apparvero sulla rete televisiva nazionale statunitense e sulla TV via cavo 4718 volte;
quelli di McDonald’s apparvero 3686 volte; quelli di 1-800-COLLECT (un servizio
di telefonate a carico del destinatario) 2799 volte; quelli di 10-10-321 (un servizio
telefonico) 2730 volte e quelli di Geico Auto Insurance (una società di assicurazione)
2569 volte.15 Anche il Dipartimento statunitense per le statistiche nazionali partecipò al bombardamento pubblicitario televisivo, trasmettendo messaggi pubblicitari
(volti a raggiungere ogni adulto almeno 36 volte e qualcuno persino 120 volte) per
esortare gli spettatori a collaborare nel censimento del 2000.
La pubblicità è solo uno dei modi possibili per promuovere un prodotto. Tra le
altre attività promozionali annoveriamo l’offerta di campioni gratuiti e l’impiego di
agenti di vendita. Alcune tattiche promozionali sono piuttosto sottili. Per esempio,
i supermercati dispongono i cereali a elevato contenuto zuccherino per la colazione
sugli scaffali più bassi, in modo che essi si trovino all’altezza dell’occhio del bambino. Secondo un’indagine svolta dall’organizzazione non profit Center for Science
in the Public Interest, in 27 supermercati situati su tutto il territorio nazionale statunitense la posizione media di 10 marche attraenti per i bambini (44% di zucchero)
corrispondeva allo scaffale più vicino al pavimento, mentre la posizione media di 10
marche per adulti (10% di zucchero) corrispondeva allo scaffale più alto.
Prima del 1991, la pubblicità sui mass media (messaggi pubblicitari su televisione, radio, quotidiani e riviste) assorbiva la quota maggiore dei budget per il
marketing. Dal 1991 la quota maggiore è stata conquistata dalle promozioni per i
consumatori (omaggi, vendite abbinate, buoni, concorsi e altro). Per esempio, nell’estate del 1994, Frito-Lay (una divisione di PepsiCo specializzata in snack) spese
tutto il proprio budget di marketing per sponsorizzare il tour di concerti della cantante country Reba McEntire.16
Iniziamo la nostra analisi esaminando la pubblicità (o le altre attività promozionali) attuata da un monopolio, che non ha rivali. Consideriamo poi la pubblicità
strategica di un duopolio, ove ogni impresa pubblicizza i propri prodotti per attrarre
i consumatori sottraendoli al rivale.
La pubblicità
del monopolio
Un monopolista pubblicizza i propri prodotti per aumentare i profitti. Una campagna pubblicitaria riuscita sposta la curva di domanda di mercato modificando i gusti
dei consumatori o fornendo informazioni sui nuovi prodotti. Il monopolista
potrebbe essere in grado di cambiare i gusti di alcuni consumatori informandoli che
un atleta o un attore famoso utilizzano un certo prodotto; i bambini e gli adolescenti
sono spesso l’obiettivo di questo tipo di pubblicità (si consulti a questo proposito il
15
16
Enrico, Dottie, “On the Spot”, TV Guide, 19 settembre 1998:10.
“Wilma! What Happened to the Plain Old Ad?”, Business Week, 3375, 6 giugno 1994:54.
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Le strategie
sito www.awlonline.com/perloff, la sezione “Smoking Gun Evidence?” per un’analisi della pubblicità della sigarette rivolta ai giovani). Se il messaggio pubblicitario
convince alcuni consumatori che essi non possono vivere senza il prodotto, la curva
di domanda del monopolio potrebbe spostarsi verso l’esterno e diventare meno elastica nel nuovo equilibrio, ove l’impresa chiede un prezzo maggiore (Capitolo 11).
Se l’impresa informa i potenziali consumatori a proposito di un nuovo utilizzo del
proprio prodotto (per esempio, “il petrolato protegge le labbra prevenendo le screpolature”), la domanda in corrispondenza di ogni prezzo aumenta.
Applicazione
LA PUBBLICITÀ DEI FARMACI
Una nuova tendenza pubblicitaria piuttosto importante è la pubblicità che le case farmaceutiche rivolgono direttamente al consumatore finale. I messaggi esortano gli spettatori televisivi a chiedere al
proprio medico determinati farmaci vendibili solo
su prescrizione.
Prima del 1997 le imprese farmaceutiche si
rivolgevano esclusivamente ai medici e ai farmacisti
poiché ogni messaggio pubblicitario doveva includere informazioni dettagliate a proposito degli
effetti collaterali. Nel 1997 la Food and Drug
Administration degli Stati Uniti (FDA) attenuò le
proprie leggi in materia di pubblicità: i messaggi
pubblicitari erano ritenuti accettabili se si attenevano agli utilizzi approvati da FDA e informavano
gli spettatori su come ottenere ulteriori dettagli.
Presto la FDA richiese che venissero rivelati gli
effetti collaterali più gravi e diffusi.
In seguito al cambiamento delle leggi nel 1997,
la spesa annuale delle case farmaceutiche negli Stati
Uniti per i messaggi pubblicitari triplicò, giungendo
a oltre 60 milioni di dollari per Pravachol (un farmaco che riduce il colesterolo) e Allegra (che allevia
i sintomi delle allergie); la crescita del fatturato dal
1997 al 1998 ammontava al 16% per Pravachol e
al 105% per Allegra. La spesa mensile di circa 100
milioni di dollari per la pubblicità rivolta ai consumatori nel 1998 era quasi cinque volte tanto quella
relativa a tre anni prima.
Uno dei primi messaggi pubblicitari rivolti direttamente ai consumatori da Schering-Plough per
Claritin, un cosiddetto antistaminico non sedativo,
fece diventare il farmaco uno dei nomi di marca più
richiesti in un’indagine medica: le vendite aumentarono del 40% l’anno successivo alla messa in onda
di messaggi pubblicitari televisivi che presentavano
una mongolfiera fluttuante sulle note di “Blue
Skies” di Irving Berlin. Nel 1999 la società spese
una stima di 166 milioni di dollari per pubblicizzare Claritin.
Queste nuove promozioni stanno funzionando.
Secondo un sondaggio effettuato negli Stati Uniti,
l’80% dei pazienti e dei medici hanno visto messaggi pubblicitari di farmaci, il 27% dei pazienti
che assumono farmaci vendibili solo su prescrizione
affermano di aver parlato con il proprio medico di
un farmaco che avevano visto pubblicizzato e il 7%
sostengono di aver chiesto al medico di prescrivere
loro un farmaco pubblicizzato. Quando ai pazienti
venne chiesto come avrebbero reagito se il medico
si fosse rifiutato di prescrivere tale farmaco, un
quarto rispose che avrebbe cercato la prescrizione
altrove e il 15% affermò che avrebbe riflettuto sull’eventualità di lasciare il proprio medico. I 10 farmaci oggetto delle campagne pubblicitarie più
massicce furono responsabili del 22% dell’aumento
totale della spesa dei consumatori per tutti i farmaci negli ultimi cinque anni.
La decisione di pubblicità. Anche se la pubblicità riesce a spostare la domanda, a
un’impresa potrebbe non convenire pubblicizzare i propri prodotti. Se la pubblicità
sposta la domanda verso l’esterno o la rende meno elastica, il profitto lordo dell’impresa, che non considera il costo della pubblicità, deve aumentare. L’impresa
attua tuttavia la campagna pubblicitaria solo se si aspetta un aumento del proprio
profitto netto (la differenza tra il profitto lordo e il costo della pubblicità).
Nella Figura 14.9 illustriamo il processo decisionale di un monopolio ricorrendo
all’esempio di Coca-Cola e Pepsi presentato nel Capitolo 13. Inizialmente, suppo-
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Figura 14.9 La pubblicità. Supponete che Coca-Cola sia un monopolista. Se essa non
pubblicizza i suoi prodotti, la sua curva di domanda è D1. Al suo livello attuale di pubblicità, la sua curva di domanda è D2: la pubblicità aumenta il profitto lordo di CocaCola (che non considera il costo della pubblicità) portandolo da π1 a π2 = π1 + B. Se
quindi il costo della pubblicità è inferiore al beneficio da essa apportato, B, il profitto
netto di Coca-Cola (la differenza tra il profitto lordo e il costo della pubblicità) aumenta.
nete che Coca-Cola sia un monopolio negli Stati Uniti; se non pubblicizza i propri
prodotti, l’impresa è soggetta alla curva di domanda D1 (sulla base delle stime di
Gasmi, Laffont e Vuong, 1992); se invece fa pubblicità al livello corrente, la sua
curva di domanda si sposta da D1 a D2.
Il costo marginale di Coca-Cola, MC, è costante e pari al costo medio, AC, di $ 5
per unità (10 cassette). Prima della pubblicità, Coca-Cola sceglie la propria quantità, Q1 = 24 milioni di unità, ove il costo marginale è pari al ricavo marginale, MR1,
corrispondente alla sua curva di domanda, D1. Il monopolista massimizza i suoi
profitti nel punto e1 vendendo a un prezzo p1 = $ 11. Il profitto del monopolista,
π1, è un rettangolo con altezza pari alla differenza tra il prezzo e il costo medio,
ossia $ 6 (= $ 11 − $ 5) per unità, e lunghezza pari alla quantità, ossia 24 unità
(decine di milioni di cassette di lattine da trentatre centilitri).
Dopo che la campagna pubblicitaria (con orsi polari danzanti o altro) sposta la
curva di domanda a D2, Coca-Cola sceglie una quantità maggiore, Q2 = 28, ove si
intersecano le curve MR2 e MC. Nel nuovo equilibrio, e2, Coca-Cola chiede il
prezzo p2 = $ 12. Nonostante il prezzo più elevato, Coca-Cola vende una quantità
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Le strategie
maggiore dopo la pubblicità grazie allo spostamento verso l’esterno della propria
curva di domanda.
Il risultato è che il profitto lordo di Coca-Cola aumenta di più del 36%. Il nuovo
profitto lordo di Coca-Cola è il rettangolo π1 + B, con altezza pari alla differenza
tra il nuovo prezzo e il costo medio, $ 7, e lunghezza pari alla quantità, 28. Quindi
il beneficio, B, che Coca-Cola trae dalla pubblicità a tale livello corrisponde all’incremento del profitto lordo. Se il costo della pubblicità è inferiore a B, il profitto
netto aumenta e a Coca-Cola conviene pubblicizzare i propri prodotti a tale livello
piuttosto che non pubblicizzarli.
Il livello di pubblicità. In generale, quanta pubblicità dovrebbe attuare un monopolista per massimizzare il profitto netto? Per rispondere a tale domanda consideriamo
che cosa accade se il monopolista aumenta o riduce la spesa in pubblicità di € 1,
che è il costo marginale di una unità aggiuntiva di pubblicità. Se un monopolista
spende un euro in più in pubblicità e il profitto lordo aumenta di una somma maggiore di un euro, il profitto netto incrementa, quindi la pubblicità aggiuntiva conviene. Al contrario, il monopolista dovrebbe ridurre la pubblicità se l’ultimo euro
speso in pubblicità aumenta il profitto lordo in misura minore di € 1, con diminuzione del profitto netto. Il livello di pubblicità del monopolista massimizza quindi il
profitto netto se l’ultimo euro di pubblicità aumenta il profitto lordo di € 1 (si veda
l’Appendice 14B per un’analisi alternativa). In breve, la regola per fissare la quantità di pubblicità che massimizza il profitto è identica a quella per fissare la quantità
di output che massimizza il profitto: occorre fissare il livello di pubblicità o di prodotto ove il beneficio marginale (il profitto lordo derivante da una unità aggiuntiva
di pubblicità ovvero il ricavo marginale derivante da una unità aggiuntiva di prodotto) è pari al costo marginale.
Possiamo spiegare come le imprese utilizzino tali analisi marginali per determinare la quantità di tempo da acquistare presso le stazioni televisive per le televendite, quegli interminabili messaggi pubblicitari televisivi che a volte presentano
prodotti di plastica straordinari (e bizzarri): “Non è sorprendente? Taglia a fette! a
cubetti! … Ma attenzione! Non è tutto!”. Come mostra la Figura 14.10, nelle piccole stazioni televisive il costo marginale per minuto di trasmissione, MC, è costante
e l’impresa acquista A1 minuti di pubblicità, ove il beneficio marginale, MB1 (marginal benefit), è pari al costo marginale.
Applicazione
L’EFFETTO DEL PROCESSO O. J.
Spesso un evento importante come la finale di un
campionato di calcio influisce sulle scelte dei telespettatori e sui benefici derivanti dalla pubblicità.
Un evento particolarmente significativo per la televisione statunitense fu il processo per omicidio a
carico di O.J. Simpson17 del 1995 trasmesso da
molte stazioni televisive e radiofoniche. Il “fattore
17
O.J.” ridusse i profitti delle televendite trasmesse
sulle altre stazioni televisive: nelle mattine dei
giorni feriali, le vendite diminuivano quando i telespettatori cambiavano canale per vedere i servizi
sul processo.
La ragione del crollo delle vendite era dovuta
allo spostamento della curva del beneficio margi-
O.J. Simpson, ex giocatore afroamericano di football americano e attore di serie televisive di
successo, fu accusato di avere ucciso la moglie. Il processo ebbe un’enorme eco nei mass media
statunitensi.
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Figura 14.10 Gli spostamenti della curva del beneficio marginale derivante dalla pubblicità. Prima del processo Simpson, la curva del beneficio marginale della pubblicità è
MB1 e l’impresa acquista A1 minuti di pubblicità, ove MB1 interseca la curva del costo
marginale per minuto di trasmissione, MC. Durante il processo, la curva del beneficio
marginale si sposta a sinistra portandosi a MB2; ne consegue che l’impresa riduce la
quantità di tempo pubblicitario acquistato, spostandosi ad A2.
nale delle televendite. Mentre, prima del processo,
$ 1000 spesi in tempo pubblicitario alle 12:30
apportavano in media un fatturato di $ 2190 a
Charlotte, nella Carolina del Nord, durante il processo la stessa somma produceva solo $ 1790 (una
diminuzione del 18,3%). I corrispondenti dati di
San Francisco per le 9:30 erano rispettivamente
$ 1740 e $ 790, con una riduzione del 54,6%: per
una data quantità ($ 1000 di tempo pubblicitario)
La pubblicità
strategica
il beneficio marginale di San Francisco diminuiva
del 54,6% passando da MB1 a MB2.
A causa dello spostamento della curva del beneficio marginale, un’impresa tipica riduceva la quantità
di tempo pubblicitario acquistato da A1 a A2, in corrispondenza dell’intersezione di MB2 con MC. Le
stime delle diminuzioni medie dei fatturati delle televendite causate dal processo Simpson variavano tra
il 10% e il 60%, a seconda delle città considerate.
Se in un mercato sono presenti diverse imprese, ciascuna sceglie il proprio livello
ottimale di pubblicità prendendo in considerazione la pubblicità, la politica di
prezzo e le altre strategie dei rivali. La pubblicità di un’impresa potrebbe aiutare o
danneggiare le altre.
La pubblicità che aiuta i rivali. Un’impresa potrebbe informare i consumatori a proposito di un nuovo impiego del proprio prodotto; questo tipo di pubblicità potrebbe
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Le strategie
incrementare la domanda del prodotto di tale impresa e anche dei rivali. Per questa
ragione una serie di gruppi industriali decisero di pubblicizzare i loro prodotti collettivamente per incrementane la domanda. Negli ultimi anni, per esempio, i produttori di uva passa e i produttori di latte statunitensi hanno unito le proprie forze
per attuare delle campagne pubblicitarie molto riuscite (rispettivamente quella dell’uva ballerina e dei baffi di latte).
Applicazione
LO SPAZZOLINO DA DENTI ROSA
Precedentemente alla Prima Guerra Mondiale, solo
il 26% degli Americani si lavava i denti. A partire
dal 1926, in parte grazie ai messaggi pubblicitari
come quelli della campagna dello “spazzolino rosa”
di Ipana, che descrivevano minutamente i pericoli
delle gengive sanguinanti, la percentuale degli
Americani che si lavavano i denti salì al 40%. La
pubblicità di Ipana aiutò tutti produttori di spazzolini da denti e di pasta dentifricia.
La pubblicità che danneggia i rivali. In alternativa, la pubblicità di un’impresa potrebbe
incrementare la domanda per il proprio prodotto sottraendo clienti alle altre
imprese. Un’impresa potrebbe servirsi della pubblicità per differenziare i propri prodotti rispetto a quelli dei rivali, diffondendo messaggi che descrivono le caratteristiche concrete che differenziano effettivamente i prodotti oppure cercando di
convincere i clienti dell’esistenza di tali differenze, quando invece i prodotti sono in
realtà identici. Se un’impresa riesce a praticare quest’ultimo tipo di pubblicità, si
dice che tali prodotti sono differenziati in maniera spuria.
Applicazione
GLI INGREDIENTI SEGRETI
Un’impresa può aumentare il profitto se è in grado
di convincere i consumatori che il suo prodotto è di
qualità superiore rispetto alle altre marche. A partire dagli anni ’30 fino agli inizi degli anni ’70, gli
ingredienti segreti costituivano il pilastro della
pubblicità rivolta ai consumatori. Tali ingredienti
venivano battezzati con nomi che contenevano una
combinazione di lettere e numeri per suggerire che
erano stati preparati scientificamente in laboratorio e non progettati a tavolino dai pubblicitari di
Madison Avenue. Il sapone Dial si vantava di contenere AT-7; il detersivo Rinso conteneva solium,
Comet aveva chlorinol e Bufferin invece di-alminate. Tra i dentifrici, Colgate conteneva Gardol,
Gleem aveva GL-70, Crest conteneva fluoristan e
Ipana annoverava tra gli ingredienti esaclorofene e
Durenamel (“cloruro di sodio e ortofosfato solubile della marca Bristol-Myers”).
All’incirca vent’anni or sono, vantare l’utilizzo di
ingredienti segreti non riscuoteva più molto successo e i produttori asserivano che le loro marche
contenevano ingredienti naturali come il bicarbonato di sodio.
Negli ultimi anni, invece, il metodo degli ingredienti segreti è stato reintrodotto per differenziare
la propria marca dai concorrenti. I nuovi messaggi
pubblicitari ricordano che le gomme da masticare e
le mentine per rinfrescare l’alito Clorets contengono Actizol; il detersivo Cheer reclamizza un
enzima chiamato Color Guard, la crema a protezione solare Shade UVA Guard contiene Parasol
1789 e gli agenti di filtro solare a protezione totale
a base di oxybenzone, mentre le Pond’s Skin
Smoothing Capsules (pillole per una pelle levigata)
contengono Nutrium, “un miracoloso complesso
non grasso”.
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L’evidenza empirica. La teoria da sola non basta per prevedere se la pubblicità di
un’impresa aiuterà o danneggerà le altre. Un caso estremo è rappresentato dalla
pubblicità delle sigarette: Roberts e Samuelson (1988) trovarono che la pubblicità
delle sigarette è di natura cooperativa poiché incrementa le dimensioni del mercato
ma non ne varia notevolmente le quote.18 Un caso all’estremo opposto è costituito
dalla pubblicità delle bibite alla cola: secondo Gasmi, Laffont e Vuong (1992), il
guadagno che ogni impresa ottiene grazie alla pubblicità avviene alle spese del
rivale; la pubblicità di tali bibite, quindi, non produce quasi alcun effetto sulla
domanda totale di mercato. Slade (1995) trovò dei risultati intermedi tra questi due
estremi per il mercato dei salatini.
Gli equilibri della pubblicità strategica. L’effetto vantaggioso o svantaggioso prodotto sui rivali dalla pubblicità potrebbe essere un fattore importante nella scelta
delle strategie pubblicitarie delle imprese ed è determinante per il risultato finale. La
Tabella 14.3 mostra due possibili giochi di duopolio in cui le imprese decidono se
pubblicizzare o meno i propri prodotti.
Nella parte (a) della tabella, la pubblicità sottrae solamente i clienti ai rivali: se
un’impresa pubblicizza i propri prodotti, la sua pubblicità attrae i clienti dell’altra
impresa. A causa dei costi pubblicitari, l’aumento del profitto derivante dall’adozione della pubblicità da parte di un’impresa (il profitto passa da € 2 a € 3) è inferiore alla diminuzione del profitto dell’altra impresa (che scende da € 2 a € 0).
Entrambe le imprese hanno una strategia dominante: pubblicizzare. L’equilibrio di
Nash prevede quindi la pubblicità per entrambe. Questo gioco è un esempio di
dilemma dei prigionieri: entrambe le imprese sarebbero più soddisfatte se colludessero e si accordassero per non pubblicizzare i propri prodotti.
Nella parte (b) della tabella, la pubblicità attrae nuovi clienti per entrambe le
imprese. Se solo un’impresa pubblicizza i propri prodotti, il suo profitto aumenta in
misura maggiore (andando da € 2 a € 4) di quello dell’altra impresa (che va da € 2
a € 3). Se entrambe pubblicizzano i propri prodotti, tuttavia, sono più soddisfatte
rispetto alle situazioni in cui ricorre alla pubblicità una sola delle due o nessuna di
esse. Anche in questo caso, la pubblicità costituisce la strategia dominante per
entrambe le imprese.
In ciascuno di questi giochi, entrambe le imprese pubblicizzano i propri prodotti. La differenza è costituita dal fatto che l’equilibrio di Nash nel caso della
pubblicità è identico all’equilibrio collusivo quando la pubblicità incrementa le
dimensioni del mercato, come nella parte (b) della tabella e nel mercato delle sigarette; quando invece la pubblicità corrode le vendite delle altre imprese del mercato, come nella parte (a) della tabella e nel mercato delle bibite alla cola, le
imprese sono meno soddisfatte nell’equilibrio in cui pubblicizzano i propri prodotti. Ne consegue che le imprese di bibite alla cola sarebbero contente se la pubblicità fosse loro vietata, mentre le imprese di sigarette si oppongono al divieto di
18 Osservate, tuttavia, che i dati raccolti dai Centers for Disease Control and Prevention (Centri
statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie) suggeriscono che la pubblicità
potrebbe spostare la fedeltà dei giovani da una marca all’altra.
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Le strategie
Tabella 14.3 Gioco di pubblicità
(a) La pubblicità sottrae solamente i clienti dai rivali
Impresa 1
Non pubblicizza
Non
pubblicizza
€2
Pubblicizza
€2
€3
€0
Impresa 2
Pubblicizza
€3
€0
€1
€1
(b) Advertising Attracts New Customers to the Market
Impresa 1
Non pubblicizza
Non
pubblicizza
€2
€2
Pubblicizza
€3
€4
Impresa 2
Pubblicizza
€4
€3
€5
€5
impiegare la pubblicità.19 In un modello più generale in cui le imprese fissano il
livello di pubblicità (piuttosto che decidere solamente se praticarla o meno), tale
livello dipende fortemente dalla potenzialità della pubblicità di aumentare le dimensioni del mercato oppure dalla sua sola capacità di sottrarre clienti ai rivali.
19 Dal 1997, le imprese di sigarette, sotto notevoli pressioni giuridiche e governative, hanno negoziato varie restrizioni alla propria pubblicità negli Stati Uniti. Esse hanno tuttavia cercato di evitare ogni restrizione ad altri tipi di attività promozionale, che forse avevano programmato di
utilizzare qualora non avessero più potuto pubblicizzare i propri prodotti.