5^ CONVEGNO ADOTTA L’AUTORE URBINO TEATRO SANZIO 5 SETTEMBRE 2012 IL LIBRO VA A TEATRO IL COMPLESSO RAPPORTO TRA TEATRO SCUOLA E LETTURA PERCHÉ IL TEATRO EDUCA A cura di Renzo Boldrini Direttore artistico Compagnia teatrale Giallo Mare Minimal Teatro Due domande: Perché il teatro educa? Perché il teatro per e con i giovani pubblici è necessario oggi più di ieri? Appunti per risposte possibili Perche’ il teatro educa? Inizio con la più bella definizione di teatro che io conosca che nel 1979 mi ha regalato un bambini di 9 anni, Marco, mentre giocavamo tramite il teatro, ad esplorare “con altri occhi” la quotidianità, l’ambiente che ci circondava: “il teatro è quel posto dove non c’è niente ma ci può accadere di tutto”.Quel “posto dove non c’è niente” diventa, nella sua radicalità oggettiva e poetica, un’oasi possibile nella società dell’accumulo, magari oggi più di debiti che di beni di consumo più o meno utili, della super fetazione degli strumenti di comunicazione di massa che annullano virtualmente le distanze spazio temporali dei nostri processi relazionali, ma che contemporaneamente, aumentano esponenzialmente la frammentazione delle relazioni concrete, costruendo, come nota il filosofo Umberto Galimberti, Solitudini Comunicative di Massa. Pensiamo a tale proposito alla “trasfigurazione” del termine amico su facebook, o al racconto sempre più diffuso, minuzioso ed in diretta a colpi di twitter, della cronaca della propria quotidianità. Un’ossessione cronicistica che evoca il racconto di Italo Calvino su quell’imperatore cinese che smanioso di magnificare, esporre la grandezza del suo impero, ordina la realizzazione di una mappa del regno in scala 1:1, che una volta realizzata si sovrappone letteralmente all’impero, sostituendo il territorio reale con la sua rappresentazione, la mappa. Nel rumore di fondo del bombardamento mediatico e dell’iper produzione della crescita insostenibile quanto però necessaria a far prosperare la foresta delle merci che ancora il nostro status di cittadinanza alla nostra possibilità di consumo, trovo, nel teatro, soprattutto per i più giovani, un habitat culturale comunicativo con chiare potenzialità educative. Un luogo antico ma avido, storicamente , di virare la sua lingua al presente. Uno spazio che ha come fulcro uno spazio vuoto, una tela bianca, la scena, su cui tendenzialmente si lavora per processi di sottrazione compositiva e di sintesi poetica e simbolica (paragonato con gli altri media, questa sua vocazione all’essenzialità vale anche per le espressioni scenotecniche più eclatanti e barocche). Un linguaggio multicodice, intrinsecamente legato al presente multimediale, ma contemporaneamente calibrato su sapienze artistiche e scenotecniche artigianali da “homo faber”. Uno spazio ed un linguaggio che per essere messo in gioco, a qualunque livello, dal piccolo laboratorio alla più alta esperienza produttiva, necessita dell’arte della presenza concreta interattiva di artisti e spettatori, animatori ed animati, maestri ed allievi. Il teatro quindi è per queste sue caratteristiche un significativo ambiente d’incontro culturale, soprattutto per i più giovani proprio perché in piena definizione del loro vocabolario esistenziale in pieno “Strurm und drang” emotivo e cognitivo. Il teatro è quindi un luogo antropologicamente comunitario, strutturalmente formativo, “linguisticamente vivo” nonostante la crisi economica e valoriale nonostante una più generale assenza nel nostro paese di una tradizione culturale ed artistica rivolta ai più giovani (a tal proposito, basti confrontare gli spazi per ragazzi dei musei italiani con quelli del Nord Europeo e degli Stati uniti). Nonostante un contesto socio – politico che ha smarrito il termine futuro, dedicando alle nuove generazioni progetti dove l’unica prospettiva sembra ridursi a logiche rivolte alla riduzione del danno dei mali di un presente sterminato, con poca memoria e cieco di orizzonti. Nonostante l’incapacità della nostra “governance” di riconoscere i mestieri immateriali della conoscenza, fra cui il teatro, come ad una vera professione, un Bene Comune che in Italia dovrebbe obbligatoriamente diventare una logica, quanto potente, occasione di sviluppo economico. Diceva con ragione Marco, tornando alla sua iniziale citazione, che in teatro “può accadere di tutto”. Infatti il ruolo educativo del teatro può essere declinato efficacemente con differenti modi ed operatività approfondendo l’esplorazione dei vari ruoli che il gioco del teatro prevede, tutti attivi e materia di vasta progettualità teorica e pratica a cominciare dall’educazione al ruolo di spettatore. Vedere Teatro L’arte dello spettatore Il coro dell’Enrico V di William Shakespeare Supplite voi, con il vostro pensiero alle nostre carenze. Dividete ogni singolo uomo in mille unità Così creando armate immaginarie Pensate se vi parlan di cavalli Di vederli noi messi calcar i loro fieri zoccoli nella terra amica È alla vostra mente che spetta ora Equipaggiare i sovrani e condurli per ogni dove Bruciando i tempi e condensando gli eventi di molti anni in un voltar di clessidra Il teatro con il suo linguaggio a bassa definizione pretende, almeno nelle sue espressioni meno banali, dal suo pubblico, una complicità creativa, un’abilità visionaria. Dalla scena, a prescindere dalle storie e dagli stili, è esplicito l’invito ad ogni spettatore a giocare con la sua capacità immaginativa, con la sua “mente” che già Cartesio, non casualmente, definiva un teatro. Pensiamo quanto questo, oggi più di ieri, sia strategico nei processi educativi, come contrappasso ad una consuetudine ad un ascolto saturo ed inerte prodotto ad esempio da certa televisione, soprattutto quella legata ai target infantili ed adolescenziali. Una modalità di ricezione a scarso tasso creativo strutturata su contenuti, modalità compositive, ritmi comunicativi che impongono comunque a chi opera in teatro una ridifinizione su come poter “creare” ed interagire con quello che il filosofo e poeta Coleridge ha definito lo stato di volontaria e temporanea sospensione d’incredulità dello spettatore. Uno Stato di disponibilità emotiva, percettiva su cui si basa un’ asse basilare della relazione attori/platea, dell’esplorazione comune tramite la scena di mondi e storie possibili, resi transitoriamente tangibili dalla concreta illusione offerta dalla finzione scenica. Ma per sottolineare ulteriormente la potenzialità educativa, ma anche il valore artistico che il teatro offre e riceve nella relazione anche con i più giovani, vi riporto alcuni stralci di un’ intervista segnalatami da Giorgio Testa, che Peter Brook ha rilasciato sul tema a “les cahiers pedagogiques” nel 1995. Afferma Peter Brook: … Anche nel gioco spontaneo i bambini sviluppano senza dubbio alcune capacità “teatrali”, ma esse sono comunque limitate. Invece, l’allievo che gioca – recita nel senso teatrale del gioco - è messo nelle condizioni in cui è contemporaneamente se stesso e, allo stesso tempo, di fronte alla istanza del teatro, obbligato ad essere se stesso “al meglio”. Deve essere più dinamico, più concentrato, più vigile, più comprensivo, più sensibile. Il teatro dà questa possibilità, unica di imparare nell’azione e nell’emozione… … Se lo sport è necessario per la salute, l’arte teatrale è necessaria per la salute psicologica e psichica, per lo sviluppo dell’individuo … … Ancora oggi, per ogni spettacolo, andiamo a recitare, durante le prove in una scuola, per la semplice ragione che si tratta di uno dei pubblici migliori… … si discute con i bambini, si ascolta attentamente quelle che ci dicono, è spesso il pubblico più intelligente … … Coloro che fanno teatro per i bambini fanno spesso un lavoro di grande qualità, specialmente per i più piccoli, ma la conclusione che abbiamo tratto dalle nostre esperienze è che il fine di uno spettacolo (anche se non sempre ci si arriva!) è di essere abbastanza aperto da poter coinvolgere simultaneamente persone di età diverse… Un teatro per limite o risorsa per artisti e spettatori? Nello stralcio finale dell’intervista sopracitata, Peter Brook esprime un parere su un vero e proprio dilemma che divide da sempre gli operatori. La questione è la seguente: creare, agire teatralmente per specifici referenti (anagrafici o sociali, etc.) è fecondo o limitante per gli artisti e il pubblico a cui essi si rivolgono? Quesito da cui si sviluppa la conseguente e la connessa questione: si deve mirare a esaltare le specificità di un pubblico creando un settore specifico di attività per, o si deve tendere ed un teatro che sia capace di parlare a tutti, anche i più giovani? Una problematica di respiro storico, visto che questa problematica come ci si ricorda Antonio Attisani nella sua “Breve storia del Teatro” divideva in due fazioni diverse e contrapposte, i 57 teatri stabili per l’infanzia che operavano nel 1935 in Unione Sovietica. La prima fazione capeggiata da Natalja Sac, propugnava per i più giovani un teatro nuovo e “altro” che non rischiasse di essere il ridotto del teatro di prosa tout a court, mentre Antonov Briancev propugnava la creazione di spettacoli “normali” ma capaci di parlare a tutti. Neppure Stalin e Zdanov erano riusciti a imporre una soluzione collettiva a questo tema: il teatro per i giovani pubblici è un teatro specificatamente dedicato o deve essere per tutti? Personalmente credo che un destinatario più o meno occulto, gli autori teatrali, i “drammaturg” di tutti i tempi ce l’abbiamo sempre avuto. Un’attitudine ancor più necessaria in questa fase storica, dove l’esplicitazione di un teatro dedicato ad una fascia anagrafica, o sociale (immigrati) può rendere più nitida l’efficacia autorale e rappresentativa del Teatro del Presente che così agisce tramite le lente di ingrandimento di un “focus” identitario. Una messa a fuoco forse necessaria in una società in grande trasformazione sociale, antropologica ed economica, che apre costantemente nuove domande fra il teatro, la Polis e le comunità che la abitano. Comunque la discriminante sostanziale dell’efficacia di ogni spettacolo, dell’organizzazione di ogni teatro, dei percorsi di educazione al Teatro che si intraprendono, la fà ovviamente loro capacità di essere una comunicazione efficace, che pone temi necessari e ben espressi per evitare, sempre citando il grande regista francese, che il teatro faccia male a chi lo fa ed a chi lo vede, per chi lo insegna e chi lo “apprende”. Perché il teatro per e con i giovani pubblici è necessario oggi più di ieri? Il teatro per l’infanzia e la gioventù è un’area teatrale sicuramente sottovalutata. Anche a causa di alcune passate, e oggi crediamo superabili, scelte politiche ed artistiche. Un “settore” NON valorizzato nonostante si rivolga a referenti e comunità di particolare interesse socio-culturale come i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, le scuole e le famiglie. Segmenti di una platea di chiaro interesse pubblico, tautologicamente contemporanea, strategicamente legata al processo di rinnovamento generazionale degli spettatori. Un settore del Teatro che interagisce con referenti specifici (bambini – famiglie- giovani) ma che insieme formano un magmatico, quanto significativo pubblico intergenerazionale e che rivolgendosi a così precisi quanto differenti soggetti anagrafici, spinge necessariamente gli artisti che operano in questo campo a mettere in relazione attiva termini apparentemente antinomici quali popolare ed innovazione, contemporaneo e tradizione. Un pubblico (e quindi una scena) fortemente sottovalutato, in primis nella sua lapalissiana quantità e concreta domanda che chiede solo di trovare risposte adeguate come dimostra lo straordinario successo di “Stasera pago io!” ideato e realizzato da FTS e Giallo Mare Minimal Teatro. Un progetto pilota di formazione, produzione e programmazione in serale per le famiglie. Un “format” di successo proprio perché mette al centro, valorizza il ruolo del bambino come “spettatore-guida” che accompagna e offre l’ingresso a teatro ai suoi parenti adulti grazie a dei “Fantassegni” conquistati dai ragazzi durante le animazioni multimediali promozionali effettuate dalla Compagnia nelle scuole e nei supermercati del territorio. Ma il teatro per i giovani pubblici è sottovalutato soprattutto nella sua qualità. Infatti questi pubblici rappresentano uno straordinario scenario di relazione, in termini di confronto drammaturgico e d’innovazione di linguaggi, con il fronte vivo, primario della costante mutazione degli immaginari. È la zona, della platea e della scena teatrale, dove sono più evidenti le fratture comunicative generazionali, più percepibile la mutazione antropologica che si rivela nei meccanismi di percezione e rappresentazione della realtà, in termini estetici e sociali. Basti pensare oggi (nello scenario di devastazione della scuola pubblica prodotta dall’ex Ministro Gelmini) all’importanza che ha oggi la platea/comunità scuola rispetto, ad esempio, alla trasformazione multiculturale della società (vedi la comunità in cui risiedo, S. Croce sull’Arno con le sue 55 comunità nazionali presenti in una comunità di 14 mila abitanti). Le classi, in particolare quelle della scuola primaria, rappresentano concretamente la fotografia plastica del domani. Su questa “scena” sociale si gioca una gran parte del vocabolario sociale e democratico del futuro. Il teatro può giocare un ruolo significativo d’incontro fra generazioni, proprio per la sua natura di linguaggio multicodice capace di mettere in originale relazione i segni primari del teatro (corpo, parola, spazio, luce) con alfabeti, strumenti tecnologici che segnano l’habitat comunicativo (altro che “teatro dell’obbligo e deportazione teatrale”). Un luogo, il Teatro, che obbliga felicemente ad un impegno concreto, attivo, dello spettatore di ogni età. Elemento che si fa doppiamente interessante con pubblico delle famiglie dove diffusamente, tra l’altro, si verifica un curioso fenomeno: sono gli adulti a portare i figli a teatro, ma spesso sono proprio gli adulti, i neofiti, quelli che entrano per la prima volta in teatro e scoprono quanto il teatro, inteso come spazio e come linguaggio, possa essere ciò che neppure immaginavano: un’opportunità di dialogo intergenerazionale offerto dalla concreta finzione della fabula teatrale che si contrappone alle solitudini virtuali e televisive di cui grandi e più giovani sono sempre più, separatamente, protagonisti. Il teatro per e con i bambini, ragazzi, giovani, ragazzi, giovani, scuole, famiglie è un teatro implicitamente sociale che in una società senza memoria gioca a ricomporne frammenti collettivi, rileggendo miti e fiabe, e ponendo spesso al centro delle sue ricerche drammaturgiche dei suoi lavori temi rilevanti come l'ambiente, l'immigrazione, il rapporto genitori/figli, la visionarietà di futuri possibili. In definitiva un teatro necessario dedicato e praticato con i più giovani come parte vitale e necessaria di un nuovo teatro popolare (non plebeo) d’arte. Un’area artistica che per la sua missione, il rischio culturale che affronta, è urgente che trovi una più forte tutela nel Sistema Teatrale Regionale, in termini di valorizzazione produttiva e progettuale, in virtù anche della sua palese funzione pubblica e la sua chiara azione di ricaduta e redditività sociale dell’investimento pubblico attribuitogli. Renzo Boldrini È direttore artistico del Teatro Comunale Verdi di Santa Croce sull' Arno. Ha insegnato drammaturgia alla Civica Scuola di animazione pedagogica e sociale di Milano dal 1990 al 2003 E' uno dei fondatori di Giallo Mare Minimal Teatro, compagnia per la quale dirige tre spettacoli che hanno avuto il Premio ETI Stregagatto: Boccascena nel 1992, Storie Zip nel 1999, La storia di Giulietta e Romeo nel 2001. Dal 1983 ha firmato come autore e/o regista settanta creazioni sceniche presentate in Portogallo, Spagna, Polonia, Belgio, Germania, Russia, e Svizzera. Le sue ultime pubblicazioni sono: Buff'Opera: Cenerentola. Musica da vedere, teatro da ascoltare (con Claudio Proietti), Titivillus, Corrazzano 2005; Il libro va a teatro (con Giovanna Palmieri e Mafra Gagliardi), Edizioni Erickson, Trento 2006. Territori come Scena - Progetti di residenze per il teatro: idee, visioni, tracce da Toscana, Piemonte, Puglia, Lombardia, Titivillus Edizioni, Corrazzazno 2009. Bibliografia Bettelheim, Bruno, Zelan, Karen, Imparare a leggere, Feltrinelli Roland Barthes, La grana della voce, Einaudi Olof Logercrantz, L'arte di leggere e di scrivere, Marietti Peter Bichsel, Il lettore, il narrare, Marco y Marcos S. Magnani, Comunicare a teatro, Omega Edizioni AA.VV., Storia della Lettura, Laterza F. Bertoni, Il testo a quattro mani - per una teoria della lettura, La Nuova Italia Giulio Mozzi, Parole private dette in pubblico, Theoria Detti, Emanno, Il piacere di leggere, La Nuova Italia Franco Ferrarotti; Leggere, leggersi, Donzelli C. Mariella, Il grido e la carezza – Percorsi nell'immaginario del corpo e della parola, Meltemi Rita Valentino Merletti, Leggere ad alta voce, Mondadori Infanzie Campanile, Silvia (ed altri), Il vizio di leggere, Liguori Laura Pigozzi, A nuda voce, Antigone Edizioni F. Fussi, M. Gilardone, Clinica della voce, Ed. Libreria Cortina