IX. Gli algebristi del Cinquecento - Digilander

IX.
Gli algebristi del Cinquecento
N. Tartaglia, 1546
Nel Cinquecento
l’algebra subisce una
profonda evoluzione
sia sul piano dei
risultati, sia su quello
dei metodi, sia
ancora su quello del
linguaggio
• formula risolutiva
delle equazioni di 3° e
di 4° grado
• si estende il campo
numerico con
l’introduzione dei
numeri complessi
• linguaggio sincopato
G. Cardano,
Ars magna, 1545
R. Bombelli,
Algebra, 1572
1
La scoperta della formula risolutiva delle
equazioni di terzo grado
Scipione Dal Ferro (1465-1526) lettore di “Arithmetica e Geometria”
presso l’università di Bologna trova la regola per la risoluzione delle
equazioni di 3° grado mancanti del termine di 2° grado intorno al 1515,
ma non pubblica nulla
Niccolò Fontana detto Tartaglia (Brescia ca.1500- Venezia 1559)
per primo osservò che la risoluzione dell’equazione cubica
x3 + px = q
3
p
dipende da quella dell’equazione quadratica y 2 − qy =
27
Gerolamo Cardano (Pavia 1501-Roma 1576)
- studiò le trasformazioni che permettono di ridurre un’equazione
algebrica in un’altra di più facile soluzione, fra cui quella che riduce l’eq.
cubica generale a quella mancante del termine di secondo grado
- osservò che l’equazione cubica ha tre radici
- scoprì il caso irriducibile
Tartaglia racconta la storia della scoperta
della formula risolutiva dell’equazione
cubica e la pittoresca diatriba con
Cardano nei Quesiti et inventioni diverse (1546)
1530 Zuanne de Tonini da Coi gli propone i seguenti due quesiti
(Q. XIIII)
1) Trovatime un numero, qual multiplicato per la sua radice più tre,
mi faccia cinque.
[x2 (x+3) = 5]
2) Similmente trovatime 3 numeri, ma chel secondo sia 2 più del
primo, et chel terzo sia pur 2 più del secondo, et che multiplicato el
primo fia el secondo, et quel produtto fia el terzo, faccia 1000.
[x(x+2)(x+4) = 1000 x3 + 6x2 + 8x = 1000]
2
“...et dico che vi doveresti alquanto
arrossire, a proponere da rissolvere ad
altri, quello che voi medesimo non sapeti
rissolvere... Io non dico che tai casi siano
imposibili, anci il primo, cioe quello de
cubo et censo equal à numero io me
persuado di havervi trovato la sua regola
generale, ma per al presente la voglio
tacere…”
Nel febbraio 1535 Tartaglia sostiene la
disfida con Antonio Maria Fiori e risolve
i 30 problemi posti dall’avversario, in due
ore, perché:
“....tutti conducevano l’operatore in el
capitolo de cosa e cubo equal a numero
[cioè alla equazione x3 + px = q] ...e poi
.....per havervi trovato circa giorni .8.
avanti regola generale....”
Q. XXXIIII
Nel gennaio 1539 Cardano, tramite il suo libraio, chiede a Tartaglia di
rivelargli la regola da lui scoperta:
“ ...fatto da M. Zuanantonio libraro di Bassano per nome d’un Messer
Hieronomo Cardano ...adi .2. Genaro 1539... et al presente fa stampare
una sua opera in la pratica di Arithmetica et Geometria et in Algebra che
sara una bella cosa. Et perche egli ha inteso voi esser stato in disputa con
maestro Antoniomaria fiore et... che il detto maestro vi propose tutti li
suoi 30 che vi conducevano in Algebra in un capitolo di cosa e cubo equal
à numero. Et che voi trovasti regola generale à tal capitolo,… Et pertanto
sua eccellenza vi prega che voi gli vogliate mandare di gratia tal regola
da voi trovata, et s’el vi pare lui la dara fora in la presente sua opera
sotto vostro nome, et se anchor el non vi pare, che lui la dia fora, la
tenera segreta .”(Q. XXXI)
Tartaglia risponde:
“Diceti à sua eccellenza, che quella mi perdona, che quando voro
publicar tal mia invenzione la voro publicar in opere mie, et non in opere
de altri, si che sua eccellenza mi habbia per iscuso.”
3
Il 12 febbraio 1539, Cardano scrive:
“... vi domando di gratia con che credeti parlare con li vostri
scolari over con huomini…”
Il 19 marzo 1539 Cardano scrive un’altra lettera in cui
invita Tartaglia a recarsi a Milano.
Il 25 marzo 1539 i due si incontrano in casa di Cardano che
rinnova con insistenza la sua richiesta (Q. XXXIIII) della
regola generale al Capitolo di cose e cubo uguale a numero,
promettendo che non svelerà ad alcuno e giurando solennemente che
non la pubblicherà nel lavoro che sta scrivendo.
Tartaglia gli comunica i famosi versi.
Il 9 aprile 1539, Cardano rassicura Tartaglia sulla validità della
promessa fatta e lo informa che sta per ultimare la stesura di una opera
di matematica e, non avendo ben compreso i versi, gli chiede
spiegazioni.
Le lettere successive mostrano che i rapporti fra i due si sono ormai
guastati irrimediabilmente.
1545 Cardano pubblica l’Ars magna inserendo la formula
risolutiva delle equazioni cubiche.
Occorre trovare
due numeri u e v
tali che
p3
u⋅ v =
u − v = q,
27
{
allora x = 3 u − 3 v
u = v + q


p3
(v + q) v =

27
v=
q2 p3 q
+
−
4 27 2
x = 3 u −3 v = 3
è soluzione dell' equazione
p3
v + qv −
=0
27
2
v+q =u =
q2 p3 q
+
+
4 27 2
q2 p3
q
+
+ −3
4 27 2
q2 p3 q
+
4 27 2
[dei 9 possibili valori di 3 u − 3 v bisognasceglierequelli che soddisfano
alla condizione3 u ⋅ 3 v =
p
]
3
4
Se l’equazione data ha coefficienti reali
2
3
q
p
+
> 0 1 radice reale e 2 complesse coniugate
4 27
q2 p3
=0
+
4 27
3 radici reali, di cui 1 con molteplicità 2
q2 p3
+
<0
4 27
3 radici reali e distinte
L’ultimo caso, il caso irriducibile, è particolarmente interessante
perché benché le radici siano reali, il loro calcolo, con la formula
precedente, richiede l’estrazione di radici cubiche di numeri
complessi.
Cardano nell’Ars magna dà una giustificazione geometrica della
regola di Tartaglia (pp. 249-250) e poi menziona il caso irriducibile
osservando che si può ancora applicare la regola, ma si ottengono
“radici sofistiche”.
Cardano, costruzione geometrica delle equazioni di 3° grado
x 3 + 6 x = 20
[ x 3 + px = q ]
ac3 − bc3 = 20 [q ]

Pone 
p
[ ]
ac ⋅ bc = 2

3
e per la formula risolutivas i ha : x = ac − bc = ab
per cui deve essere
3
ab + 6 ab = 20 [ q]
3
3
3
ma dovrà essereab + 6ab = 20 = ac − bc
Ars magna, pp. 249-250
Con questa costruzione
geometrica si intendeva
dimostrare
la validità della
soluzione ottenuta
algoritmicamente
(solido che sarà chiamatoda Bombelli " gnomonide").
Dunqueper dimostrare geometricamente che ab
è la soluzioneoccorre dimostrare che lo gnomonide
s i può esprimere come somma del cubo ab3
più altri solidi= 6ab.
3
2
2
Lo gnomonide è = ab + 3ab ⋅ bc (in verde) + 3ab ⋅ bc
( in rosso) ma questi6 parallelepipedi sono
= 3ab ⋅ ( ac ⋅ bc) = 6ab, dunque...
5
Rafael Bombelli, Algebra (1550), 1572
Nel I libro dell’Algebra egli analizza le soluzioni
delle equazioni di 2° e di 3° grado e osserva che
per risolvere le eq. di 2° grado è sufficiente
aggiungere gli irrazionali quadratici,
per le eq. cubiche gli irrazionali cubici.
Osserva che nel caso irriducibile
intervengono le radici cubiche di particolari
numeri in cui compaiono le radici quadrate di numeri negativi.
Riconosce cioè la necessità di aggiungere nuovi numeri detti poi
complessi che denota così
a p.d.m. b (a più di meno b)
a m.d.m b (a meno di meno b)
a + ib
a - ib
ne stabilisce le leggi formali di calcolo e ne dà varie applicazioni.
A lui va il merito di aver completamente analizzato e risolto il caso
irriducibile.
Bombelli,
Algebra.
1572
Notazione
attuale
Notazione a stampa
Notazione
manoscritta
R.c = radici
cubiche
R. q = radici
quadrate
6
Il caso
irriducibile
3
x = 15x + 4 (p. 225)
2
3
q
p
+
4 27
3
 15 
4 +  −  = − 121 < 0
 3
x3 +px = q
x=3
Joseph -Louis Lagrange
1736-1813
Niels Abel
1802-1829
q
+
2
Dopo i grandi sviluppi
del ‘500 rimaneva
aperto il problema se
fosse possibile
risolvere per radicali
le equazioni generali
di grado superiore al
quarto.
L’impossibilità fu
dimostrata
da Ruffini (1813)
e da Abel (1824).
Dall’opera di Galois
trae origine
l’algebra astratta
q2 p 3
+
4 27
+3
q
q 2 p3
−
+
2
4 27
Paolo Ruffini
1765-1822
Évariste Galois
1811-1832
7
Évariste Galois (1811-1832)
1828-29 è respinto due volte agli esami di ammissione all’ Ecole
polytecnique , è ammesso all’école préparatoire, da cui
sarà espulso per motivi politici
1829 il suo primo lavoro sulla risoluzione delle equazioni algebric he
è presentato all’Académie des sciences da Cauchy che però
non ne farà mai il rapporto
1830 presenta nuovamente le sue ricerche sulla risoluzione delle
equazioni algebriche all’Académie per concorrere al premio
per la matematica, ma il lavoro viene perso
1831 la sua memoria Sur les conditions de résolubilité des
équations par radicaux è giudicata negativamente da Lacroix
e da Poisson. Sarà pubblicata postuma nel 1846
1832 muore in duello, ma nella notte precedente affida le sue
scoperte ad una lettera all’amico Auguste Chevalier che si
occuperà della loro pubblicazione.
“Ti prego di pubblicare questa
lettera nella Revue encyclopédique.
Durante la mia vita, ho spesso
azzardato ipotesi di cui non ero
certo. Ma tutto quello che ho scritto
qui, ce l’ho chiaro in mente da
un anno, …
Pregherai pubblicamente Jacobi o
Gauss di dare il loro parere non
sulla verità, ma sull’importanza
dei teoremi. Dopo di ciò spero
che si troverà qualcuno che avrà
interesse a decifrare tutto questo”.
“C’è qualcosa da completare in questa dimostrazione.
Non ne ho il tempo.” Galois a Chevalier, 29.5.1832
8
John Napier (1550-1617)
e l’invenzione dei logaritmi
J. Napier
Pur non essendo un matematico di professione,
bensì un ricco proprietario terriero, Napier scrive di
aver lavorato per oltre vent’anni all’invenzione dei
logaritmi: l’idea originaria si deve pertanto far risalire al
1594. Due sono gli aspetti matematici che lo ispirano nella sua scoperta:
- le successioni di potenze di un dato numero, oggetto di studio di vari
autori, fra cui M. Stifel (Arithmetica integra, 1544) che osservò che, i
termini della progressione geometrica 1, r , r2 , r3 , r4 , ... corrispondono ai
termini della progressione aritmetica formata dagli esponenti 0 , 1 , 2 , 3 , 4 ,
.... Pertanto, la moltiplicazione (la divisione) di due termini della
progressione geometrica fornisce un termine il cui esponente è la somma
(differenza) dei corrispondenti termini della progressione aritmetica.
- le formule di prostaferesi (che trasformano prodotti in somme)
1614 - Mirifici logarithmorum canonis descriptio
1619 - Mirifici logarithmorum canonis constructio
Per mantenere molto vicini i termini di una progressione geometrica delle
potenze intere di un numero (e rendere più precisa l’interpolazione) questo
numero deve essere molto vicino a 1. Napiersceglie 1 - 10 -7 = 0.9999999,
però i termini risultano troppo vicini. Per ottenere un maggiore equilibrio ed
evitare cifre decimali, moltiplica ogni potenza per 107:
2
3
1 
1 
1 



10 7 , 10 7 1 − 7 , 10 7 1 − 7  , 10 7 1 − 7  ,...
 10 
 10 
 10 
7
L
1 
Se N = 10 1 − 7  allora L è il "logaritmo" neperiano di N
 10 
Quindi
logaritmo di 107 = 0
logaritmo di 107 ( 1 - 10-7 ) = 1
logaritmo di 107 ( 1 - 10-7 )2 = 2
logaritmo di 107 ( 1 - 10-7 )3 = 3 ...
Napier spiega la sua "regola meravigliosa" in termini geometrici
9
Napier considera un segmento AB e una semiretta CDE…
Un punto P parta da A e si muova lungo AB con velocità
decrescente uguale alla sua distanza da B. Contemporaneamente un
punto Q, partendo da C cominci a muoversi lungo CDE… con
velocità costante pari a quella che P aveva all’inizio del suo moto.
Napier chiama la distanza variabile CQ il logaritmo della
distanza PB.
A
C
P
x
B
D
Q
E
La definizione geometrica di Napier corrisponde alla definizione vista sopra.
Infatti, se si pone PB = x e CQ = y e si prende AB = 107 e la velocità iniziale di P
anch’essa uguale a 107 , allora, si ha:
dx/dt = - x e dy/dt = 107 , con le condizioni iniziali x0 = 107 e y 0 = 0.
Dunque: dy/dx = -10 7 /x, che risolta dà y = - 10 7 ln(Cx), dove, in base alle
condizioni iniziali, C = 10-7 per cui y = - 10 7 ln(x/107 ), y/ 10 7 = ln1/e(x/107 ).
Quindi, se le distanze PB e CQ fossero divise per 107 , la definizione di Napier
porterebbe a un sistema di logaritmi in base 1/e.
Differenza tra i logaritmi di Napier e i nostri: non vale la
regola che il logaritmo di un prodotto (quoziente) è sempre
uguale alla somma (differenza) di logaritmi.
Infatti, se L1 = log N1 e L2 = log N2 ,
allora N1 = 107 (1 - 10-7 )L1 e N2 = 107 (1 - 10-7 )L2
e, pertanto, (N 1 N2 / 107 ) = 107 (1 - 10-7 )L1+L2 ,
cioè la somma di due logaritmi è il logaritmo non di N1 N2 , bensì
di N1 N2 /107 .
L’opera di Napier, pubblicata nel 1614, trovò un immediato
riconoscimento presso le comunità scientifiche dell’epoca, tanto
che Kepler accolse con entusiasmo i numeri “meravigliosi” perché
agevolavano molto i calcoli astronomici.
10
J. Napier, Rabdologiae seu Numerationis
per virgulas libri duo (1617; ed. it. 1623)
Bastoncini per
moltiplicare e
dividere
Le prime tavole di logaritmi in base dieci, come sono note a
noi, risalgono ad un contemporaneo di Napier, il primo
Savilian professor di geometria ad Oxford,
Henry Briggs che nel 1624 pubblicò l’Arithmetica
logarithmica, dove calcola i logaritmi in base 10 dei numeri
da 1 a 20.000 e da 90.000 a 100.000, fino alla 14a cifra
decimale.
Nel 1620 Jost Bürgi costruttore svizzero di orologi
pubblicò Arithmetische und geometrische Progress-Tabulen
dove perveniva, indipendentemente, a risultati
analoghi a quelli di Napier.
J. Bürgi
11
Il concetto di numero nel `500 e nel `600
♦ Lo zero era accettato come numero.
♦ Gli irrazionali erano usati liberamente, ma sul loro status di
numeri c'erano delle divergenze:
M. STIFEL nell’Aritmetica integra (1544) sostiene che
"poiché nel provare le figure geometriche, quando i numeri razionali ci
vengono a mancare, i numeri irrazionali prendono il loro posto e dimostrano
esattamente quelle cose che i numeri razionali non potevano dimostrare ...
siamo mossi e spinti ad asserire che essi sono veramente numeri, spinti cioè
dai risultati che percepiamo essere reali, certi e costanti. Dall'altro lato, altre
considerazioni ci spingono a negare che i numeri irrazionali siano numeri.
Vale a dire, quando cerchiamo di assoggettarli a enumerazione
[rappresentazione decimale]...troviamo che essi volano perpetuamente via,
cosicché nessuno di essi può essere appreso con precisione in sé ... Ora, ciò
che è di natura tale da mancare di precisione non può essere chiamato un vero
numero ... Perciò, proprio come un numero infinito non è un numero, così un
numero irrazionale non è un vero numero, ma giace nascosto in una
specie di nuvola di infinito”
Per STIFEL i veri numeri sono gli interi e i frazionari.
S. STEVIN riconosce agli irrazionali il loro stato di numeri e li approssima
con razionali. Ancora nel `600 B. PASCAL e I. BARROW li consideravano
simboli che non hanno esistenza indipendente dalle grandezze geometriche.
R. DESCARTES (1628) invece li ammette come numeri astratti che possono
rappresentare grandezze geometriche e J. WALLIS nella sua Algebra (1685)
li accetta come numeri.
♦ I numeri negativi benché fossero usati dagli Indiani fin dal XII secolo e
fossero resi noti dagli arabi, non erano accettati come numeri dalla maggior
parte dei matematici del `500, o se lo erano, non erano accettati come radici
di equazioni.
G. CARDANO (Ars magna, 1545) li considera come meri simboli e li
chiama "fittizi", F. VIÈTE li scartava e R. DESCARTES li accettava solo
parzialmente nel senso che un'equazione con radici "false" (negative) poteva
essere trasformata in una con radici "reali" (positive).
STEVIN accettava sia i numeri negativi che le radici negative. A. GIRARD
(Invention nouvelle en l'algèbre, 1629) li mette sullo stesso piano dei positivi
e dà entrambe le radici di un'equazione di secondo grado anche quando sono
negative. R. BOMBELLI li definisce in modo chiaro.
12
♦ Per quanto riguarda i numeri complessi, BOMBELLI li introduce nella
sua Algebra (1572) e ne dà le regole di calcolo.
DESCARTES invece respinge le radici complesse e le chiama
"immaginarie” GIRARD (Invention nouvelle en l'algèbre, 1629) li
riconosce come soluzioni formali delle equazioni:
"Si potrebbe dire: quale utilità hanno queste soluzioni impossibili [le radici
complesse]? Io rispondo: servono a tre cose, alla certezza delle regole
generali, alla loro utilità e perché non ci sono altre soluzioni"
I. NEWTON non le considerava forse perché non avevano all'epoca nessun
significato fisico (Arithmetica universalis, 1728, p.193) e G. W. LEIBNIZ
sebbene lavorasse con i numeri complessi non ne comprendeva appieno la
natura:
“Lo spirito divino trovò una via d'uscita sublime in quel mostro dell’
analisi quel portento del mondo ideale, quell'anfibio fra essere e non-essere
che chiamiamo radice immaginaria dell'unità negativa"
(LMS, V, pp. 350-361)
Bibliografia essenziale
Franci R., Toti Rigatelli L., Storia della teoria delle equazioni
algebriche, Mursia, Milano, 1979
Freguglia P., La geometria tra tradizione e innovazione 15501650, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, Cap. 3 e 5
Maracchia S., Storia dell'algebra, Liguori, 2005
Naux C., Histoire des logarithmes de Neper à Euler, Blanchard,
1971
Toti Rigatelli L., Matematica sulle barricate. Vita di Evariste
Galois, Sansoni Ed., Firenze 1993
I testi
Bombelli R., L’Algebra, (1572) Feltrinelli, Milano, 1966
L. Giacardi 2006-2007
13