1 INDICE: Pag.3 Foto Classe Da pag. 5 a pag. 24: Premessa storica sulle guerre di indipendenza che portarono all‟Unità d‟Italia Da pag. 25 a pag.39: Fermenti patriottici all‟Elba Da pag. 40 a pag.50: i 150 anni di Curtatone e Montanara: il contributo elbano Da pag. 51 a pag.83 Approfondimento dei personaggi elbani che parteciparono alle lotte risorgimentali Da pag.84 a pag.135 Curiosità ed approfondimenti di vario genere Da pag. 136 a pag.137 Bibliografia 2 3 Si avvertono i giovani lettori che molti brani riportano integralmente documenti storici che risalgono al 1800 per cui apparirà un linguaggio sintattico ed anche regole grammaticali diverse dal linguaggio contemporaneo. Per scaricare il libro andare sul sito: www.comprensivoportoferraio.it 4 Premessa storica sulle guerre di Indipendenza che portarono all' unità d'Italia Ciò che leggerete ora vuol essere un breve escursus temporale dei principali avvenimenti che porteranno,come dice il titolo,all'unità d'Italia.Ciò dovrebbe facilitare a comprendere e inquadrare meglio gli approfondimento storici e letterari legati più precisamente alla Toscana e,in particolare,all'isola d'Elba che saranno frutto delle ricerche da noi svolte nel nostro triennio scolastico all'Istituto Comprensivo di Portoferraio. 1814 Sappiamo che questa data precede di ben trent'anni l'inizio delle Guerre di Indipendenza in Italia,ma è comunque una data fondamentale per capire tutto ciò che in seguito avverrà sia all'Isola d'Elba che in tutta Italia.Per quanto riguarda l'Elba,durante l'impero francese,faceva parte del regno d'Italia guidato dallo stesso Napoleone e quando,nel Marzo del 1814, dovette abdicare ottenne dai suoi nemici la possibilità di ritirarsi nella nostra isola. Il suo esilio fu breve,ma intenso portando cambiamenti significativi in tutti i settori,da quello economico a quelli politici e sociali,mettendo in pratica il suo Codice Civile. Esso avrà sicuramente vivacizzato il modo intellettuale in un luogo così piccolo con forti diatribe fra chi lo sosteneva e chi vedeva Napoleone 5 come un dittatore e chi,nel mondo clericale,vedeva in particolare nel Codice Civile una limitazione dell'autorità della Chiesa. Ciò potrebbe spiegare,almeno in parte, la vivace partecipazione elbana alla storia risorgimentale. Più in generale in Italia il 1814 sarà anche la data del congresso di Vienna dove si riuniranno i paesi vincitori di Bonaparte e dove prevalse la dottrina dell‟ assolutismo che sanciva come Dio avesse affidato ai sovrani il compito di esercitare i comando e che non esistevano più cittadini,titolari di diritti,ma sudditi i quali avevano il dovere di obbedire docilmente ai propri regnanti spegnendo e l'Italia con ne la uscirà particolarmente forza ogni colpita ideale di unità,nazione,indipendenza e la speranza di ottenere delle costituzioni minimamente democratiche. 1820 In tutta Europa si crearono tre principali movimenti:i reazionari,sostenitori della dottrina dell'assolutismo e della necessità di un alleanza fra "il trono e l'altare"; i liberali, contrari all'assolutismo, favorevoli alla creazione di costituzioni che esprimessero gli interessi e i valori in particolare del ceto borghese ed infine i democratici che vogliono esprimere la volontà della maggioranza del popolo chiedendo,oltre ad una costituzione,anche un parlamento eletto da un suffragio universale,la repubblica e un sistema basato sull'eguaglianza sociale. Più specificamente,in questi anni,le insurrezioni vertevano sulla richiesta di mettere fine all'assolutismo e sul desiderio di ottenere una costituzione. 6 Per questo motivo esse avvennero anche in Stati già unificati come in Spagna e in Russia con nessun risultato. Solo in Grecia si lottò per l'indipendenza dall'Impero Ottomano e con l'aiuto di Inghilterra,Francia e Russia riuscirono ad ottenerla. In concentrarono Italia a le rivolte Napoli,Palermo per e la costituzione Piemonte,ma si con l'intervento decisivo della Santa Alleanza (nata durante il Congresso di Vienna tra Russia, Austria e Prussia appunto per reprimere ogni sommossa in Europa contro l'assolutismo) furono ben presto soffocate. 1830 Questo decennio sembra ricalcare le vicende del 1820 soprattutto per quanto riguarda la Polonia e l'Italia (in particolare il Ducato di Modena e quello di Parma) dove le rivolte,ancora una volta furono represse dalle truppe della Santa Alleanza. Risultati positivi si ebbero solo in Francia (dove si ottenne una monarchia parlamentare che toglieva molto potere al Re), in Belgio (che riuscì a liberarsi dal controllo dell'Olanda riuscendo a farsi riconoscere come Stato Indipendente) e in Inghilterra (dove ci fu una riforma elettorale che dava al 5% della popolazione il diritto al voto per cui questo paese era,fra quelli europei,quello con suffragio più alto). 1848 Fra il 1846 e il 1847 si erano succedute due annate di cattivi raccolti e la produzione delle industrie ebbe un 7 rallentamento; ciò può spiegare ,almeno in parte, il motivo per cui nel 1848 scoppiarono contemporaneamente molte rivolte se non, addirittura,rivoluzioni . Facciamo un piccolo elenco: in Francia nasce la Seconda Repubblica (la prima era terminata nel 1804), nella stessa Vienna si chiese la fine dell'assolutismo e l'Imperatore Ferdinando I 8 Ferdinando I fu costretto ad abbandonare la capitale, Praga lottò per avere più autonomia da Vienna mentre a Budapest erano decisi ad ottenere la piena indipendenza dall'impero austriaco. Anche Berlino lottò contro l'assolutismo e per unificare i 39 Stati in un'unica nazione tedesca. Ancora una volta la Santa Alleanza e in particolare l'Austria riuscì a reprimere rapidamente queste rivoluzioni, ma è innegabile che questa data segna anche la fine di ciò che restava di feudale soprattutto nei riquadri dei contadini fatta eccezione della Russia. La Prima Guerra di Indipendenza in Italia (1848-1849) Tutto nasce,come nelle altre città europee, da singole rivolte vedi Venezia dove fu proclamata la nascita di una repubblica indipendente o a Milano dove avvennero le famose " Cinque Giornate" (18-22 Marzo 1848) con a capo i democratici che riuscirono a scacciare dalla città le truppe austriache del maresciallo Radetzky. In seguito intervennero anche i liberali ed infine il re sabaudo Carlo Alberto 9 Carlo Alberto che dichiarò guerra all' Austria dando appunto inizio alla Prima Guerra di Indipendenza. E' difficile affermare che il re si fosse imbarcato in questa ardua impresa pensando agli ideali di unità e indipendenza dell' Italia intera oppure fosse intervenuto semplicemente per ampliare ad est il suo regno e tenere sotto controllo i democratici che erano, in fondo, i veri protagonisti di questa lotta. Comunque un certo sentimento "libertario" si espresse con la costituzione da lui emanata nel 1848 passata alla storia come " Statuto Albertino". L'inizio della guerra sembrò favorire il re sabaudo tanto è che gli Austriaci si dovettero ritirare nelle quattro fortezze di Mantova, Legnano,Peschiera e Verona ,ma, una volta arrivati i rinforzi da Vienna, l'esercito Piemontese fu sbaragliato a Custoza. Carlo Alberto firmò l'armistizio, ma nel frattempo, all'inizio del 1849, i democratici si impossessarono del Gran Ducato di Toscana e Leopoldo II lasciò Firenze ; contemporaneamente a Roma fu proclamata la repubblica con a capo i mazziniani e Pio IX 10 Pio IX dovette fuggire. Forse anche per questo Carlo Alberto decise di rifiutare durerà solo tre l‟armistizio, giorni. Il 23 ma l'avventura Marzo 1849 militare l'esercito piemontese viene battuto a Novara. Il re abdicò e lasciò il trono a suo figlio Vittorio Emanuele II che trattò la pace con gli austriaci. Con l'estate del 1849 l'Austria riconquistò il controllo della Penisola e di tutti gli Stati italiani e,ad eccezione,del Regno di Sardegna,le costituzioni concesse nel 1848 furono tutte revocate. I singoli Stati italiani dimostrarono così che,singolarmente dall'esterno,non avrebbero mai e senza avuto la un aiuto meglio sull'assolutismo asburgico. 1852-1858 Questa convinzione era ben radicata in Camillo Benso conte di Cavour nominato dal re Vittorio Emanuele II Emanuele II 11 nel 1852 come primo ministro. Oltre a mirare a far riconoscere internazionalmente il regno e quindi trovare le giuste alleanze,resta comunque la convinzione che i Savoia dovessero mettersi alla testa del movimento nazionale per impedire che l'iniziativa. i democratici Questi ultimi - repubblicani tentarono più prendessero volte,negli anni cinquanta,di realizzare il proprio programma, ma subirono amare sconfitte di cui ricordiamo una per tutte:la spedizione di Sapri capeggiata da Carlo Pisacane;braccato dai militari borbonici e addirittura da un gruppo di contadini plagiati,si uccise pur di non essere catturato .Intanto Cavour continua la sua politica estera che lo porterà a mandare delle truppe a combattere nella Guerra di Crimea al fianco dell'esercito franco-inglese. E' ovvio che il Regno sabaudo non aveva alcun interesse diretto a partecipare a questa guerra,ma la nostra partecipazione permise al Primo Ministro di poter parlare durante il Congresso di Pace a Parigi ,esporre la situazione italiana e far capire come un'Italia Unita avrebbe potuto fare da contrappeso all'impero austriaco,fatto certo ben voluto dagli anglo-francesi. Nel 1858 Cavour raggiunge il proprio obiettivo: stringere un'alleanza segreta con l'imperatore Napoleone III (accordo di Plombieres). Nel caso in cui gli austriaci avessero attaccato per primi il Piemonte, la Francia si sarebbe mossa in suo soccorso. Essa però non si accontentava di avere in cambio i territori di Nizza e Savoia e nemmeno desiderava, strategicamente,un'Italia veramente unita per cui costrinse Cavour Cavour ad accettare una "sistemazione" dell'Italia divisa in tre regni:uno al Nord affidato ai Savoia e il centro e il sud destinati a parenti dell'imperatore francese mentre il Papa avrebbe conservato Roma e, più o meno, il territorio 12 comprendente il Lazio, ma soprattutto la presidenza della confederazione dei tre regni. La seconda Guerra di Indipendenza (1859-1861) Fu, per Vittorio Emanuele II, abbastanza semplice portare gli austriaci ad attaccare per primi ordinando alle truppe di fare manovre militari proprio ai confini con la Lombardia. L'Imperatore austriaco Francesco Giuseppe Francesco Giuseppe chiese che queste manovre fossero immediatamente interrotte,il re sabaudo rifiutò e così ebbe inizio la Seconda Guerra di Indipendenza (1859) questa volta con l‟ apporto decisivo dei Francesi e una colonna di volontari garibaldini,i così detti Cacciatori delle Alpi. Le vicende militari furono subito a mesi,senza favore dei consultare Piemontesi,ma gli nel giro Alleati,Napoleone di pochi III firmò l'armistizio di Villafranca con gli Austriaci,ottenendo in cambio la Lombardia che fu così annessa al Regno di Sardegna.Teoricamente sarebbe così terminata la Guerra di Indipendenza e il comportamento di Napoleone III era ben 13 plausibile e i motivi erano essenzialmente due. Il primo era che la popolazione del Gran Ducato di Toscana,il Ducato di Mantova e le Legazioni pontificie si ribellarono,scacciarono i rispettivi regnanti e nel 1860,con dei plebisciti,la maggioranza del popolo accettò di entrare a far parte del Regno di Sardegna e così,senza colpo ferire, metà dell'Italia era sotto lo scettro dei Savoia.Il secondo motivo era, per Napoleone,ma anche per il resto dei regnanti d'Europa,ancora più pericoloso:entrarono di nuovo in scena i democratici ed alcuni ex-mazziniani Mazzini notoriamente contrari alla monarchia e che decisero di provocare una ribellione anche nel Sud Italia che era sotto i Borboni e, per di più, diedero a Garibaldi, Garibaldi 14 fervente repubblicano con simpatie socialistiche,il compito di capitanare una spedizione in Sicilia. Garibaldi rispose all'appello e radunò attorno a sé alcune centinaia di patrioti,i cosiddetti Mille. Salpò da Quarto, presso Genova,e nel giro di due mesi conquistò la Sicilia con l'aiuto degli stessi siciliani. Durante questi avvenimenti l'azione garibaldina fu macchiata da un'incresciosa tragedia che insieme ad altri fatti che seguirono,ha messo in discussione fra gli storici se con l'ultimo atto di Roma Capitale d'Italia (1871),si può parlare veramente di una unità sociale,politica e culturale dell'Italia o semplicemente di un‟unità territoriale. A Bronte, Bronte ancora in Sicilia, i contadini liberati insorsero contro i proprietari terrieri e Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, per paura di inimicarsi gli strati più elevati della società siciliana, fece fucilare i contadini rivoltosi. Nel frattempo l'eroe dei Due Mondi nel giro di un mese giunse a Napoli trionfalmente. A questo punto l'Italia, fatta eccezione di Roma, era territorialmente unita, ma politicamente divisa: il Nord sotto il controllo monarchico di Vittorio Emanuele II e il Sud invece nelle mani dei personaggi più illustri dello schieramento democratico; si rischiava una guerra fra italiani. Cavour ne era consapevole e convinse Napoleone III 15 che fosse necessario un intervento piemontese al Sud perché c'era il pericolo che Garibaldi puntasse su Roma. L'esercito sabaudo,dopo aver conquistato le Marche e l'Umbria,si incontrò con quello garibaldino e così avvenne, nell'Ottobre del 1860 a Teano, vicino a Caserta e l'eroe dei Due Mondi consegnò al Re Garibaldi 16 i propri poteri e sciolse le sue truppe. Il 17 Marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato re d'Italia del primo Parlamento Nazionale riunito a Torino. La Terza Guerra di indipendenza (1866-1871) A questo punto mancavano all'Italia il Lazio,il Veneto,il Trentino e la Venezia-Giulia. Il regno d'Italia si alleò con la Prussia contro l'Austria e, nonostante amare sconfitte, grazie alle vittorie prussiane, nel 1866 ottenne il Veneto. Per quanto riguarda il Trentino e la Venezia Giulia bisognerà aspettare la fine della I Guerra Mondiale per annetterle .Rimaneva il Lazio e quindi Roma con il Papa Pio IX fortemente difeso da Napoleone III e infatti ogni tentativo da parte di Garibaldi di conquistarla fu inutile. Ancora una volta furono fattori internazionali a rendere facile l'avanzata dell'esercito italiano nel Lazio e proclamare Roma capitale dell'Italia (1871). Infatti la Prussia aveva dichiarato guerra alla Francia, sconfiggendola e, per di più, il popolo francese non comprendeva perché usare soldi e vite umane in difesa di un popolo straniero per cui Napoleone III uscì definitivamente dalle vicende della guerra risorgimentale italiana. Problematiche rimaste ancora oggi in sospeso fra gli storici riguardanti la lotta risorgimentale italiana La problematica forse fondamentale e certamente di grande attualità è la questione meridionale. In poche parole l'Italia, unita territorialmente, era profondamente spezzata in due fra Nord e Sud d'Italia se non addirittura in tre fra Nord, Centro e Sud Italia. Le motivazioni a favore di questa tesi sono molteplici: A) La lingua italiana 17 Scuola dell'Ottocento era conosciuta da non più di 600.000 persone che, per di più, parlavano normalmente,come gli altri,il proprio dialetto. Lo stesso re d'Italia parlava abitualmente in piemontese o in francese. B) L'amministrazione delle varie regioni avveniva con un sistema centralistico e in ogni provincia fu mandato un prefetto che rappresentava il re mentre gli stessi sindaci della città erano nominati dal re. Ogni problematica di tipo economico,sociale,politico e culturale delle singole regioni era completamente ignorato o, per meglio dire, ogni sforzo economico fu concentrato al Nord Italia dove nacque e si concentrò la nascente industria. C) Le vie di comunicazioni,come le industrie,si svilupparono essenzialmente nel centro-nord. D) Per i ceti sociali più poveri (i contadini) che non vivevano nei centri urbani (ancora una volta concentrati nel centronord) l'unità d'Italia aveva portato soprattutto più tasse da pagare e il servizio militare obbligatorio. E) Fra il 1861 e il 1865 nel sud Italia ci fu un vero stato di guerra che il governo centrale fece passare come un semplice fenomeno delinquenziale tanto è che prese il nome di "brigantaggio" 18 brigantaggio In effetti queste "bande" erano costituite da una parte da ufficiali dell'ex esercito borbonico finanziati appunto dai Borboni che volevano ripristinare il loro regno al sud, ma soprattutto da contadini che continuavano ad essere trattati come schiavi nei latifondi rimasti così com'erano da prima dell'Unità e che chiedevano una vita migliore e terre da coltivare. Che il fenomeno non fosse marginale è dimostrato da due fatti: Roma dovette mandare 120.000 soldati per reprimere nel sangue la rivolta e i morti furono più numerosi che quelli, sommati, nelle tre guerre di Indipendenza. F) Poiché le cariche sia governative sia amministrative che dell'esercito erano ricoperte da uomini politici piemontesi o comunque settentrionali, si accentuò questo disinteresse per il sud non solo impedendo uno sviluppo industriale, commerciale e nelle vie di comunicazioni, ma addirittura boicottando ciò che di buono si era costruito nel periodo borbonico (nonostante la corruzione che caratterizzava questo regno). Napoli,ad esempio,non aveva nulla da invidiare alle altre città europee non solo per la sua bellezza,ma per le capacità di creare ricchezza economica anche a livello industriale. Stando così le cose,nel giovane parlamento italiano serpeggiava un forte razzismo che portò un parlamentare,di cui non diremo il nome per senso del pudore, a dividere gli italiani in "nordici e sudici" e lo stesso Giolitti, 19 Giolitti uno dei più grandi statisi che abbia avuto l'Italia,non fu famoso,in senso negativo, solo come "doppio giochista" nei riguardi della classe operaia del nord e la sua borghesia industriale,ma anche per aver completamente ignorato il Sud nel suo programma economico per rendere l'Italia un paese progredito come il resto degli Stati europei del Nord. G)Per tutte queste regioni possiamo anche azzardare il paragone fra il Regno Italiano e l'Impero Romano che vedevano nel sud "il granaio d'Italia",nulla facendo per eliminare il latifondismo di tipo feudale che si imponeva allora sui contadini trattati come servi della gleba le cui fatiche non gli fruttarono né benessere né proprietà e il prodotto della terra annaffiato dei loro sudori non sarà mai loro. Non per nulla alcuni storici fanno risalire a questa situazione anche la nascita del fenomeno mafioso. H) Lasciamo per ultima la questione, per noi più grave:l'istruzione. Abbiamo già accennato al primo punto la problematica della lingua italiana parlata solo da 600.000 persone e, in effetti, gli stessi insegnanti delle zone rurali del nord parlavano in dialetto ai loro alunni,ma almeno al Nord un certo numero di scuole esistevano (nel 1861 la legge 20 Casati Casati rendeva obbligatoria e gratuita la scuola elementare e ciò fu riconfermato dalla legge Coppino approvata dal governo della Sinistra almeno da 6 ai 9 anni). La maggioranza dei genitori del Sud non ubbidì a questo ordine sia perché i bambini rappresentavano, già a quell'età, forza lavoro sia perché mancavano materialmente gli edifici scolastici sia perché mancavano gli stessi insegnanti (pochissimi erano i diplomati)che per di più svolgevano un doppio lavoro per sopperire agli stipendi da fame "elargiti" dallo Stato. Concludendo questo sintetico excursus sulla questione meridionale,c'è da riflettere che,anche se sotto forme diverse,le problematiche elencate sussistono tuttora e ciò non può che rendere ancora più di attualità la necessità di ricordare questo anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia non per dividere,ma per unire il popolo italiano. Ovviamente esistono altri numerosi spunti di discussione su questo momento storico, ma noi ci limiteremmo solo ad esporre un secondo: la questione del rapporto fra Chiesa e Stato. Lo stesso Cavour aveva cercato,qualche mese prima di morire,di raggiungere un'intesa con il Pontefice e comunque il suo progetto era riassunto nella formula: <<Libera Chiesa in Libero Stato>>.In pratica il Papa avrebbe dovuto rinunciare al potere temporale per occuparsi esclusivamente della cura delle anime dei fedeli in piena libertà all'interno dello Stato 21 italiano. Pio IX rispose negando la legittimità al Regno d'Italia e scomunicando lo stesso Vittorio Emanuele, condannando i principi del liberalismo, della democrazia e del socialismo, affermando di essere prigioniero all'interno dei propri palazzi vaticani e dichiarando non opportuno ai cattolici prendere parte come elettori o candidati alle elezioni del Parlamento. Si arrivò al paradosso che del 2% che avevano diritto al voto,solo il 1% osò farlo. Solo alla fine dell'Ottocento Papa Leone XIII Papa Leone XIII con la “Rerum Novarum” permise ai cattolici una partecipazione più attiva alla vita politica. Sarà però con il fascismo che "migliorarono" i rapporti fra Chiesa e Stato,ma non per favorire,come pensava Cavour,una divisione dei poteri bensì ad una politica di complicità. Mussolini ricercava il massimo consenso nel mondo cattolico che andava dai ceti più bassi (i contadini) alla borghesia agiata. Si arrivò così alla firma dei Patti Lateranensi fra Chiesa (Pio XI) e Stato ( Partito Nazionale Fascista) dove si affermava la sovranità del pontefice sulla Città del Vaticano, ma soprattutto il cattolicesimo venne considerato religione di Stato. In oltre al matrimonio religioso venne attribuita validità civile, fu 22 assicurata e finanziata l'autonomia dell'Associazione Cattolica e stipendiati i preti che fungevano anche da funzionari statali. Al Papa non restò che affermare come la venuta di Mussolini Mussolini "fosse una grazia di Dio"; senza approfondire il ruolo della Chiesa nella politica italiana fino ai tempi d'oggi,rimane comunque di attualità la questione della laicità dello Stato sancita anche dagli articoli della Costituzione. Un dibattito a riguardo, sempre sul tema dell'anniversario risorgimentale, appare ai nostri occhi di grande attualità. Ma tutto questo è in fondo una semplice e sintetica esposizione degli avvenimenti principali del Nostro Risorgimento con alla fine una breve riflessione su ciò che di attuale c'è nelle conseguenze che esso ha comportato. Quello che invece seguirà è il tentativo,voluto dai nostri docenti,di metterci dalla parte degli "investigatori" cioè degli storici andando a frugare nei documenti che internet, riviste locali e libri della nostra ricca biblioteca comunale ci possono offrire insieme a specialisti del settore che abbiamo nella nostra isola per capire come l'Elba partecipò, direttamente e/o indirettamente, a questo importante momento storico. 23 24 La classe ha costruito con il cartoncino delle simulazioni di battaglie risorgimentali (ne troverete altre nelle pagine successive). Fermenti patriottici all‟Elba Sulle votazioni di annessione dell‟ Elba al Piemonte Archivio di stato di Firenze , Rapporti di governo 1859, busta n. 2687, ins. 55. Rapporto del 22 agosto 1859 La notizia del voto pronunziato dell‟ Assemblea dei rappresentanti Toscani al Piemonte sotto lo scettro di Vittorio Emanuele giunse ieri sera dopo le ore cinque per mezzo di un bastimento proveniente da Livorno latore di un dispaccio telegrafico pubblicato in quella città e diretto al mezzano portoferraiese sig. Cesare Mori, che subito lo rese di pubblica ragione. Esultarono tutti i cittadini a sì lieta novella. Una quantità di ragazzi dell‟ infimo volgo, con bandierine tricolori, si dette a percorrere le strade urlando a gola spiegata <<Viva Vittorio Emanuele ! Viva l‟ Italia >>. Intanto interprete del desiderio di molti, questo sig. Gonfaloniere dott. Fabio Squarci chiede il permesso di ordinare una dimostrazione di gioia popolare. Il sig. Governatore rifiutava nettamente di dare una autorizzazione che sapeva non essere in sua facoltà dare, e solo non si opponeva a che la banda musicale cittadina 25 eseguisse sulla piazza qualche espressamente che si recasse sinfonia, sotto le finestre proibendo di alcuna autorità né di alcun console. La frotta dei ragazzi schiamazzatori, seguendo il consiglio di alcuni cittadini aveva desistito dall‟ urli inopportune: le finestre di quasi illuminate: e dalle grida tutte le case erano state la banda civica cominciava dal suonare in piazza così detta Lunga degl‟ inni e delle marce interrotta di quando in quando da acclamazioni entusiastiche all‟ Italia e al Re nostro. Tutto era passato tranquillamente banda aveva cominciato quando la a percorrere la città seguita e preceduta da moltissimi paesani e militari, le grida di gioia si cambiarono dapprima in fischi quando passavano dinanzi a qualche casa non illuminata; ed in seguito nella via del Carmine e a Porta a Terra, oltre qualche grido di << Morte al Generale Ferrari, Morte ai Codini >>, si gettarono sassate contro le finestre ove non splendessero lumi rompendo moltissimi cristalli (n. 53 circa) e danneggiando così dei poveri braccianti abitanti di quelle case. Sorpreso nell‟atto di gettare una pietra il giovinetto dodicenne Giovanni Pappuccio fu arrestato dal sig. dott. Grandolfi, consegnato al distretto di Carabinieri del Pretorio esaminato dallo scrivente e ritenuto in sequestro, fino alle ore 11 pomeridiane. L‟ufficio accennato va assumendo per procedere minute come informazioni di giustizia. sul fatto È stato 26 consegnato in carcere di custodia il giovane vent‟enne Giovanni Fabiani, e si proseguono attivamente le indagini più diligenti. Lo scopo ultimo della nostra ricerca è quello di conoscere in modo abbastanza approfondito alcuni dei personaggi elbani che hanno dato un loro contributo all‟ Unita d‟ Italia. Essendo però questo testo dedicato ai ragazzi della nostra età, riteniamo necessario, dopo aver fatto una cronologia delle vicende risorgimentali in Italia, anche un breve discorso degli avvenimenti più importanti nella nostra isola in questo periodo. Se dovessimo tenere geograficamente un‟ conto isola, che che il nostro la popolazione era analfabeta e svolgeva solitamente territorio maggioranza è della lavori molto umili, in modo isolato (contadini e pescatori) o a cottimo e all‟ estremo delle possibilità umane (nelle saline o nelle miniere a cielo aperto), dovremmo dedurre che l‟ Elba doveva essere rimasta al di fuori delle vicende politiche nazionali. Invece, come vedremo, avverrà tutto il contrario. Le motivazioni possono essere più di una: l‟ Elba si trovava in una posizione strategica per raggiungere punti nevralgici della lotta risorgimentale (la Liguria mazziniana, il Piemonte centro di tutte le guerre di Indipendenza, la Corsica dove ancora non erano sopiti i principi della rivoluzione francese, il Lazio è in particolare la futura capitale d‟ Italia Roma o anche la “ Piccola” città di Livorno dove vi furono momenti rivoluzionari anche con il contributo elbano ) quasi tutte le 27 isole dell‟Arcipelago toscano erano (e rimasero anche dopo l‟unità d‟ Italia) un centro penitenziario che ospitò anche illustri uomini appartenenti alle diverse opinioni politiche (democratici, mazziniani, liberali ecc..) che,pur stando in prigione,ebbero contatti significativi con la popolazione elbana. Una altro aspetto particolare sono i movimenti religiosi di diversa fede cha attechirono in modo significativo fra i nostri contadini e che predicavano principali liberatori. Quattro preti della chiesa cattolica erano pur essi controllati dalla polizia del Gran Ducato e ritenuti pericolosi come possibili capipopolo. La borghesia non era numerosa e rappresentata dai proprietari delle saline, terreni agricoli o avevano ruoli sociali allora importanti come farmacisti, avvocato, insegnanti,etc.. La gran maggioranza di essi, pur con idee politiche molto diversificate, si schierarono risorgimentali e lo stesso a favore delle lotte “popolino” in più di una occasione partecipò a manifestare nelle piazze. È bene ricordare, prima di iniziare le vicende storiche, che per l‟Elba i momenti più importanti e quindi coinvolgenti saranno il 1848 e il 1859. Cercheremo quindi di essere più coincisi possibile per i periodi che precedono o seguono queste date. Dopo la fuga di Napoleone dall‟Elba ci fu un breve interregno sempre sotto la Francia con governatore il barone Dalesm ben accolto dalla popolazione. Con il congresso di Vienna però tornò il principio della restaurazione e quindi si instaurò il Granduca Ferdinando II che non nascondeva certa l‟ ira verso la nostra 28 popolazione per l‟ accoglienza benevole data all‟usurpatore Napoleone. In quel momento la popolazione era di 13.000 abitanti e la situazione economico-culturale era quella descritta precedentemente. Unica novità che suscitò un certo interesse fu l‟arrivo nel 1816 del primo battello a vapore nella rada di Portoferraio che può segnare simbolicamente l‟inizio del declino della flotta velica elbana che contava allora 156 velieri. Nel 1821 va ricordato l‟arrivo di Carlo Alberto, allora principe di Carignano, che a causa dei moti in Piemonte si era allontanato da essa. Per ricordare il suo breve soggiorno fu dato alla via del palazzo in cui s‟aggiornò il suo nome ma ben presto tornò quel precedente di via del Carmine. Dal settembre al novembre 1833 Francesco Domenico Guerrazzi (di cui parleremo in modo più diffuso nel capitolo dedicato ai personaggi), noto patriota livornese, fu rinchiuso nel Forte Stella dove scrisse “l‟Assedio di Firenze”. A livello economico va riscontrato lo sviluppo del commercio del sale raccolto in vari territori di Portoferraio di proprietà della famiglia Hutre , di origine francese, e trasportati dai velieri elbani. Storicamente è curioso il fatto che il Gran Ducato di Toscana permise di fregiare la bandiera toscana con le api napoleoniche in numero di cinque quanti erano i comuni marinari elbani. Si giunse quindi al 1848: l‟anno dei primi moti e battaglie risorgimentali. Già da gennaio torna nelle carceri di Forte Stella l‟avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed in questa occasione scrisse “la Predica de Venerdì Santo” per poi 29 ottenere la libertà a fine marzo . Nel febbraio la popolazione di Portoferraio si muove ponendo a dimora, nella piazza d‟armi, l‟albero della libertà (simbolo della rivoluzione francese). Alcuni giorni dopo Raffaello Foresi, Emilio Grandolfi e Cesare Senno (anche in questo caso ne parleremo in modo più diffuso nel prossimo capitolo) fuggono dall‟isola per raggiungere Civitavecchia ed arruolarsi con gli insorti combattenti per la libertà. Gli elbani furono rappresentati in modo significativo alla battaglia di Curtatone e Montanara del 29 marzo 1848. Nel capitolo sui personaggi significativi parleremo in modo più diffuso dell‟apporto dato in particolare dal Generale Conte Cesare De Laugier, dal cadetto elbano Stanislao Gasperi ed altre figure. 30 Il 2 settembre 1849 Giuseppe Garibaldi sostò a Cavo ed una lapide ricorda questo avvenimento. Nel 1851 il principe Anatolio Demidof, imparentato con la famiglia di Napoleone, acquistò dagli eredi diretti dell‟Imperatore la tenuta di San Martino e raccolse i cimeli dell‟epoca in un edificio in stile dorico con porfido quarzifero giallo dell‟Elba, lasciando intatta l‟abitazione dell‟Imperatore. Il museo fu terminato nel 1856 con raccolta di libri, stampe, quadri, gioielli ed altro. Purtroppo il suo erede vendette quasi tutto questo materiale storico in continente. Al di là degli aneddoti come questi, bisogna comunque dire che fra il 1849 ed il 1859 l‟Elba ebbe dalla polizia del Gran Ducato una stretta sorveglianza su tutti gli individui sospetti, vigilandone attentamente le mosse. Forte Falcone a Portoferraio, Pianosa ed addirittura l‟isolotto di Palmaiola e quella di Montecristo divennero “prigioni” per detenuti politici (sull‟isolotto di Palmaiola faremo un approfondimento nel capitolo III). Già a fine 1849 il Governatore dell‟Elba riferiva della presenza, in particolare fra la “classe colta” di repubblicani, minoranza socialisti, di monarchico-costituzionali “assolutisti” probabilmente ed una anarchici. Ovviamente si facevano anche nomi come il dott. Gandolfi e Gemelli, Ninetto Foresi, certo Strina detto conte Mezzetta, Audifrè, Bellini e Lupi padroni di bastimento, il maestro di scuola Angelo Foresi, Cesare Senno, il prete Cerboni, il dott. Papuccio, il custode della cancelleria Perini (poi suicidatosi) e Gonfalonieri Mibelli. Si precisava poi che codesti “rivoltosi”si riunivano ogni sera nella caffetteria “Il Giglio” in piazza d‟Arme osando cantare inni patriottici passandosi bollettini giunti da Livorno contro il Gran Ducato. In altri documenti si ripeteranno questi nomi ed altri come lo speziale dell‟ospedale militare Sg Pazzaglia, l‟architetto Arrighi, il caporale di sanità, Vincenzo Allori, padrone di bastimento, l‟orefice Ceccarelli detto “Baccalaretto”. A questi si aggiunsero Domenico Papuccio e Giovanni Zelmi, copista di cancelleria, Cesare …., Ferdinando Strina tutti domiciliati a Portoferraio. 31 In particolare si parla dell‟arrivo dei ribelli livornesi guidati da Petracchi sull‟isola, essendo stati male informati dall‟arrivo costì del Gran Duca. Comunque in quell‟occasione i livornesi insieme agli elbani si impadronirono del Forte Falcone e venne nuovamente eretto l‟albero della libertà in piazza d‟Armi. Tito Battaglia, il dott. Domenico Papuccio, Giuseppe Foresi, Leopoldo Cei, Cristino Damiani, Vincenzo Allori, N.Bellini, il fornaio “Baccalaretto”, Omero Corsi, Pasquale Capecchio, Angiolo e Vincenzo Foresi furono individuati come i capi della rivolta, ma furono avvisati in tempo da qualche impiegato degli uffici governativi e riuscirono a fuggire in tempo su un bastimento diretto in Corsica. Con ulteriori controlli ed indagini vennero individuati nuovi ribelli ed arrestati per particolare pericolosità Enea Pazzaglia, l‟avv. Filippo Pellegrini ed il dott. Giovanni Damiani che vennero rinchiusi a Forte Falcone mentre venne esentato dalla prigionia Don Alessandro e comunque ravvisata la necessità di avvertire il suo superiore ecclesiastico della sua riprovevole condotta. Bastavano futili motivi per essere segnalati come “rivoluzionari”dalla polizia come il barbiere Gioacchino Bianchi per essere andato a salutare il Guerrazzi quando si trovava a Firenze. A luglio furono arrestati “noti perturbatori marcianesi” il prete Domenico Sardi, Lorenzo Mannucci, Vincenzo Tagliaferro, Marco Bianchi e Anselmo Tancredi mentre riesce 32 a fuggire all‟arresto Ferdinando Lacchini di Capoliveri recandosi in continente. Giovanni Mibelli che era andato con altri elbani in volontario esilio tenta il ritorno all‟Elba, ma, appena giunto, viene arrestato. Pochi giorni dopo lo imitano Ulisse e Cesare Foresi con Cesare Audiffred i quali vengono trasferiti in domicilio coatto a Pianosa, ma il Ministero ritiene la scelta troppo poco punitiva e, quando torneranno anche Grandolfi, Senno e Raffaello Foresi verranno subito imprigionati presso il Forte Falcone. Iniziarono quindi i processi, ma le pene risultarono leggere(un mese) ed in alcuni casi furono assolti non potendo dimostrare alcuna reale colpa se non quella di avere idee repubblicane (vedi Cesare Senno) ed anche Cesare Audiffred ed Ulisse Foresi fanno ritorno da Pianosa. La preoccupazione del governo si indirizzò quindi verso i numerosi padroni e marinai addetti alla marineria elbana sospettati di portare da Genova, Civitavecchia e Corsica opuscoli e giornali clandestini. I sospettati erano ben 47, quasi tutti elbani e nel gruppo furono messi anche quattro sacerdoti: Don Fabio Cerboni e Don Giuseppe Damiani di Portoferraio, Don Alessandro Damiani di Rio Marina e Don Domenico Sardi di Marciana Marina non dimenticando il prete Cerboni che per i fatti del 1848 fu punito dalle stesse autorità vescovili. Il numero dei sospettati ed arrestati, anche se per breve periodo, si ingrossava col tempo, era costituito soprattutto da medici, avvocati, maestri, possidenti, commercianti cioè membri della media borghesia anche se non mancava qualche raro artigiano: due legnaioli, 33 un sarto, un orefice ed i sopracitati sacerdoti. Le classi più umili di contadini, cavatori, braccianti e facchini, causa l‟estrema ignoranza, ma soprattutto per la miseria in cui vivevano, furono estranei ai moti risorgimentali. Continuano intanto i controlli soprattutto dei politici repubblicani fra cui Vincenzo Silvio di cui parleremo in modo diffuso nel capitolo III. Sempre verso la fine del 1848 ed inizio del 1849 furono indiziati per le loro tendenze repubblicane e, come tali pericolosi per l‟ordine Damiani, Giovanni Mibelli pubblico, il droghiere Cristiano detto Vecchietti, Giovanni Zelmi e Gio Batta Gemelli mentre viene ribadita la pericolosità di altri elbani già precedentemente nominati. Sempre a metà del 1849 giungevano via via al Governatore ed al Pretore di Portoferraio altri nomi di personaggi ritenuti “pericolosi”: il parroco di Rio, Prete Nardelli, e quello di Capoliveri parroco Giacomo Martini. Vengono così citati altri cittadini elbani di cui gran Arriviamo riguardo parte già quindi al la sua menzionati secondo nelle pagine momento partecipazione ai topico moti precedenti. per l‟Elba risorgimentali. Ricordiamo intanto che nel giugno 1858 Giuseppe Bandi giunse a Portoferraio come prigioniero politico (da giovane, nel 1848 era già venuto nella cittadina e qui aveva studiato nelle scuole locali). Fu rinchiuso a Forte Falcone e qui rimase sino al 27 aprile 1859 ed alla sua liberazione la popolazione portoferraiese inscenò manifestazioni e cortei per salutare questo felice momento (il Bandi diventerà poi direttore del 34 “Telegrafo”). Rimanendo nel territorio elbano va ricordato l‟arrivo nel 1859 della corvetta “Aquila” i cui componenti erano all‟oscuro delle novità storiche che stavano accadendo in Italia. Essi furono accolti da un corteo di barche che, salito sulla nave, abbracciò i giovani marinai al grido di “Viva l‟Italia , vogliamo l‟Italia unita con Roma capitale”. A capo della folla troviamo Cestari, Rutigni, Traditi, Biceschi ed altri seguaci per una patria indipendente, libera ed unita. L‟Elba visse in modo particolarmente intenso la spedizione dei Mille, non solo con i suoi volontari (nel Capitolo III approfondiremo la figura del volontario elbano Alessandro Luigi Badaracchi), ma anche per la sua posizione geograficamente strategica. Non era raro infatti che per il maltempo o per rifornirsi di viveri e di combustibile le navi provenienti da Genova o dal Regno di Napoli facessero una sosta a Portoferraio. Qualche mese prima della spedizione dei Mille, nel dicembre 1859, il postale sardo “Piemonte” proveniente da Tunisi e diretto a Genova, si fermò nel nostro paese per il maltempo e fra i passeggeri vi era il colonnello Callimaco Zambianchi che aveva partecipato con Garibaldi alla difesa di Roma ed era partito da Buenos Aires con altri 26 emigrati italiani per partecipare all‟impresa garibaldina che sarebbe partita da Quarto. Il 18 luglio 1860, per un guasto al postale francese, si fermò all‟Elba anche Agostino De Petris. Nei primi di luglio gli elbani rifornirono di carburante il piroscafo “Ulisse” con 120 volontari che a sua 35 volta traghettava un clipper americano “Charles and June” con altri 700 volontari. 36 Ricostruzione su cartoncino di una sartoria dell‟Ottocento. 37 vedi nota precedente Nel periodo che rimasero nella città , soprattutto la notte, non mancarono degli eccessi da parte di qualche volontario che aveva bevuto troppo, comunque il disordine fu presto sedato con solo due feriti da parte dei facinorosi. Verso la fine di agosto si fermò a Portoferraio, proveniente da Genova, una feluca livornese. Ufficialmente doveva essere carica di ferro, ma in effetti vi erano armi pronte per la spedizione in Sicilia o nello Stato Pontificio. Nella notte del 25 agosto arrivò il piroscafo inglese “Orwell”con 20 persone di equipaggio e 120 volontari che però, sbarcati a Cala Maestra, su diedero al saccheggio e per questa ragione una circolare del Ministero degli Interni ordinò di intervenire decisamente contro non solo i volontari che si recavano in Sicilia, ma anche e soprattutto quelli che si recavano verso lo Stato Pontifico e che avrebbero creato gravi complicazioni diplomatiche internazionali (i componenti sulla nave “Orwell” furono poi intercettati in prossimità di Messina dalla flotta inglese e furono estradati e processati a Malta per atti di pirateria). (I volontari furono accusati anche del saccheggio dell‟Isola di Montecristo). Nel 1861, più precisamente nel gennaio, il popolo elbano donò 2616,70 lire per la raccolata di un milione di fucili. Risultati della votazione dell‟11 e 12 marzo 1860 per l‟unione con il Regno d‟Italia Rio Marciana Portoferraio Consiglio Militare Longone Portoferraio 38 Diritto voto 785 1246 2049 1334 519 Votanti Unione Nulli 776 958 1242 1068 - Regno separato 2 3 14 - 777 961 1427 1068 - - 132 387 132 384 2 1 1 1 2 - (1165 persone con diritto al voto non parteciparono al referendum presumibilmente perché mazziniani, repubblicani e clericale) 39 I 150 ANNI DI CURTATONE E MONTANARA IL CONTRIBUTO ELBANO Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto prese la decisione di muovere guerra all‟Austria: inalberato come simbolo di italianità il tricolore cui aveva sovrapposto lo scudo Savoia, varcò il Ticino dando inizio alla prima guerra di indipendenza. L‟esercito piemontese non era male armato, la sua disciplina era proverbiale, ma difettava di uno Stato Maggiore capace di guidare una guerra. I primi contingenti raggiunsero le linee nemiche sul Mincio il 18 aprile e vi rimasero per quasi venti giorni senza oltrepassare il fiume. Finalmente , venne cinta d‟assedio Peschiera e le truppe furono schierate su posizioni offensive lungo un arco dal Garda a Villafranca. Il 3 aprile i Piemontesi riuscirono ad eliminare, con la battaglia Pastrengo, la testa di ponte austriaca sulla di destra dell‟Adige; ma non sfruttarono l‟occasione per fortificarsi sulla sponda sinistra. Per parecchi giorni ci si limitò a perfezionare l‟assedio intorno a Peschiera. Questi indugi, però, dettero modo agli Austriaci di far giungere un contingente di 15.000 uomini, guidati dal generale Nugent, poi dal generale Thurn e congiungersi con il grosso delle truppe a Verona. 40 CONTE CESARE DE LAUGIER Dopo la metà di maggio, il maresciallo Radetzky decise di liberare Peschiera dall‟assedio ed infliggere a Carlo Alberto una sconfitta tale da costringerlo alla resa. A tal fine sferrò l‟attacco sul fronte meridionale ove si trovava schierata, davanti a Mantova, la debole divisione tosco-napoletana. Il Radetzky scelse quel punto, anche in considerazione del richiamo di gran parte delle truppe napoletane, per andare ad attaccare alle spalle dei Piemontesi schierati nella zona di Goito. Il piano non venne, però, realizzato con la facilità prevista. 41 EUGENIO BIGESCHI Le truppe del Radetzky, quasi 20.000 uomini in 43 battaglioni con 150 cannoni, raggiunsero Mantova la sera del 28 maggio e nella mattina seguente sferrarono l‟attacco contro le truppe tosco-napoletane, consistenti in circa 5.000 uomini con 6 cannoni e due obici, dislocate fra Curtatone, Montanara e Buscoldo, al comando del Generale De Laugier. Il Maggiore Generale Cesare De Laugier conte di Bellecour, nato a Portoferraio il 4 ottobre 1789, era stato ufficiale con Napoleone e aveva partecipato alle campagne d‟Italia, di Spagna e di Russia. Questi, per rincuorare i suoi uomini,uscì dalla trincea e li passò in rassegna allo scoperto, suscitando un incontenibile entusiasmo. Due brigate austriache avevano puntato su Curtatone, tre su Montanara. Nonostante l‟enorme divario di forze, i giovani soldati italiani fin dalle 10 del mattino combatterono con estremo eroismo, 42 contendendo il terreno al nemico palmo a palmo e infliggendogli pesanti perdite. ELBANO STANISLAO BECHI Alle 11.30, quando ormai era divampato lo scontro su tutto il fronte fra Curtatone e Montanara, accorse il Battaglione universitario Toscano meraviglioso. Conviene, e allora però, fu dare visto spazio qualcosa alla di vivida descrizione lasciataci dal prof Leopoldo Barboni: “Come se avessero i petti di bronzo, come se fossero reduci di cento battaglie, sotto quella grandine di palle e di mitraglia spropositatamente ineguale, quei giovani cresciuti tra le delicatezze cittadine e quei loro maestri, usi solo co‟ libri e le cattedre, caricavano e scaricavano i loro fucili, roteavano le loro spade, freddi, impassibili, tenaci. Cantavano inni patriottici e ognuno di essi aveva l‟anima di Diakos, l‟eroe del ‟31. Partendo per la Lombardia li avevano accompagnati il dubbio e le spallucce di tutti gli Italiani. Li credevano fatti di bambagia spalmata di latte e miele e non buoni ad altro 43 che alle arti e alla retorica, appunto perché Toscani. Che madornale buaggine ! Non basterebbe un volume per ridire tutti i prodigi di valore che quei miti Toscani compierono in quella giornata epica. Sublimemente feroci furono i loro assalti di baionetta. I cannoni austriaci li decimavano, facevano squarci orrendi nelle loro file ed essi cadevano a decine, mutilati, crivellati, gridando: Viva l‟ Italia e i loro gridi superavano lo strepitio infernale dello scoppio delle bombe e dei rulli dei tamburi. Il parossismo maggiore ferveva al ponte di Curtatone. Là era il Montanelli circondato dai suoi scolari e dai suoi amici. A Vincenzo Malechini, che in quel momento si batteva come un leone, gridava: Céncio moriamo qui piuttosto che arrenderci! Dal suo fucile, per due volte, non era partito un colpo. Un fucile! Un fucile! Urlava su e giù, gettando fiamme dagli occhi, imbrattando di polvere e di sudore. Paolo Crespi gliene diè uno: ma in quell‟istante una palla tedesca, entrandogli nel petto, lo stramazzava. Gli si levò intorno un grido di dolore e di rabbia. Coraggio Beppe!Tieni un bacio! … Sì, rispose il Montanelli, dammi un bacio, amico, tu torna a fare il tuo dovere, e a chi saprà che sono ferito alla spalla, dì che non lo fui per non aver guardato in faccia il nemico fino all‟ultimo … Viva l‟Italia! 44 PIETRO SENNO Poi si contorse per l‟acerbità dello spasimo della ferita, svenne e fu portato di là dal ponte sotto una vera pioggia sempre più furibonda di granate e di palle. ‟‟Giuseppe 45 Montanelli, nato a Fucecchio nel 1813, docente di diritto civile e commerciale all‟Università di Pisa, era il comandante in seconda del Battaglione Universitario toscano. Questo battaglione, testimonianza dello slancio patriottico degli Atenei di Pisa e di Siena, era formato di quattro compagnie di volontari, guidati sub alternamente dai loro stessi docenti. Il comando dell‟intero corpo era nelle mani del prof. Magg. Ottaviano Fabrizio Masotti, nato a Novara nel 1791, fisico ed astronomo di fama europea, allievo del Volta. I componenti accomunati dallo stesso ideale, dalla stessa fede, dalla stessa speranza, mossero da Pisa il 22 marzo 1848 e, dopo aver incorporato per via i volontari senesi, procedettero a tappe durante le quali, studenti e docenti, si addestravano all‟ uso delle armi e alle evoluzioni militari. Il 19 maggio raggiunsero il Quartiere Generale del Generale De Laugier a Le Grazie, una borgata presso l‟estrema punta occidentale del lago di Mantova. Nella stessa compagnia del Battaglione, avente come comandante il prof. Cap. Giovanni Battista Giorgini (genero di A. Manzoni N. d. R.), insigne scrittore di Lucca e come comandante in seconda il prof. Cap. Pilla, martire glorioso della sventurata, ma non infeconda battaglia militavano tre elbani: Il Sergente Maggiore Giuseppe Valdi di Marciana, il Caporale Eugenio Bigeschi e il Comune Antonio Cantini, entrambe di Portoferraio. Di questi, però, solo il Bigeschi, nato nel 1827, studente di legge a Pisa, partecipò alla battaglia nelle sue varie fasi, per cinque ore e mezzo. Il Vadi, anch‟ egli studente di legge a Pisa, non poté prendervi parte perché precedentemente comandato altrove in servizio distaccato. Del terzo volontario non si sa di più. Nel pieno della battaglia, vicino al passo di Curtatone, si verificava un episodio degno della massima considerazione. Ma, ancora una volta, è preferibile lasciarne la descrizione alla valida penna del Barboni : << Come in una spaventosa scena spettrale, si vedeva un uomo, un artigliere, correre con rapidia alternanza fra tre cannoni. Pareva il genio orrido delle battaglie. Un cassone di munizioni era saltato in aria, ed egli era stato investito dalle fiamme, sì che la sua divisa aveva cominciato a bruciargli addosso. Se la strappò; si strappò mutande e camicia. Era nudo come sua madre lo aveva dato alla luce: aveva i capelli ritti e ingrommati di sudore e di 46 sangue, aveva sangue nelle mani, sulle braccia, sul petto; era nero imbrattato come di fuliggine… Correva dalla bocca di un cannone, alla bocca di un altro, scavalcando assiepamenti di compagni morti o agonizzanti. Era capitano, trombetta, calcatore, puntatore, scaricatore, era tutto, era una legione. Nelle sue cariche strasfondeva intiera la sua anima ardente…. Si sarebbe detto che il fantasma di Leonida gli aleggiasse all‟interno e gli gridasse: Coraggio figliolo!...Quella scena epicamente sublime, durò venti minuti, un soffio di tempo per chi piacevo-leggia, un secolo per chi ha di fronte e cannoni di un esercito. Nulla di più prodigioso nei fasti orridi delle guerre. E tutto ciò a ventunanno>>. ELBANO GASPERI L‟artigliere Portoferraio era il un elbano, 27 maggio Elbano 1827. Gasperi, Le sue nato a gesta furono 47 premiate con la medaglia d‟onore in argento dal Governo toscano e la medaglia d‟argento al valore da S. M. il Re Carlo Alberto. Giuseppe Montanelli, nelle sue Memorie d‟Italia, lo ricorda così:<< E meraviglioso era in quel mezzo l‟eroico affaccendarsi a rianimare la batteria di Curtatone. Il foriere Gasperi, uno degli abbruciati nell‟incendio delle polveri, rimettersi all‟opera ignudo >>. Tutto qui. Non esiste un libro di storia del nostro mirabile risorgimento che abbia due righe dedicate a lui; nelle enciclopedie non compare neanche il suo nome. Nulla! Una vera ingratitudine, unico, reverente attestato è la poesia a lui dedicata, dopo la sua morte, dal poeta Victor Podrecca: 48 DIEGO ANGIOLETTI A Curatone, in lotta, impari, fiera, carica e spara l‟artigliere elbano: carica e spara senza posa. A un tratto; fiamman le vesti sul suo corpo: <<Herdio!>>Son via strappate a furia e, tutto ignudo, uno spasimo tutto per le atroci scottature diffuse: <<Italia/Italia!>> rugge e non sosta, ed ogni mira certa del suo cannone a più croati è morte. Cade ferito, ma la patria viva non perché vinca, perché lotta infine, sente, e sorride al Ciel, che onora i prodi. Non può destare meraviglia che questo intrepido eroe sia noto solo a pochi, forse a nessuno. La poesia ora letta, scarsamente divulgata, non ha contribuito a tener vivo il suo nome e neppure è servita la fugace emissione di un francobollo commemorativo che, in occasione del centenario, rievoca le sue eroiche gesta. Del resto, anche tra gli stessi elbani, sono in pochi a ricordarlo e sono quelli che non più giovani generazioni che associarono, al suo, il nome di un piroscafo di linea che per molti anni ha collegato il continente e che, requisito durante la Seconda Guerra Mondiale, partì alla fine di settembre 1943, con equipaggio tedesco, per una missione nel Tirreno dalla quale non è più tornato. La battaglia durò fino al pomeriggio inoltrato. Il nemico non aveva fatto se non insignificanti guadagni di terreno e i difensori mantenevano ancora saldamente le loro principali posizioni. Ma il De Laugier, non vedendo giungere alcun rinforzo, data la crescente intensità degli attacchi nemici e l‟esaurimento delle sue truppe, ritenne opportuno di impartire l‟ordine della ritirata. Purtroppo non appena fu dato inizio a questa manovra, il panico si impadronì, per un momento, delle pur valorose truppe toscane che da Curtatone, andavano precipitosamente ammassandosi sul piano dell‟Osone nell‟intento di mettersi in salvo al più presto. In quel 49 momento stava risalendo dalle retrovie, verso la linea del fuoco, una comandata di artiglieri che conduceva un cassone di munizioni. Li guidava l‟elbano Scipione Mazzei, cadetto d‟artiglieria, coadiuvato dal serg. Magg. Giuseppe Valdi, che era stato distaccato a questo scopo. Il Valdi ha lasciato su questa fase della giornata, una relazione da cui vengono stralciati alcuni passi:…. << appena usciti dal Bozzolo si misero i cavalli al trotto ed in breve passammo il ponticello sull‟Oglio, ma dopo poco cammino si cominciò ad incontrare sbandati napoletani, toscani e volontari che in ogni modo volevano persuaderci a retrocedere essendo (dicevano) i nostri in rotta. Nonostante, noi si tirò diritto pel nostro cammino ed avanzammo fin presso Castelluccio, ove la massa degli sbandati fu tale che si mise in dubbio se si dovesse proseguire … Nondimeno si insisté e si fece ben più poco cammino, poiché l‟apparire di alcuni drappelli di cavalieri, non so se Usseri o Ungheresi, ci convinsero che il proseguire, oltre ad esporci ad un pericolo certo senza compenso, avremmo dato nelle mani del nemico il cassone delle munizioni che noi volevamo salvare >> 50 Approfondimento dei personaggi elbani che parteciparono alle lotte risorgimentali ALESSANDRO LUIGI BADARACCHI La leggendaria spedizione dei Mille ebbe inizio la mattina del 6 maggio 1860 allorquando Garibaldi s‟imbarcò davanti allo scoglio di Quarto. I volontari garibaldini provenivano da ogni parte d‟Italia. Il gruppo più numeroso era costituito dai lombardi che erano 350 mentre i liguri erano 160. Il personaggio nella foto è Giuseppe Garibaldi 51 Fra i toscani, che erano una cinquantina, merita di essere ricordato il nostro conterraneo Alessandro Luigi Badaracchi. Altrettanto modesto quanto valoroso egli fu l‟unico fra gli elbani a partecipare all‟impresa. Era nato a San Piero in Campo. Il 20 ottobre 1836. Si arruolò tra la gente di mare, aveva conseguito la patente di capitano di lungo corso e si era dato a navigare. Allorquando era scoppiata la 2° guerra d‟indipendenza egli si trovava in America; ma patriota fervente non aveva esitato a far ritorno per prendervi parte attivamente. Sebbene avesse raggiunto il grado d‟ufficiale si era arruolato nel 1860 nelle file garibaldine come semplice volontario. Dopo la partenza era evidente l‟ estrema penuria di armi e soprattutto di munizioni di cui soffriva la spedizione; ciò non mancò di suscitare gravi apprensioni nell‟animo di Garibaldi il quale si dette ad escogitare come e dove avrebbe potuto procacciarsene. Il generale pensò anche di tentare, a questo fine, un colpo di mano sull‟isola d‟Elba. Nel suo libro: “Da Genova a Capua” Giuseppe Bandi che, come aiutante di Garibaldi ,faceva parte dello stato maggiore della spedizione, riferisce i termini di una conversazione che, su questo argomento, ebbe col generale sul ponte della nave. Ne riportiamo testualmente alcuni tratti: << lo sapete (disse Garibaldi) che abbiamo a bordo qualche migliaio di fucili ma non abbiamo una cartuccia … capirete bene che le munizioni ci sono necessarie più del pane e 52 bisogna procacciarsene ad ogni costo>> Ed aggiunse poi: <<Andremo all‟Isola d‟Elba a Portoferraio,a Longone… >> <<No Generale>> replicò il Bandi, << a Portoferraio ci sono a iosa le munizioni, ma c‟è un comandante piemontese e la piazza è forte. Basta che il comandante faccia un ponte levatoio e noi restiamo come quelli... Dite di andare a Longone.. Troveremo forse tanta polvere quanta di andare a caccia alle passere>>. Scartata così saggiamente l‟idea di tentare un colpo di mano sull‟Isola d‟Elba, Garibaldi approdato a Talamone e sbarcato in divisa da generale piemontese, riuscì a farsi cedere munizioni e armi dal comandante del Forte di Santo Stefano. 53 Nel tardo pomeriggio dell‟11 maggio, il convoglio, sfuggito dalla vigilanza della flotta napoletana, giunse nella rada di Marsala: e, mentre il Piemonte si ancorava felicemente sulla punta del molo, il Lombardo si arenò a poche braccia dalla riva. Come ha scritto G.C. Abba nella sua “Storia dei Mille” fu questo << il momento degli uomini di mare>>, che,nella spedizione, erano all‟incirca una trentina e tutti, compreso naturalmente anche il nostro Badaracchi, si adoperarono con ogni lena nel dirigere le operazioni di sbarco che si riuscì a condurre a termine rapidamente e felicemente nel Sicilia ed ebbe uno svolgimento trionfale. Alla sera del 7 settembre, Garibaldi entra in Napoli. La campagna si conclude infine sul Volturno dove l‟esercito borbonico tenta l‟ultimo disperato cimento. Alessandro Luigi Badaracchi partecipò attivamente e valorosamente all‟ intera campagna, da Marsala al Volturno. Dopo lo scioglimento dell‟ esercito garibaldino finì ,poi, per ritirarsi all‟Elba, nel suo paese natio dove visse i suoi ultimi anni in vegeta vecchiezza schivo di onori. Alessandro Luigi Badaracchi morì a San Piero in Campo il 1° gennaio 1917 poco più che ottantenne. Riposa nel cimitero del suo bel paese sulle falde del monte natio in cospetto del Mar Tirreno. 54 La foto rappresenta una statua situata i toscana come ricordo di Alessandro Luigi Badaracchi La foto rappresenta un ritratto di Alessandro Luigi Badaracchi ELBANO STANISLAO BECHI Nacque a Portoferraio il 9 giugno 1828 da Alessio,di nobile famiglia fiorentina già colonnello di artiglieria negli eserciti napoleonici. Sin dall'età di 14 anni Bechi divenne cadetto d'artiglieria nell'esercito granducale. Con i battaglioni toscani si distinse a Curtatone a Montanera ed a Goito (29 30 maggio 1848), meritandosi la medaglia d'argento sul campo. Capitano dell'esercito toscano nel 1855, maggiore nel 1859,prese parte alla seconda guerra d'indipendenza quale ufficiale l'ordinanza del generale Lapèrouse, comandante della cavalleria del quinto corpo d'armata francese. Col grado di maggiore entrò nell'esercito italiano,ma un duello col Gen. A.Danzini lo condusse davanti al tribunale militare e quindi a sei mesi di arresti al forte di Bard.Destinato allo stato maggiore dalla piazza di Napoli,qui prese contatto con l'ambiante garibaldino. Nel 1863, sospinto dal vasto 55 movimento di pubblica opinione a favore della Polonia insorta che scosse tutta l'isola con comizi e con sottoscrizioni,ordini del giorno presenti alla Camera,raccolte di armi, collette popolari, articoli di giornali, ecc... Il Bechi decise di recare il suo contributo all'insurrezione polacca (con Francesco nullo e 62 garibaldini, n.d.r) Il Bechi, messosi ha disposizione del comitato nazionale polacco di Parigi che gli riconobbe il grado di colonnello,giunse a Varsavia alla fine di agosto del 1863. Assegnatogli il comando delle truppe agenti nella Masovia, successivamente,secondo la gazzetta di Firenze dell'11 ottobre del 1863,quale comandante di reggimento sostenne combattimenti vittoriosi contro i russi nella zona di Kalisz. Nel dirigersi quindi nella zona di Wloclawek, dove avrebbe dovuto riorganizzare le forze comandate dal Puttkamer, da Syrewicz e Grossman, battute dai russi,questi lo fecero prigioniero l'8 dicembre del 1863. Processato seduta stante da una corte marziale,fu condannato alla fucilazione. Nonostante pressioni da parte polacca e un intervento in extremis dal ministro d'Italia a Pietroburgo conte Pepoli, il Bechi fu fucilato a Wloclawek il 17 dicembre del 1863. Nel marzo dell‟ 1864 la vedova chiese al governo nazionale polacco il conferimento della cittadinanza polacca e ai 2 figli. Romuod Traugutt, capo del governo, fece preparare il decreto, insieme con una lettera di condoglianze in cui si sottolineava come il Bechi, "enserv à la Polonie il a servi la cause de toutes les nation opprimeés": il decreto però, non poté poi essere emanato per l'arresto del Traugutt e il precipitare della situazione. La storia registra degnamente il nome di Elbano Stanislao Bechi tra i più gloriosi martiri della Polonia. A Wloclwek fu eretto un monumento. A Firenze fu degnamente commemorato da Niccolò Tommesao e gli fu 56 dedicato uno splendido bassorilievo metallico alla memoria del chiostro di Santacroce. Il pittore Ademollo Lambruschini immortalò in una tela il suo sacrificio. DIEGO ANGIOLETTI Nato il 12 gennaio 1822 a Rio d'Elba entrò nella scuola di artiglieria di Livorno, donde uscì il 5 ottobre 1845 con il grado di sottotenente. Durante la guerra del 1848 combatte con le truppe toscane,distinguendosi il 29 maggio a Curtatone e all‟indomani a Goito: il suo comportamento gli valse dal capitano. governo Dopo la provvisorio fuga del toscano la granduca, promozione a accompagnò il Montanelli a Fivizzano per approntare le difese in vista del pericolo di una invasione austriaca. Nel luglio 1849 ,tornato il granduca,fu mandato dal De Laugier a Roma per studiare i lavori di assedio eseguiti dall‟ esercito francese. Ma avendo la restaurazione cassati tutti i gradi concessi dal governo provvisorio toscano,l‟Angioletti tornò tenente e riebbe il grado di capitano solo nel 1854. Il 1° gennaio 1855 fu nominato aiutante in campo del tenente colonnello dell‟esercito austriaco F.Ferrrari da Grado, incaricato del riordinamento dell‟esercito toscano e promosso generale 57 granducale e lo coadiuvò attivamente in un‟ opera che valse realmente a dare una nuova fisionomia al piccolo esercito. Ma, non godendo del favore del granduca , l‟Angioletti, promosso nel 1859 maggiore,fu trasferito in fanteria,al comando di un battaglione. Creatosi nel 1859 il nuovo governo provvisorio in Toscana,l‟Angioletti,subito promosso tenente colonnello ,organizzò il 5° reggimento della divisione toscana ;sotto il generale Ulloa era sul Mincio alla fine di giugno, ma troppo tardi per partecipare attivamente alla guerra, sospesa improvvisamente dall‟armistizio di Villafranca. Promosso colonnello, entrò nell‟esercito italiano dove,nel 1860, divenne maggior generale con il comando della brigata Livorno. Fu poi aiutante di campo del re Vittorio Emanuele II ed in seguito comandante della divisione territoriale di Bari. Tenente generale nel 1864, nel dicembre dello stesso anno accettò il ministero della Marina che resse sino al giugno 1866,nei due gabinetti La Marmora. Tale ministero era stato tenuto ad interim dal presidente del consiglio generale A. La Marmora ,dal 29 settembre, dopo il rifiuto dell‟ammiraglio G.Longo .Si era in un momento di paurosa crisi finanziaria e il La Marmora, persuaso che all‟annessione del Veneto si sarebbe giunti per via diplomatica , si era adattato a un programma di falcidie sui bilanci militari; quello della marina avrebbe avuto una riduzione di dodici milioni e mezzo,pari almeno al 15%. L‟Angioletti si mise con impegno al nuovo lavoro mostrando subito buoni propositi: mantenere salda la disciplina;curare 58 un‟ oculata amministrazione; migliorare l‟addestramento di tutto il personale, in vista della trasformazione in corso nel Naviglio,in seguito alle esperienze della guerra di Crimea e, soprattutto, di quella di secessione americana; proteggere la marina Mercantile. L‟Angioletti prese buoni provvedimenti specie riguardo ai porti e ai cantieri. Con lui s‟iniziò l‟effettivo trasferimento della marina da guerra da Genova e La Spezia che prima costituiva solo una base provvisoria, dipendendo in tutto da Genova. All‟Angioletti spetta anche il merito di aver fatto iniziare gli studi per una grande base navale a Taranto; 59 Taranto antica egli volle inoltre affidare alle industrie nazionali la costruzione delle navi da guerra e le macchine motrici. Ma la preparazione della guerra soffrì delle economie del bilancio:la squadra fu ridotta a una semplice divisione navale, si ebbe una diminuzione drastica delle navi tenute in efficienza, mancando le manovre di squadra,difettarono le altre esercitazioni. L‟Angioletti emanò molti regolamenti,nominò una commissione incaricata di studiare i mezzi per migliorare le condizioni di vita dei marinai, ma gli ufficiali continuarono ad essere scarsi,la disciplina rilassata, le navi navigano troppo poco. All‟ approssimarsi della guerra del 1866,le numerose unità che erano in disarmo furono armate in fretta e frettolosamente si attuarono esercitazioni di manovre e di tiro. Solo ai primi di dicembre 1865 l‟ Angioletti affidò a una commissione di tre membri,presieduta dal contrammiraglio A. Anguissola, il compito di studiare <<le varie operazioni marittime che una squadra potesse e dovesse compiere in Adriatico>>, nonché il << modo di attacco del litorale da Chioggia al Lido>> 60 Chioggia e, a metà aprile del 1866 ,incaricò la stessa commissione di compilare un regolamento per l‟ imbarco e lo sbarco di artigliere ,cavalli e truppe. Il 20 giugno l‟ Angioletti lasciò il ministero della marina per recarsi a domanda in Lombardia dove assunse il comando della 10° divisione ,nel II Corpo d‟ Armata, che sotto il gen. D. Cucchi aveva, dapprima,specialmente il compito di sorvegliare la piazza di Mantova. Il 24 giugno, mentre si combatteva la battaglia di Custoza, la 10° divisione, già stanchissima a Goito alle tredici e mezzo con l‟ordine di spingere una brigata a Momirolo verso Mantova, ricevette poco dopo personalmente dal generale A. La Marmora di S.M. dell‟esercito, portandosi a Goito, per assicurarsi la ritirata oltre il Mincio delle truppe da lui ritenute erroneamente in prerotta, il contrordine di prendere posizioni a nord- est di Goito, a Massimbona, sulla destra del fiume, nel timore che gli Austriaci potessero,occupata Valeggio, marciare lungo il Mincio per occupare Goito. Solo alle diciotto la divisione si metteva in moto e alle ventidue riceveva l‟ ordine di retrocedere a Goito. Così anche questa divisione, per colpa dell‟Angioletti, non esercitò alcuna influenza sullo svolgimento della battaglia. Ma se l‟ Angioletti non poté mostrare le sue doti militari nel corso della campagna del ‟66, ebbe occasione di mettersi in luce poco dopo,nel reprimere la dolorosa insurrezione di Palermo scoppiata il 16 settembre. Per questa operazione venne decorato della commenda dell‟ordine militare di Savoia. Nel 1870 l‟Angioletti,dopo aver comandato le divisioni territoriali di Piacenza e di Napoli, assunse il comando di una delle cinque divisioni (la 9°),che, agli ordini del Cadorna,mossero alla liberazione di Roma 61 Breccia di Porta Pia In base agli ordini ricevuti, svolse una vigorosa azione dimostrativa Sebastiano contro Porta ,mentre, San com‟è noto, Giovanni l‟azione e Porta principale san si sviluppava fra Porta Pia e Porta Salaria. Fu questa l‟ultima impresa guerresca di Angioletti. Nel 1873, a Napoli, si adoperò per domare il colera, scoppiato in autunno colpendo specialmente i soldati. Fu poi nominato membro e quindi presidente del comitato delle armi di fanteria e cavalleria; sin dall‟8 ottobre 1865 era stato nominato senatore. Collocato a riposo nel maggio ‟77, si ritirò in una sua villa a sant‟Anna presso Cascina, a una dozzina di chilometri da Pisa. Qui vi morì il 29 gennaio 1905. Le memorie dell‟Angioletti furono pubblicate postume con il titolo:”Alcune memorie della mia vita” Cascina 1904. Gin RACHELI-Le isole del ferro-Mursia 1975 Dopo il 1850 si fecero sempre più forti nelle isole toscane la volontà di partecipare attivamente all‟Unita‟ d‟Italia sia per l‟andirivieni di condannati politici le cui idee superavano le grate delle carceri sia per il convulso movimento delle navi 62 delle grandi potenze che portavano con se‟ notizie,idee e speranze di indipendenza dal giogo austriaco. Partirono da Capraia due parenti, Antonio e Francesco Sassone andando a combattere addirittura in Crimea – Partirono dall‟ Elba il generale De Lauger, medaglia d‟oro al valore militare;il furiere Elbano Gasperi, medaglia d‟ argento al valor militare; lo studente Eugenio Bigeschi insieme con i suoi compagni dell‟Università Senese , tutti volontari. Partirono altri: Raffaello Foresi, Emilio Gandolfi, Cesare Senno. Vincenzo Silvio, medico di capoliveri, insieme con i contadini Andrea Silvio, Agostano Bertolini, Tobia ed Eliseo Signorini, Giuseppe Pagini, Pasquale Palmieri, tutti aderenti alla “ Messina e Antonio Giovane Italia” vengono perseguitati politicamente. Sono incarcerati al Falcone Enea Pazzaglio, Filippo Pellegrini di Rio nell‟Elba e Giovanni Damiani di Rio Marina. Il 24 Aprile 1849 si rifugiò nella Rada di Mola, presso Longone, una nave con 420 bersaglieri all‟ ordine di Luciano Massara diretti a Roma. Il 2 settembre 1849 giunse Giuseppe Garibaldi a Cavo di Rio Marina; vi fu però verso il 1860 l‟arrivo di volontari desiderosi di raggiungere Garibaldi in Sicilia, ma fra essi v‟erano numerosa gente violenta e avventurieri che seminarono a Portoferraio parecchio scompiglio e atti delinquenziali; un altro gruppo, sbarcato a Monte cristo, allora proprietà dell‟ inglese Watson Taylor saccheggiò tutto quanto vi si trovava, disarmò i soldati della guarnigione, uccise gli animali , rubò. Lo stesso bastimento su cui navigavano era stato rubato a Genova. Ma 63 ebbero una brutta fine perché furono catturati da una nave da guerra inglese e i “ cosiddetti garibaldini” furono processati per pirateria. Arriva infine nel 1861 l‟Unita‟ d‟Italia con grandi festeggiamenti in tutto l‟ Arcipelago , ma ben presto tutto tornò come prima se non peggio: i detenuti cambiarono, ma ne vennero altri ancor più numerosi destinati al “ bagno penale” o a confino e i prigionieri furono impiegati in lavori agricoli, edili e stradali togliendo il pane agli elbani. Uniche novità positive un traghetto bisettimanale che univa l‟Elba al continente e un anno dopo l‟arrivo del telegrafo. Le altre isole stavano ancor peggio. A Capraia fu soppressa l‟unica fabbrica di sigari voluta da Carlo Alberto e a questo punto gli stessi Capraiesi, per la loro sopravvivenza , chiesero e ottennero di essere luogo di confino per i “ briganti” : ne arrivarono 400 , chiamati “camorristi” laceri, smunti, arrabbiati e violenti tanto che la popolazione fu presa dal terrore e le donne e i bambini non uscivano più di casa. Infatti i detenuti furono lasciati liberi senza un tetto in condizioni disumane. Solo nel 1873 si decise di porre fine a questa atroce situazione stabilendovi una colonia agricola penale. Anche Gorgona divenne colonia penale nel 1869 destinata a detenuti con lievi reati o al termine della pena scontata precedentemente a Pianosa arrivarono 250 detenuti segregando la popolazione civile dentro il recinto del porto. 64 Pianosa, dopo l‟unita‟ d‟Italia, ospitò i condannati alle pene maggiori: qui morì, pazzo e distrutto da paralisi progressiva, il “Pasannante”. Divenne poi un luogo più umano sotto la direzione di Leopoldo Ponticelli a fine secolo. Persino a Monte Cristo, al limite dell‟ assurdo, furono mandati 12 detenuti e 4 guardie, ma ben presto la colonia dovette essere trasferita a Pianosa per assoluta antieconomicità. TADDEO TADDEI CASTELLI Nacque a Rio nell‟Elba il 23 Ottobre 1837: studiò nel Collegio Cicognini di Prato. Nel 1862, laureatosi in Lettere nell‟Università di Pisa,conseguì l‟abilitazione all‟insegnamento nella R. Scuola Normale Superiore annessa all‟Ateneo Pisano. Passato come insegnante da Cuneo ad Asti, fu chiamato nel 1866 a reggere la cattedra di lettere italiane nel R. Liceo di Savona, e quivi rimase fino alla sua morte,che avvenne nell‟Aprile del 1906. Colleghi e alunni piansero la scomparsa dell‟amato Maestro, che poteva dirsi il Decano di quell‟Istituto dove per ben quarant‟anni aveva tenuto alto il suo nome di cittadino e studioso,mostrandosi degno dei suoi stessi maestri che rispondevano ai nomi di Alessandro D‟Ancona e Romanico Comparetti. Raggiunse le alte cariche di Preside nel R.Liceo “Chiabrera” di Savona e di Presidente nella “ Dante Alighieri”di quella città. Interessarono i suoi studi sul Chiabrera stesso, che se 65 non fu un poeta di getto, fu una bella tempra di scrittore: ed ebbero molto valore,specialmente patriottico, le sue conferenze a favore di quella Società italianissima che, sottol‟Alto Patronato del Senatore Borselli, nel nome sacro di Dante,mantenne e sollevò ovunque il senso della fede nostra di qua e di là dai confini della Patria, specialmente quando questi non erano come oggi di là da Trento, di là da Trieste.Fu dunque Taddeo Taddei Castelli un patriota e come tale lo considera l‟Elba che in Rio venera le sue ossa. Non fu Egli il solo a onorare la propria terra nella famiglia di cui porta il nome,ma per la sua modestia, per la sua fede, per l‟opera sua silenziosamente condotta in vita a favore dell‟Italia nuova e della nuova generazione, va considerato primo tra i primi. 66 PERSONAGGI CHE INDIRETTAMENTE HANNO CONTRBUITO ALLA STORIA RISORGIMENTALE ELBANA GIUSEPPE GARIBALDI A CAVO La seconda parte del fortunoso vagabondaggio dell'eroe, quello precisamente che va dal casolare ove si spense la dolce Anita fino a Porto Venere,è generalmente ignorata nei suoi particolari, dagli storiografi garibaldini .Eppure anche le circostanze minori di quella fuga sono drammatiche e interessanti. Le riferisce in tutta la loro interezza un prezioso libriccino, scritto dal Dott. Guelfo di Scarlino nel 1885, che porta appunto il titolo "Dal molino di Cerbaia a Cala Martina."Ma quel ch'è più importante per noi Elbani si è che il libro riferisce lo sbarco di Garibaldi a Cavo. La mattina dunque del 2 settembre inseparabile capitano Leggero, Garibaldi, coll'ormai poté imbarcarsi a Cala Martina sul navicello di certo pescatore Paolo Azzarini che allora risiedeva a Rio Marina offerto di condurlo e che si era spontaneamente in Liguria. La barca fece subito vela verso l'Elba e in breve tempo raggiunse il Cavo. Ne sbarcarono l'Azzarini, che s'occupò a far vidimare abusivamente la patente, e Giuseppe Garibaldi il quale trovò da riposarsi in una delle case del paese. Poche ore il viaggio, riprendeva il 3 settembre e i fuggiaschi giungevano sani e salvi a Porto Venere. Personaggi non elbani che fecero indirettamente parte della nostra storia risorgimentale LUCIANO MANARA Dopo la sconfitta del regno Sabaudo contro gli Austriaci,il re (26 marzo 1849) si impegnava a disciogliere al più presto i corpi militari formati in Lombardia. La divisione lombarda era composta da 900 uomini comandata dal maggiore milanese ventiquattrenne Luciano Manara il quale fece di tutto per 67 tenerlo unito. non era un uomo politico, ma, amico di La Marmora ,era un militare che voleva combattere contro chiunque fosse un ostacolo all‟indipendenza dell‟Italia per cui con 600 volontari si imbarcò da Portoferraio e per il mal tempo dovette fermarsi nella Piana di Mola 68 (dove c‟erano anche 250 bersaglieri) per giungere a Roma anche senza repubblichini. Pur essendo stato breve il periodo in cui stette sull‟isola non mancò di scrivere alla Contessa Cinque Pini esprimendo apprezzamento sulla situazione politica all‟Elba contro il comune nemico austriaco. Approfondimento su Vincenzo Silvio Partendo dall'età di 18 anni Vincenzo Silvio si trovava Roma per studiare medicina. Siamo nel 1829 e già a questa età viene arrestato per la prima volta insieme ad altri carbonari e condannato a 10 anni di reclusione. Dopo 22 mesi trascorsi nel carcere di Civitavecchia, in concomitanza con i moti del 1831 era stato graziato per indulto del Papa. Laureandosi in medicina nel 1833 a Pisa, nel 1837 ebbe la condotta di Capoliveri che mantenne fino al 1851. Non si hanno documenti scritti del periodo che va dal 1837 al 1848,ma è certo che egli si portò sempre dietro,come un marchio di infamia, 69 Capoliveri quei 22 mesi trascorsi nelle carceri pontefici e per questo fu sempre sotto il controllo della polizia granducale elbana additato come fervido apparente della Giovane Italia mazziniana. Quando Silvio si recava a Pisa o Siena per motivi di studio,veniva sempre notificato il suo arrivo al Governatore delle due città. E' però il periodo fra il 1848 e il 1849 che videro sicuramente il dottore protagonista dei moti risorgimentali che ebbero come centro anche Capoliveri. Ciò lo portò direttamente all'esilio, ma anche qui non mancò di essere perseguitato dal Governatore elbano che scrisse a quello di Grosseto addirittura la calunniosa affermazione che egli era stato licenziato da Capoliveri per la sua incapacità professionale come medico chirurgo oltre alla sua condotta riprovevole a livello politico. Nel 1848 Vincenzo venne accusato di partecipare a riunioni sovversive insieme a Sapione Bartolini e altri facinorosi. Il processo poi l'accusò di aver innalzato la bandiera tricolore sulla sua casa a Capoliveri. La lettera calunniosa indirizzata dal Governatore elbano al Prefetto di Grosseto, sempre nel 1852, risultò di tono ben diverso con una lettera indirizzata al Governatore di Massa Marittima dove"pur prescindendo dalle affermazioni politiche del suddetto, nel periodo in cui egli ebbe una condotta a S. Ilario in Campo in comunità di Marciana, va sottolineato che il suo comportamento non aveva offerto motivi di rimprovero o reclami".Il tono completamente diverso fra le due lettere scritte dallo stesso Governatore fanno pensare che nella lettera indirizzata al Governatore di Grosseto ci fosse stata una pesante interferenza del Consultore di Governo Teodoro Corsi,nemico acerrimo e dichiarato del dott. Silvio. A questo punto il dottore ottenne la condotta in Maremma,in zone malariche,mentre riceveva da Capoliveri più lettere dai suoi cittadini richiedendo il suo ritorno anche perché qui la condotta era rimasta vacante. Il prefetto dell'Elba però gli impedì di partecipare al concorso mancandogli "due certificati,uno di moralità e l'altro di sana politica"che gli mancavano non fosse altro per la condanna riportata a Roma.Sfumata la possibilità di tornare a 70 Capoliveri come medico condotto,furono ben 112 capifamiglia del paesino che si tassarono volontariamente per aver la sua assistenza anche perché erano stati informati della sua salute malconcia dovuta alla lunga dimora in Maremma. Al suo ritorno il suo nome tornò sulle carte della polizia elbana durante i moti del 1859. Siamo durante il periodo del Governo Provvisorio quando già la Toscana aspirava all'annessione al Piemonte.Il delegato di governo,nel febbraio 1859,sottopose Silvio "a severo monito" insieme ad Agostino Bartolini, Tobia ed Eliseo Signorini, Giuseppe Pagni, Pascquale Messina e Antonio Palmieri, tutti di Capoliveri. Una nuova diffida viene ripetuta il 19 giugno 1855 a tutti gli individui soprannominati. Teoricamente in questo mese è già caduta la dinastia dei Lorena,ma l'impalcatura burocratica e poliziesca era rimasta la stessa. A questo punto il dottore,per porre fine a queste persecuzioni,mandò un esperto al Governatore insistendo soprattutto sulla sua tenace fedeltà all'idea della patria libera ed unita,rimasta sempre immutata ad onta delle minacce e condanne poliziesche. Svanita ogni possibilità di ottenere un posto di lavoro, solo dopo l‟ unificazione ebbe la nomina di medico militare e tale rimase fino al 1871. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a S. Ilario dove morì il 9 maggio 1873. Il dott. Silvio resta dunque per gli Elbani un purissimo esempio di integrità morale giacché per serbare fede ad un'idea affrontò carcere ed esilio, calunnie ed ingiustizie. 71 GUERRAZZI PRIGIONIERO ALL‟ELBA. Nel 1833 il bollente Francesco Domenico cadde in sospetto d‟aver favorito (qual cospiratore ardito e temibile aggregato alla “Giovane Italia”) l‟impresa di Savoia preparata dal Mazzini. Colpa nessuna ed ingiusto il sospetto;ma egli era arrestato e,insieme a Carlo Bini, al Conte Agostini, all‟ avvocato Angiolini inviato a scontare una prigionia preventiva all‟ Elba. Chiusi nel Forte Stella munito di soldati e di cannoni, guardato da un carceriere che osserva la custodia con rigore, gl‟ internati, per quanto vicini l‟uno all‟altro,non possono conferire fra loro e soffrono la forzata tortura di quell‟ isolamento più spirituale che corporale,attenuato di quando in quando dalle visite del Comandante la Piazza: una gentil persona che li tratta paternamente. Il ventisettenne Carlo Bini si rassegna subito alla clausura di quelle due stanzette né troppo grandi né troppo piccole per lui, con letto,panca e tavolo sotto all‟inferriata. Se egli guarda al di là di questa,vede sotto a sé una cisterna in mezzo,una pila cava,di pietra serena e una campana che non suona mai. Ma se spinge lo sguardo oltre l‟orlo della muraglia di cinta,la scena cambia meravigliosamente e mostra una cima dolce “armonioso”,un golfo,una cielo catena magnifica,una purissimo,un‟ansa di creazione monti pittoresca bruni:tutta bella,”di bellezza una del natura veramente italiana”.Il ventinovenne Guerrazzi trova,invece,che la sua stanza è sozza,infestata da miliardi d‟insetti. Vi piovono dentro topi che paiono gatti; un giorno, scuotendo la giacca 72 per rivestirsi,ha trovato sulla bottoniera uno scorpione: “ordine cavalleresco che dà la carcere”.Vien fatto di ricordare – a legger di simili impressioni – quella camera da lui abitata,molti anni più tardi,a Firenze. Quella camera che aveva l‟ apparenza confacente a una dama d‟alto bordo, per essere sottilmente elegante, vaporosamente profumata e provvista di arnesi ricercati per l‟ abbigliamento (raspini, pinzetti, pettini, spazzole, spazzolini, vasetti, cipria di ogni colore, piumini e specchietti)per farsi sulle guance delle famose <braciole crude>, che Antonio Ciseri si trovava imbarazzato a dover riprodurre sulla tela. E al di là della finestra inferriata altro non vede, se non un cielo grigio, che par confonda colore e sostanze con l‟ acqua del mare. Ma gl‟insetti finisce per trovarli anche il Bini, se arriva a dire di essere stato costretto a desistere dall‟ ammazzargli, perché erano troppi. In poco più di un mese l‟ umore del Bini è cambiato con l‟ ambiente che non muta, e pure peggiora- un dì più dell‟ altro –nella monotonia triste di cui trascorrono uguali tutte le giornate, mentre che il solito caffettiere porta ogni mattina alle otto la solita colazione, e al tocco i soliti < selvaggi > che si sono rubati il nome di camerieri, recano il pranzo composto della solita zuppa e delle solite tre pietanze che sembrano tre bocconi sempre uniformi , quando non son di rado alternanti da un uccello, che l‟ oste scova sul tetto di qualche campanile. Al contrario il Guerrazzi, si accomoda a passare il tempo, con profitto per la patria e per sé componendo l‟ animo a soffrire . Anche il grigiore che 73 74 apparve per lui aldilà dell‟inferriata, si dilegua. La biblioteca napoleonica, dotta per tutto quello che fu scritto fino al principio del secolo scorso, serve a lui, per distrarlo, per “irrigidirlo contro l‟incessante sventura”; e nella solitudine alta a spaziare su di un mar limitato, nasce quel libro pensato come una sfida e scritto come si combatte una battaglia. Sull‟ ultimo l‟ambiente è migliorato ;la gabbia è sempre gabbia ,ma almeno indorata talché nulla più manca – scrive il Bini- tranne… l‟ andarsene. Sei mesi sono trascorsi allorchè un mattino la porta del carcere si chiude e : <Signori , state di buon animo, perché voi non avete commesso nulla… Ma ogni stato ha il suo diritto di conservarsi…>. Questa giustificazione della sofferta prigionia e queste le scuse .E poiché le cose son tornate- come l‟ esecutore granducale assicura- in calma i “ signori “ vengono rimessi in libertà con l‟ augurio di non tornare a calcare le orme del Còrso nell‟isola ferrigna. Augurio vano. Quindici anni dopo il “ Giglio” sbarca a Portoferraio ancora il Guerrazzi, questa volta accompagnato da Mastacchi, Rosselli, Roberti, Cavoriti, Romiti , Lilla, Ansuini; dal La Cecilia ed al suo famigliare ,dai Vignozzi padre e figlio, e da Riccardo Frangi: tutti in catene, tranne il La Cecilia, cui fu risparmiata l‟onta delle manette perché non toscano, come fu riservata la dimora del Forte Stella , mentre il Guerrazzi e gli altri erano chiusi nel Forte Falcone. Accusato d‟incitamenti alla strage ,al saccheggio ,all‟incendio, Francesco Domenico sa di subire immeritatamente anche la nuova prigionia. Ma a Firenze perdura l‟impressione di quei fatti che a Livorno turbarono l‟ordine ai primi del‟ 48 “ per opera tenebrosa di alcuni faziosi ” i quali “ i nemici della pubblica quiete, abusando della longanimità del Governo , hanno ardito con la più odiosa pubblicazione compromettere la e maestà col susseguente del trono”. tumulto Quella di “odiosa pubblicazione” era uno scritto propagato per Livorno il 5 gennaio; con gonfie e minacciose parole esso invitava i toscani a prendere le armi e particolarmente incitava i turbolenti concittadini , già da qualche giorno in tumulto, senza che il generale Sproni riuscisse a quietarli. Che lo scritto fosse Montanelli, del anzi, Guerrazzi scriveva al assicuravano Capponi lo Zoli narrando e il che il 75 Guerrazzi , con altri, aveva costituita una commissione che era un governo rivoluzionario bello e buono . Cosimo Ridolfi, giunto a Livorno, procede all‟ arresto in massa di vari indiziati, in nome di Leopoldo Secondo a cui la “ Civica “ è rimasta fedele. Il Ridolfi si coltiva questa col più stretto contatto .Frequenti sono le sue visite alla caserma. Un giorno, mentre egli si trattiene a rapporto con l‟ ufficialità, ecco presentarglisi un certo Pedani, del quartiere della Venezia. Il Pedani aveva operato energicamente a ristabilire, e poi mantenere l‟ordine; chiede perciò al ministro una ricompensa per i servigi prestati da lui e da i suoi compagni.Quale ricompensa posso io darvi?- gli osserva il rigido rappresentante di “Canapone”. E il saggio popolano pronto gli risponde: -Una scuola!... E nella notte sul 9 gennaio che Guerrazzi vien preso, incatenato, imbarcato e spedito a Portoferraio. Né valgono le lacrime di rabbia del Bargagli ad ottenere che al prigioniero siano tolte le pesanti catene. Gli ordini erano quelli contro quelli, violando la consegna, si pone arditamente un giovine sergente dei carabinieri, Orazio Giovannini. (<Soffre signore?...- Risposi-No. E se soffrissi che importa a voi?- Ed egli di nuovo: Codeste mani non debbono portar catene…> ).Ma se l‟ accusa è ingiusta ( e il Guerrazzi giura sopra l‟ anima del padre, sopra il suo onore, alla sua coscienza , che il fatto appostogli non è vero), egli non vuol grazia. Gli basta il conforto di qualche parola amica che 76 arrivi fino a lui e valga a mitigargli lo sconforto in cui “ il capo patisce e l‟anima si rode “. In tale sconforto avendo per viatico spirituale non più i libri della biblioteca napoleonica , ma la Sacra Bibbia egli scrive la “ Predica del Venerdì Santo” come il cuore angustiato glie la detta. Intanto il 29 Gennaio il Ridolfi è partito da Livorno sostituito da Scipione Bagagli. Spetta a questi l‟ incarico di eseguire il Granducale rescritto del 24 marzo successivo e spedisce il “Giglio” a Portoferraio con “onorevole campagna” per liberare il Guerrazzi . Così esso può andare a rifarsi in salute (sofferente com‟ è per male al fegato) e in spirito nella campagna pistoiese ,ospitato da Nicolò Puccini. E delle due prigionie ingiustamente sofferte (allorché vagando con la fantasia per l‟ orizzonte svelatogli da Giorgio Byron ,iniziava quei suoi scritti, che avranno sempre virtù di scuotere l‟ anima finché il cuore umano palpiterà per la Patria e per la Libertà) un solo ricordo permane gradito in lui, rivolto al degno popolane – Cristino Damiani- che con sommo pericolo e con non lieve disturbo seppe le due volte essere verso il prigioniero. Fuor de la glauca onda rasenia tu sorgi, e al vigile mio sguardo affacciasi cortese 77 l‟ampia ed aerea di monti varia scena, cui l‟arduo Capanne domina. Per neve candido, o tinto in roseo dal sole occiduo, ch‟altri fastigii, calando, imporpora. 78 Poi, quando a mèzzo il fulgido suo corso il dì fiammeggia. Ecco: sù l culmine dentato e livido, di nembi torbido, cavalca il turbine, guizza la falgore; o, ne lo spazio, sta il nudo vertice scolpito e nitido, sull‟interfuso specchio del mio Canal pacifico, come per entro un tenue velo di polve argentea, i tuoi contorni sfumano; e, se da fratte nuvole saetta in cerchio i lucidi strali nel mare tremulo, in vista sembri fervere cinta da vasto incendio; o, furiando il libico vento, di vele lazie agitator terribile, il periglioso pelago bianco di schiuma rabida contempli solitaria. Ma, sotto il fiato gelido di Borea, nel puro etere, torni serena a ridere, a par del flutto, cerula. 79 Oh eccelsi gioghi ripidi, frondosi d‟elci, e impervie acute nette nivee, ch‟echeggiano a lo stridere del roteante nibbio: oh, ne la state splendida, colli da verdi pampini ombrati. E di purpuree dolci uve onusti e d‟auree; oh clivi, onde biancheggiano erme le case e placide, e i borghi, che il tirrenio primo fondò, o il laconio; bell‟acque, che s‟increspano del maestrale al soffio, e dove il seno eburneo liete fanciulle immergono, brune la chioma e l‟occhio; lidi mugghianti all‟impeto de‟ cavalloni indomiti; 80 rocce, donde zampillano le polle salutifere; irte scogliere grigie, che, spumeggiando, grondano sotto le ondate tumide; tonte e marmoree glaree, che il fiotto roco rotola; strisce di mare tacito, su cui gemmeo rifrangesi il plenilunio limpido, quale stellante piaggia; oh golfi in che i navilii lassi ed aneli approdano! Perché dal Rio sanguineo d‟atre caverne orrido, l‟edaci mine tuonano, come profondi palpiti de le tue rosse viscere, cui il ferro tuo dilania? Perché l‟industre e barbaro 81 Fumo il terso aer contamina, e la bipenne incoscia la chioma dilacera? Ma tu dai le incantevoli Viste alle navi ignifere, che ai grandi oceani agognano; a l‟ale temerarie, che il nostro cielo sfidano; ridi al fosco Argentario, sacro al divino Apolline, ed a la Cirno italica, dove temprò al fulmineo volo le penne cupide del Bonaparte l‟aquila; ridi alle tue Nereidi suore, che t‟inghirlandano, la Palmaiola fiammea, e l‟alcionia Cerboli; ridi al Giglio granitico, al Montecristo tragico, 82 a le gemelle vindici de la dantesca collera; a i ruderi ciclopici de l‟arce lucumonia, e al mio bel promontorio, che ti saluta, o Etalia, sonante d‟armi eroiche né carmi di Vergilio. E, qual nel marmo pario Scolpì l‟argivo artefice L‟alma beltà di Venere, tale su i volti floridi de le tue vaghe figlie brilli la grazia ellenica. 83 APPENDICE Curiosità: Storia del Risorgimento all‟Elba attraverso la lettura di antiche epigrafi. tratto da un articolo de “Lo Zibaldino” di Aulo Gasparri - 12 agosto 1994(Sintesi) Lo scrittore racconta che nel 1984, nel cimitero della Misericordia di Portoferraio, coperto da una folta e vigorosa pianta di geranio, scoprì un sarcofago in marmo bianco di tarda età romana. Vi erano scolpite due vittorie alate che sostenevano un cerchio con una iscrizione latina: era la tomba di una bambina di A 7 questo anni. punto lo scrittore intuisce che dalla visita attenta del cimitero si potevano trarre altre epigrafi che narrassero la storia della nostra Isola. Gasparri fa un lungo elenco delle scoperte fatte, ma noi ci limitiamo a riportare quelle riguardanti il nostro Risorgimento. Questa epopea è degnamente 84 rappresentata dal “ Volontario Garibaldino Conte Luigi Pullè”, da Francesco Damiani “ Soldato della Prima Guerra d‟Indipendenza d‟Italia”, da Edoardo Fazzini “tenente d‟Artiglieria, valoroso nelle patrie battaglie contro il brigantaggio”, da Pietro Carlini regio impiegato, che “nel 1848 combatté per l‟Indipendenza d‟Italia”, da Ildebrando Audifred che“combatté per la Patria con Garibaldi nel 1866”. La memoria del generale Pietro Gudi è consacrata da una lapide molto verbosa che evitiamo di riportare. Nel centro di un esedra troviamo scritto “ per affetto dei concittadini” dedicata alla salma di Elbano Gasperi “ L‟eroe di Curtatone, in questo modesto angolo della Santa Italia, attende germini fiorisca, la vera forza la dignità , la potenza del popolo, nella memoria del suo prodigioso valore”. Nei sotterranei del cimitero si trova la tomba di Bartolomeo Pistelli, ricordato anche per la sua amicizia con Guerrazzi e Bini. C‟e‟ anche Cristino Damiani, anche lui ricordato per 85 l‟amicizia con il Guerrazzi. che indusse il poeta a scrivere, prigioniero politico al Forte Falcone, la famosa “Predica del Venerdì Santo”, per il giovane figlio Don Giuseppe, cappellano della Misericordia. Curiosità: la scuola all‟Elba dal 1822 all‟Unità di‟Italia 86 (Brani tratti dal testo “Scuola e Società all‟Elba dal 1860 al 1900) Leggendo partirà, il testo sopra temporalmente, indicato, all‟incirca la nostra verso il attenzione 1822 per sottolineare l‟importanza innovativa a livello metodologico di insegnamento del maestro Vincenzo Bigeschi. A quel tempo il Clero controllava quasi completamente l‟istruzione elementare che era poi l‟unica esistente all‟isola. Basta fare due esempi: c‟era, prima delle lezioni, l‟obbligo della Messa quotidiana ed i maestri, a parte due laici, erano tutti sacerdoti. Fra questi sacerdoti però spicca la figura del maestro sopra indicato che nei suoi scritti pedagogici rivendica innanzitutto la piena autonomia di metodo e di libertà di insegnamento. Pur lamentandosi del numero esiguo di allievi (otto) dovuto al fatto che i genitori li trattenevano sovente a casa per farli lavorare nei campi, pensò ad un struttura scolastica ben precisa dove nella Prima si insegnava la Retorica che puntava soprattutto su una conoscenza della lingua italiana a livello orale mentre nella Seconda si puntava di più sulla grammatica. (da notare che gli otto allievi erano tutti maschi poiché a quel tempo le femmine “di buona famiglia” studiavano a casa). Naturalmente sia nella Prima che nella Seconda si dava molta importanza al Catechismo. Ricordiamo inoltre che per diventare maestri era sufficiente una prova molto formale e prevalevano sulle capacità culturali quelle che chiameremo “morali”. Lo stipendio poi era minimo e quindi il maestro laico era costretto a fare un secondo o un terzo lavoro per sopravvivere economicamente. Con il passare del tempo però la Chiesa si distaccò dal ruolo educativo di dispotismo diffidenti alfabetizzazione illuminato verso dell‟epoca un‟emancipazione abbandonano diventando delle classi persino sempre operaia il più e contadine visto poi che, per seguire la Messa, non era necessario conoscere la lingua italiana che veniva celebrata in latino, una lingua incomprensibile alla maggioranza della popolazione. Una vera rivoluzione nell‟ambito della scuola all‟Elba nasce in effetti solo con l‟intervento del maestro Angiolo Foresi ed il suo metodo di istruzione chiamato “mutuo insegnamento”. Questo metodo consisteva nel fatto che Foresi utilizzava gli 87 alunni più grandi ed abili per spiegare ai più piccoli i rudimenti della lettura e scrittura sommando due aspetti positivi: superare la carenza di maestri ed instaurare un clima di mutuo soccorso, di solidarietà fra gli allievi. Inoltre aggiunse materie come Matematica, Storia, Geografia e ben presto la sua scuola si riempì classi sociali. Il di ben 60 allievi di tutte le “maestro Angiolino” come venne soprannominato dai suoi conterranei tirava fuori di tasca sua sovente il denaro necessario per il materiale scolastico e non mancava di andare spesso in continente “per restare al passo dei migliori metodi d‟istruzione”. Per premiare la sua solerzia la cittadinanza, nel 1829, raccolse spontaneamente 25 zecchini utili al funzionamento della sua scuola. 88 Proprio in questa data però si termina di parlare di lui e del suo metodo di insegnamento sulla rivista “Cronache Elbane” ed in effetti dal 1830 si cominciano ad adottare delle apposite “cartelle” dove un allievo leggeva ad alta voce e gli altri lo seguivano a voce bassa. Questo metodo però ebbe anch‟esso breve durata perché gli alunni imparavano a memoria ciò che vi era scritto e così ben presto si passò all‟adozione dei libri di testo e, ovviamente, il testo più usto era allora il “Compendio della Sacra Scrittura” . La Chiesa tornava così a prendere il sopravvento sulla scuola laica. A questo punto possiamo dire che Portoferraio intorno al 18301840 versa in una situazione … disastrosa benché avesse,rispetto agli altri comuni elbani, una situazione di avanguardia. Sempre verso il 1827 a Portoferraio esistevano tre scuole,che poi si ridussero a due,per leggere, scrivere e di bella grafia. Dal punto di vista legislativo le scuole 89 dipendevano dal Granducato, ma, a livello finanziario, l‟impegno era tutto sulle spalle dei Comuni che sborsavano ben poco: i maestri venivano mal pagati e non esistevano veri edifici scolastici, ma si affittavano locali sovente malsani o addirittura i maestri accoglievano a casa i loro alunni. Visti gli ovvi risultati scolastici disastrosi, il Granducato,nel 1837, emanò un decreto per cambiare la situazione. Ritornò una terza scuola, fu nominato un altro insegnante e si cercò di aggiungere altre discipline oltre il leggere e lo scrivere. Il primo maestro insegnava la lingua latina e retorica; compito del secondo era dare lezioni di Grammatica italiana,Storia e Geografia mentre al terzo spettava il compito di porre le basi del saper leggere, scrivere e far di conto. Al primo maestro spettavano 1.080 lire annue,al secondo 1.000 lire annue e al terzo 760 lire. Le ore di lezione passarono da 4 a 5 al giorno. Novità assoluta fu l‟introduzione al giovedì dalle 9 alle 12 di una lezione di nautica. I primi due maestri, dopo un paio di anni di prova,venivano confermati a tempo indeterminato mentre il terzo veniva confermato di anno in anno dal Comune. Tuttavia la situazione educativa all‟ Elba non migliorò e i programmi auspicati rimasero inattuati. Nel 1845 il Comune emanò un regolamento per un controllo più assiduo sul lavoro degli insegnanti da parte di un Prefetto e da un arciprete e potevano, durante le loro visite, interrogare gli scolari e valutarne il profitto. Ai maestri verrà imposta una metodologia di pedagogia e i testi dei libri da adottare. Le materie rimasero le stesse non mancando l‟ora di catechismo propedeutico. Per l‟ammissione alla Prima si esigeva un attestato del Parroco che comprovasse i sei anni di età, un certificato medico di avvenuta vaccinazione vaiolosa, un‟obbligazione verbale dei genitori che si impegnavano a fornire ai figli carta, libri e mandarli a lezione vestiti in un modo decoroso e una nota del “capo bottega” qualora l‟alunno prestasse apprendistato presso qualche datore di lavoro. Per quanto riguarda la disciplina “la docilità, l‟obbedienza ed il rispetto,non meno che l‟amore allo studio e la diligenza sono i principali doveri degli scolari”. Il maestro teneva un “ giornale “ dove annotava giorno per 90 giorno la condotta degli allievi ed era prevista anche l‟espulsione provvisoria dalla scuola in caso di “ atti contro la morale e il buon costume”. A settembre venivano fatti dei pubblici saggi e gli scolari più meritevoli venivano premiati con medaglie e libri. Le condizioni economiche disastrose dei maestri comunque continuarono ad incidere in modo notevole sui risultati didattici degli alunni portoferraiesi e nel resto dei Comuni. Va ricordato che i giovani,la maggioranza, che viveva lontano dagli edifici scolastici e lavoravano in campagna, non frequentavano alcun tipo di scuola. Ancora nel 1862 il giornale “ Il pensiero” faceva notare come i comuni trascurassero del tutto gli abitanti delle campagne del settore istruzione. In quel periodo vivevano in città 3.920 persone e 1.617 in campagna. Ciò vuol dire che un terzo della popolazione veniva trascurata a livello Nascono nel frattempo le scuole private e nel scolastico. 1852 ne esistevano a Portoferraio più di una con 218 alunni guidati dai maestri e 185 nelle scuole delle maestre. Queste scuole sopperirono anche all‟istruzione delle femmine che in quelle pubbliche erano inesistenti. Era opinione comune che i risultati didattici erano migliori di quella pubblica. I maestri tenevano lezione solo ai maschi mentre le maestre ad ambo i sessi tenendo alcune ore a parte solo per le femmine impegnando loro a cucire e ricamare. Le scuole private risultavano numerosissime poiché il più delle volte le lezioni venivano tenute presso la casa del maestro/a. Tre erano situate presso la Salita dell‟ Ospedale, altre 3 a Porta 91 Terra, 2 in Via della Fonderia, altre 2 in Piazza Cavour. Le maestre che avevano più allievi (34) erano la Sig. Maria Retali in Via del Paradiso e la Sig. Marianna Mannocci in Via dell‟ Amore con 40 alunni. Per ottenere il diploma di maestro erano sufficienti 6 mesi di apprendistato presso una scuola. Negli anni successivi all‟ Unita d‟Italia si ebbe però una drastica scomparsa Curiosità:”Portoferraio centotrenta anni fa” Impressioni del Parroco Traditi in una sua relazione dopo 92 l‟Unificazione “Lo Scoglio Primavera‟88- I° Trimestre. Anno VI” Panorama Portoferraio Forte Stella Avvenuta l‟unificazione italiana, il Parroco di Portoferraio Canonico dott. Benedetto Traditi fu incaricato di redigere per il Vescovo di Massa Marittima un rapporto sulla situazione delle Chiese, della popolazione, delle scuole e degli ecclesiastici in Portoferraio. Tale relazione è costituita da una quarantina di cartelle riempite con una fitta, ma chiarissima scrittura e sono redatte in uno stile sobrio ed elegante. La lettura di esse suscita un certo interesse, sia per il loro contenuto statistico sia per le osservazioni che vi si trovano. Osservazioni e timori del resto giustificati perché in Toscana si sapeva per certo che il vecchio governo del Granduca Ferdinando III, “di felice ricordanza”, era stato un buon governo, moderato e tollerante, un‟ isola di relativa libertà rispetto agli altri mentre quello della nuova Italia era se non altro un governo di scomunicati. Ma osserviamo le statistiche. La popolazione di Portoferraio alla data del 14 agosto 1873 era così distribuita: Popolazione indigena - Sezione 1.a (della città) famiglie 93 n.733; Sezione 1.a (della campagna) famiglie n.355. Totale degli indigeni n.4.506. Popolazione avventizia - RR. Carabinieri n.10; R. Guarnigione: cannonieri n.88; linea n.189, disciplina n.99; Guardie di Finanza n.21; Guardie di Pubblica Sicurezza n.4; Guardiani allo stabilimento penale n.41; Servizi alla Pena n.706; Totale della popolazione avventizia 1.116. Ed ecco quali erano le scuole esistenti nel comune, con l‟indicazione insegnamento dei rispettivi e insegnanti, degli delle materie di alunni: Scuole comunali tecniche in città (maschili); Goretti Luigi, maestro di lingua italiana, diritti e doveri dei cittadini, alunni 3; Venier Lodovico, maestro di matematica, computisteria e nozioni di scienze fisiche e materiali, alunni 5, Galli Casimiro, maestro di nautica, alunni 8. Scuole ginnasiali (maschili): Mattei don Vincenzo, maestro di grammatica latina, alunni 1. Scuole elementari (maschili): Biscardi Oreste, maestro di 3.a e 4.a, alunni 50; Poli Ranieri, maestro di 2°., alunni 35; Medici Luigi, aiuto maestro incaricato della 1°, alunni 50.Scuole elementari (femminili):Boschi Tommasa, maestra di 2.a e 3.a, alunni n.26; Chiavistelli Angela, aiuto maestra in incarico della 1.a, alunni n.59. Scuole elementari comunali della campagna: Marinari Pietro, maestro di 1.a,2.a e 3.a, alunni n.59. Scuole particolari: Baroni don Federico, maestro di elementi e grammatica italiana, alunni n.12; Casali Antonio, maestro di leggere e scrivere e conteggiare, alunni n.17; Gaudiano Maddalena, maestra di lavori muliebri e lettura, alunni n.34; Donati Anna, idem, alunni n.17; Frilli, maestra di piccoli bambini dei due sessi, alunni n.25; Maranca Filomena, idem, alunni n.25. Scuole particolari di campagna: ai Magazzini: Fabiani Francesco, maestro di leggere e scrivere e conteggiare, alunni n.21; allo Scotto : Talinucci N., maestro di lavori muliebri e lettura, alunni n.35. Frequentavano quindi le scuole di Portoferraio e delle sue campagne, nel 1873 n.480 scolari. Il corpo insegnante era costituito da 18 maestri, 11 di sesso maschile e 7 di sesso femminile. Esistevano una Scuola Tecnica Comunale, una Scuola Ginnasiale privata (inverno poco frequentata), una scuola elementare, presente anche nelle campagne ed altre 94 scuole particolari per bambini piccoli e piccolissimi. Ma a questo punto devo far rilevare alcune osservazioni del canonico Traditi: La Darsena La Darsena 2 “E‟ da deplorarsi che esistano pure in città: una Scuola Maschile della Setta Valdese per fanciulli; una Scuola Femminile della Setta Valdese per fanciulle. E‟ pure da deplorarsi che nelle Scuole Comunali Maschili e Femminili è vietato l‟insegnamento elementare della Dottrina Cristiana e ch‟è di pari trascurato nelle scuole private dirette dagli uomini”. Ed ecco infine l‟elenco degli ecclesiastici: 1) Canonico Traditi Benedetto di Portoferraio, Arciprete Parroco; 2) Pagni don Francesco, cappellano in riposo di Portoferraio, Confestore ; 3)Speranza don Bartolomeo ora a Marciana Marina di Portoferraio, Confessore; 4) Gasparri don Francesco Antonio, Confessore di Portoferraio, Cappellano delle Carceri; 5) Gasparri don Cosimo confessore cappuccino militare a riposo a Portoferraio, Cappellano al Bagno. 95 Villa dei Mulini Le Ghiaie Vice Prefetti dell‟Isola d‟Elba succeduti fino ad oggi dall‟annessione della Toscana all‟Italia REGNO D‟ITALIA 96 1. 1860 Gen.Alessandro Danesi 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 1861 1862 1863 1865 1865 1866 1867 1872 1875 1876 1877 1878 1878 Dr.Carlo Cavilli Dr.Filippo Struso Dr.Edoardo Bermondi Dr.Giuseppe Pennacchio Dr.Giorgio Manganaro Dr.Luigi Pais Dr.Giov.Ant.De Angelis Dr.Gaetano Leopardi Dr.Francesco Truffi Dr.Luigi Ovidi Dr.Giuseppe Valli Marc.Dr.Cosimo Prato Dr.Giuseppe Pintor Mameli 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 1880 1881 1883 1886 1887 1888 1888 1888 1888 1890 1891 1895 1896 1899 1901 Dr.Giacomo Zarini Dr.Giuseppe Alvisi Dr.Pasquale de Tschuy Dr.Angelo Gigliesi Dr.Giuseppe Nanni Seta Dr.Aless.Cocozzo Campanile Conte Dr.Casimiro Dr.Luigi Londero Conte Dr.Amedeo Nassalli Rocca Dr.Roberto Cassano Dr.Francesco Buongermini Dr. Antonio Arnaboldi Dr. Giovanni Morati Dr.Edoardo Genserini Dr.Gemignano Valentini 97 ”I tetti”centro storico Tratto da "L'isola d'Elba nel Risorgimento.Uomini idee e percorsi." di Gianfranco Vanagolli E' certo che nel 1818 si giunse senza che si intravedesse la fine della crisi economica che l'isola viveva dal 1815. Secondo una lettera anonima indirizzata direttamente al granduca e pervenuta allo Strassoldo, il malcontento era generalizzato e si trasferiva politico,tanto da poter direttamente parlare di una sul piano situazione pre- insurrezionale.Quale che sia il grado di attendibilità da dare al suo contenuto,il documento si colloca tra i segnali di una crescente inquietudine identificabili con le voci di una riscossa bonapartista dai caratteri inediti,in quanto declinata su un'iniziativa militare di proscritti in Africa settentrionale e su una presa del potere di alcuni antichi generali dell'Armée in Brasile,oltre che sulla fuga di Napoleone dal suo carcere. Risalta in questa temperie,l'attenzione per l'Elba che veniva attribuita ad una squadra navale degli Stati Uniti d'America allora in crociera nel Mediterraneo. La lettera anonima riserva esplicitamente a due sue unità un ruolo fondamentale nei prospettati rivolgimenti sull'isola. Su ciò,peraltro,non si risparmiarono investigazioni,che ebbero luogo all'Elba,dove sortirono risultati di scarso rilievo,e sul continente. Può aiutare a capire fino in fondo l'atteggiamento delle autorità granducali il fatto che nel campo conservatore,ad ogni latitudine,gli Stati Uniti,per la loro storia e per le loro istituzioni democratiche,fossero guardati in modo assai negativo. Al contrario,ad essi si volgeva con speranza e fiducia il movimento liberale e vi sono Anonimo,Nave della Marina degli Stati Uniti d'America nel Mediterraneo forti probabilità che l'opposizione elbana nutrisse questi sentimenti. Nei suoi confronti,sulla base di indagini sviluppate a Piombino nel marzo del 1818,la polizia dispiegò un'articolata azione repressiva che si tradusse nel carcere per Vincenzo Vantini e Giuseppe Manganaro, nonchè per dei personaggi che erano stati estranei agli esordi del movimento democratico locale o alle vicende della Loggia Amis de l'Honneur Français :un Diego Scotto,di Longone, un Massimiliano Barsotti,di 99 100 Portoferraio,ed un Dussan, francese. Una nota del console del Regno di Sardegna a Portoferraio informa che i cinque erano imputati di "segreta intelligenza" con emissari del governo di Washington finalizzata alla sostituzione sull'isola della bandiera lorenese con quella a stelle e strisce. Dal canto suo,il titolare della rappresentanza diplomatica piemontese a Livorno,Luigi Spagnolini, liquidava l'affaire come il frutto di “malfondate ciarle”:una opinione che incliniamo a condividere e che,tuttavia,solo nuove acquisizioni potranno confermare o smentire. E' incontrovertibile, invece,la coincidenza tra i fermenti elbani e quelli che agitavano l'intero universo liberale, impegnato in un salto di qualità su vasta scala. Proprio allora a Livorno si andava formando una vendita carbonara, certo almeno con il plauso del console statunitense Appleton, carbonaro dichiarato,e confluivano in Toscana cospiratori del Regno di Napoli e dello Stato della Chiesa,mentre permaneva forte la presenza massonica. In carcere,il Vantini fu riconosciuto come il leader del gruppo e,solo tra i suoi compagni,patì l'isolamento. Chi lo interrogò, lo giudicò un “uomo fiero,di talento”,sottolineandone cavallerescamente la coerenza. L'intero gruppo riguadagnò rapidamente la libertà,scagionato da una totale mancanza di prove a suo carico,ma non potendo evitare di rimanere nell'occhi del Buon Governo. Tra i vigilati si contavano quasi esclusivamente professionisti, impiegati, possidenti, negozianti ed ex militari dell'armata napoleonica; anche il canonico Bigeschi apparteneva per discendenza al locale milieu. Vi era un solo artigiano, il Malfanti incisore, che occupava il gradino più basso in quello spaccato molto ridotto di società. Evidentemente l'opposizione viveva ancora per più versi dei motivi indotti immediatamente dalla Restaurazione, comprensibili appieno alla luce della vicenda di una classe dirigente bruscamente marginalizzata e colpita nel suo prestigio. Quanto al dissenso interno, nel '22 furono segnalati “discorsi allarmanti” pronunciati dai fratelli Sisco, che per la precisione avevano imprecato “contro i Napoletani che non avevano saputo sostenersi nell'ultima lotta”,dando testimonianza di quante speranze avesse suscitato nel fronte patriottico il moto meridionale. 101 102 Essi vennero sottoposti perciò a nuove misure di controllo,successivamente intensificate a causa di certi loro appurati contatti con due sconosciuti polacchi,insieme ai quali erano stati visti nei pressi delle fortezze di Portoferraio e di Longone e nella miniera di Rio. Nello stesso torno di tempo furono perquisiti,a Capoliveri,gli alloggi di due sergenti della locale compagnia dei Cannonieri guarda coste,sospettati di reclutare “proseliti a una vendita presenza sull'isola,tuttavia,non si carbonara”,della ha altra notizia. cui Ai Cannonieri, reclutati per lo più tra gli indigeni, si guardava con speciale sospetto ed erano parecchi i delatori infiltrati nelle loro file. Ad una sostanziale assenza di manifestazioni eclatanti non fece riscontro, nel movimento liberale, una rinuncia all'iniziativa politica che portò al concepimento, nel gennaio del 1831, di un‟insurrezione generale attraverso la discesa in campo di più formazioni di volontari, una delle quali era previsto Corsica,per Roma.Si dovesse proclamarvi distinse, in la questa sbarcare in repubblica e esaltante Toscana dalla puntare,poi,su temperie Zenone Vantini, figlio di Vincenzo che troviamo emissario di Mazzini in una delicata missione a Bologna, ribelle, con i Ducati di Parma e di Modena; il nome di Vantini appare, inoltre, accanto a quello del noto fuoruscito napoletano Giovanni La Cecilia, a proposito di un progetto di un colpo di mano sull'Elba su cui riferisce il console lorenese a Bastia, Giacinto Cecconi, sulla base di una delazione.”Ecco quanto ho potuto sapere in questo momento stesso: il già noto e celeberrimo Sig. Vantini, per confidenza fatta a persona interessata ai disordini,ha intenzione che,subito che riceva i denari che sta aspettando nella prossima settimana da Livorno, vuol subito effettuare la sua partenza per l'Elba;che il Sig.Caladini, comandante del Forte Inglese,col quale è d'accordo,lo aspetta. Il progetto è di effettuare lo sbarco di notte al luogo detto Le Ghiaie sotto al forte e di entrarvi subito e di prenderne possesso;che i coloniali [militari di due compagnie di disciplina] sono già prevenuti e disposti alla ribellione,secondati dai paesani organizzati in guardie nazionali,i cui capi ed ufficiali sono già designati e nominati.”Il diplomatico mostrava di avere un'opinione negativa del La Cecilia (non diversa,del resto,da quella da cui l'esule era accompagnato nel proprio campo),mettendo in 103 dubbio le intelligenze guarnigione di che vantava con i quadri Portoferraio.Tre furono gli elbani della che,in circostanze ancora da ricostruire,entrarono allora nell'orbita delle attenzioni del Buon Governo,Giacomo Anselmi, di Marciana;Giovanni Damiani,della marina di Rio e Giovanni Battista Gemelli,di universitari,i ravvisano primi gli Rio,tutti due,e giovanissimi,studenti avvocato,il eredi,con Zenone terzo,nei Vantini quali e si Giorgio Manganaro,della generazione dei conterranei nati alla politica nel triennio giacobino. In linea con la proibizione,decisa già ai primi di marzo,della “dispensa e lettura nei gabinetti letterari,caffè ed altri luoghi” del parigino “Le Figaro”.Con l'intervento degli imperiali nella penisola sembrò ai francesi che si fosse alterato l'equilibrio internazionale a loro sfavore,tanto da portarli a decidere di occupare per rivalsa Livorno,Civitavecchia,Ancona e l'Elba.Qui,con le truppe regolari,avrebbe dovuto sbarcare un contingente di fuorusciti italiani dalla Corsica.Tale progetto,che si mise in moto nel marzo del 1832,tramontò rapidamente dietro la scelta adottata dal governo transalpino di circoscrivere le proprie pretese alla sola Ancona. Nondimeno esso fece in tempo ad accendere l'Elba restituisce nella liberale,che specie determinata,accreditandone di la una nel voce della “comitiva” contempo polizia ci fortemente lo spessore storico,nella quale vediamo alternarsi volti già noti,come quelli di Giorgio Manganaro o di Vincenzo Sisco, a volti affatto nuovi, nei quali riconosciamo, peraltro, contadini, 104 piccoli commercianti, un artigiano, un marinaio. Ad essa gli investigatori, sulla base di indizi e di testimonianze, attribuirono un disegno insurrezionale. 105 Risultava alla polizia che i capi della “comitiva” fossero il Manganaro,”di anni 35 circa,ammogliato,agente consolare per la nazione inglese ed esercente in Portoferraio,sua patria,la professione di procuratore con qualche credito”;il Sisco,”di anni 45,scapolo,senza mestiere o indirizzo alcuno”;Enrico Muraour,”di anni 60,vedovo,con alcune figlie a carico,di professione fornaio”;Giovanni Battista Muraour,”di anni 36,ammogliato con tre teneri figli,agente consolare per la nazione francese”),e due “fratelli Provenzali”.Quanto ai semplici addetti si facevano i nomi di Cristino Damiani, “tabaccaio”;Jacopo Ciorino,”maestro dei lavori delle RR.Saline”;Giovanni Battista Bernardoni, ”contadino dei SS. I fratelli Senno ai Magazzini”; Pasquale Pazzaglia, ”contadino”, Santi Mazzei, ”marinaro”; Leopoldo Cei, ”venditore di liquori (ASCP,Affari generali,1832, F. 1,Rapp., 106 cit.; Relaz. Dell'auditore vic. Angelo Fabbrini al governatore dell'Elba Gaetano Bertini,22 giugno 1832). Il Rapporto appena ricordato si diffonde anche sulle 'truppe' rivoluzionarie, che vuole costituite da contadini, e sul loro arsenale:” il contadiname sta fermo e pronto per attendere il segnale della rivolta e pochi sono quelli che mancano d'arme per far fronte a qualunque ostacolo che gli venisse frapposto. Si pretende che giungesse in addietro una non indifferente quantità di cartucce al detto Sisco, che una parte sia stata consegnata ai referiti contadini e che la rimanente [sia in un magazzino] e che abbia finalmente un buon numero di schioppi nascosti all'Acqua Buona,sotto la custodia dei noti fratelli Provenzali per servirsene alla circostanza”.Voci di un inizio del moto con la convergenza a Portoferraio di un nerbo di “lavoratori” di Rio e di Capoliveri dettero luogo ad una serie di interrogatori nel corso dei quali alcuni membri della “comitiva” asserirono di essere stati istigati alla sedizione dal Manganaro, dal Sisco, da Giovanni Battista Murarour e dal Pazzaglia, che però non patirono conseguenze, salvo il Pazzaglia. Nel 1833 la rete poliziesca stesa dal Regno di Sardegna al Regno di Napoli percepì un rinnovato fermento nel fronte liberale che, in effetti, stava progettando uno sbarco dalla Corsica sulla riviera ligure di levante e sull'Elba. Il 15 marzo era la Presidenza del Buon Governo ad attivarsi per segnalare la presenza sull'isola di un nucleo sovversivo,costituito da un dottor Anselmi,”incaricato dal Comitato centrale di Parigi di stabilire una corrispondenza liberale tra Firenze,Roma e l'Elba”,da un Mazzei, giovane “dottore in legge”, e da un dott.Manganaro, sui quali,però,tornava il governatore elbano per allontanare ogni sospetto dal Mazzei,che definiva “uomo di giovanissima età,ma quietissimo” e dall'Anselmi,che riteneva essere stato 107 scambiato “p. l'identità del casato” con lo studente compromessosi “negli affari di “Romagna”,mentre taceva sul Manganaro identificabile sicuramente con l'avvocato Giorgio. Quindi si ragguagliava l'isola su “un movimento straordinario” registrato anche in Toscana “di viaggiatori francesi, polacchi, italiani e più specialmente sudditi modanesi e pontifici” indiziati di essere “missionari della propaganda rivoluzionaria”; sulla possibilità che fosse presente “sotto mentite spoglie” nel Granducato il “general polacco Girolamo Ramorino”, e infine su un probabile futuro sbarco all'Elba dell'avvocato Angiolo Angiolini, tra i “Capi Direttori del Partito Rivoluzionario di Pisa”. … Corriere Elba… Non vi è stata compagna o lezione militare compiuta nel nome della indipendenza e dall‟unità d‟Italia ma più specificamente Portoferraio non abbia annoverato qualche suo figlio nelle schiere del combattenti per la patria. Li avremmo a Curtatone e a Montanara nel 1848 sulle mura di Roma e di Venezia nel 1819 nel 1859-60-66-67 a Palestro a S. Martino, in Sicilia, nel Tirolo, a Lissa, e Mentana. Ma è nel 1848, sull‟alba radiosa risorgimentale, quando il valore elbano sul nostro politico rifulse della maggiore sua luce, in mezzo a quel piccolo ma valoroso esercito toscano, che un elbano capita che dal ritratto che conservarsi nel nostro palazzo municipale. Eseguito battaglia, a Villafranca dall‟ illustre nel 1848 prof. quattro Mussini già giorni dopo direttore la dell‟ accademia di Siena e da lui regalato a Portoferraio, allora era sergente di artiglieria, illustrò la sua terra natale con ammirando eroismo,il suo nome incise gloriosamente sulle pagine adamantine della storia. Gli anni, la lunga navigazione sui mari trasformò il sottile giovanetto del 1848, nell‟uomo gagliardo che presentiamo ai suoi lettori, e che modesta vittima del dovere,moriva a Napoli nel 1890, consunto da febbri malariche.-Come il sangue versato su Sassonia ai tempi napoleonici, purificò la Germania ritornandola al suo antico splendore,in quanto che i trionfi appresero le vie di Sedan, così il sangue versato sui campi 108 purificò tre secoli di vergogne e le fortunate stazioni di gioco e di Pastrengo ci apparecchiarono gli allori di paleso. Giovani e adulti corsero alla difesa della patria:le Università di Pisa e di Siena in Toscana votarono, si no di studenti e di professori, le officine restarono deserte di lavoratori, gli uffizi di magistrati,i campi di agricoltori:dalla guardia universitaria costruita con il regolamento del 22 dicembre 1847 si trasse quel battaglione universitario che nell‟ anno successivo, alla battaglia del 29 maggio a Curtatone si ricoprì di gloria.- in quel battaglione era energico Bigeschi, nostro concittadino, studente nel pisano ateneo ancora superstite e tale auguriamo patriottismo. resti anni molti, monumento vivente del 109 AA VV – Il monte Capanne – Un‟isola verde nell‟Elba – A cura della Comunità Montana – RS Editore. Gli anni del boom demografico – Il Risorgimento segnò il destino dell‟Elba .Essa tornò ad essere luogo di deportazione e di confine,ma anche luogo di emigrazione e di cospirazione politica. Il vento di patriottismo che spirava in Europa trovò gli elbani pronti e sensibili. Se ne accorse anche Garibaldi nel suo breve soggiorno a Rio nel Settembre 1849. Nel marzo 1860, cinquemila votanti sui 6 mila aventi diritto, approvarono l‟annessione dell‟Elba alla monarchia costituita di Vittorio Emanuele II. Il Telegrafo prima e i“postale” poi crearono un collegamento stabile e continuo con il continentale.Gli elbani si sentirono più sicuri, non videro più il mare come una minaccia e cominciarono ad edificare anche sui lidi e questo movimento iniziò senza interruzione , già dai primi del 1800. Nella prima metà dell‟800 la popolazione raddoppiò partendo da 12.000 nel 1811 a 21.446 nel 1852 e il Marcianese era una delle zone più densamente popolate. Si viveva principalmente di agricoltura. Con l‟immigrazione verso il mare portò a vere separazioni amministrative come si verificò nel comune di Marciana dal quale si staccò Marciana Marina nel 1848 e da questa Marina di Campo che prese il nome di Campo nell‟Elba. Intanto l‟agricoltura,colpita prima dalla critogama (1855) e poi dalla filossera (1890) portò molti elbani, in questi quarant‟anni, ad emigrare in Francia, in Venezuela e in Australia; tutto ciò stravolse anche la 110 fisionomia economica dell‟ Elba: dell‟agricoltura, pesca ed estrazione del ferro prevalse ora quest‟ultima. A cura di Alessandro Canestrelli. Rio Marina e le miniere del ferro dell‟Elba. Felici Editore – maggio 2001 Quando l‟Elba fu annessa al Gran Ducato di Toscana, esso,nel Maggio 1816, decise che le miniere Non potevano appartenere a privati, senza possibilità d‟acquisto o vendita. I contadini riesi e del versante orientale elbano nel 1836, 1847 e 1859 inviarono petizioni al Governo Granducale affinchè “… sia lecito e permesso a chiunque, senza alcuna preventiva licenza, l‟intraprendere scavi e ricerche per estrarre, ritrovare e, ritrovati far propri, tutti metalli. Ottennero un rifiuto, ma in cambio ottennero franchigie doganali, esenzione dell‟Imposta fondiaria, riduzione al minimo del prezzo del sale, l‟elevazione di Portoferraio a capoluogo dell‟isola e sede del Governo civile e militare con una rispettabile guarnigione. Nel 1851 fu creata la “Regia Cointeressata” che, in cambio di 1.200.000 lire toscane da parte del stipulato Banco un “Michelangelo contratto d‟affitto Bastogi” di trentennale Livorno, e così fu la produzione mineraria ebbe un notevole incremento fino al 1880 e venduto per i 4/5 all‟estero dando lavoro a tanti elbani non solo nel lavoro nelle miniere,ma anche per i marittimi per il trasporto del minerale. I maggiori acquirenti 111 erano Francia, Inghilterra e USA. Lo scavo avveniva principalmente a “cielo aperto” e furono attuali migliorarne tecnici e tecnologici e nuovi pontili sulla “piaggia” di Rio. Si fecero poi molti progetti per fare dell‟Elba anche un centro siderurgico come già pensava Napoleone, ma con l‟unificazione del Regno d‟Italia ogni progetto fu definitivamente accantonato provocando forti proteste fra la popolazione anche perché stava terminando il tempo della gestione della “Cointeressata” e il ministro dava in appalto con affitti brevi a delle ditte appaltatrici che usavano, per di più, l‟uso dei “domiciliari coatti” o di carcerati del Bagno Penale di Longone. Solo nel 1897 Giuseppe Tonietti con il Del Bono ebbero una gestione a lungo periodo e unificarono le miniere fino a dar vita, finalmente, alla produzione siderurgica alla nascita della società Anonima di Miniere ed Altiforni e la costruzione dello stabilimento a Portoferraio. Ma negli anni ‟80 ciò non portò vantaggi agli elbani, anzi …” l‟opera giornaliera veniva portata da lire 2,00 a lire 1,40 l 1,30 e infine 1,20 e ciò porterà al primo grande sciopero che avvenne nelle miniere di Rio. Inoltre la Banca Generale che gestiva l‟amministrazione decise il licenziamento degli operai che avevano più di 40 anni. Nel 1887 i “padroni” tentarono di sostituire gli scioperanti con i galeotti, ma furono scacciati dalla popolazione. Solo a fine „800 con l‟utilizzo degli altiforni di Portoferraio si arrivò ad un certo miglioramento che si rafforzò per le esperienze belliche e il successivo periodo fascista del ventennio “autartico”. 112 113 Rio Marina e i Valdesi Dalla metà del 1800,portata da Giovanni Cignoni, capitano marittimo ed imprenditore, sempre qui nacquero le prime forme di associazioni e cooperatismo. I valdesi giunsero da fuori tanto da rappresentare il 2% della popolazione, una delle più numerose in Italia. Essa si dedicò particolarmente nel campo dell‟educazione e dell‟assistenza. La Torre di Rio Marina Fu nel 1882 (Re Umberto I) per festeggiare la proclamata autonomia comunale che ad essa (30 metri) fu sovrapposta a una torretta cha ad ogni lato reca il quadrante di un orologio. 114 115 Sull‟agricoltura durante questo secolo In questo periodo l‟Elbano non aveva più, come nel passato, l‟agricoltura come unico settore di sostentamento, ma divideva la sua attività fra orto e miniera, fra vigna e pesca e i mulini ad acqua, a vento o a vapore come quello di San Giovanni che ebbero però il loro massimo sviluppo quando, ad Unità d‟ Italia terminata, nel 1868 fu introdotta la tassa sul macinato dal governo di Destra di Quintino Sella e che in pratica era una tassa sul pane. (QUINTINO SELLA) L‟ Elba, in questa occasione, ebbe l‟esclusione da questa tassa, per cui venivano anche dal continente i contadini per macinare il loro grano e spiega anche il numero rilevante di mulini nella nostra isola, superiore alle necessità degli abitanti. Per quanto riguarda la vigna, soprattutto nel versante orientale, le vigne salivano dal mare fino ad altezze vertiginose. La montagna sembrava incisa a gradini, ma non è così: i gradini sono stati aggiunti trasportando per anni, decenni, terra da chissà dove nascondendo il puro granito che affiorava, nudo, sui ridossi. Vendemmiare poi non era uno scherzo avendo come unico ausilio l‟asino su cui si caricavano le ceste piene d‟uva. A peggiorare le cose c‟era poi la polverizzazione delle proprietà ed essendo sovente, appunto, monoculture come la vite, i contadini guadagnavano ben poco, siamo a livello di sussistenza senza dimenticare i mille pericoli come grandinate, parassiti e ancora chi 116 comprava poi il prodotto aveva in mano il destino di una famiglia per tutto l‟anno. Da non dimenticare l‟attività della raccolta delle castagne nel versante occidentale. CASTAGNE 117 VITI CURIOSITA‟ Le miniere, le cave di granito e le saline. Non meno dura era la vita delle miniere di ferro o quella di granito entrambe lavorate quasi completamente a mano e venduti grezzi in continente con guadagni relativi anche per i padroni delle zone di lavoro (gli altiforni saranno introdotti a Portoferraio solo nei primi anni del 1900). Anche in questo caso l‟unico ausilio era l‟asino che trasportava il materiale al porto del capoluogo. Fondamentale era l‟apporto delle donne e dei bambini che avevano soprattutto il compito, appunto, di guidare gli asini. Gli uomini lavoravano „ a cottimo‟ , cioè a prodotto estratto, per cui non esistevano limiti di orario o problemi climatici che potessero fermarli. STRUTTURE MINIERE ELBANE 118 IL GRANITO Il lavoro sul granito era anch‟esso fatto a mano con le stesse tecniche degli antichi romani, fatta eccezione dell‟uso della mina mentre per le saline venivano solitamente impiegati come operai i forzati del bagno penale della Linguella. Le saline all‟Elba erano diverse, ma certo la più importante era quella di San Pietro nella zona dove ora sono le Terme di San Giovanni. I detenuti, anche nei decenni successivi, verranno utilizzati anche per la creazione delle strade che, a fatica, cercavano di mettere in comunicazione i vari paesi sparsi per l‟Elba e che, per lungo tempo, comunicavano solo per mare o per stretti e faticosi sentieri coperti dalla boscaglia. Soprattutto il minerale veniva trasportato con imbarcazioni a vela successivamente rimorchiate da bastimenti a vapore chiamati “Lacconi”, per giungere dopo l‟unità d‟Italia alle Regie Fonderie di Follonica. Lo stesso avveniva per il trasporto del vino che andava verso la Liguria o Livorno. Per il granito, poi, c‟era il problema ulteriore di far scivolare questi blocchi pesantissimi verso la riva del mare ed è intuibile quanto fosse pericoloso questo tipo di lavoro. CURIOSITA‟ Collegamenti Postali. Venivano effettuati dalla Società Rubattino che rimase famosa anche per l‟apporto dato ai Mille di Garibaldi. 119 (VOLANTINO DELLA SOCIETA’ RUBATTINO) (BATTAGLIA DEI GARIBALDINI) Essa forniva un servizio giornaliero con Piombino e uno settimanale con Livorno. Per la zona interna, con il bivio di 120 Carpani, Portoferraio rimaneva il centro di collegamento fra i due versanti dell‟Elba. CURIOSITA‟ Progetti di difesa del Regno d‟Italia dal 1862. Da “Portoferraio e Architettura Urbanistica 1548-1877 di Amelio Fara- Ed. Fondazione Agnelli 1997. Per questa bisogna, per quanto riguarda la zona dell‟Elba, fu designato Luigi Federico Menabrea che aveva progettato e realizzato fabbriche a Torino ( 1840-50), Bologna (1859) e Piacenza (1860). La sua relazione giunse al governo nel novembre 1865 e sottolinea i fondi eccellenti e la profondità d‟acqua bastante per le più grosse navi anche se esistono pericoli di „interrirsi‟ per la presenza di torrenti, il più importante quello della Madonnina ( San Martino), che portano detriti nel porto; quindi propone di imbrigliare i torrenti. Giudizio positivo per le fortificazioni, anche quelle da tempo abbandonate. Lato negativo è visto nella scarsità dell‟acqua potabile a Portoferraio. Passa poi all‟importanza strategico-militare dell‟Elba ritenuta fondamentale per la difesa di tutta la Toscana fino ad oltre La Spezia. Vede nelle fortezze di Portoferraio e Porto Longone (e soprattutto quest‟ultimo) due strutture importantissime da ristrutturare rafforzando l‟artiglieria che si affaccia sul mare più di quella verso terra, già ben difesa. Per tutti questi progetti, compreso quello di imbrigliare il Torrente della Madonnina, si prevedeva la spesa di 2.500.000 lire e anche nel secondo piano del 1871 fu prevista una stessa cifra elevata, ma in effetti i lavori si limitarono a quelli di manutenzione e resteranno veramente armate solo Forte Stella, la Batteria dei Mulini, il bastione di San Giuseppe e quello di San Carlo mentre il Forte Inglese diventa dimora di „ domiciliati coatti‟. FORTE INGLESE 121 Curiosità:”Storia della bandiera italiana” Ogni bandiera ha una propria storia, un significato e, a volte, tante modifiche alle spalle, che rispecchiano la storia dello Stato che essa rappresenta. La nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, stabilisce all'art. 12: "La bandiera della Repubblica è il Tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni". Questa è quella che conosciamo oggi. Ma nel passato non è stata sempre così perché allora non esisteva ancora l'Italia di oggi. La bandiera italiana è una variante della bandiera della rivoluzione francese, nella quale fu sostituito l'azzurro con il verde che, secondo il simbolismo massonico, significava la natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà). In realtà i primi a ideare la bandiera italiana sono stati due patrioti e studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, natio del capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di Castell'Alfero (Asti), che nell'autunno del 1794 unirono il bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della speranza. Si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta con la sudditanza agli Stati della Chiesa. Il tricolore italiano comparve per la prima volta il 14 122 novembre 1795 in una manifestazione di studenti a Bologna.La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i 123 due studenti furono pontificia, scoperti insieme e catturati ad dalla altri polizia cittadini. Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu trovato morto nella cella denominata "Inferno" dove era rinchiuso insieme strangolato per con due ordine criminali espresso che della lo avrebbero polizia. L'altro studente Giovanni Battista De Rolandis fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796. I colori della bandiera italiana fanno la loro ricomparsa il 15 maggio 1796 per opera di Napoleone che li adotta come vessillo della Transpadana. Legione Lombarda della Repubblica 1796 Vessillo militare dei Cacciatori a cavallo della Legione Lombarda (Museo del Risorgimento di Milano) Non si tratta però di una vera e propria bandiera nazionale, infatti nell‟ottobre dello stesso anno il tricolore assunse il titolo di bandiera rivoluzionaria italiana ed il suo verde, proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di 124 speranza per un migliore avvenire. Con questo valore fu adottato dalla Repubblica Cispadana, il 7 gennaio 1797, con i colori disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il bianco in mezzo, il verde in basso e con al centro il simbolo dell'unione delle quattro popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia e la sigla R.C. (Repubblica Cispadana). Bandiera della Guardia Civica Modenese della Repubblica Cispadana (dal 7 gennaio 1797 al 29 giugno1797) R Repubblica Cispadana 125 Da allora, le diverse vicissitudini dell'Italia portarono a molte modifiche del vessillo secondo diverse forme e con diverse decorazioni, pur conservando, comunque, i tre colori originari. In quell‟epoca le sue bande erano disposte talvolta verticalmente all'asta con quella verde in primo luogo, talvolta orizzontalmente con la verde in alto; a cominciare dal 1° maggio 1798 soltanto verticalmente, con asta tricolorata a spirale, terminante con punta bianca. La disposizione del tricolore cambia ancora una volta nella metà del 1802, quando la Repubblica Cispadana prende il nome di Repubblica Italiana (di Napoleone). La forma diviene quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro; questo cambiamento fu voluto dal Melzi (vice presidente della Repubblica Italiana) per cancellare ogni 126 vincolo rivoluzionario legato alla bandiera. Nel 1805 i territori del nord Italia sono ribattezzati Regno Italico e anche la bandiera viene a sua volta parzialmente modificata nella disposizione dei colori. Con il Congresso di Vienna del 1815 e la scomparsa di Napoleone dalla scena europea, il tricolore cade in oblio. Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane (nel 1831, Mazzini la scelse come bandiera per la sua Giovine Italia), nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa. Dovunque in Italia, il bianco, il rosso e il verde esprimono una comune speranza che accende gli entusiasmi e ispira i poeti: "Raccolgaci un'unica bandiera, una speme", scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani. E quando si dischiuse la stagione del '48 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d'indipendenza e che termina con queste parole:"(…) per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe(…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana." Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il rosso delle bande del vessillo. La bandiera è nella versione a bande verticali che ancora 127 oggi conosciamo, fatta eccezione per lievi modifiche alle tonalità dei colori e per la presenza dello stemma Savoia o della Repubblica Sociale al centro della banda bianca, la bandiera non cambia più il suo aspetto giungendo (quasi) intatta fino ai giorni nostri. 1861 Tricolore del Regno d'Italia Nel 1946 l'Italia repubblicana conferma la bandiera tricolore a strisce verticali, eliminando ogni stemma centrale. Durante i moti del '48/'49, sventola in tutti gli Stati italiani nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli, Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Milano, Venezia e Piemonte. In quest'ultimo caso alla bandiera fu aggiunto nel centro lo stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato d‟azzurro). La variante sabauda divenne bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica e lo scudo dei Savoia fu tolto. Il 2 giugno 1946, con l‟avvento della repubblica, nasce il Tricolore, definitivo vessillo della Repubblica Italiana. Francia Irlanda Messico Ci sono diverse bandiere al mondo simili alla nostra. Quella francese, con la quale il Tricolore ha un legame storico, ha il blu al posto del verde, mentre quella irlandese porta l'arancio al posto del nostro rosso. Diverso è il caso del Messico, che presenta i nostri stessi colori ma con un fregio nel campo bianco. Azzurro e tricolore Nel mondo sportivo gli italiani gridano "forza azzurri" per incitare la squadra o gli atleti italiani, a loro volta vestiti di azzurro. Perché? Cosa centra l'azzurro con il tricolore? Nelle guerre d'indipendenza dal 1848 al 1860, Carlo Alberto utilizza come bandiera proprio il tricolore napoleonico 128 aggiungendoci al centro lo stemma dei Savoia, uno scudo crociato bianco e rosso circondato da un colore blu-azzurro. L'azzurro diventa il colore dello sport italiano nel primo novecento, riuscendo così a superare la stessa caduta della monarchia Savoia e tutti gli sconvolgimenti storicoistituzionali del paese. Forse sono in pochi a saperlo, ma quando gridiamo "forza azzurri" per incitare la squadra di calcio ai Mondiali storicamente è un po' come gridare "forza Savoia". Leggende e tricolore: Verde = Il colore delle nostre pianure. Bianco = La neve delle nostre cime. Rosso = Il sangue dei caduti. Non tutti conoscono la storia della nostra Bandiera, e neppure il significato dei tre colori che la compongono. Secondo un'antica poesiola scritta nei "sussidiari" delle scuole elementari di un tempo, nel vessillo dell'Italia ci sarebbe il verde per ricordare i nostri prati, il bianco per le nostre nevi perenni ed il rosso in omaggio ai soldati che sono morti in tante travagliate guerre. Su questo tema hanno profuso rime anche poeti di fama come Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Ada Negri.... Davvero il verde dei prati, il bianco delle nevi e il rosso di un sangue versato tra le lacrime di un'intera nazione per duecento anni è la trasposizione allegorica del nostro Tricolore? E' difficile identificare chi e come ha inventato una simile leggenda romantica. Alla luce della Storia è inconcepibile che una penisola frazionata in tanti piccoli stati abbia avuto col Risorgimento la forza di unirsi per celebrare prati e nevai.... Nasce quindi il sospetto che l'ignoto cantore di tale favola 129 abbia voluto nascondere una realtà ben diversa, e molto più seria e drammatica. Verde= Il colore delle foglie. Bianco=Il colore del fiore. Rosso= Il colore del frutto. Un'altra leggenda nata intorno al tricolore è quella che associa la bandiera italiana alla pianta del corbezzolo(pianta spontanea tipica della macchia mediterranea), è un arbusto sempreverde che fiorisce in autunno insieme al frutto. L‟albero si caratterizza per i frutti rossi, i fiori bianchi e per le belle foglie sempreverdi. In epoca risorgimentale i colori della pianta divennero emblema del tricolore e dunque dell‟Unità d‟Italia. Verde= Il colore del basilico. Bianco=Il colore della mozzarella. Rosso= Il colore del pomodoro. … fantasticando sul tricolore a tavola ci viene in mente la Pizza “Margerita” e a riguardo c‟è un simpatico e noto aneddoto: la tradizione vuole che, nel 1889, in occasione della visita a Napoli degli allora sovrani d'Italia Re Umberto I e la Regina Margherita,il pizzaiolo Raffaele Esposito(il miglior pizzaiolo dell'epoca) realizzò per i sovrani una pizza che fu condita con pomodoro,mozzarella e basilico i cui colori richiamavano volutamente il tricolore italiano (Rosso, Bianco e Verde). La sovrana apprezzò così tanto quest'ultima da voler ringraziare ed elogiare il pizzaiolo per iscritto. Per tale motivo e per 130 contraccambiare Esposito diede il nome della Regina alla sua creazione culinaria, che da allora si chiama: "Pizza Margherita". 131 Portoferraio Addita alle città sorelle I volontari accorsi a difesa della patria 1848-1849 Antoni Ferdinando Alieti Achille Bettarini Mario Bigoschi Eugenio Bitossi Fausto Broghi Luigi Bracci Cesare Cammilleti Lorenzo Checchi Michele Damiani Francesco Dionigi Alessandro Diversi Andrea Fabiani Michele Foresi Gabriello Foresi Federico Foresi Cesare Foresi Ossiati Gasperi Elbano Melliti Gustavo Mazzei Giovanni Mattiozzi Michele Parrini Giuseppe Pani Jacopo Senno Pietro Senno Don Camiliolo Senno Ettore Senno Augusto 132 Traditi Antonio Traditi Giuseppe Zuccotti Domenico 1859-1860 Antoni Ferdinando Allori Fulvio Allori Natale Bertacchi Pasquale Baroni Giovanni Bandinelli Domenico Bettarini Filippo Bellosi Giuseppe Bensa Giovanni Biancotti Francesco Biancotti Paolo Boni Aldegardo Bracci Tito Bracci Pietro Calafati Paolo Calafati Sebastiano Casali Frediano Caprilli Difendente Cauei Pellegro Cestari Cesare Cinganetti Eugenio Conti Angelo Checchi Michele Del Bruno Pietro Del Bono Pasquale Diversi Zenone Diversi Luigi Diversi Lorenzo 133 Diddi Giorgio Foresi Federico Foresi Gabriello Fabiani Michele Foresi Amedeo Forni Giuseppe Frangioni Eugenio Giaconi Francesco Godi Euripide Grandotti Alessandro Guelfi Vincenzo Imparata Giuseppe Matiganaro Rodolfo Mannucci Raffaello Maranea Antonio Mazzei Giovanni Martini Pietro Martini Giovanni Mettini Pietro Mibelli Eurocle Montelatici Tebaldo Nardini Antonio Parrini Giovanni Parrini Secondo Peltroniri Antonio Radirchi Eugiulio Ratti Jacopo Sardi Napoleone Senne Candide Senne Pietro Senno Augusto Senno Ettore 134 Tesi Augusto 1866 Audifred Hdlebraudo Calafati Paolo Calafati Antonio Cauri Pellegro Cauri Ulisse Calfon Abramo Cinelli Domenico Cinganelli Angelo Cinganelli Eugenio Checchi Michele Didi Antonio Diddi Giorgio Fabiani Michele Fabiani Andrea Foresi Leonida Fusai Pasquale Giaconi Francesco Hutre Alberto Manganaro Rodolfo Mariscotti Luigi Montelateri Tebaldo Mori Emilio Ogni Giuseppe Pullè Giulio Traditi Antonio 1866 Hutre Alberto Imparata Pasquale Strina Faliero. 135 BIBLIOGRAFIA 1) Sono stati consultati diversi siti Internet alle voci delle singole isole dell’ Arcipelago e della Provincia di Livorno. 2) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi pagine della rivista “Lo Scoglio”. 3) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi pagine del foglio “Il Corriere Elbano”. 4) è stato consultato il nostro testo di Storia Vol. III 136 “La Valigia della Storia”. 5) Gin Racheli. “Le isole del ferro”Mursia 1975. 6) Aulo Gasparri. ”Lo Zibaldino” agosto 1994. 7) Gianfranco Vanagolli. ”L’Isola d’Elba nel Risorgimento. Uomini idee e percorsi”.Le Opere e i giorni MMXI. 8) AA VV.”Il monte Capanne - Un’ isola verde nell’ Elba”a cura della Comunità Montana- RS Editore. 9) Alessandro Canestrelli “Rio Marina e le miniere del ferro dell’ Elba” Felici Editore- maggio 2001 10) Amelio Fara “Portoferraio e Architettura Urbanistica dal 1862” Ed. Fondazione Agnelli 1997. 11) Alessandro Canestrelli “Storia degli Elbani dall’ Unità all’Industrializzazione - (1860-1904)” Pacini Editore Pisa. 12) Alfonso Preziosi “Fermenti patriottici religiosi e sociali all’Isola d’ Elba (1821-1921)”- Leo S. Olschki Editore - Firenze 1976. 13) Sandro Foresi “Pubblicazioni elbane -1926-1930 I° e II° Parte- Biblioteca Comunale “Foresiana”. 14) Articolo di Alfonso Preziosi-La Piaggia-1994 “L’isolotto di Palmaiola, residenza coatta del Gran Ducato di Toscana”. 15) Ivo Gentili “Scuola e Società all’Elba dal 1860 al 1900”- Belforte Grafica di Livorno nel febbraio 1988. 16) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi la rivista “L’ Isola”. 17) Luigi De Pasquali “Storia dell’Elba”-Editrice Stefanoni - Lecco 1977. 137