pericoli di - Istituto Comprensivo Portoferraio

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INDICE:
Pag.3 Foto Classe
Da pag. 5 a pag. 24: Premessa storica sulle guerre di
indipendenza che portarono all‟Unità d‟Italia
Da pag. 25 a pag.39: Fermenti patriottici all‟Elba
Da pag. 40 a pag.50: i 150 anni di Curtatone e
Montanara: il contributo elbano
Da pag. 51 a pag.83 Approfondimento dei personaggi
elbani che parteciparono alle lotte risorgimentali
Da pag.84 a pag.135 Curiosità ed approfondimenti di
vario genere
Da pag. 136 a pag.137 Bibliografia
2
3
Si avvertono i giovani lettori che molti brani riportano
integralmente documenti storici che risalgono al 1800
per cui apparirà un linguaggio sintattico ed anche
regole
grammaticali
diverse
dal
linguaggio
contemporaneo.
Per
scaricare
il
libro
andare
sul
sito:
www.comprensivoportoferraio.it
4
Premessa storica sulle guerre di Indipendenza
che portarono all' unità d'Italia
Ciò
che
leggerete
ora
vuol
essere
un
breve
escursus
temporale dei principali avvenimenti che porteranno,come dice
il
titolo,all'unità
d'Italia.Ciò
dovrebbe
facilitare
a
comprendere e inquadrare meglio gli approfondimento storici
e
letterari
legati
più
precisamente
alla
Toscana
e,in
particolare,all'isola d'Elba che saranno frutto delle ricerche
da noi svolte nel nostro triennio scolastico all'Istituto
Comprensivo di Portoferraio.
1814
Sappiamo che questa data precede di ben trent'anni l'inizio
delle Guerre di Indipendenza in Italia,ma è comunque una
data fondamentale per capire tutto ciò che in seguito
avverrà sia all'Isola d'Elba che in tutta Italia.Per quanto
riguarda l'Elba,durante l'impero francese,faceva parte del
regno d'Italia guidato dallo stesso Napoleone e quando,nel
Marzo del 1814, dovette abdicare ottenne dai suoi nemici la
possibilità di ritirarsi nella nostra isola. Il suo esilio fu
breve,ma intenso portando cambiamenti significativi in tutti i
settori,da quello economico a quelli politici e sociali,mettendo
in pratica il suo Codice Civile. Esso avrà sicuramente
vivacizzato il modo intellettuale in un luogo così piccolo con
forti diatribe fra chi lo sosteneva e chi vedeva Napoleone
5
come
un
dittatore
e
chi,nel
mondo
clericale,vedeva
in
particolare nel Codice Civile una limitazione dell'autorità della
Chiesa. Ciò potrebbe spiegare,almeno in parte, la vivace
partecipazione
elbana
alla
storia
risorgimentale.
Più
in
generale in Italia il 1814 sarà anche la data del congresso di
Vienna dove si riuniranno i paesi vincitori di Bonaparte e dove
prevalse la dottrina dell‟ assolutismo che sanciva come Dio
avesse affidato ai sovrani il compito di esercitare i comando
e che non esistevano più cittadini,titolari di diritti,ma sudditi
i quali avevano il dovere di obbedire docilmente ai propri
regnanti
spegnendo
e
l'Italia
con
ne
la
uscirà
particolarmente
forza
ogni
colpita
ideale
di
unità,nazione,indipendenza e la speranza di ottenere delle
costituzioni minimamente democratiche.
1820
In
tutta
Europa
si
crearono
tre
principali
movimenti:i
reazionari,sostenitori della dottrina dell'assolutismo e della
necessità di un alleanza fra "il trono e l'altare"; i liberali,
contrari
all'assolutismo,
favorevoli
alla
creazione
di
costituzioni che esprimessero gli interessi e i valori in
particolare del ceto borghese ed infine i democratici che
vogliono esprimere la volontà della maggioranza del popolo
chiedendo,oltre ad una costituzione,anche un parlamento
eletto da un suffragio universale,la repubblica e un sistema
basato sull'eguaglianza sociale. Più specificamente,in questi
anni,le insurrezioni vertevano sulla richiesta di mettere fine
all'assolutismo e sul desiderio di ottenere una costituzione.
6
Per questo motivo esse avvennero anche in Stati già unificati
come in Spagna e in Russia con nessun risultato. Solo in
Grecia si lottò per l'indipendenza dall'Impero Ottomano e
con l'aiuto di Inghilterra,Francia e Russia riuscirono ad
ottenerla.
In
concentrarono
Italia
a
le
rivolte
Napoli,Palermo
per
e
la
costituzione
Piemonte,ma
si
con
l'intervento decisivo della Santa Alleanza (nata durante il
Congresso di Vienna tra Russia, Austria e Prussia appunto
per reprimere ogni sommossa in Europa contro l'assolutismo)
furono ben presto soffocate.
1830
Questo decennio sembra ricalcare le vicende del 1820
soprattutto per quanto riguarda la Polonia e l'Italia (in
particolare il Ducato di Modena e quello di Parma) dove le
rivolte,ancora una volta furono represse dalle truppe della
Santa Alleanza. Risultati positivi si ebbero solo in Francia
(dove si ottenne una monarchia parlamentare che toglieva
molto potere al Re), in Belgio (che riuscì a liberarsi dal
controllo dell'Olanda riuscendo a farsi riconoscere come
Stato Indipendente) e in Inghilterra (dove ci fu una riforma
elettorale che dava al 5% della popolazione il diritto al voto
per
cui
questo
paese
era,fra
quelli
europei,quello
con
suffragio più alto).
1848
Fra il 1846 e il 1847 si erano succedute due annate di
cattivi raccolti e la produzione delle industrie ebbe un
7
rallentamento; ciò può spiegare ,almeno in parte, il motivo
per cui nel 1848 scoppiarono contemporaneamente molte
rivolte se non, addirittura,rivoluzioni . Facciamo un piccolo
elenco:
in Francia nasce la Seconda Repubblica (la prima era
terminata nel 1804), nella stessa Vienna si chiese la fine
dell'assolutismo e l'Imperatore Ferdinando I
8
Ferdinando I
fu costretto ad abbandonare la capitale, Praga lottò per
avere più autonomia da Vienna mentre a Budapest erano
decisi
ad
ottenere
la
piena
indipendenza
dall'impero
austriaco. Anche Berlino lottò contro l'assolutismo e per
unificare i 39 Stati in un'unica nazione tedesca. Ancora una
volta la Santa Alleanza e in particolare l'Austria riuscì a
reprimere rapidamente queste rivoluzioni, ma è innegabile che
questa data segna anche la fine di ciò che restava di feudale
soprattutto nei riquadri dei contadini fatta eccezione della
Russia.
La Prima Guerra di Indipendenza in Italia
(1848-1849)
Tutto nasce,come nelle altre città europee, da singole rivolte
vedi Venezia dove fu proclamata la nascita di una repubblica
indipendente o a Milano dove avvennero le famose " Cinque
Giornate" (18-22 Marzo 1848) con a capo i democratici che
riuscirono a scacciare dalla città le truppe austriache del
maresciallo Radetzky. In seguito intervennero anche i liberali
ed infine il re sabaudo Carlo Alberto
9
Carlo Alberto
che dichiarò guerra all' Austria dando appunto inizio alla
Prima Guerra di Indipendenza. E' difficile affermare che il
re si fosse imbarcato in questa ardua impresa pensando agli
ideali di unità e indipendenza dell' Italia intera oppure fosse
intervenuto semplicemente per ampliare ad est il suo regno e
tenere sotto controllo i democratici che erano, in fondo, i
veri
protagonisti
di
questa
lotta.
Comunque
un
certo
sentimento "libertario" si espresse con la costituzione da lui
emanata nel 1848 passata alla storia come " Statuto
Albertino".
L'inizio
della
guerra
sembrò
favorire
il
re
sabaudo tanto è che gli Austriaci si dovettero ritirare nelle
quattro fortezze di Mantova, Legnano,Peschiera e Verona
,ma, una volta arrivati i rinforzi da Vienna, l'esercito
Piemontese fu sbaragliato a Custoza. Carlo Alberto firmò
l'armistizio,
ma
nel
frattempo,
all'inizio
del
1849,
i
democratici si impossessarono del Gran Ducato di Toscana e
Leopoldo II lasciò Firenze ; contemporaneamente a Roma fu
proclamata la repubblica con a capo i mazziniani e Pio IX
10
Pio IX
dovette fuggire. Forse anche per questo Carlo Alberto
decise
di
rifiutare
durerà
solo
tre
l‟armistizio,
giorni.
Il
23
ma
l'avventura
Marzo
1849
militare
l'esercito
piemontese viene battuto a Novara. Il re abdicò e lasciò il
trono a suo figlio Vittorio Emanuele II che trattò la pace
con gli austriaci. Con l'estate del 1849 l'Austria riconquistò
il controllo della Penisola e di tutti gli Stati italiani e,ad
eccezione,del Regno di Sardegna,le costituzioni concesse nel
1848
furono
tutte
revocate.
I
singoli
Stati
italiani
dimostrarono
così
che,singolarmente
dall'esterno,non
avrebbero
mai
e
senza
avuto
la
un
aiuto
meglio
sull'assolutismo asburgico.
1852-1858
Questa convinzione era ben radicata in Camillo Benso conte
di Cavour nominato dal re Vittorio Emanuele II
Emanuele II
11
nel 1852 come primo ministro. Oltre a mirare a far
riconoscere internazionalmente il regno e quindi trovare le
giuste alleanze,resta comunque la convinzione che i Savoia
dovessero mettersi alla testa del movimento nazionale per
impedire
che
l'iniziativa.
i
democratici
Questi
ultimi
-
repubblicani
tentarono
più
prendessero
volte,negli
anni
cinquanta,di realizzare il proprio programma, ma subirono
amare sconfitte di cui ricordiamo una per tutte:la spedizione
di Sapri capeggiata da Carlo Pisacane;braccato dai militari
borbonici e addirittura da un gruppo di contadini plagiati,si
uccise pur di non essere catturato .Intanto Cavour continua
la sua politica estera che lo porterà a mandare delle truppe
a combattere nella Guerra di Crimea al fianco dell'esercito
franco-inglese. E' ovvio che il Regno sabaudo non aveva alcun
interesse diretto a partecipare a questa guerra,ma la nostra
partecipazione permise al Primo Ministro di poter parlare
durante il Congresso di Pace a Parigi ,esporre la situazione
italiana
e far capire come un'Italia Unita avrebbe potuto
fare da contrappeso all'impero austriaco,fatto certo ben
voluto dagli anglo-francesi. Nel 1858 Cavour raggiunge il
proprio
obiettivo:
stringere
un'alleanza
segreta
con
l'imperatore Napoleone III (accordo di Plombieres). Nel caso
in cui gli austriaci avessero attaccato per primi il Piemonte,
la Francia si sarebbe mossa in suo soccorso. Essa però non si
accontentava di avere in cambio i territori di Nizza e Savoia
e nemmeno desiderava, strategicamente,un'Italia veramente
unita per cui costrinse Cavour
Cavour
ad accettare una "sistemazione" dell'Italia divisa in tre
regni:uno al Nord affidato ai Savoia e il centro
e il sud
destinati a parenti dell'imperatore francese mentre il Papa
avrebbe conservato Roma e,
più o meno, il territorio
12
comprendente il Lazio, ma soprattutto la presidenza della
confederazione dei tre regni.
La seconda Guerra di Indipendenza
(1859-1861)
Fu, per Vittorio Emanuele II, abbastanza semplice portare
gli austriaci ad attaccare per primi ordinando alle truppe di
fare manovre militari proprio ai confini con la Lombardia.
L'Imperatore austriaco Francesco Giuseppe
Francesco Giuseppe
chiese
che
queste
manovre
fossero
immediatamente
interrotte,il re sabaudo rifiutò e così ebbe inizio la Seconda
Guerra di Indipendenza (1859) questa volta con l‟ apporto
decisivo dei Francesi e una colonna di volontari garibaldini,i
così detti Cacciatori delle Alpi. Le vicende militari furono
subito
a
mesi,senza
favore
dei
consultare
Piemontesi,ma
gli
nel
giro
Alleati,Napoleone
di
pochi
III
firmò
l'armistizio di Villafranca con gli Austriaci,ottenendo in
cambio la Lombardia che fu così annessa al Regno di
Sardegna.Teoricamente sarebbe così terminata la Guerra di
Indipendenza e il comportamento di Napoleone III era ben
13
plausibile e i motivi erano essenzialmente due. Il primo era
che la popolazione del Gran Ducato di Toscana,il Ducato di
Mantova e le Legazioni pontificie si ribellarono,scacciarono i
rispettivi
regnanti
e
nel
1860,con
dei
plebisciti,la
maggioranza del popolo accettò di entrare a far parte del
Regno di Sardegna e così,senza colpo ferire, metà dell'Italia
era sotto lo scettro dei Savoia.Il secondo motivo era, per
Napoleone,ma
anche
per
il
resto
dei
regnanti
d'Europa,ancora più pericoloso:entrarono di nuovo in scena i
democratici ed alcuni ex-mazziniani
Mazzini
notoriamente contrari alla monarchia e che decisero di
provocare una ribellione anche nel Sud Italia che era sotto i
Borboni e, per di più, diedero a Garibaldi,
Garibaldi
14
fervente repubblicano con simpatie socialistiche,il compito di
capitanare una spedizione in Sicilia. Garibaldi rispose
all'appello e radunò attorno a sé alcune centinaia di patrioti,i
cosiddetti Mille. Salpò da Quarto, presso Genova,e nel giro
di due mesi conquistò la Sicilia con l'aiuto degli stessi
siciliani. Durante questi avvenimenti l'azione garibaldina fu
macchiata da un'incresciosa tragedia che insieme ad altri
fatti che seguirono,ha messo in discussione fra gli storici se
con l'ultimo atto di Roma Capitale d'Italia (1871),si può
parlare veramente di una unità sociale,politica e culturale
dell'Italia o semplicemente di un‟unità territoriale. A Bronte,
Bronte
ancora in Sicilia, i contadini liberati insorsero contro i
proprietari terrieri e Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi,
per paura di inimicarsi gli strati più elevati della società
siciliana, fece fucilare i contadini rivoltosi. Nel frattempo
l'eroe dei Due Mondi nel giro di un mese giunse a Napoli
trionfalmente. A questo punto l'Italia, fatta eccezione di
Roma, era territorialmente unita, ma politicamente divisa: il
Nord sotto il controllo monarchico di Vittorio Emanuele II e
il Sud invece nelle mani dei personaggi più illustri dello
schieramento democratico; si rischiava una guerra fra
italiani. Cavour ne era consapevole e convinse Napoleone III
15
che fosse necessario un intervento piemontese al Sud perché
c'era il pericolo che Garibaldi puntasse su Roma. L'esercito
sabaudo,dopo aver conquistato le Marche e l'Umbria,si
incontrò con quello garibaldino e così avvenne, nell'Ottobre
del 1860 a Teano, vicino a Caserta e l'eroe dei Due Mondi
consegnò al Re
Garibaldi
16
i propri poteri e sciolse le sue truppe. Il 17 Marzo 1861
Vittorio Emanuele II fu proclamato re d'Italia del primo
Parlamento Nazionale riunito a Torino.
La Terza Guerra di indipendenza
(1866-1871)
A questo punto mancavano all'Italia il Lazio,il Veneto,il
Trentino e la Venezia-Giulia. Il regno d'Italia si alleò con la
Prussia contro l'Austria e, nonostante amare sconfitte,
grazie alle vittorie prussiane, nel 1866 ottenne il Veneto.
Per quanto riguarda il Trentino e la Venezia Giulia bisognerà
aspettare la fine della I Guerra Mondiale per annetterle
.Rimaneva il Lazio e quindi Roma con il Papa Pio IX
fortemente difeso da Napoleone III e infatti ogni tentativo
da parte di Garibaldi di conquistarla fu inutile. Ancora una
volta furono fattori internazionali a rendere facile l'avanzata
dell'esercito italiano nel Lazio e proclamare Roma capitale
dell'Italia (1871). Infatti la Prussia aveva dichiarato guerra
alla Francia, sconfiggendola e, per di più, il popolo francese
non comprendeva perché usare soldi e vite umane in difesa di
un
popolo
straniero
per
cui
Napoleone
III
uscì
definitivamente dalle vicende della guerra risorgimentale
italiana.
Problematiche rimaste ancora oggi
in sospeso fra gli storici riguardanti
la lotta risorgimentale italiana
La problematica forse fondamentale e certamente di grande
attualità è la questione meridionale.
In poche parole l'Italia, unita territorialmente, era
profondamente spezzata in due fra Nord e Sud d'Italia se
non addirittura in tre fra Nord, Centro e Sud Italia. Le
motivazioni a favore di questa tesi sono molteplici:
A)
La lingua italiana
17
Scuola dell'Ottocento
era conosciuta da non più di 600.000 persone che, per di
più, parlavano normalmente,come gli altri,il proprio dialetto.
Lo stesso re d'Italia parlava abitualmente in piemontese o in
francese.
B) L'amministrazione delle varie regioni avveniva con un
sistema centralistico e in ogni provincia fu mandato un
prefetto che rappresentava il re mentre gli stessi sindaci
della città erano nominati dal re. Ogni problematica di tipo
economico,sociale,politico e culturale delle singole regioni era
completamente ignorato o, per meglio dire, ogni sforzo
economico fu concentrato al Nord Italia dove nacque e si
concentrò la nascente industria.
C) Le vie di comunicazioni,come le industrie,si svilupparono
essenzialmente nel centro-nord.
D) Per i ceti sociali più poveri (i contadini) che non vivevano
nei centri urbani (ancora una volta concentrati nel centronord) l'unità d'Italia aveva portato soprattutto più tasse da
pagare e il servizio militare obbligatorio.
E) Fra il 1861 e il 1865 nel sud Italia ci fu un vero stato di
guerra che il governo centrale fece passare come un semplice
fenomeno delinquenziale
tanto è che prese il nome di
"brigantaggio"
18
brigantaggio
In effetti queste "bande" erano costituite da una parte da
ufficiali dell'ex esercito borbonico finanziati appunto dai
Borboni che volevano ripristinare il loro regno al sud, ma
soprattutto da contadini che continuavano ad essere trattati
come schiavi nei latifondi rimasti così com'erano da prima
dell'Unità e che chiedevano una vita migliore e terre da
coltivare. Che il fenomeno non fosse marginale è dimostrato
da due fatti: Roma dovette mandare 120.000 soldati per
reprimere nel sangue la rivolta e i morti furono più numerosi
che quelli, sommati, nelle tre guerre di Indipendenza.
F) Poiché le cariche sia governative sia amministrative che
dell'esercito erano ricoperte da uomini politici piemontesi o
comunque settentrionali, si accentuò questo disinteresse per
il sud non solo impedendo uno sviluppo industriale,
commerciale e nelle vie di comunicazioni, ma addirittura
boicottando ciò che di buono si era costruito nel periodo
borbonico (nonostante la corruzione che caratterizzava
questo regno). Napoli,ad esempio,non aveva nulla da invidiare
alle altre città europee non solo per la sua bellezza,ma per
le capacità di creare ricchezza economica anche a livello
industriale. Stando così le cose,nel giovane parlamento
italiano serpeggiava un forte razzismo che portò un
parlamentare,di cui non diremo il nome per senso del pudore,
a dividere gli italiani in "nordici e sudici" e lo stesso Giolitti,
19
Giolitti
uno dei più grandi statisi che abbia avuto l'Italia,non fu
famoso,in senso negativo, solo come "doppio giochista" nei
riguardi della classe operaia del nord e la sua borghesia
industriale,ma anche per aver completamente ignorato il Sud
nel suo programma economico per rendere l'Italia un paese
progredito come il resto degli Stati europei del Nord.
G)Per tutte queste regioni possiamo anche azzardare il
paragone fra il Regno Italiano e l'Impero Romano che
vedevano nel sud "il granaio d'Italia",nulla facendo per
eliminare il latifondismo di tipo feudale che si imponeva allora
sui contadini trattati come servi della gleba le cui fatiche
non gli fruttarono né benessere né proprietà e il prodotto
della terra annaffiato dei loro sudori non sarà mai loro. Non
per nulla alcuni storici fanno risalire a questa situazione
anche la nascita del fenomeno mafioso.
H) Lasciamo per ultima la questione, per noi più
grave:l'istruzione. Abbiamo già accennato al primo punto la
problematica della lingua italiana parlata solo da 600.000
persone e, in effetti, gli stessi insegnanti delle zone rurali
del nord parlavano in dialetto ai loro alunni,ma almeno al
Nord un certo numero di scuole esistevano (nel 1861 la legge
20
Casati
Casati rendeva obbligatoria e gratuita la scuola elementare e
ciò fu riconfermato dalla legge Coppino approvata dal governo
della Sinistra almeno da 6 ai 9 anni). La maggioranza dei
genitori del Sud non ubbidì a questo ordine sia perché i
bambini rappresentavano, già a quell'età, forza lavoro sia
perché mancavano materialmente gli edifici scolastici sia
perché mancavano gli stessi insegnanti (pochissimi erano i
diplomati)che per di più svolgevano un doppio lavoro per
sopperire agli stipendi da fame "elargiti" dallo Stato.
Concludendo questo sintetico excursus sulla questione
meridionale,c'è da riflettere che,anche se sotto forme
diverse,le problematiche elencate sussistono tuttora e ciò
non può che rendere ancora più di attualità la necessità di
ricordare questo anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia
non per dividere,ma per unire il popolo italiano. Ovviamente
esistono altri numerosi spunti di discussione su questo
momento storico, ma noi ci limiteremmo solo ad esporre un
secondo: la questione del rapporto fra Chiesa e Stato. Lo
stesso Cavour aveva cercato,qualche mese prima di morire,di
raggiungere un'intesa con il Pontefice e comunque il suo
progetto era riassunto nella formula: <<Libera Chiesa in
Libero Stato>>.In pratica il Papa avrebbe dovuto rinunciare
al potere temporale per occuparsi esclusivamente della cura
delle anime dei fedeli in piena libertà all'interno dello Stato
21
italiano. Pio IX rispose negando la legittimità al Regno
d'Italia e scomunicando lo stesso Vittorio Emanuele,
condannando i principi del liberalismo, della democrazia e del
socialismo, affermando di essere prigioniero all'interno dei
propri palazzi vaticani e dichiarando non opportuno ai
cattolici prendere parte come elettori o candidati alle
elezioni del Parlamento. Si arrivò al paradosso che del 2%
che avevano diritto al voto,solo il 1% osò farlo. Solo alla
fine dell'Ottocento Papa Leone XIII
Papa Leone XIII
con la “Rerum Novarum” permise ai cattolici una
partecipazione più attiva alla vita politica. Sarà però con il
fascismo che "migliorarono" i rapporti fra Chiesa e Stato,ma
non per favorire,come pensava Cavour,una divisione dei poteri
bensì ad una politica di complicità. Mussolini ricercava il
massimo consenso nel mondo cattolico che andava dai ceti più
bassi (i contadini) alla borghesia agiata. Si arrivò così alla
firma dei Patti Lateranensi fra Chiesa (Pio XI) e Stato (
Partito Nazionale Fascista) dove si affermava la sovranità
del pontefice sulla Città del Vaticano, ma soprattutto il
cattolicesimo venne considerato religione di Stato. In oltre al
matrimonio religioso venne attribuita validità civile, fu
22
assicurata
e
finanziata
l'autonomia
dell'Associazione
Cattolica e stipendiati i preti che fungevano anche da
funzionari statali. Al Papa non restò che affermare come la
venuta di Mussolini
Mussolini
"fosse una grazia di Dio"; senza approfondire il ruolo della
Chiesa nella politica italiana fino ai tempi d'oggi,rimane
comunque di attualità la questione della laicità dello Stato
sancita anche dagli articoli della Costituzione. Un dibattito a
riguardo, sempre sul tema dell'anniversario risorgimentale,
appare ai nostri occhi di grande attualità. Ma tutto questo è
in fondo una semplice e sintetica esposizione degli
avvenimenti principali del Nostro Risorgimento con alla fine
una breve riflessione su ciò che di attuale c'è nelle
conseguenze che esso ha comportato. Quello che invece
seguirà è il tentativo,voluto dai nostri docenti,di metterci
dalla parte degli "investigatori" cioè degli storici andando a
frugare nei documenti che internet, riviste locali e libri della
nostra ricca biblioteca comunale ci possono offrire insieme a
specialisti del settore che abbiamo nella nostra isola per
capire
come
l'Elba
partecipò,
direttamente
e/o
indirettamente, a questo importante momento storico.
23
24
La classe ha costruito con il cartoncino delle simulazioni di
battaglie risorgimentali (ne troverete altre nelle pagine
successive).
Fermenti patriottici all‟Elba
Sulle votazioni di annessione dell‟ Elba al Piemonte
Archivio di stato di Firenze , Rapporti di governo 1859,
busta n. 2687, ins. 55.
Rapporto del 22 agosto 1859
La
notizia
del
voto
pronunziato
dell‟
Assemblea
dei
rappresentanti Toscani al Piemonte sotto lo scettro di
Vittorio Emanuele giunse ieri sera dopo le ore cinque per
mezzo di un bastimento proveniente da Livorno latore di un
dispaccio telegrafico pubblicato
in quella città e diretto al
mezzano portoferraiese sig. Cesare Mori, che subito lo rese
di pubblica ragione.
Esultarono tutti i cittadini a sì lieta novella.
Una quantità di ragazzi dell‟ infimo volgo, con bandierine
tricolori, si dette a percorrere le strade
urlando a gola
spiegata <<Viva Vittorio Emanuele ! Viva l‟ Italia >>. Intanto
interprete del desiderio di molti, questo sig. Gonfaloniere
dott. Fabio Squarci chiede il permesso di ordinare una
dimostrazione di gioia popolare.
Il
sig.
Governatore
rifiutava
nettamente
di
dare
una
autorizzazione che sapeva non essere in sua facoltà dare, e
solo non si opponeva a che la banda musicale cittadina
25
eseguisse
sulla
piazza
qualche
espressamente che si recasse
sinfonia,
sotto le finestre
proibendo
di alcuna
autorità né di alcun console.
La frotta dei ragazzi schiamazzatori, seguendo il consiglio di
alcuni cittadini
aveva desistito dall‟ urli
inopportune: le finestre di quasi
illuminate:
e dalle grida
tutte le case erano state
la banda civica cominciava dal suonare in piazza
così detta
Lunga
degl‟ inni e delle marce interrotta di
quando in quando da acclamazioni entusiastiche all‟ Italia e al
Re nostro. Tutto era passato tranquillamente
banda aveva cominciato
quando la
a percorrere la città seguita e
preceduta da moltissimi paesani e militari, le grida di gioia si
cambiarono dapprima in fischi quando passavano dinanzi a
qualche casa non illuminata; ed in seguito nella via del
Carmine e a Porta a Terra, oltre qualche grido di << Morte
al Generale Ferrari, Morte ai Codini >>, si gettarono sassate
contro le finestre ove non splendessero lumi rompendo
moltissimi cristalli (n. 53 circa) e danneggiando così dei
poveri braccianti abitanti di quelle case.
Sorpreso
nell‟atto
di
gettare
una
pietra
il
giovinetto
dodicenne Giovanni Pappuccio fu arrestato dal sig. dott.
Grandolfi, consegnato al distretto di Carabinieri del Pretorio
esaminato dallo scrivente e ritenuto in sequestro, fino alle
ore 11 pomeridiane.
L‟ufficio
accennato
va
assumendo
per
procedere
minute
come
informazioni
di
giustizia.
sul
fatto
È
stato
26
consegnato
in
carcere
di
custodia
il
giovane
vent‟enne
Giovanni Fabiani, e si proseguono attivamente le indagini più
diligenti.
Lo scopo ultimo della nostra ricerca è quello di conoscere in
modo abbastanza approfondito alcuni dei personaggi elbani
che hanno dato un loro contributo all‟ Unita d‟ Italia.
Essendo però questo testo dedicato ai ragazzi della nostra
età, riteniamo necessario, dopo aver fatto una cronologia
delle vicende risorgimentali in Italia, anche un breve discorso
degli avvenimenti più importanti nella nostra isola in questo
periodo.
Se
dovessimo
tenere
geograficamente
un‟
conto
isola,
che
che
il
nostro
la
popolazione era analfabeta e svolgeva
solitamente
territorio
maggioranza
è
della
lavori molto umili,
in modo isolato (contadini e pescatori) o a
cottimo e all‟ estremo delle possibilità umane (nelle saline o
nelle miniere a cielo aperto), dovremmo dedurre che l‟ Elba
doveva essere rimasta al di fuori delle vicende politiche
nazionali. Invece, come vedremo, avverrà tutto il contrario.
Le motivazioni possono essere più di una: l‟ Elba si trovava in
una posizione strategica per raggiungere punti nevralgici della
lotta risorgimentale
(la Liguria mazziniana, il Piemonte
centro di tutte le guerre di Indipendenza, la Corsica dove
ancora non erano sopiti i principi della rivoluzione francese, il
Lazio è in particolare la futura capitale d‟ Italia Roma o
anche la “ Piccola” città di Livorno dove vi furono momenti
rivoluzionari anche con il contributo elbano ) quasi tutte le
27
isole dell‟Arcipelago toscano erano (e rimasero anche dopo
l‟unità d‟ Italia) un centro penitenziario che ospitò anche
illustri uomini appartenenti alle diverse opinioni politiche
(democratici, mazziniani, liberali ecc..) che,pur stando in
prigione,ebbero
contatti
significativi
con
la
popolazione
elbana. Una altro aspetto particolare sono i movimenti
religiosi
di
diversa
fede
cha
attechirono
in
modo
significativo fra i nostri contadini e che predicavano principali
liberatori. Quattro preti della chiesa cattolica erano pur essi
controllati dalla polizia del Gran Ducato e ritenuti pericolosi
come possibili capipopolo.
La
borghesia
non
era
numerosa
e
rappresentata
dai
proprietari delle saline, terreni agricoli o avevano ruoli sociali
allora importanti come farmacisti, avvocato, insegnanti,etc..
La gran maggioranza di essi, pur con idee politiche molto
diversificate,
si
schierarono
risorgimentali e lo stesso
a
favore
delle
lotte
“popolino” in più di una occasione
partecipò a manifestare nelle piazze. È bene ricordare,
prima di iniziare le vicende storiche, che per l‟Elba i momenti
più importanti e quindi coinvolgenti saranno il 1848 e il 1859.
Cercheremo quindi di essere più coincisi possibile per i
periodi che precedono o seguono queste date. Dopo la fuga di
Napoleone dall‟Elba ci fu un breve interregno sempre sotto
la Francia
con governatore il barone Dalesm
ben accolto
dalla popolazione. Con il congresso di Vienna però tornò il
principio della restaurazione e quindi si instaurò il Granduca
Ferdinando II che non nascondeva certa l‟ ira verso la nostra
28
popolazione per l‟ accoglienza benevole data all‟usurpatore
Napoleone. In quel momento la popolazione era di 13.000
abitanti
e
la
situazione
economico-culturale
era
quella
descritta precedentemente. Unica novità che suscitò un certo
interesse fu l‟arrivo nel 1816 del primo battello a vapore
nella rada di Portoferraio che può segnare simbolicamente
l‟inizio del declino della flotta velica elbana che contava
allora 156 velieri. Nel 1821 va ricordato l‟arrivo di Carlo
Alberto, allora principe di Carignano, che a causa dei moti in
Piemonte si era allontanato da essa. Per ricordare il suo
breve soggiorno fu dato alla via del palazzo in cui s‟aggiornò
il suo nome ma ben presto tornò quel precedente di via del
Carmine.
Dal
settembre
al
novembre
1833
Francesco
Domenico Guerrazzi (di cui parleremo in modo più diffuso nel
capitolo dedicato ai personaggi), noto patriota livornese, fu
rinchiuso nel Forte Stella dove scrisse “l‟Assedio di Firenze”.
A livello economico va riscontrato lo sviluppo del commercio
del sale raccolto in vari territori di Portoferraio di proprietà
della famiglia Hutre , di origine francese, e trasportati dai
velieri elbani. Storicamente è curioso il fatto che il Gran
Ducato di Toscana permise di fregiare la bandiera toscana
con le api napoleoniche in numero di cinque quanti erano i
comuni marinari elbani.
Si giunse quindi al 1848: l‟anno dei primi moti e battaglie
risorgimentali. Già da gennaio torna nelle carceri di Forte
Stella l‟avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed in questa
occasione scrisse “la Predica de Venerdì Santo” per poi
29
ottenere
la
libertà
a
fine
marzo
.
Nel
febbraio
la
popolazione di Portoferraio si muove ponendo a dimora, nella
piazza d‟armi, l‟albero della libertà (simbolo della rivoluzione
francese).
Alcuni
giorni
dopo
Raffaello
Foresi,
Emilio
Grandolfi e Cesare Senno (anche in questo caso ne parleremo
in modo più diffuso nel prossimo capitolo) fuggono dall‟isola
per raggiungere Civitavecchia ed arruolarsi con gli insorti
combattenti per la libertà. Gli elbani furono rappresentati in
modo significativo alla battaglia di Curtatone e Montanara
del 29 marzo 1848. Nel capitolo sui personaggi significativi
parleremo in modo più diffuso dell‟apporto dato in particolare
dal Generale Conte Cesare De Laugier, dal cadetto elbano
Stanislao Gasperi ed altre figure.
30
Il 2 settembre 1849 Giuseppe Garibaldi sostò a Cavo ed una
lapide ricorda questo avvenimento.
Nel 1851 il principe Anatolio Demidof, imparentato con la
famiglia
di
Napoleone,
acquistò
dagli
eredi
diretti
dell‟Imperatore la tenuta di San Martino e raccolse i cimeli
dell‟epoca in un edificio in stile dorico con porfido quarzifero
giallo dell‟Elba, lasciando intatta l‟abitazione dell‟Imperatore.
Il museo fu terminato nel 1856 con raccolta di libri, stampe,
quadri, gioielli ed altro. Purtroppo il suo erede vendette
quasi tutto questo materiale storico in continente.
Al di là degli aneddoti come questi, bisogna comunque dire
che fra il 1849 ed il 1859 l‟Elba ebbe dalla polizia del Gran
Ducato una stretta sorveglianza su tutti gli individui sospetti,
vigilandone
attentamente
le
mosse.
Forte
Falcone
a
Portoferraio, Pianosa ed addirittura l‟isolotto di Palmaiola e
quella di Montecristo divennero “prigioni” per detenuti politici
(sull‟isolotto di Palmaiola faremo un approfondimento nel
capitolo III). Già a fine 1849 il Governatore dell‟Elba
riferiva della presenza, in particolare fra la “classe colta” di
repubblicani,
minoranza
socialisti,
di
monarchico-costituzionali
“assolutisti”
probabilmente
ed
una
anarchici.
Ovviamente si facevano anche nomi come il dott. Gandolfi e
Gemelli, Ninetto Foresi, certo Strina detto conte Mezzetta,
Audifrè, Bellini e Lupi padroni di bastimento, il maestro di
scuola Angelo Foresi, Cesare Senno, il prete Cerboni, il dott.
Papuccio, il custode della cancelleria Perini (poi suicidatosi) e
Gonfalonieri Mibelli.
Si precisava poi che codesti “rivoltosi”si riunivano ogni sera
nella caffetteria “Il Giglio” in piazza d‟Arme osando cantare
inni patriottici passandosi bollettini giunti da Livorno contro il
Gran Ducato.
In altri documenti si ripeteranno questi nomi ed altri come lo
speziale
dell‟ospedale
militare
Sg
Pazzaglia,
l‟architetto
Arrighi, il caporale di sanità, Vincenzo Allori, padrone di
bastimento,
l‟orefice
Ceccarelli
detto
“Baccalaretto”.
A
questi si aggiunsero Domenico Papuccio e Giovanni Zelmi,
copista di cancelleria, Cesare …., Ferdinando Strina tutti
domiciliati a Portoferraio.
31
In particolare si parla dell‟arrivo dei ribelli livornesi guidati
da
Petracchi
sull‟isola,
essendo
stati
male
informati
dall‟arrivo costì del Gran Duca. Comunque in quell‟occasione i
livornesi insieme agli elbani si impadronirono del Forte
Falcone e venne nuovamente eretto l‟albero della libertà in
piazza d‟Armi.
Tito Battaglia, il dott. Domenico Papuccio, Giuseppe Foresi,
Leopoldo Cei, Cristino Damiani, Vincenzo Allori, N.Bellini, il
fornaio “Baccalaretto”, Omero Corsi, Pasquale Capecchio,
Angiolo e Vincenzo Foresi furono individuati come i capi della
rivolta, ma furono avvisati in tempo da qualche impiegato
degli uffici governativi e riuscirono a fuggire in tempo su un
bastimento diretto in Corsica. Con ulteriori controlli ed
indagini vennero individuati nuovi ribelli ed arrestati per
particolare
pericolosità
Enea
Pazzaglia,
l‟avv.
Filippo
Pellegrini ed il dott. Giovanni Damiani che vennero rinchiusi a
Forte Falcone mentre venne esentato dalla prigionia Don
Alessandro e comunque ravvisata la necessità di avvertire il
suo superiore ecclesiastico della sua riprovevole condotta.
Bastavano
futili
motivi
per
essere
segnalati
come
“rivoluzionari”dalla polizia come il barbiere Gioacchino Bianchi
per essere andato a salutare il Guerrazzi quando si trovava a
Firenze.
A luglio furono arrestati “noti perturbatori marcianesi” il
prete
Domenico
Sardi,
Lorenzo
Mannucci,
Vincenzo
Tagliaferro, Marco Bianchi e Anselmo Tancredi mentre riesce
32
a
fuggire
all‟arresto
Ferdinando
Lacchini
di
Capoliveri
recandosi in continente. Giovanni Mibelli che era andato con
altri elbani in volontario esilio tenta il ritorno all‟Elba, ma,
appena giunto, viene arrestato. Pochi giorni dopo lo imitano
Ulisse e Cesare Foresi con Cesare Audiffred i quali vengono
trasferiti in domicilio coatto a Pianosa, ma il Ministero
ritiene la scelta troppo poco punitiva e, quando torneranno
anche Grandolfi, Senno e Raffaello Foresi verranno subito
imprigionati presso il Forte Falcone. Iniziarono quindi i
processi, ma le pene risultarono leggere(un mese) ed in alcuni
casi furono assolti non potendo dimostrare alcuna reale colpa
se non quella di avere idee repubblicane (vedi Cesare Senno)
ed anche Cesare Audiffred ed Ulisse Foresi fanno ritorno da
Pianosa. La preoccupazione del governo si indirizzò quindi
verso i numerosi padroni e marinai addetti alla marineria
elbana sospettati di portare da Genova, Civitavecchia e
Corsica opuscoli e giornali clandestini.
I sospettati erano
ben 47, quasi tutti elbani e nel gruppo furono messi anche
quattro sacerdoti: Don Fabio Cerboni e Don Giuseppe Damiani
di Portoferraio, Don Alessandro Damiani di Rio Marina e Don
Domenico Sardi di Marciana Marina non dimenticando il prete
Cerboni che per i fatti del 1848 fu punito dalle stesse
autorità vescovili. Il numero dei sospettati ed arrestati,
anche se per breve periodo, si ingrossava col tempo, era
costituito
soprattutto
da
medici,
avvocati,
maestri,
possidenti, commercianti cioè membri della media borghesia
anche se non mancava qualche raro artigiano: due legnaioli,
33
un sarto, un orefice ed i sopracitati sacerdoti. Le classi più
umili di contadini, cavatori, braccianti e facchini, causa
l‟estrema ignoranza, ma soprattutto per la miseria in cui
vivevano, furono estranei ai moti risorgimentali. Continuano
intanto i controlli soprattutto dei politici repubblicani fra cui
Vincenzo Silvio di cui parleremo in modo diffuso nel capitolo
III.
Sempre verso la fine del 1848 ed inizio del 1849 furono
indiziati per le loro tendenze repubblicane e, come tali
pericolosi
per
l‟ordine
Damiani, Giovanni Mibelli
pubblico,
il
droghiere
Cristiano
detto Vecchietti, Giovanni Zelmi e
Gio Batta Gemelli mentre viene ribadita la pericolosità di
altri elbani già precedentemente nominati. Sempre a metà
del 1849 giungevano via via al Governatore ed al Pretore di
Portoferraio altri nomi di personaggi ritenuti “pericolosi”: il
parroco di Rio, Prete Nardelli, e quello di Capoliveri parroco
Giacomo Martini. Vengono così citati altri cittadini elbani di
cui
gran
Arriviamo
riguardo
parte
già
quindi
al
la
sua
menzionati
secondo
nelle
pagine
momento
partecipazione
ai
topico
moti
precedenti.
per
l‟Elba
risorgimentali.
Ricordiamo intanto che nel giugno 1858 Giuseppe Bandi giunse
a Portoferraio come prigioniero politico (da giovane, nel 1848
era già venuto nella cittadina e qui aveva studiato nelle
scuole locali). Fu rinchiuso a Forte Falcone e qui rimase sino
al 27 aprile 1859 ed alla sua liberazione la popolazione
portoferraiese inscenò manifestazioni e cortei per salutare
questo felice momento (il Bandi diventerà poi direttore del
34
“Telegrafo”). Rimanendo nel territorio elbano va
ricordato
l‟arrivo nel 1859 della corvetta “Aquila” i cui componenti
erano all‟oscuro delle novità storiche che stavano accadendo
in Italia. Essi furono accolti da un corteo di barche che,
salito sulla nave, abbracciò i giovani marinai al grido di “Viva
l‟Italia , vogliamo l‟Italia unita con Roma capitale”. A capo
della folla troviamo Cestari, Rutigni, Traditi, Biceschi ed
altri seguaci per una patria indipendente, libera ed unita.
L‟Elba visse in modo
particolarmente intenso la spedizione
dei Mille, non solo con i suoi volontari (nel Capitolo III
approfondiremo la figura del volontario elbano Alessandro
Luigi
Badaracchi),
ma
anche
per
la
sua
posizione
geograficamente strategica. Non era raro infatti che per il
maltempo o per rifornirsi di viveri e di combustibile le navi
provenienti da Genova o dal Regno di Napoli facessero una
sosta a Portoferraio. Qualche mese prima della spedizione
dei Mille, nel dicembre 1859, il postale sardo “Piemonte”
proveniente da Tunisi e diretto a Genova, si fermò nel nostro
paese per il maltempo e fra i passeggeri vi era il colonnello
Callimaco Zambianchi
che aveva partecipato con Garibaldi
alla difesa di Roma ed era partito da Buenos Aires con altri
26 emigrati italiani per partecipare all‟impresa garibaldina
che sarebbe partita da Quarto. Il 18 luglio 1860, per un
guasto al postale francese, si fermò all‟Elba anche Agostino
De Petris. Nei primi di luglio gli elbani rifornirono di
carburante il piroscafo “Ulisse” con 120 volontari che a sua
35
volta traghettava un clipper americano “Charles and June”
con altri 700 volontari.
36
Ricostruzione su cartoncino di una sartoria dell‟Ottocento.
37
vedi nota precedente
Nel periodo che rimasero nella città , soprattutto la notte,
non mancarono degli eccessi da parte di qualche volontario
che aveva bevuto troppo, comunque il disordine fu presto
sedato con solo due feriti da parte dei facinorosi. Verso la
fine di agosto si fermò a Portoferraio, proveniente da
Genova, una feluca livornese. Ufficialmente doveva essere
carica di ferro, ma in effetti vi erano armi pronte per la
spedizione in Sicilia o nello Stato Pontificio. Nella notte del
25 agosto arrivò il piroscafo inglese “Orwell”con 20 persone
di equipaggio e 120 volontari che però, sbarcati a Cala
Maestra, su diedero al saccheggio e per questa ragione una
circolare del Ministero degli Interni ordinò di intervenire
decisamente contro non solo i volontari che si recavano in
Sicilia, ma anche e soprattutto quelli che si recavano verso
lo Stato Pontifico e che avrebbero creato gravi complicazioni
diplomatiche internazionali (i componenti sulla nave “Orwell”
furono poi intercettati in prossimità di Messina dalla flotta
inglese e furono estradati e processati a Malta per atti di
pirateria). (I volontari furono accusati anche del saccheggio
dell‟Isola di Montecristo). Nel 1861, più precisamente nel
gennaio, il popolo elbano donò 2616,70 lire per la raccolata
di un milione di fucili.
Risultati della votazione dell‟11 e 12 marzo 1860 per l‟unione
con il Regno d‟Italia
Rio
Marciana
Portoferraio
Consiglio
Militare
Longone
Portoferraio
38
Diritto
voto
785
1246
2049
1334
519
Votanti
Unione
Nulli
776
958
1242
1068
-
Regno
separato
2
3
14
-
777
961
1427
1068
-
-
132
387
132
384
2
1
1
1
2
-
(1165 persone con diritto al voto non parteciparono al
referendum presumibilmente perché mazziniani, repubblicani
e clericale)
39
I 150 ANNI DI CURTATONE E MONTANARA
IL CONTRIBUTO ELBANO
Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto prese la decisione di
muovere
guerra
all‟Austria:
inalberato
come
simbolo
di
italianità il tricolore cui aveva sovrapposto lo scudo Savoia,
varcò il Ticino dando inizio alla prima guerra di indipendenza.
L‟esercito piemontese non era male armato, la sua disciplina
era proverbiale, ma difettava di uno Stato Maggiore capace
di guidare una guerra. I primi contingenti raggiunsero le linee
nemiche sul Mincio il 18 aprile e vi rimasero per quasi venti
giorni senza oltrepassare il fiume. Finalmente , venne cinta
d‟assedio Peschiera e le truppe furono schierate su posizioni
offensive lungo un arco dal Garda a Villafranca. Il 3 aprile i
Piemontesi riuscirono ad eliminare, con la battaglia
Pastrengo,
la
testa
di
ponte
austriaca
sulla
di
destra
dell‟Adige; ma non sfruttarono l‟occasione per fortificarsi
sulla sponda sinistra. Per parecchi giorni ci si limitò a
perfezionare l‟assedio intorno a Peschiera. Questi indugi,
però,
dettero
modo
agli
Austriaci
di
far
giungere
un
contingente di 15.000 uomini, guidati dal generale Nugent,
poi dal generale Thurn e congiungersi con il grosso delle
truppe a Verona.
40
CONTE CESARE DE LAUGIER
Dopo la metà di maggio, il maresciallo Radetzky decise di
liberare Peschiera dall‟assedio ed infliggere a Carlo Alberto
una sconfitta tale da costringerlo alla resa. A tal fine sferrò
l‟attacco sul fronte meridionale ove si trovava schierata,
davanti a Mantova, la debole divisione tosco-napoletana.
Il Radetzky scelse quel punto, anche in considerazione del
richiamo di gran parte delle truppe napoletane, per andare
ad attaccare alle spalle dei Piemontesi schierati nella zona di
Goito. Il piano non venne, però, realizzato con la facilità
prevista.
41
EUGENIO BIGESCHI
Le
truppe
del
Radetzky,
quasi
20.000
uomini
in
43
battaglioni con 150 cannoni, raggiunsero Mantova la sera del
28 maggio e nella mattina seguente sferrarono l‟attacco
contro le truppe tosco-napoletane, consistenti in circa 5.000
uomini con 6 cannoni e due obici, dislocate fra Curtatone,
Montanara e Buscoldo, al comando del Generale De Laugier.
Il
Maggiore
Generale
Cesare
De
Laugier
conte di Bellecour, nato a Portoferraio il 4 ottobre 1789,
era stato ufficiale con Napoleone e aveva partecipato alle
campagne d‟Italia, di Spagna e di Russia. Questi, per
rincuorare i suoi uomini,uscì dalla trincea e li passò in
rassegna allo scoperto,
suscitando
un
incontenibile
entusiasmo.
Due
brigate
austriache avevano puntato su Curtatone, tre su Montanara.
Nonostante l‟enorme divario di forze, i giovani soldati italiani
fin dalle 10 del mattino combatterono con estremo eroismo,
42
contendendo
il
terreno
al
nemico
palmo
a
palmo
e
infliggendogli pesanti perdite.
ELBANO STANISLAO BECHI
Alle 11.30, quando ormai era divampato lo scontro su tutto il
fronte fra Curtatone e Montanara, accorse il Battaglione
universitario
Toscano
meraviglioso.
Conviene,
e
allora
però,
fu
dare
visto
spazio
qualcosa
alla
di
vivida
descrizione lasciataci dal prof Leopoldo Barboni: “Come se
avessero i petti di bronzo, come se fossero reduci di cento
battaglie, sotto quella grandine di palle e di mitraglia
spropositatamente ineguale, quei giovani cresciuti tra le
delicatezze cittadine e quei loro maestri, usi solo co‟ libri e
le cattedre, caricavano e scaricavano i loro fucili, roteavano
le loro spade, freddi, impassibili, tenaci. Cantavano inni
patriottici e ognuno di essi aveva l‟anima di Diakos, l‟eroe del
‟31. Partendo per la Lombardia li avevano accompagnati il
dubbio e le spallucce di tutti gli Italiani. Li credevano fatti
di bambagia spalmata di latte e miele e non buoni ad altro
43
che alle arti e alla retorica, appunto perché Toscani. Che
madornale buaggine ! Non basterebbe un volume per ridire
tutti i prodigi di valore che quei miti Toscani compierono in
quella giornata epica.
Sublimemente feroci furono i loro assalti di baionetta. I
cannoni austriaci li decimavano, facevano squarci orrendi
nelle loro file ed essi cadevano a decine, mutilati, crivellati,
gridando: Viva l‟ Italia e i loro gridi superavano lo strepitio
infernale dello scoppio delle bombe e dei rulli dei tamburi. Il
parossismo maggiore ferveva al ponte di Curtatone. Là era il
Montanelli circondato dai suoi scolari e dai suoi amici. A
Vincenzo Malechini, che in quel momento si batteva come un
leone, gridava: Céncio moriamo qui piuttosto che arrenderci!
Dal suo fucile, per due volte, non era partito un colpo. Un
fucile! Un fucile! Urlava su e giù, gettando fiamme dagli
occhi, imbrattando di polvere e di sudore. Paolo Crespi gliene
diè
uno: ma in quell‟istante una palla tedesca, entrandogli
nel petto, lo stramazzava. Gli si levò intorno un grido di
dolore e di rabbia. Coraggio Beppe!Tieni un bacio! … Sì,
rispose il Montanelli, dammi un bacio, amico, tu torna a fare
il
tuo dovere, e a chi saprà che sono ferito alla spalla, dì
che non lo fui per non aver guardato in faccia il nemico fino
all‟ultimo … Viva l‟Italia!
44
PIETRO SENNO
Poi si contorse per l‟acerbità dello spasimo della ferita,
svenne e fu portato di là dal ponte sotto una vera pioggia
sempre più furibonda di granate e di palle. ‟‟Giuseppe
45
Montanelli, nato a Fucecchio nel 1813, docente di diritto
civile e commerciale all‟Università di Pisa, era il comandante
in seconda del Battaglione Universitario toscano. Questo
battaglione,
testimonianza
dello
slancio
patriottico
degli
Atenei di Pisa e di Siena, era formato di quattro compagnie
di volontari, guidati sub alternamente dai loro stessi docenti.
Il comando dell‟intero corpo era nelle mani del prof. Magg.
Ottaviano Fabrizio Masotti, nato a Novara nel 1791, fisico
ed
astronomo
di
fama
europea,
allievo
del
Volta.
I
componenti accomunati dallo stesso ideale, dalla stessa fede,
dalla stessa speranza, mossero da Pisa il 22 marzo 1848 e,
dopo aver incorporato per via i volontari senesi, procedettero
a tappe durante le quali, studenti e docenti, si addestravano
all‟ uso delle armi e alle evoluzioni militari. Il 19 maggio
raggiunsero il Quartiere Generale del Generale De Laugier a
Le Grazie, una borgata presso l‟estrema punta occidentale
del lago di Mantova. Nella stessa compagnia del Battaglione,
avente come comandante il prof. Cap. Giovanni Battista
Giorgini (genero di A. Manzoni N. d. R.), insigne scrittore di
Lucca e come comandante in seconda il prof. Cap. Pilla,
martire glorioso della sventurata, ma non infeconda battaglia
militavano tre elbani: Il Sergente Maggiore Giuseppe Valdi di
Marciana, il Caporale Eugenio Bigeschi e il Comune Antonio
Cantini, entrambe di Portoferraio. Di questi, però, solo il
Bigeschi, nato nel 1827, studente di legge a Pisa, partecipò
alla battaglia nelle sue varie fasi, per cinque ore e mezzo. Il
Vadi, anch‟ egli studente di legge a Pisa, non poté prendervi
parte perché precedentemente comandato altrove in servizio
distaccato. Del terzo volontario non si sa di più. Nel pieno
della battaglia, vicino al passo di Curtatone, si verificava un
episodio degno della massima considerazione. Ma, ancora una
volta, è preferibile lasciarne la descrizione alla valida penna
del Barboni : << Come in una spaventosa scena spettrale, si
vedeva
un
uomo,
un
artigliere,
correre
con
rapidia
alternanza fra tre cannoni. Pareva il genio orrido delle
battaglie. Un cassone di munizioni era saltato in aria, ed egli
era stato investito dalle fiamme, sì che la sua divisa aveva
cominciato a bruciargli addosso. Se la strappò; si strappò
mutande e camicia. Era nudo come sua madre lo aveva dato
alla luce: aveva i capelli ritti e ingrommati di sudore e di
46
sangue, aveva sangue nelle mani, sulle braccia, sul petto; era
nero imbrattato come di fuliggine…
Correva dalla bocca di un cannone, alla bocca di un altro,
scavalcando assiepamenti di compagni morti o agonizzanti.
Era capitano, trombetta, calcatore, puntatore, scaricatore,
era tutto, era una legione. Nelle sue cariche strasfondeva
intiera la sua anima ardente….
Si sarebbe detto che il fantasma di Leonida gli aleggiasse
all‟interno e gli gridasse: Coraggio figliolo!...Quella scena
epicamente sublime, durò venti minuti, un soffio di tempo per
chi piacevo-leggia, un secolo per chi ha di fronte e cannoni
di un esercito. Nulla di più prodigioso nei fasti orridi delle
guerre. E tutto ciò a ventunanno>>.
ELBANO GASPERI
L‟artigliere
Portoferraio
era
il
un
elbano,
27 maggio
Elbano
1827.
Gasperi,
Le sue
nato
a
gesta furono
47
premiate con la medaglia d‟onore in argento dal Governo
toscano e la medaglia d‟argento al valore da S. M. il Re
Carlo
Alberto.
Giuseppe
Montanelli,
nelle
sue
Memorie
d‟Italia, lo ricorda così:<< E meraviglioso era in quel mezzo
l‟eroico affaccendarsi a rianimare la batteria di Curtatone.
Il foriere Gasperi, uno degli abbruciati nell‟incendio delle
polveri, rimettersi all‟opera ignudo >>. Tutto qui. Non esiste
un libro di storia del nostro mirabile risorgimento che abbia
due righe dedicate a lui; nelle enciclopedie non compare
neanche il suo nome.
Nulla! Una vera ingratitudine, unico, reverente
attestato è
la poesia a lui dedicata, dopo la sua morte, dal poeta Victor
Podrecca:
48
DIEGO ANGIOLETTI
A Curatone, in lotta, impari, fiera, carica e spara l‟artigliere
elbano: carica e spara senza posa. A un tratto; fiamman le
vesti sul suo corpo: <<Herdio!>>Son via strappate a furia e,
tutto ignudo, uno spasimo tutto per le atroci scottature
diffuse:
<<Italia/Italia!>> rugge e non sosta, ed ogni mira certa del
suo cannone a più croati è morte. Cade ferito, ma la patria
viva non perché vinca, perché lotta infine, sente, e sorride
al Ciel, che onora i prodi.
Non può destare meraviglia che questo intrepido eroe sia
noto solo a pochi, forse a nessuno. La poesia ora letta,
scarsamente divulgata, non ha contribuito a tener vivo il suo
nome
e
neppure
è
servita
la
fugace
emissione
di
un
francobollo commemorativo che, in occasione del centenario,
rievoca le sue eroiche gesta. Del resto, anche tra gli stessi
elbani, sono in pochi a ricordarlo e sono quelli che non più
giovani generazioni che associarono, al suo, il nome di un
piroscafo di linea che per molti anni ha collegato il continente
e che, requisito durante la Seconda Guerra Mondiale, partì
alla fine di settembre 1943, con equipaggio tedesco, per una
missione nel Tirreno dalla quale non è più tornato. La
battaglia durò fino al pomeriggio inoltrato. Il nemico non
aveva fatto se non insignificanti guadagni di terreno e i
difensori mantenevano ancora saldamente le loro principali
posizioni.
Ma il De Laugier, non vedendo giungere alcun
rinforzo, data la crescente intensità degli attacchi nemici e
l‟esaurimento delle sue truppe, ritenne opportuno di impartire
l‟ordine della ritirata. Purtroppo non appena fu dato inizio a
questa manovra, il panico si impadronì, per un momento, delle
pur valorose truppe toscane che da Curtatone, andavano
precipitosamente
ammassandosi
sul
piano
dell‟Osone
nell‟intento di mettersi in salvo al più presto. In quel
49
momento stava risalendo dalle retrovie, verso la linea del
fuoco, una comandata di artiglieri che conduceva un cassone
di munizioni. Li guidava l‟elbano Scipione Mazzei, cadetto
d‟artiglieria, coadiuvato dal serg. Magg. Giuseppe Valdi, che
era stato distaccato a questo scopo. Il Valdi ha lasciato su
questa fase della giornata, una relazione da cui vengono
stralciati alcuni passi:…. << appena usciti dal Bozzolo si
misero i cavalli al trotto ed in breve passammo il ponticello
sull‟Oglio, ma dopo poco cammino si cominciò ad incontrare
sbandati napoletani, toscani e volontari che in ogni modo
volevano persuaderci a retrocedere essendo (dicevano) i
nostri in rotta. Nonostante, noi si tirò diritto pel nostro
cammino ed avanzammo fin presso Castelluccio, ove la massa
degli sbandati fu tale che si mise in dubbio se si dovesse
proseguire … Nondimeno si insisté e si fece ben più poco
cammino, poiché l‟apparire di alcuni drappelli di cavalieri, non
so se Usseri o Ungheresi, ci convinsero che il proseguire,
oltre ad esporci ad un pericolo certo senza compenso,
avremmo dato nelle mani del nemico il cassone delle munizioni
che noi volevamo salvare >>
50
Approfondimento dei personaggi elbani che
parteciparono alle lotte risorgimentali
ALESSANDRO LUIGI BADARACCHI
La leggendaria spedizione dei Mille ebbe inizio la mattina del
6 maggio 1860 allorquando Garibaldi s‟imbarcò davanti allo
scoglio di Quarto. I volontari garibaldini provenivano da ogni
parte d‟Italia. Il gruppo più numeroso era costituito dai
lombardi che erano 350 mentre i liguri erano 160.
Il personaggio nella foto è Giuseppe Garibaldi
51
Fra i toscani, che erano una cinquantina, merita di essere
ricordato il nostro conterraneo Alessandro Luigi Badaracchi.
Altrettanto modesto quanto valoroso egli fu l‟unico fra gli
elbani a partecipare all‟impresa. Era nato a San Piero in
Campo. Il 20 ottobre 1836.
Si arruolò tra la gente di mare, aveva conseguito la patente
di capitano di lungo corso e si era dato a navigare.
Allorquando era scoppiata la 2° guerra d‟indipendenza egli si
trovava in America; ma patriota fervente non aveva esitato a
far ritorno per prendervi parte attivamente. Sebbene avesse
raggiunto il grado d‟ufficiale si era arruolato nel 1860 nelle
file garibaldine come semplice volontario.
Dopo la partenza era evidente l‟ estrema penuria di armi e
soprattutto di munizioni di cui soffriva la spedizione; ciò non
mancò di suscitare gravi apprensioni nell‟animo di Garibaldi il
quale si dette ad escogitare come e dove avrebbe potuto
procacciarsene. Il generale pensò anche di tentare, a questo
fine, un colpo di mano sull‟isola d‟Elba. Nel suo libro: “Da
Genova a Capua” Giuseppe Bandi che, come aiutante di
Garibaldi ,faceva parte dello stato maggiore della spedizione,
riferisce i termini di una conversazione che, su questo
argomento, ebbe col generale sul ponte della nave. Ne
riportiamo testualmente alcuni tratti:
<< lo sapete (disse
Garibaldi) che abbiamo a bordo qualche
migliaio di fucili ma non abbiamo una cartuccia … capirete
bene che le munizioni ci sono necessarie più del pane e
52
bisogna procacciarsene ad ogni costo>> Ed aggiunse poi:
<<Andremo all‟Isola d‟Elba a Portoferraio,a Longone… >>
<<No Generale>> replicò il Bandi, << a Portoferraio ci sono
a iosa le munizioni, ma c‟è un comandante piemontese e la
piazza è forte. Basta che il comandante faccia un ponte
levatoio e noi restiamo come quelli... Dite di andare a
Longone.. Troveremo forse tanta polvere quanta di andare a
caccia alle passere>>.
Scartata così saggiamente l‟idea di tentare un colpo di mano
sull‟Isola
d‟Elba,
Garibaldi
approdato
a
Talamone
e
sbarcato in divisa da generale piemontese, riuscì a farsi
cedere munizioni e armi dal comandante del Forte di Santo
Stefano.
53
Nel tardo pomeriggio dell‟11 maggio, il convoglio, sfuggito
dalla vigilanza della flotta napoletana, giunse nella rada di
Marsala: e, mentre il Piemonte si ancorava felicemente sulla
punta del molo, il Lombardo
si arenò a poche braccia dalla
riva. Come ha scritto G.C. Abba nella sua “Storia dei Mille”
fu questo << il momento degli uomini di mare>>, che,nella
spedizione, erano all‟incirca una trentina e tutti, compreso
naturalmente anche il nostro Badaracchi, si adoperarono con
ogni lena nel dirigere
le operazioni di sbarco che si riuscì a
condurre a termine rapidamente e felicemente nel Sicilia ed
ebbe uno svolgimento trionfale.
Alla sera del 7 settembre, Garibaldi entra in Napoli.
La campagna si conclude infine sul Volturno dove l‟esercito
borbonico tenta l‟ultimo disperato cimento.
Alessandro
Luigi
Badaracchi
partecipò
attivamente
e
valorosamente all‟ intera campagna, da Marsala al Volturno.
Dopo lo scioglimento dell‟ esercito garibaldino finì ,poi, per
ritirarsi all‟Elba, nel suo paese natio dove visse i suoi ultimi
anni in vegeta vecchiezza schivo di onori. Alessandro Luigi
Badaracchi morì a San Piero in Campo il 1° gennaio 1917
poco più che ottantenne. Riposa nel cimitero del suo bel
paese sulle falde del monte natio in cospetto del Mar
Tirreno.
54
La foto rappresenta una statua situata i toscana come
ricordo di Alessandro Luigi Badaracchi
La foto rappresenta un
ritratto di Alessandro
Luigi Badaracchi
ELBANO STANISLAO BECHI
Nacque a Portoferraio il 9 giugno 1828 da Alessio,di nobile
famiglia fiorentina già colonnello di artiglieria negli eserciti
napoleonici. Sin dall'età di 14 anni Bechi divenne cadetto
d'artiglieria nell'esercito granducale. Con i battaglioni
toscani si distinse a Curtatone a Montanera ed a Goito (29
30 maggio 1848), meritandosi la medaglia d'argento sul
campo. Capitano dell'esercito toscano nel 1855, maggiore nel
1859,prese parte alla seconda guerra d'indipendenza quale
ufficiale l'ordinanza del generale Lapèrouse, comandante
della cavalleria del quinto corpo d'armata francese. Col
grado di maggiore entrò nell'esercito italiano,ma un duello col
Gen. A.Danzini lo condusse davanti al tribunale militare e
quindi a sei mesi di arresti al forte di Bard.Destinato allo
stato maggiore dalla piazza di Napoli,qui prese contatto con
l'ambiante garibaldino. Nel 1863, sospinto dal vasto
55
movimento di pubblica opinione a favore della Polonia insorta
che scosse tutta l'isola con comizi e con sottoscrizioni,ordini
del giorno presenti alla Camera,raccolte di armi, collette
popolari, articoli di giornali, ecc... Il Bechi decise di recare
il suo contributo all'insurrezione polacca (con Francesco nullo
e 62 garibaldini, n.d.r)
Il Bechi, messosi ha disposizione del comitato nazionale
polacco di Parigi che gli riconobbe il grado di
colonnello,giunse a Varsavia alla fine di agosto del 1863.
Assegnatogli il comando delle truppe agenti nella Masovia,
successivamente,secondo la gazzetta di Firenze dell'11
ottobre del 1863,quale comandante di reggimento sostenne
combattimenti vittoriosi contro i russi nella zona di Kalisz.
Nel dirigersi quindi nella zona di Wloclawek, dove avrebbe
dovuto riorganizzare le forze comandate dal Puttkamer, da
Syrewicz e Grossman, battute dai russi,questi lo fecero
prigioniero l'8 dicembre del 1863. Processato seduta stante
da una corte marziale,fu condannato alla fucilazione.
Nonostante pressioni da parte polacca e un intervento in
extremis dal ministro d'Italia a Pietroburgo conte Pepoli, il
Bechi fu fucilato a Wloclawek il 17 dicembre del 1863. Nel
marzo dell‟ 1864 la vedova chiese al governo nazionale
polacco il conferimento della cittadinanza polacca e ai 2 figli.
Romuod Traugutt, capo del governo, fece preparare il
decreto, insieme con una lettera di condoglianze in cui si
sottolineava come il Bechi, "enserv à la Polonie il a servi la
cause de toutes les nation opprimeés": il decreto però, non
poté poi essere emanato per l'arresto del Traugutt e il
precipitare della situazione. La storia registra degnamente il
nome di Elbano Stanislao Bechi tra i più gloriosi martiri della
Polonia. A Wloclwek fu eretto un monumento. A Firenze fu
degnamente commemorato da Niccolò Tommesao e gli fu
56
dedicato uno splendido bassorilievo metallico alla memoria del
chiostro di Santacroce. Il pittore Ademollo Lambruschini
immortalò in una tela il suo sacrificio.
DIEGO ANGIOLETTI
Nato il 12 gennaio 1822 a Rio d'Elba entrò nella scuola di
artiglieria di Livorno, donde uscì il 5 ottobre 1845 con il
grado di sottotenente. Durante la guerra del 1848 combatte
con
le
truppe
toscane,distinguendosi
il
29
maggio
a
Curtatone e all‟indomani a Goito: il suo comportamento gli
valse
dal
capitano.
governo
Dopo
la
provvisorio
fuga
del
toscano
la
granduca,
promozione
a
accompagnò
il
Montanelli a Fivizzano per approntare le difese in vista del
pericolo di una invasione austriaca. Nel luglio 1849 ,tornato
il granduca,fu mandato dal De Laugier a Roma per studiare i
lavori di assedio eseguiti dall‟ esercito francese. Ma avendo
la restaurazione cassati tutti i gradi concessi dal governo
provvisorio toscano,l‟Angioletti tornò tenente e riebbe il
grado di capitano solo nel 1854. Il 1° gennaio 1855 fu
nominato
aiutante
in
campo
del
tenente
colonnello
dell‟esercito austriaco F.Ferrrari da Grado, incaricato del
riordinamento
dell‟esercito
toscano
e
promosso
generale
57
granducale e lo coadiuvò attivamente in un‟ opera che valse
realmente a dare una nuova fisionomia al piccolo esercito.
Ma, non godendo del favore del granduca , l‟Angioletti,
promosso nel 1859 maggiore,fu trasferito in fanteria,al
comando di un battaglione. Creatosi nel 1859 il nuovo
governo provvisorio in Toscana,l‟Angioletti,subito promosso
tenente colonnello ,organizzò il 5° reggimento della divisione
toscana ;sotto il generale Ulloa era sul Mincio alla fine di
giugno, ma troppo tardi per partecipare attivamente alla
guerra,
sospesa
improvvisamente
dall‟armistizio
di
Villafranca. Promosso colonnello, entrò nell‟esercito italiano
dove,nel 1860, divenne maggior generale con il comando della
brigata Livorno. Fu poi aiutante di campo del re Vittorio
Emanuele
II
ed
in
seguito
comandante
della
divisione
territoriale di Bari. Tenente generale nel 1864, nel dicembre
dello stesso anno accettò il ministero della Marina che resse
sino al giugno 1866,nei due gabinetti La Marmora. Tale
ministero era stato tenuto ad interim dal presidente del
consiglio generale A. La Marmora ,dal 29 settembre, dopo il
rifiuto dell‟ammiraglio G.Longo .Si era in un momento di
paurosa crisi finanziaria e il La Marmora, persuaso che
all‟annessione del Veneto si sarebbe giunti per via diplomatica
, si era adattato a un programma di falcidie sui bilanci
militari; quello della marina avrebbe avuto una riduzione di
dodici milioni e mezzo,pari almeno al 15%.
L‟Angioletti si mise con impegno al nuovo lavoro mostrando
subito buoni propositi: mantenere salda la disciplina;curare
58
un‟ oculata amministrazione; migliorare l‟addestramento di
tutto il personale, in vista della trasformazione in corso nel
Naviglio,in seguito alle esperienze della guerra di Crimea e,
soprattutto, di quella di secessione americana; proteggere la
marina Mercantile. L‟Angioletti prese buoni provvedimenti
specie riguardo ai porti e ai cantieri. Con lui s‟iniziò
l‟effettivo trasferimento della marina da guerra da Genova e
La Spezia che prima costituiva solo una base provvisoria,
dipendendo in tutto da Genova. All‟Angioletti spetta anche il
merito di aver fatto iniziare gli studi per una grande base
navale a Taranto;
59
Taranto antica
egli
volle
inoltre
affidare
alle
industrie
nazionali
la
costruzione delle navi da guerra e le macchine motrici. Ma la
preparazione della guerra soffrì delle economie del bilancio:la
squadra fu ridotta a una semplice divisione navale, si ebbe
una diminuzione drastica delle navi tenute in efficienza,
mancando
le
manovre
di
squadra,difettarono
le
altre
esercitazioni. L‟Angioletti emanò molti
regolamenti,nominò
una commissione incaricata di studiare i mezzi per migliorare
le condizioni di vita dei marinai, ma gli ufficiali continuarono
ad essere scarsi,la disciplina rilassata, le navi navigano
troppo poco.
All‟ approssimarsi della guerra del 1866,le
numerose unità che erano in disarmo furono armate in fretta
e frettolosamente si attuarono esercitazioni di manovre e di
tiro. Solo ai primi di dicembre 1865 l‟ Angioletti affidò a una
commissione di tre membri,presieduta dal contrammiraglio A.
Anguissola, il compito di studiare <<le varie operazioni
marittime che una squadra potesse e dovesse compiere in
Adriatico>>, nonché il << modo di attacco del litorale da
Chioggia al Lido>>
60
Chioggia
e, a metà aprile del 1866 ,incaricò la stessa commissione di
compilare un regolamento per l‟ imbarco e lo sbarco di
artigliere ,cavalli e truppe. Il 20 giugno l‟ Angioletti lasciò il
ministero della marina per recarsi a domanda in Lombardia
dove assunse il comando della 10° divisione ,nel II Corpo d‟
Armata,
che
sotto
il
gen.
D.
Cucchi
aveva,
dapprima,specialmente il compito di sorvegliare la piazza di
Mantova. Il 24 giugno, mentre si combatteva la battaglia di
Custoza, la 10° divisione, già stanchissima a Goito alle
tredici e mezzo con l‟ordine di spingere una brigata a
Momirolo verso Mantova, ricevette poco dopo personalmente
dal generale A. La Marmora di S.M. dell‟esercito, portandosi
a Goito, per assicurarsi la ritirata oltre il Mincio delle
truppe
da
lui
ritenute
erroneamente
in
prerotta,
il
contrordine di prendere posizioni a nord- est di Goito, a
Massimbona, sulla destra del fiume, nel timore che gli
Austriaci
potessero,occupata
Valeggio,
marciare
lungo
il
Mincio per occupare Goito. Solo alle diciotto la divisione si
metteva in moto e alle ventidue riceveva l‟ ordine di
retrocedere a Goito. Così anche questa divisione, per colpa
dell‟Angioletti, non esercitò alcuna influenza sullo svolgimento
della battaglia. Ma se l‟ Angioletti non poté mostrare le sue
doti militari nel corso della campagna del
‟66, ebbe
occasione di mettersi in luce poco dopo,nel reprimere la
dolorosa insurrezione di Palermo scoppiata il 16 settembre.
Per
questa
operazione
venne
decorato
della
commenda
dell‟ordine militare di Savoia. Nel 1870 l‟Angioletti,dopo aver
comandato le divisioni territoriali di Piacenza e di Napoli,
assunse il comando di una delle cinque divisioni (la 9°),che,
agli ordini del Cadorna,mossero alla liberazione di Roma
61
Breccia di Porta Pia
In base agli ordini ricevuti, svolse una vigorosa azione
dimostrativa
Sebastiano
contro
Porta
,mentre,
San
com‟è
noto,
Giovanni
l‟azione
e
Porta
principale
san
si
sviluppava fra Porta Pia e Porta Salaria. Fu questa l‟ultima
impresa guerresca di Angioletti. Nel 1873, a Napoli, si
adoperò per domare il colera, scoppiato in autunno colpendo
specialmente i soldati. Fu poi nominato membro e quindi
presidente del comitato delle armi di fanteria e cavalleria;
sin
dall‟8
ottobre
1865
era
stato
nominato
senatore.
Collocato a riposo nel maggio ‟77, si ritirò in una sua villa a
sant‟Anna presso Cascina, a una dozzina di chilometri da
Pisa. Qui vi morì il 29 gennaio 1905.
Le memorie dell‟Angioletti furono pubblicate postume con il
titolo:”Alcune memorie della mia vita” Cascina 1904.
Gin RACHELI-Le isole del ferro-Mursia 1975
Dopo il 1850 si fecero sempre più forti nelle isole toscane la
volontà di partecipare attivamente all‟Unita‟ d‟Italia sia per
l‟andirivieni di condannati politici le cui idee superavano le
grate delle carceri sia per il convulso movimento delle navi
62
delle grandi potenze che portavano con se‟ notizie,idee e
speranze di indipendenza dal giogo austriaco.
Partirono da Capraia due parenti, Antonio e Francesco
Sassone andando a combattere addirittura in Crimea –
Partirono dall‟ Elba il generale De Lauger, medaglia d‟oro al
valore militare;il furiere Elbano Gasperi, medaglia d‟ argento
al valor militare; lo studente Eugenio Bigeschi insieme con i
suoi
compagni
dell‟Università
Senese
,
tutti
volontari.
Partirono altri: Raffaello Foresi, Emilio Gandolfi, Cesare
Senno. Vincenzo Silvio, medico di capoliveri, insieme con i
contadini Andrea Silvio, Agostano Bertolini, Tobia ed Eliseo
Signorini, Giuseppe Pagini, Pasquale
Palmieri,
tutti
aderenti
alla
“
Messina e Antonio
Giovane
Italia”
vengono
perseguitati politicamente. Sono incarcerati al Falcone Enea
Pazzaglio, Filippo Pellegrini
di Rio nell‟Elba e Giovanni
Damiani di Rio Marina. Il 24
Aprile 1849 si rifugiò nella
Rada di Mola, presso Longone, una nave con 420 bersaglieri
all‟ ordine di Luciano Massara diretti a Roma. Il 2 settembre
1849 giunse Giuseppe Garibaldi a Cavo di Rio Marina; vi fu
però
verso
il
1860
l‟arrivo
di
volontari
desiderosi
di
raggiungere Garibaldi in Sicilia, ma fra essi v‟erano numerosa
gente violenta e avventurieri che seminarono a Portoferraio
parecchio scompiglio e atti delinquenziali; un altro gruppo,
sbarcato
a
Monte cristo,
allora
proprietà
dell‟ inglese
Watson Taylor saccheggiò tutto quanto vi si trovava, disarmò
i soldati della guarnigione, uccise gli animali , rubò. Lo stesso
bastimento su cui navigavano era stato rubato a Genova. Ma
63
ebbero una brutta
fine
perché furono catturati da una
nave da guerra inglese e i “ cosiddetti garibaldini” furono
processati per pirateria.
Arriva
infine
nel
1861
l‟Unita‟
d‟Italia
con
grandi
festeggiamenti in tutto l‟ Arcipelago , ma ben presto tutto
tornò come prima se non peggio: i detenuti cambiarono, ma
ne vennero altri ancor più numerosi destinati al “ bagno
penale” o a confino e i prigionieri furono impiegati in lavori
agricoli, edili e stradali togliendo il pane agli elbani. Uniche
novità positive un traghetto bisettimanale che univa l‟Elba al
continente e un anno dopo l‟arrivo del telegrafo.
Le altre isole stavano ancor peggio. A Capraia fu soppressa
l‟unica fabbrica di sigari voluta da Carlo Alberto e a questo
punto gli stessi Capraiesi, per la loro sopravvivenza ,
chiesero e ottennero di essere luogo di confino per i “
briganti” : ne arrivarono 400 , chiamati “camorristi” laceri,
smunti, arrabbiati e violenti tanto che la popolazione fu
presa dal terrore e le donne e i bambini non uscivano più di
casa. Infatti i detenuti furono lasciati liberi senza un tetto
in condizioni disumane. Solo nel 1873 si decise di porre fine
a questa atroce situazione stabilendovi una colonia agricola
penale.
Anche Gorgona divenne colonia penale nel 1869 destinata a
detenuti con lievi reati o al termine della pena scontata
precedentemente
a
Pianosa
arrivarono
250
detenuti
segregando la popolazione civile dentro il recinto del porto.
64
Pianosa, dopo l‟unita‟ d‟Italia, ospitò i condannati alle pene
maggiori: qui morì, pazzo e distrutto da paralisi progressiva,
il “Pasannante”. Divenne poi un luogo più umano sotto la
direzione di Leopoldo Ponticelli a fine secolo.
Persino a Monte Cristo, al limite dell‟ assurdo, furono
mandati 12 detenuti e 4 guardie, ma ben presto la colonia
dovette
essere
trasferita
a
Pianosa
per
assoluta
antieconomicità.
TADDEO TADDEI CASTELLI
Nacque a Rio nell‟Elba il 23 Ottobre 1837: studiò nel Collegio
Cicognini di Prato. Nel 1862, laureatosi in Lettere
nell‟Università di Pisa,conseguì l‟abilitazione all‟insegnamento
nella R. Scuola Normale Superiore annessa all‟Ateneo Pisano.
Passato come insegnante da Cuneo ad Asti, fu chiamato nel
1866 a reggere la cattedra di lettere italiane nel R. Liceo di
Savona, e quivi rimase fino alla sua morte,che avvenne
nell‟Aprile del 1906.
Colleghi e alunni piansero la scomparsa dell‟amato Maestro,
che poteva dirsi il Decano di quell‟Istituto dove per ben
quarant‟anni aveva tenuto alto il suo nome di cittadino e
studioso,mostrandosi degno dei suoi stessi maestri che
rispondevano ai nomi di Alessandro D‟Ancona e Romanico
Comparetti.
Raggiunse le alte cariche di Preside nel R.Liceo “Chiabrera”
di Savona e di Presidente nella “ Dante Alighieri”di quella
città. Interessarono i suoi studi sul Chiabrera stesso, che se
65
non fu un poeta di getto, fu una bella tempra di scrittore:
ed ebbero molto valore,specialmente patriottico, le sue
conferenze a favore di quella Società italianissima che,
sottol‟Alto Patronato del Senatore Borselli, nel nome sacro di
Dante,mantenne e sollevò ovunque il senso della fede nostra
di qua e di là dai confini della Patria, specialmente quando
questi non erano come oggi di là da Trento, di là da
Trieste.Fu dunque Taddeo Taddei Castelli un patriota e come
tale lo considera l‟Elba che in Rio venera le sue ossa.
Non fu Egli il solo a onorare la propria terra nella famiglia di
cui porta il nome,ma per la sua modestia, per la sua fede,
per l‟opera sua silenziosamente condotta in vita a favore
dell‟Italia nuova e della nuova generazione, va considerato
primo tra i primi.
66
PERSONAGGI CHE INDIRETTAMENTE HANNO
CONTRBUITO ALLA STORIA
RISORGIMENTALE ELBANA
GIUSEPPE GARIBALDI A CAVO
La seconda parte del fortunoso vagabondaggio dell'eroe,
quello precisamente
che va
dal casolare ove si spense la
dolce Anita fino a Porto Venere,è generalmente ignorata nei
suoi particolari, dagli storiografi garibaldini .Eppure anche le
circostanze
minori
di
quella
fuga
sono
drammatiche
e
interessanti. Le riferisce in tutta la loro interezza un
prezioso libriccino, scritto dal Dott. Guelfo di Scarlino nel
1885, che porta
appunto il titolo "Dal molino di Cerbaia a
Cala Martina."Ma quel ch'è più importante per noi Elbani si
è che il libro riferisce
lo sbarco di Garibaldi a Cavo. La
mattina dunque del 2 settembre
inseparabile
capitano
Leggero,
Garibaldi, coll'ormai
poté
imbarcarsi
a
Cala
Martina sul navicello di certo pescatore Paolo Azzarini che
allora risiedeva a Rio Marina
offerto di condurlo
e che si era spontaneamente
in Liguria. La barca fece subito vela
verso l'Elba e in breve tempo raggiunse il Cavo. Ne
sbarcarono
l'Azzarini,
che
s'occupò
a
far
vidimare
abusivamente la patente, e Giuseppe Garibaldi il quale trovò
da riposarsi in una delle case del paese. Poche ore il viaggio,
riprendeva il 3 settembre e i fuggiaschi giungevano sani e
salvi a Porto Venere.
Personaggi non elbani che fecero indirettamente
parte della nostra storia risorgimentale
LUCIANO MANARA
Dopo la sconfitta del regno Sabaudo contro gli Austriaci,il re
(26 marzo 1849) si impegnava a disciogliere al più presto i
corpi militari formati in Lombardia. La divisione lombarda era
composta da 900 uomini comandata dal maggiore milanese
ventiquattrenne Luciano Manara il quale fece di tutto per
67
tenerlo unito. non era un uomo politico, ma, amico di La
Marmora
,era un militare che voleva combattere
contro chiunque fosse un ostacolo all‟indipendenza dell‟Italia
per cui con 600 volontari si imbarcò da Portoferraio e per il
mal tempo dovette fermarsi nella Piana di Mola
68
(dove
c‟erano
anche
250
bersaglieri) per giungere a Roma anche senza repubblichini.
Pur essendo stato breve il periodo in cui stette sull‟isola
non mancò di scrivere alla Contessa Cinque Pini esprimendo
apprezzamento sulla situazione politica all‟Elba contro il
comune nemico austriaco.
Approfondimento su Vincenzo Silvio
Partendo dall'età di 18 anni Vincenzo Silvio si trovava Roma
per studiare medicina. Siamo nel 1829 e già a questa età
viene arrestato per la prima volta insieme ad altri carbonari
e condannato a 10 anni di reclusione. Dopo 22 mesi trascorsi
nel carcere di Civitavecchia, in concomitanza con i moti del
1831 era stato graziato per indulto del Papa. Laureandosi in
medicina nel 1833 a Pisa, nel 1837 ebbe la condotta di
Capoliveri che mantenne fino al 1851. Non si hanno
documenti scritti del periodo che va dal 1837 al 1848,ma è
certo che egli si portò sempre dietro,come un marchio di
infamia,
69
Capoliveri
quei 22 mesi trascorsi nelle carceri pontefici e per questo fu
sempre sotto il controllo della polizia granducale elbana
additato
come
fervido
apparente
della
Giovane
Italia
mazziniana. Quando Silvio si recava a Pisa o Siena per motivi
di
studio,veniva
sempre
notificato
il
suo
arrivo
al
Governatore delle due città. E' però il periodo fra il 1848 e
il 1849 che videro sicuramente il dottore protagonista dei
moti risorgimentali che ebbero come centro anche Capoliveri.
Ciò lo portò direttamente all'esilio, ma anche qui non mancò
di essere perseguitato dal Governatore elbano che scrisse a
quello di Grosseto addirittura la calunniosa affermazione che
egli era stato licenziato da Capoliveri per la sua incapacità
professionale come medico chirurgo oltre alla sua condotta
riprovevole a
livello
politico.
Nel
1848
Vincenzo venne
accusato di partecipare a riunioni sovversive insieme a
Sapione Bartolini e altri facinorosi. Il processo poi
l'accusò
di aver innalzato la bandiera tricolore sulla sua casa a
Capoliveri. La lettera calunniosa indirizzata dal Governatore
elbano al Prefetto di Grosseto, sempre nel 1852, risultò di
tono ben diverso con una lettera indirizzata al Governatore
di Massa Marittima dove"pur prescindendo dalle affermazioni
politiche del suddetto, nel periodo in cui egli ebbe una
condotta a S. Ilario in Campo in comunità di Marciana, va
sottolineato
che il suo comportamento non aveva offerto
motivi di rimprovero o reclami".Il tono completamente diverso
fra le due lettere scritte dallo stesso Governatore fanno
pensare che nella lettera indirizzata al Governatore di
Grosseto
ci
fosse
stata
una
pesante
interferenza
del
Consultore di Governo Teodoro Corsi,nemico acerrimo e
dichiarato del dott. Silvio. A questo punto il dottore ottenne
la condotta in Maremma,in zone malariche,mentre riceveva
da Capoliveri più lettere dai suoi cittadini richiedendo il suo
ritorno anche perché qui la condotta era rimasta vacante. Il
prefetto dell'Elba però gli impedì di partecipare al concorso
mancandogli "due certificati,uno di moralità e l'altro di sana
politica"che gli mancavano non fosse altro per la condanna
riportata
a
Roma.Sfumata
la
possibilità
di
tornare
a
70
Capoliveri come medico condotto,furono ben 112 capifamiglia
del paesino che si tassarono volontariamente per aver la sua
assistenza anche perché erano stati informati della sua
salute malconcia dovuta alla lunga dimora in Maremma. Al suo
ritorno il suo nome tornò sulle carte della polizia elbana
durante i moti del 1859. Siamo durante il periodo del
Governo
Provvisorio
quando
già
la
Toscana
aspirava
all'annessione al Piemonte.Il delegato di governo,nel febbraio
1859,sottopose Silvio "a severo monito" insieme ad Agostino
Bartolini, Tobia ed Eliseo Signorini, Giuseppe Pagni, Pascquale
Messina e Antonio Palmieri, tutti di Capoliveri. Una nuova
diffida viene ripetuta il 19 giugno 1855 a tutti gli individui
soprannominati. Teoricamente in questo mese è già caduta la
dinastia dei Lorena,ma l'impalcatura burocratica e poliziesca
era rimasta la stessa. A questo punto il dottore,per porre
fine a queste persecuzioni,mandò un esperto al Governatore
insistendo soprattutto sulla sua tenace fedeltà all'idea della
patria libera ed unita,rimasta sempre immutata ad onta delle
minacce e condanne poliziesche. Svanita ogni possibilità di
ottenere un posto di lavoro, solo dopo l‟ unificazione ebbe la
nomina di medico militare e tale rimase fino al 1871.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a S. Ilario dove morì
il 9 maggio 1873. Il dott. Silvio resta dunque per gli Elbani
un purissimo esempio di integrità morale giacché per serbare
fede ad un'idea affrontò carcere ed esilio, calunnie ed
ingiustizie.
71
GUERRAZZI PRIGIONIERO ALL‟ELBA.
Nel 1833 il bollente Francesco Domenico cadde in sospetto
d‟aver favorito (qual cospiratore ardito e temibile aggregato
alla “Giovane Italia”) l‟impresa di Savoia preparata dal
Mazzini. Colpa nessuna ed ingiusto il sospetto;ma egli era
arrestato e,insieme a Carlo Bini, al Conte Agostini, all‟
avvocato Angiolini inviato a scontare una prigionia preventiva
all‟ Elba. Chiusi nel Forte Stella munito di soldati e di
cannoni, guardato da un carceriere che osserva la custodia
con rigore, gl‟ internati, per quanto vicini l‟uno all‟altro,non
possono conferire fra loro e soffrono la forzata tortura di
quell‟ isolamento più spirituale che corporale,attenuato di
quando in quando dalle visite del Comandante la Piazza: una
gentil persona che li tratta paternamente. Il ventisettenne
Carlo Bini si rassegna subito alla clausura di quelle due
stanzette né troppo grandi né troppo piccole per lui, con
letto,panca e tavolo sotto all‟inferriata. Se egli guarda al di
là di questa,vede sotto a sé una cisterna in mezzo,una pila
cava,di pietra serena e una campana che non suona mai. Ma
se spinge lo sguardo oltre l‟orlo della muraglia di cinta,la
scena cambia meravigliosamente e mostra una cima dolce
“armonioso”,un
golfo,una
cielo
catena
magnifica,una
purissimo,un‟ansa
di
creazione
monti
pittoresca
bruni:tutta
bella,”di
bellezza
una
del
natura
veramente
italiana”.Il ventinovenne Guerrazzi trova,invece,che la sua
stanza è sozza,infestata da miliardi d‟insetti. Vi piovono
dentro topi che paiono gatti; un giorno, scuotendo la giacca
72
per rivestirsi,ha trovato sulla bottoniera uno scorpione:
“ordine
cavalleresco
che
dà
la
carcere”.Vien
fatto
di
ricordare – a legger di simili impressioni – quella camera da
lui abitata,molti anni più tardi,a Firenze. Quella camera che
aveva l‟ apparenza confacente a una dama d‟alto bordo, per
essere sottilmente elegante, vaporosamente profumata e
provvista di arnesi ricercati per l‟ abbigliamento (raspini,
pinzetti, pettini, spazzole, spazzolini, vasetti, cipria di ogni
colore, piumini e specchietti)per farsi sulle guance delle
famose <braciole crude>, che Antonio Ciseri si trovava
imbarazzato
a dover riprodurre sulla tela. E al di là della
finestra inferriata altro non vede, se non un cielo grigio, che
par confonda colore e sostanze con l‟ acqua del mare. Ma
gl‟insetti finisce per trovarli anche il Bini, se arriva a dire di
essere stato costretto a desistere dall‟ ammazzargli, perché
erano troppi. In poco più di un mese l‟ umore del Bini è
cambiato con l‟ ambiente che non muta, e pure peggiora- un
dì più dell‟ altro –nella monotonia triste di cui trascorrono
uguali tutte le giornate, mentre che il solito caffettiere
porta ogni mattina alle otto la solita colazione, e al tocco i
soliti < selvaggi > che si sono rubati il nome di camerieri,
recano il pranzo composto della solita zuppa e delle solite tre
pietanze che sembrano tre bocconi sempre uniformi , quando
non son di rado alternanti da un
uccello, che l‟ oste scova
sul tetto di qualche campanile. Al contrario il Guerrazzi, si
accomoda a passare il tempo, con profitto per la patria e
per sé componendo l‟ animo a soffrire . Anche il grigiore che
73
74
apparve per lui aldilà dell‟inferriata, si dilegua. La biblioteca
napoleonica, dotta per tutto quello che fu scritto fino al
principio del secolo scorso, serve a lui, per distrarlo, per
“irrigidirlo contro l‟incessante sventura”; e nella solitudine
alta a spaziare su di un mar limitato, nasce quel libro
pensato come una sfida e scritto come si combatte una
battaglia. Sull‟ ultimo l‟ambiente è migliorato ;la gabbia è
sempre gabbia ,ma almeno indorata talché nulla più manca –
scrive il Bini- tranne… l‟ andarsene. Sei mesi sono trascorsi
allorchè un mattino la porta del carcere si chiude e :
<Signori , state di buon animo, perché voi non avete
commesso
nulla…
Ma
ogni
stato
ha
il
suo
diritto
di
conservarsi…>. Questa giustificazione della sofferta prigionia
e queste le scuse .E poiché le cose son tornate- come l‟
esecutore granducale assicura- in calma i “ signori “ vengono
rimessi in libertà con l‟ augurio di non tornare a calcare le
orme del Còrso nell‟isola ferrigna. Augurio vano. Quindici anni
dopo il “ Giglio” sbarca a Portoferraio ancora il Guerrazzi,
questa volta accompagnato da Mastacchi, Rosselli, Roberti,
Cavoriti, Romiti , Lilla, Ansuini; dal La Cecilia ed al suo
famigliare ,dai Vignozzi padre e figlio, e da Riccardo Frangi:
tutti in catene, tranne il La Cecilia, cui fu risparmiata l‟onta
delle manette perché non toscano, come fu riservata la
dimora del Forte Stella , mentre il Guerrazzi e gli altri
erano chiusi nel Forte Falcone. Accusato d‟incitamenti alla
strage ,al saccheggio ,all‟incendio, Francesco Domenico sa di
subire immeritatamente anche la nuova prigionia. Ma a
Firenze perdura l‟impressione di quei fatti che a Livorno
turbarono l‟ordine ai primi del‟ 48 “ per opera tenebrosa di
alcuni faziosi ” i quali “ i nemici della pubblica quiete,
abusando della longanimità del Governo , hanno ardito con la
più
odiosa
pubblicazione
compromettere
la
e
maestà
col
susseguente
del
trono”.
tumulto
Quella
di
“odiosa
pubblicazione” era uno scritto propagato per Livorno il 5
gennaio; con gonfie e minacciose parole esso invitava i
toscani a prendere le armi e particolarmente incitava i
turbolenti concittadini , già da qualche giorno in tumulto,
senza che il generale Sproni riuscisse a quietarli. Che lo
scritto
fosse
Montanelli,
del
anzi,
Guerrazzi
scriveva
al
assicuravano
Capponi
lo
Zoli
narrando
e
il
che
il
75
Guerrazzi , con altri, aveva costituita una commissione che
era un governo rivoluzionario bello e buono . Cosimo Ridolfi,
giunto a Livorno, procede all‟ arresto in massa di vari
indiziati, in nome di Leopoldo Secondo a cui la “ Civica “ è
rimasta fedele. Il Ridolfi si coltiva questa col più stretto
contatto .Frequenti sono le sue visite alla caserma. Un
giorno, mentre egli si trattiene a rapporto con l‟ ufficialità,
ecco presentarglisi un certo Pedani, del quartiere della
Venezia. Il Pedani aveva operato energicamente a ristabilire,
e poi
mantenere l‟ordine; chiede perciò al ministro una
ricompensa per i servigi prestati da lui e da i suoi compagni.Quale ricompensa posso io darvi?- gli osserva il rigido
rappresentante di “Canapone”. E il saggio popolano pronto gli
risponde:
-Una scuola!...
E nella notte sul 9 gennaio che Guerrazzi vien preso,
incatenato, imbarcato e spedito a Portoferraio. Né valgono
le lacrime di rabbia del Bargagli ad ottenere che al
prigioniero siano tolte le pesanti catene. Gli ordini erano
quelli contro quelli, violando la consegna, si pone arditamente
un giovine sergente dei carabinieri, Orazio Giovannini. (<Soffre signore?...- Risposi-No. E se soffrissi che importa a
voi?- Ed egli di nuovo: Codeste mani non debbono portar
catene…> ).Ma se l‟ accusa è ingiusta ( e il Guerrazzi giura
sopra l‟ anima del padre, sopra il suo onore, alla sua
coscienza , che il fatto appostogli non è vero), egli non vuol
grazia. Gli basta il conforto di qualche parola amica che
76
arrivi fino a lui e valga a mitigargli lo sconforto in cui “ il
capo patisce e l‟anima si rode “. In tale sconforto avendo
per
viatico
spirituale
non
più
i
libri
della
biblioteca
napoleonica , ma la Sacra Bibbia egli scrive la “ Predica del
Venerdì Santo” come il cuore angustiato glie la detta.
Intanto il 29 Gennaio il Ridolfi è partito da Livorno sostituito
da Scipione Bagagli. Spetta a questi l‟ incarico di eseguire il
Granducale rescritto del 24 marzo successivo e spedisce il
“Giglio” a Portoferraio con “onorevole campagna” per liberare
il Guerrazzi . Così esso può andare a rifarsi in salute
(sofferente com‟ è per male al fegato) e in spirito nella
campagna pistoiese ,ospitato da Nicolò Puccini. E delle due
prigionie ingiustamente sofferte (allorché vagando con la
fantasia per l‟ orizzonte svelatogli da Giorgio Byron ,iniziava
quei suoi scritti, che avranno sempre virtù di scuotere l‟
anima finché il cuore umano palpiterà per la Patria e per la
Libertà) un solo ricordo permane gradito in lui, rivolto al
degno popolane – Cristino Damiani- che con sommo pericolo e
con non
lieve disturbo seppe le due volte essere
verso il prigioniero.
Fuor de la glauca
onda rasenia
tu sorgi, e al vigile
mio sguardo affacciasi
cortese
77
l‟ampia ed aerea
di monti varia
scena, cui l‟arduo
Capanne domina.
Per neve candido,
o tinto in roseo
dal sole occiduo,
ch‟altri fastigii,
calando, imporpora.
78
Poi, quando a mèzzo il fulgido
suo corso il dì fiammeggia.
Ecco: sù l culmine
dentato e livido,
di nembi torbido,
cavalca il turbine,
guizza la falgore;
o, ne lo spazio,
sta il nudo vertice
scolpito e nitido,
sull‟interfuso specchio
del mio Canal pacifico,
come per entro un tenue
velo di polve argentea,
i tuoi contorni sfumano;
e, se da fratte nuvole
saetta in cerchio i lucidi
strali nel mare tremulo,
in vista sembri fervere
cinta da vasto incendio;
o, furiando il libico
vento, di vele lazie
agitator terribile,
il periglioso pelago
bianco di schiuma rabida
contempli solitaria.
Ma, sotto il fiato gelido
di Borea, nel puro etere,
torni serena a ridere,
a par del flutto, cerula.
79
Oh eccelsi gioghi ripidi,
frondosi d‟elci, e impervie
acute nette nivee,
ch‟echeggiano a lo stridere
del roteante nibbio:
oh, ne la state splendida,
colli da verdi pampini
ombrati. E di purpuree
dolci uve onusti e d‟auree;
oh clivi, onde biancheggiano
erme le case e placide,
e i borghi, che il tirrenio
primo fondò, o il laconio;
bell‟acque, che s‟increspano
del maestrale al soffio,
e dove il seno eburneo
liete fanciulle immergono,
brune la chioma e l‟occhio;
lidi mugghianti all‟impeto
de‟ cavalloni indomiti;
80
rocce, donde zampillano
le polle salutifere;
irte scogliere grigie,
che, spumeggiando, grondano
sotto le ondate tumide;
tonte e marmoree glaree,
che il fiotto roco rotola;
strisce di mare tacito,
su cui gemmeo rifrangesi
il plenilunio limpido,
quale stellante piaggia;
oh golfi in che i navilii
lassi ed aneli approdano!
Perché dal Rio sanguineo
d‟atre caverne orrido,
l‟edaci mine tuonano,
come profondi palpiti
de le tue rosse viscere,
cui il ferro tuo dilania?
Perché l‟industre e barbaro
81
Fumo il terso aer contamina,
e la bipenne incoscia
la chioma dilacera?
Ma tu dai le incantevoli
Viste alle navi ignifere,
che ai grandi oceani agognano;
a l‟ale temerarie,
che il nostro cielo sfidano;
ridi al fosco Argentario,
sacro al divino Apolline,
ed a la Cirno italica,
dove temprò al fulmineo
volo le penne cupide
del Bonaparte l‟aquila;
ridi alle tue Nereidi
suore, che t‟inghirlandano,
la Palmaiola fiammea,
e l‟alcionia Cerboli;
ridi al Giglio granitico,
al Montecristo tragico,
82
a le gemelle vindici
de la dantesca collera;
a i ruderi ciclopici
de l‟arce lucumonia,
e al mio bel promontorio,
che ti saluta, o Etalia,
sonante d‟armi eroiche
né carmi di Vergilio.
E, qual nel marmo pario
Scolpì l‟argivo artefice
L‟alma beltà di Venere,
tale su i volti floridi
de le tue vaghe figlie
brilli la grazia ellenica.
83
APPENDICE
Curiosità: Storia del Risorgimento all‟Elba
attraverso la lettura di antiche epigrafi.
tratto da un articolo de “Lo Zibaldino” di Aulo
Gasparri - 12 agosto 1994(Sintesi)
Lo scrittore racconta che nel 1984, nel cimitero della
Misericordia di Portoferraio, coperto da una folta e vigorosa
pianta di geranio, scoprì un sarcofago in marmo bianco di
tarda età romana. Vi erano scolpite due vittorie alate che
sostenevano un cerchio con una iscrizione latina: era la
tomba
di
una
bambina
di
A
7
questo
anni.
punto
lo
scrittore intuisce che dalla visita attenta del cimitero si
potevano trarre altre epigrafi che narrassero la storia della
nostra Isola. Gasparri fa un lungo elenco delle scoperte
fatte, ma noi ci limitiamo a riportare quelle riguardanti il
nostro
Risorgimento.
Questa
epopea
è
degnamente
84
rappresentata dal “ Volontario Garibaldino Conte Luigi Pullè”,
da Francesco Damiani “ Soldato della
Prima Guerra d‟Indipendenza d‟Italia”, da Edoardo Fazzini
“tenente d‟Artiglieria, valoroso nelle patrie battaglie contro
il brigantaggio”, da Pietro Carlini regio impiegato, che “nel
1848 combatté per l‟Indipendenza d‟Italia”, da Ildebrando
Audifred che“combatté per la Patria con Garibaldi nel 1866”.
La memoria del generale Pietro Gudi è consacrata da una
lapide molto verbosa che evitiamo di riportare. Nel centro di
un esedra troviamo scritto “ per affetto dei concittadini”
dedicata alla salma di Elbano Gasperi “ L‟eroe di Curtatone,
in questo modesto angolo della Santa Italia,
attende germini fiorisca, la vera forza la dignità , la potenza
del popolo, nella memoria del suo prodigioso valore”. Nei
sotterranei del cimitero si trova la tomba di Bartolomeo
Pistelli, ricordato anche per la sua amicizia con Guerrazzi e
Bini. C‟e‟ anche Cristino Damiani, anche lui ricordato per
85
l‟amicizia con il Guerrazzi.
che
indusse il poeta a scrivere, prigioniero politico al Forte
Falcone, la famosa “Predica del Venerdì Santo”, per il
giovane figlio Don Giuseppe, cappellano della Misericordia.
Curiosità:
la scuola all‟Elba dal 1822 all‟Unità di‟Italia
86
(Brani tratti dal testo “Scuola e Società all‟Elba dal 1860 al
1900)
Leggendo
partirà,
il
testo
sopra
temporalmente,
indicato,
all‟incirca
la
nostra
verso
il
attenzione
1822
per
sottolineare l‟importanza innovativa a livello metodologico di
insegnamento del maestro Vincenzo Bigeschi. A quel tempo il
Clero controllava quasi completamente l‟istruzione elementare
che era poi l‟unica esistente all‟isola. Basta fare due esempi:
c‟era, prima delle lezioni, l‟obbligo della Messa quotidiana ed
i maestri, a parte due laici, erano tutti sacerdoti. Fra questi
sacerdoti però spicca la figura del maestro sopra indicato
che nei suoi scritti pedagogici rivendica innanzitutto la piena
autonomia di metodo e di libertà di insegnamento. Pur
lamentandosi del numero esiguo di allievi (otto) dovuto al
fatto che i genitori li trattenevano sovente a casa per farli
lavorare nei campi, pensò ad un struttura scolastica ben
precisa dove nella Prima si insegnava la Retorica che puntava
soprattutto su una conoscenza della lingua italiana a livello
orale
mentre
nella
Seconda
si
puntava
di
più
sulla
grammatica. (da notare che gli otto allievi erano tutti maschi
poiché
a
quel
tempo
le
femmine
“di
buona
famiglia”
studiavano a casa). Naturalmente sia nella Prima che nella
Seconda si dava molta importanza al Catechismo. Ricordiamo
inoltre che per diventare maestri era sufficiente una prova
molto formale e prevalevano sulle capacità culturali quelle
che chiameremo “morali”. Lo stipendio poi era minimo e quindi
il maestro laico era costretto a fare un secondo o un terzo
lavoro per sopravvivere economicamente.
Con il passare del tempo però la Chiesa si distaccò dal ruolo
educativo
di
dispotismo
diffidenti
alfabetizzazione
illuminato
verso
dell‟epoca
un‟emancipazione
abbandonano
diventando
delle
classi
persino
sempre
operaia
il
più
e
contadine visto poi che, per seguire la Messa, non era
necessario conoscere la lingua italiana che veniva celebrata in
latino, una lingua incomprensibile alla maggioranza della
popolazione.
Una vera rivoluzione nell‟ambito della scuola all‟Elba nasce in
effetti solo con l‟intervento del maestro Angiolo Foresi ed il
suo metodo di istruzione chiamato “mutuo insegnamento”.
Questo metodo consisteva nel fatto che Foresi utilizzava gli
87
alunni più grandi ed abili per spiegare ai più piccoli i
rudimenti
della lettura e scrittura sommando due aspetti
positivi: superare
la carenza di maestri ed instaurare un
clima di mutuo soccorso, di solidarietà fra gli allievi. Inoltre
aggiunse materie come Matematica, Storia, Geografia e ben
presto la sua scuola si riempì
classi
sociali.
Il
di ben 60 allievi di tutte le
“maestro
Angiolino”
come
venne
soprannominato dai suoi conterranei tirava fuori di tasca sua
sovente il denaro necessario per il materiale scolastico e non
mancava di andare spesso in continente “per restare al passo
dei migliori metodi d‟istruzione”. Per premiare la sua solerzia
la
cittadinanza,
nel
1829,
raccolse
spontaneamente
25
zecchini utili al funzionamento della sua scuola.
88
Proprio in questa data però si termina di parlare di lui e del
suo metodo di insegnamento sulla rivista “Cronache Elbane”
ed in effetti dal 1830 si cominciano ad adottare delle
apposite “cartelle” dove un allievo leggeva ad alta voce e gli
altri lo seguivano a voce bassa. Questo metodo però ebbe
anch‟esso breve durata perché gli alunni
imparavano
a
memoria ciò che vi era scritto e così ben presto si passò
all‟adozione dei libri di testo e, ovviamente, il testo più usto
era allora il “Compendio della Sacra Scrittura” . La
Chiesa
tornava così a prendere il sopravvento sulla scuola laica. A
questo punto possiamo dire che Portoferraio intorno al 18301840
versa
in
una
situazione
…
disastrosa
benché
avesse,rispetto agli altri comuni elbani, una situazione di
avanguardia. Sempre verso il 1827 a Portoferraio esistevano
tre scuole,che poi si ridussero a due,per leggere, scrivere e
di bella grafia. Dal punto di vista legislativo le scuole
89
dipendevano
dal
Granducato,
ma,
a
livello
finanziario,
l‟impegno era tutto sulle spalle dei Comuni che sborsavano
ben poco: i maestri venivano mal pagati e non esistevano veri
edifici scolastici, ma si affittavano locali sovente malsani o
addirittura i maestri accoglievano a casa
i loro alunni. Visti
gli ovvi risultati scolastici disastrosi, il Granducato,nel 1837,
emanò un decreto per cambiare la situazione. Ritornò una
terza scuola, fu nominato un
altro insegnante e si cercò di
aggiungere altre discipline oltre il leggere e lo scrivere. Il
primo maestro insegnava la lingua latina e retorica;
compito
del secondo era dare lezioni di Grammatica italiana,Storia e
Geografia mentre al terzo spettava il compito di porre le
basi del saper leggere, scrivere e far di conto.
Al primo
maestro spettavano 1.080 lire annue,al secondo 1.000 lire
annue e al terzo 760 lire. Le ore di lezione passarono da 4 a
5 al giorno. Novità assoluta fu l‟introduzione al giovedì dalle
9 alle 12 di una lezione di nautica. I primi due maestri, dopo
un
paio
di anni di prova,venivano confermati a tempo
indeterminato mentre il terzo veniva confermato di anno in
anno dal Comune. Tuttavia la situazione educativa all‟ Elba
non migliorò e i programmi auspicati rimasero inattuati. Nel
1845 il Comune emanò un regolamento per un controllo più
assiduo sul lavoro degli insegnanti da parte di un Prefetto e
da
un
arciprete
e
potevano,
durante
le
loro
visite,
interrogare gli scolari e valutarne il profitto. Ai maestri
verrà imposta una metodologia di pedagogia e i testi dei libri
da adottare. Le materie rimasero le stesse non mancando
l‟ora di catechismo propedeutico. Per l‟ammissione alla Prima
si esigeva un attestato del Parroco che comprovasse i sei
anni di età, un certificato medico di avvenuta vaccinazione
vaiolosa,
un‟obbligazione
verbale
dei
genitori
che
si
impegnavano a fornire ai figli carta, libri e mandarli a
lezione vestiti in un modo decoroso e una nota del “capo
bottega” qualora l‟alunno prestasse apprendistato presso
qualche datore di lavoro. Per quanto riguarda la disciplina “la
docilità, l‟obbedienza ed il rispetto,non meno che l‟amore allo
studio e la diligenza sono i principali doveri degli scolari”. Il
maestro teneva un “ giornale “ dove annotava giorno per
90
giorno la condotta degli allievi ed era
prevista
anche
l‟espulsione provvisoria dalla scuola in caso di “ atti contro la
morale e il buon costume”. A settembre venivano fatti dei
pubblici saggi e gli scolari più meritevoli venivano premiati con
medaglie e libri. Le condizioni economiche disastrose dei
maestri comunque continuarono ad incidere in modo notevole
sui risultati didattici degli alunni portoferraiesi e nel resto
dei Comuni. Va ricordato che i giovani,la maggioranza, che
viveva
lontano
dagli
edifici
scolastici
e
lavoravano
in
campagna, non frequentavano alcun tipo di scuola. Ancora nel
1862 il giornale “ Il pensiero” faceva notare come i comuni
trascurassero del tutto gli abitanti delle campagne del
settore istruzione. In quel periodo vivevano in città 3.920
persone e 1.617 in campagna. Ciò vuol dire che un terzo
della
popolazione
veniva
trascurata
a
livello
Nascono nel frattempo le scuole private e nel
scolastico.
1852
ne
esistevano a Portoferraio più di una con 218 alunni guidati
dai maestri e 185 nelle scuole delle maestre. Queste scuole
sopperirono anche all‟istruzione delle femmine che in quelle
pubbliche erano inesistenti. Era
opinione comune che i
risultati didattici erano migliori di quella pubblica. I maestri
tenevano lezione solo ai maschi mentre le maestre ad ambo i
sessi tenendo alcune ore a parte solo per le femmine
impegnando loro a cucire e ricamare. Le scuole private
risultavano numerosissime poiché il più delle volte le lezioni
venivano tenute presso la casa del maestro/a. Tre erano
situate presso la Salita dell‟ Ospedale, altre 3 a Porta
91
Terra, 2 in Via della Fonderia, altre 2 in Piazza Cavour. Le
maestre che avevano più allievi (34) erano la Sig.
Maria
Retali in Via del Paradiso e la Sig. Marianna Mannocci in Via
dell‟ Amore con 40 alunni. Per ottenere il diploma di maestro
erano sufficienti 6 mesi di apprendistato presso una scuola.
Negli anni successivi all‟ Unita d‟Italia si ebbe però una
drastica scomparsa
Curiosità:”Portoferraio centotrenta anni fa”
Impressioni del Parroco Traditi in una sua relazione dopo
92
l‟Unificazione
“Lo Scoglio Primavera‟88- I° Trimestre. Anno VI”
Panorama Portoferraio
Forte Stella
Avvenuta l‟unificazione italiana, il Parroco di Portoferraio
Canonico dott. Benedetto Traditi fu incaricato di redigere
per
il
Vescovo
di
Massa
Marittima
un
rapporto
sulla
situazione delle Chiese, della popolazione, delle scuole e degli
ecclesiastici in Portoferraio. Tale relazione è costituita da
una quarantina di cartelle riempite con una fitta, ma
chiarissima scrittura e sono redatte in uno stile sobrio ed
elegante. La lettura di esse suscita un certo interesse, sia
per il loro contenuto statistico sia per le osservazioni che vi
si trovano. Osservazioni e timori del resto giustificati perché
in Toscana si sapeva per certo che il vecchio governo del
Granduca Ferdinando III, “di felice ricordanza”, era stato
un buon governo, moderato e tollerante,
un‟ isola di
relativa libertà rispetto agli altri mentre quello della nuova
Italia era se non altro un governo di scomunicati. Ma
osserviamo le statistiche. La popolazione di Portoferraio alla
data del 14 agosto 1873 era così distribuita:
Popolazione indigena - Sezione 1.a (della città) famiglie
93
n.733; Sezione 1.a (della campagna) famiglie n.355. Totale
degli indigeni n.4.506.
Popolazione
avventizia
-
RR.
Carabinieri
n.10;
R.
Guarnigione: cannonieri n.88; linea n.189, disciplina n.99;
Guardie di Finanza n.21; Guardie di Pubblica Sicurezza n.4;
Guardiani allo stabilimento penale n.41; Servizi alla Pena
n.706; Totale della popolazione avventizia 1.116.
Ed ecco quali erano le scuole esistenti nel comune, con
l‟indicazione
insegnamento
dei
rispettivi
e
insegnanti,
degli
delle
materie
di
alunni:
Scuole comunali tecniche in città (maschili); Goretti Luigi,
maestro di lingua italiana, diritti e doveri dei cittadini, alunni
3; Venier Lodovico, maestro di matematica, computisteria e
nozioni di scienze fisiche e materiali, alunni 5, Galli Casimiro,
maestro di nautica, alunni 8. Scuole ginnasiali (maschili):
Mattei don Vincenzo, maestro di grammatica latina, alunni 1.
Scuole elementari (maschili): Biscardi Oreste, maestro di 3.a
e 4.a, alunni 50; Poli Ranieri, maestro di 2°., alunni 35;
Medici Luigi,
aiuto maestro incaricato
della 1°, alunni
50.Scuole elementari (femminili):Boschi Tommasa, maestra di
2.a e 3.a, alunni n.26; Chiavistelli Angela, aiuto maestra in
incarico
della
1.a,
alunni
n.59.
Scuole elementari comunali della campagna: Marinari Pietro,
maestro
di
1.a,2.a
e
3.a,
alunni
n.59.
Scuole particolari: Baroni don Federico, maestro di elementi
e grammatica italiana, alunni n.12; Casali Antonio, maestro
di leggere e scrivere e conteggiare, alunni n.17; Gaudiano
Maddalena, maestra di lavori muliebri e lettura, alunni n.34;
Donati Anna, idem, alunni n.17; Frilli, maestra di piccoli
bambini dei due sessi, alunni n.25; Maranca Filomena, idem,
alunni n.25. Scuole particolari di campagna: ai Magazzini:
Fabiani
Francesco,
maestro
di
leggere
e
scrivere
e
conteggiare, alunni n.21; allo Scotto : Talinucci N., maestro
di
lavori
muliebri
e
lettura,
alunni
n.35.
Frequentavano quindi le scuole di Portoferraio e delle sue
campagne, nel 1873 n.480 scolari. Il corpo insegnante era
costituito da 18 maestri, 11 di sesso maschile e 7 di sesso
femminile. Esistevano una Scuola Tecnica Comunale, una
Scuola Ginnasiale privata (inverno poco frequentata), una
scuola elementare, presente anche nelle campagne ed altre
94
scuole particolari per bambini piccoli e piccolissimi. Ma a
questo punto
devo
far
rilevare alcune
osservazioni del
canonico Traditi:
La Darsena
La Darsena 2
“E‟ da deplorarsi che esistano pure in città: una Scuola
Maschile della Setta Valdese per fanciulli; una Scuola
Femminile della Setta Valdese per fanciulle. E‟ pure da
deplorarsi che nelle Scuole Comunali Maschili e Femminili è
vietato l‟insegnamento elementare della Dottrina Cristiana e
ch‟è di pari trascurato nelle scuole private dirette dagli
uomini”.
Ed
ecco
infine
l‟elenco
degli
ecclesiastici:
1) Canonico Traditi Benedetto di Portoferraio, Arciprete
Parroco; 2) Pagni don Francesco, cappellano in riposo di
Portoferraio, Confestore ; 3)Speranza don Bartolomeo ora a
Marciana Marina di Portoferraio, Confessore; 4) Gasparri
don
Francesco
Antonio,
Confessore
di
Portoferraio,
Cappellano delle Carceri; 5) Gasparri don Cosimo confessore
cappuccino militare a riposo a Portoferraio, Cappellano al
Bagno.
95
Villa dei Mulini
Le Ghiaie
Vice Prefetti dell‟Isola d‟Elba succeduti fino ad oggi
dall‟annessione della Toscana all‟Italia
REGNO D‟ITALIA
96
1.
1860
Gen.Alessandro Danesi
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
1861
1862
1863
1865
1865
1866
1867
1872
1875
1876
1877
1878
1878
Dr.Carlo Cavilli
Dr.Filippo Struso
Dr.Edoardo Bermondi
Dr.Giuseppe Pennacchio
Dr.Giorgio Manganaro
Dr.Luigi Pais
Dr.Giov.Ant.De Angelis
Dr.Gaetano Leopardi
Dr.Francesco Truffi
Dr.Luigi Ovidi
Dr.Giuseppe Valli
Marc.Dr.Cosimo Prato
Dr.Giuseppe Pintor Mameli
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
1880
1881
1883
1886
1887
1888
1888
1888
1888
1890
1891
1895
1896
1899
1901
Dr.Giacomo Zarini
Dr.Giuseppe Alvisi
Dr.Pasquale de Tschuy
Dr.Angelo Gigliesi
Dr.Giuseppe Nanni Seta
Dr.Aless.Cocozzo Campanile
Conte Dr.Casimiro
Dr.Luigi Londero
Conte Dr.Amedeo Nassalli Rocca
Dr.Roberto Cassano
Dr.Francesco Buongermini
Dr. Antonio Arnaboldi
Dr. Giovanni Morati
Dr.Edoardo Genserini
Dr.Gemignano Valentini
97
”I tetti”centro storico
Tratto da "L'isola d'Elba nel Risorgimento.Uomini idee e
percorsi." di Gianfranco Vanagolli
E' certo che nel 1818 si giunse senza che si intravedesse la
fine della crisi economica che l'isola viveva dal 1815.
Secondo una lettera anonima indirizzata
direttamente al
granduca e pervenuta allo Strassoldo, il malcontento era
generalizzato
e
si
trasferiva
politico,tanto
da
poter
direttamente
parlare
di
una
sul
piano
situazione
pre-
insurrezionale.Quale che sia il grado di attendibilità da dare
al suo contenuto,il documento si colloca tra i segnali di una
crescente
inquietudine
identificabili
con
le
voci
di
una
riscossa bonapartista dai caratteri inediti,in quanto declinata
su un'iniziativa militare di proscritti in Africa settentrionale
e
su
una
presa
del
potere
di
alcuni
antichi
generali
dell'Armée in Brasile,oltre che sulla fuga di Napoleone dal
suo carcere. Risalta in questa temperie,l'attenzione per
l'Elba che veniva attribuita ad una squadra navale degli Stati
Uniti d'America allora in crociera nel Mediterraneo. La
lettera anonima riserva esplicitamente a due sue unità un
ruolo fondamentale nei prospettati rivolgimenti sull'isola. Su
ciò,peraltro,non si risparmiarono investigazioni,che ebbero
luogo all'Elba,dove sortirono risultati di scarso rilievo,e sul
continente.
Può
aiutare
a
capire
fino
in
fondo
l'atteggiamento delle autorità granducali il fatto che nel
campo conservatore,ad ogni latitudine,gli Stati Uniti,per la
loro storia e per le loro istituzioni democratiche,fossero
guardati in modo assai negativo. Al contrario,ad essi si
volgeva con speranza e fiducia il movimento liberale e vi sono
Anonimo,Nave della Marina degli
Stati Uniti d'America nel
Mediterraneo
forti probabilità che l'opposizione elbana nutrisse questi
sentimenti. Nei suoi confronti,sulla base di indagini sviluppate
a Piombino nel marzo del 1818,la polizia dispiegò
un'articolata azione repressiva che si tradusse nel carcere
per Vincenzo Vantini e Giuseppe Manganaro, nonchè per dei
personaggi che erano stati estranei agli esordi del movimento
democratico locale o alle vicende della Loggia Amis de
l'Honneur Français :un Diego Scotto,di Longone, un
Massimiliano Barsotti,di
99
100
Portoferraio,ed un Dussan, francese. Una nota del console
del Regno di Sardegna a Portoferraio informa che i cinque
erano imputati di "segreta intelligenza" con emissari del
governo di Washington finalizzata alla sostituzione sull'isola
della bandiera lorenese con quella a stelle e strisce. Dal
canto suo,il titolare della rappresentanza diplomatica
piemontese a Livorno,Luigi Spagnolini, liquidava l'affaire
come il frutto di “malfondate ciarle”:una opinione che
incliniamo a condividere e che,tuttavia,solo nuove acquisizioni
potranno confermare o smentire. E' incontrovertibile,
invece,la coincidenza tra i fermenti elbani e quelli che
agitavano l'intero universo liberale, impegnato in un salto di
qualità su vasta scala. Proprio allora a Livorno si andava
formando una vendita carbonara, certo almeno con il plauso
del console statunitense Appleton, carbonaro dichiarato,e
confluivano in Toscana cospiratori del Regno di Napoli e dello
Stato della Chiesa,mentre permaneva forte la presenza
massonica. In carcere,il Vantini fu riconosciuto come il
leader del gruppo e,solo tra i suoi compagni,patì l'isolamento.
Chi
lo
interrogò,
lo
giudicò
un
“uomo
fiero,di
talento”,sottolineandone cavallerescamente la coerenza.
L'intero gruppo riguadagnò rapidamente la libertà,scagionato
da una totale mancanza di prove a suo carico,ma non potendo
evitare di rimanere nell'occhi del Buon Governo. Tra i vigilati
si contavano quasi esclusivamente professionisti, impiegati,
possidenti, negozianti ed ex militari dell'armata napoleonica;
anche il canonico Bigeschi apparteneva per discendenza al
locale milieu. Vi era un solo artigiano, il Malfanti incisore,
che occupava il gradino più basso in quello spaccato molto
ridotto di società. Evidentemente l'opposizione viveva ancora
per più versi dei motivi indotti immediatamente dalla
Restaurazione, comprensibili appieno alla luce della vicenda di
una classe dirigente bruscamente marginalizzata e colpita nel
suo prestigio. Quanto al dissenso interno, nel '22 furono
segnalati “discorsi allarmanti” pronunciati dai fratelli Sisco,
che per la precisione avevano imprecato “contro i Napoletani
che non avevano saputo sostenersi nell'ultima lotta”,dando
testimonianza di quante speranze avesse suscitato nel fronte
patriottico il moto meridionale.
101
102
Essi
vennero
sottoposti
perciò
a
nuove
misure
di
controllo,successivamente intensificate a causa di certi loro
appurati contatti con due sconosciuti polacchi,insieme ai quali
erano stati visti nei pressi delle fortezze di Portoferraio e di
Longone e nella miniera di Rio. Nello stesso torno di tempo
furono perquisiti,a Capoliveri,gli alloggi di due sergenti della
locale compagnia dei Cannonieri guarda coste,sospettati di
reclutare
“proseliti
a
una
vendita
presenza
sull'isola,tuttavia,non
si
carbonara”,della
ha
altra
notizia.
cui
Ai
Cannonieri, reclutati per lo più tra gli indigeni, si guardava
con speciale sospetto ed erano parecchi i delatori infiltrati
nelle loro file. Ad una sostanziale assenza di manifestazioni
eclatanti non fece riscontro, nel movimento liberale, una
rinuncia all'iniziativa politica che portò al concepimento, nel
gennaio del 1831, di un‟insurrezione generale attraverso la
discesa in campo di più formazioni di volontari, una delle
quali
era
previsto
Corsica,per
Roma.Si
dovesse
proclamarvi
distinse,
in
la
questa
sbarcare
in
repubblica
e
esaltante
Toscana
dalla
puntare,poi,su
temperie
Zenone
Vantini, figlio di Vincenzo che troviamo emissario di Mazzini
in una delicata missione a Bologna, ribelle, con i Ducati di
Parma e di Modena; il nome di Vantini appare, inoltre,
accanto a quello del noto fuoruscito napoletano Giovanni La
Cecilia, a proposito di un progetto di un colpo di mano
sull'Elba su cui riferisce il console lorenese a Bastia,
Giacinto Cecconi, sulla base di una delazione.”Ecco quanto ho
potuto sapere in questo momento stesso: il già noto e
celeberrimo Sig. Vantini, per confidenza fatta a persona
interessata ai disordini,ha intenzione che,subito che riceva i
denari che sta aspettando nella prossima settimana da
Livorno,
vuol
subito
effettuare
la
sua
partenza
per
l'Elba;che il Sig.Caladini, comandante del Forte Inglese,col
quale è d'accordo,lo aspetta. Il progetto è di effettuare lo
sbarco di notte al luogo detto Le Ghiaie sotto al forte e di
entrarvi subito e di prenderne possesso;che i coloniali
[militari di due compagnie di disciplina] sono già prevenuti e
disposti alla ribellione,secondati dai paesani organizzati in
guardie nazionali,i cui capi ed ufficiali sono già designati e
nominati.”Il
diplomatico
mostrava
di
avere
un'opinione
negativa del La Cecilia (non diversa,del resto,da quella da cui
l'esule era accompagnato nel proprio campo),mettendo in
103
dubbio
le
intelligenze
guarnigione
di
che
vantava
con
i
quadri
Portoferraio.Tre furono gli elbani
della
che,in
circostanze ancora da ricostruire,entrarono allora nell'orbita
delle
attenzioni
del
Buon
Governo,Giacomo
Anselmi,
di
Marciana;Giovanni Damiani,della marina di Rio e Giovanni
Battista
Gemelli,di
universitari,i
ravvisano
primi
gli
Rio,tutti
due,e
giovanissimi,studenti
avvocato,il
eredi,con
Zenone
terzo,nei
Vantini
quali
e
si
Giorgio
Manganaro,della generazione dei conterranei nati alla politica
nel triennio giacobino. In linea con la proibizione,decisa già ai
primi
di
marzo,della
“dispensa
e
lettura
nei
gabinetti
letterari,caffè ed altri luoghi” del parigino “Le Figaro”.Con
l'intervento degli imperiali nella penisola sembrò ai francesi
che
si
fosse
alterato
l'equilibrio
internazionale
a
loro
sfavore,tanto da portarli a decidere di occupare per rivalsa
Livorno,Civitavecchia,Ancona
e
l'Elba.Qui,con
le
truppe
regolari,avrebbe dovuto sbarcare un contingente di fuorusciti
italiani dalla Corsica.Tale progetto,che si mise in moto nel
marzo
del
1832,tramontò
rapidamente
dietro
la
scelta
adottata dal governo transalpino di circoscrivere le proprie
pretese alla sola Ancona. Nondimeno esso fece in tempo ad
accendere
l'Elba
restituisce
nella
liberale,che
specie
determinata,accreditandone
di
la
una
nel
voce
della
“comitiva”
contempo
polizia
ci
fortemente
lo
spessore
storico,nella quale vediamo alternarsi volti già noti,come
quelli di Giorgio Manganaro o di Vincenzo Sisco, a volti
affatto nuovi, nei quali riconosciamo, peraltro, contadini,
104
piccoli commercianti, un artigiano, un marinaio. Ad essa gli
investigatori,
sulla
base
di
indizi
e
di
testimonianze,
attribuirono un disegno insurrezionale.
105
Risultava alla polizia che i capi della “comitiva” fossero il
Manganaro,”di anni 35 circa,ammogliato,agente consolare per
la nazione inglese ed esercente in Portoferraio,sua patria,la
professione di procuratore con qualche credito”;il Sisco,”di
anni 45,scapolo,senza mestiere o indirizzo alcuno”;Enrico
Muraour,”di anni 60,vedovo,con alcune figlie a carico,di
professione fornaio”;Giovanni Battista Muraour,”di anni
36,ammogliato con tre teneri figli,agente consolare per la
nazione francese”),e due “fratelli Provenzali”.Quanto ai
semplici addetti si facevano i
nomi di Cristino Damiani,
“tabaccaio”;Jacopo
Ciorino,”maestro
dei
lavori
delle
RR.Saline”;Giovanni Battista Bernardoni, ”contadino dei SS.
I fratelli Senno ai Magazzini”; Pasquale Pazzaglia,
”contadino”, Santi Mazzei, ”marinaro”; Leopoldo Cei,
”venditore di liquori (ASCP,Affari generali,1832, F. 1,Rapp., 106
cit.; Relaz. Dell'auditore vic. Angelo Fabbrini al governatore
dell'Elba Gaetano Bertini,22 giugno 1832). Il Rapporto
appena ricordato si diffonde anche sulle 'truppe'
rivoluzionarie, che vuole costituite da contadini, e sul loro
arsenale:” il contadiname sta fermo e pronto per attendere
il segnale della rivolta e pochi sono quelli che mancano
d'arme per far fronte a qualunque ostacolo che gli venisse
frapposto. Si pretende che giungesse in addietro una non
indifferente quantità di cartucce al detto Sisco, che una
parte sia stata consegnata ai referiti contadini e che la
rimanente [sia in un magazzino] e che abbia finalmente un
buon numero di schioppi nascosti all'Acqua Buona,sotto la
custodia dei noti fratelli Provenzali per servirsene alla
circostanza”.Voci di un inizio del moto con la convergenza a
Portoferraio di un nerbo di “lavoratori” di Rio e di Capoliveri
dettero luogo ad una serie di interrogatori nel corso dei quali
alcuni membri della “comitiva” asserirono di essere stati
istigati alla sedizione dal Manganaro, dal Sisco, da Giovanni
Battista Murarour e dal Pazzaglia, che però non patirono
conseguenze, salvo il Pazzaglia. Nel 1833 la rete poliziesca
stesa dal Regno di Sardegna al Regno di Napoli percepì un
rinnovato fermento nel fronte liberale che, in effetti, stava
progettando uno sbarco dalla Corsica sulla riviera ligure di
levante e sull'Elba. Il 15 marzo era la Presidenza del Buon
Governo ad attivarsi per segnalare la presenza sull'isola di un
nucleo sovversivo,costituito da un dottor Anselmi,”incaricato
dal
Comitato
centrale
di
Parigi
di
stabilire
una
corrispondenza liberale tra Firenze,Roma e l'Elba”,da un
Mazzei, giovane “dottore in legge”, e da un dott.Manganaro,
sui quali,però,tornava il governatore elbano per allontanare
ogni sospetto dal Mazzei,che definiva “uomo di giovanissima
età,ma quietissimo” e dall'Anselmi,che riteneva essere stato 107
scambiato “p. l'identità del casato” con lo studente
compromessosi “negli affari di “Romagna”,mentre taceva sul
Manganaro identificabile sicuramente con l'avvocato Giorgio.
Quindi si ragguagliava l'isola su “un movimento straordinario”
registrato anche in Toscana “di viaggiatori francesi, polacchi,
italiani e più specialmente sudditi modanesi e pontifici”
indiziati
di
essere
“missionari
della
propaganda
rivoluzionaria”; sulla possibilità che fosse presente “sotto
mentite spoglie” nel Granducato il “general polacco Girolamo
Ramorino”, e infine su un probabile futuro sbarco all'Elba
dell'avvocato Angiolo Angiolini, tra i “Capi Direttori del
Partito Rivoluzionario di Pisa”.
… Corriere Elba…
Non vi è stata compagna o lezione militare compiuta nel nome
della indipendenza e dall‟unità d‟Italia ma più specificamente
Portoferraio
non abbia annoverato qualche suo figlio nelle
schiere del combattenti per la patria.
Li avremmo a Curtatone e a Montanara nel 1848 sulle mura di
Roma e di Venezia nel 1819 nel 1859-60-66-67 a Palestro a
S. Martino, in Sicilia, nel Tirolo, a Lissa, e Mentana.
Ma
è
nel
1848,
sull‟alba
radiosa
risorgimentale, quando il valore elbano
sul
nostro
politico
rifulse della maggiore
sua luce, in mezzo a quel piccolo ma valoroso esercito toscano,
che un elbano capita
che dal ritratto che conservarsi nel
nostro palazzo municipale.
Eseguito
battaglia,
a
Villafranca
dall‟
illustre
nel
1848
prof.
quattro
Mussini
già
giorni
dopo
direttore
la
dell‟
accademia di Siena e da lui regalato a Portoferraio, allora era
sergente di artiglieria,
illustrò la sua
terra
natale
con
ammirando eroismo,il suo nome incise gloriosamente sulle pagine
adamantine della storia.
Gli anni, la lunga navigazione sui mari trasformò il sottile
giovanetto del 1848, nell‟uomo gagliardo che presentiamo ai
suoi lettori, e che modesta vittima del dovere,moriva a Napoli
nel 1890, consunto da febbri malariche.-Come il sangue
versato su Sassonia ai tempi napoleonici, purificò la Germania
ritornandola al suo antico splendore,in quanto che i trionfi
appresero le vie di Sedan, così il sangue versato sui campi
108
purificò tre secoli di vergogne e le fortunate stazioni di gioco
e di Pastrengo ci apparecchiarono gli allori di paleso.
Giovani e adulti corsero alla difesa della patria:le Università di
Pisa e di Siena in Toscana votarono, si no di studenti e di
professori, le officine restarono deserte di lavoratori, gli
uffizi
di
magistrati,i
campi
di
agricoltori:dalla
guardia
universitaria costruita con il regolamento del 22 dicembre
1847 si trasse quel battaglione universitario che nell‟ anno
successivo, alla battaglia del 29 maggio a Curtatone si ricoprì
di gloria.- in quel battaglione era energico Bigeschi, nostro
concittadino, studente nel pisano ateneo ancora superstite e
tale
auguriamo
patriottismo.
resti
anni
molti,
monumento
vivente
del
109
AA VV – Il monte Capanne – Un‟isola verde nell‟Elba
– A cura della Comunità Montana – RS Editore.
Gli anni del boom demografico
– Il Risorgimento segnò il destino dell‟Elba .Essa tornò ad
essere luogo di deportazione e di confine,ma anche luogo di
emigrazione e di cospirazione politica. Il vento di
patriottismo che spirava in Europa trovò gli elbani pronti e
sensibili. Se ne accorse anche Garibaldi nel suo breve
soggiorno a Rio nel Settembre 1849.
Nel marzo 1860,
cinquemila votanti sui 6 mila aventi diritto, approvarono
l‟annessione dell‟Elba alla monarchia costituita di Vittorio
Emanuele II. Il Telegrafo prima e i“postale” poi crearono un
collegamento stabile e continuo con il continentale.Gli elbani
si sentirono più sicuri, non videro più il mare come una
minaccia e cominciarono ad edificare anche sui lidi e questo
movimento iniziò senza interruzione , già dai primi del 1800.
Nella prima metà dell‟800 la popolazione raddoppiò partendo
da 12.000 nel 1811 a 21.446 nel 1852 e il Marcianese era
una delle zone più densamente popolate. Si viveva
principalmente di agricoltura. Con l‟immigrazione verso il
mare portò a vere separazioni amministrative come si verificò
nel comune di Marciana dal quale si staccò Marciana Marina
nel 1848 e da questa Marina di Campo che prese il nome di
Campo nell‟Elba. Intanto l‟agricoltura,colpita prima dalla
critogama (1855) e poi dalla filossera (1890) portò molti
elbani, in questi quarant‟anni, ad emigrare in Francia, in
Venezuela e in Australia; tutto ciò stravolse anche la
110
fisionomia economica dell‟ Elba: dell‟agricoltura, pesca ed
estrazione del ferro prevalse ora quest‟ultima.
A cura di Alessandro Canestrelli.
Rio Marina e le miniere del ferro dell‟Elba.
Felici Editore – maggio 2001
Quando l‟Elba fu annessa al Gran Ducato di Toscana,
esso,nel Maggio 1816, decise che le miniere Non potevano
appartenere a privati, senza possibilità d‟acquisto o vendita.
I contadini riesi e del versante orientale elbano nel 1836,
1847 e 1859 inviarono petizioni al Governo Granducale
affinchè “… sia lecito e permesso a chiunque, senza alcuna
preventiva
licenza,
l‟intraprendere scavi
e
ricerche
per
estrarre, ritrovare e, ritrovati far propri, tutti metalli.
Ottennero un rifiuto, ma in cambio ottennero franchigie
doganali,
esenzione
dell‟Imposta
fondiaria,
riduzione
al
minimo del prezzo del sale, l‟elevazione di Portoferraio a
capoluogo dell‟isola e sede del Governo civile e militare con
una rispettabile guarnigione. Nel 1851 fu creata la “Regia
Cointeressata” che, in cambio di 1.200.000 lire toscane da
parte
del
stipulato
Banco
un
“Michelangelo
contratto
d‟affitto
Bastogi”
di
trentennale
Livorno,
e
così
fu
la
produzione mineraria ebbe un notevole incremento fino al
1880 e venduto per i 4/5 all‟estero dando lavoro a tanti
elbani non solo nel lavoro nelle miniere,ma anche per i
marittimi per il trasporto del minerale. I maggiori acquirenti
111
erano
Francia,
Inghilterra
e
USA.
Lo
scavo
avveniva
principalmente a “cielo aperto” e furono attuali migliorarne
tecnici e tecnologici e nuovi pontili sulla “piaggia” di Rio. Si
fecero poi molti progetti per fare dell‟Elba anche un centro
siderurgico come già pensava Napoleone, ma con l‟unificazione
del
Regno
d‟Italia
ogni
progetto
fu
definitivamente
accantonato provocando forti proteste fra la popolazione
anche perché stava terminando il tempo della gestione della
“Cointeressata” e il ministro dava in appalto con affitti brevi
a delle ditte appaltatrici che usavano, per di più, l‟uso dei
“domiciliari coatti” o di carcerati del Bagno Penale di
Longone. Solo nel 1897 Giuseppe Tonietti con il Del Bono
ebbero una gestione a lungo periodo e unificarono le miniere
fino a dar vita, finalmente, alla produzione siderurgica alla
nascita della società Anonima di Miniere ed Altiforni e la
costruzione dello stabilimento a Portoferraio. Ma negli anni
‟80 ciò non portò vantaggi agli elbani, anzi …” l‟opera
giornaliera veniva portata da lire 2,00 a lire 1,40 l 1,30 e
infine 1,20 e ciò porterà al primo grande sciopero che
avvenne nelle miniere di Rio.
Inoltre la Banca Generale che gestiva l‟amministrazione
decise il licenziamento degli operai che avevano più di 40
anni. Nel 1887 i “padroni” tentarono di sostituire gli
scioperanti con i galeotti, ma furono scacciati dalla
popolazione. Solo a fine „800 con l‟utilizzo degli altiforni di
Portoferraio si arrivò ad un certo miglioramento che si
rafforzò per le esperienze belliche e il successivo periodo
fascista del ventennio “autartico”.
112
113
Rio Marina e i Valdesi
Dalla metà del 1800,portata da Giovanni Cignoni, capitano
marittimo ed imprenditore, sempre qui nacquero le prime
forme di associazioni e cooperatismo. I valdesi giunsero da
fuori tanto da rappresentare il 2% della popolazione, una
delle più numerose in Italia. Essa si dedicò particolarmente
nel campo dell‟educazione e dell‟assistenza.
La Torre di Rio Marina
Fu nel 1882 (Re Umberto I) per festeggiare la proclamata
autonomia comunale che ad essa (30 metri) fu sovrapposta a
una torretta cha ad ogni lato reca il quadrante di un
orologio.
114
115
Sull‟agricoltura durante questo secolo
In questo periodo l‟Elbano non aveva più, come nel passato,
l‟agricoltura
come
unico
settore
di
sostentamento,
ma
divideva la sua attività fra orto e miniera, fra vigna e pesca
e i mulini ad acqua, a vento o
a vapore come quello di San
Giovanni che ebbero però il loro massimo sviluppo quando, ad
Unità d‟ Italia terminata, nel 1868 fu introdotta la tassa sul
macinato dal governo di Destra di Quintino Sella e che in
pratica era una tassa sul pane.
(QUINTINO SELLA)
L‟ Elba, in questa occasione, ebbe l‟esclusione da questa
tassa, per cui venivano anche dal continente i contadini per
macinare il loro grano e spiega anche il numero rilevante di
mulini nella nostra isola, superiore alle necessità degli
abitanti. Per quanto riguarda la vigna, soprattutto nel
versante orientale, le vigne salivano dal mare fino ad altezze
vertiginose. La montagna sembrava incisa a gradini, ma non è
così: i gradini sono stati aggiunti trasportando per anni,
decenni, terra da chissà dove nascondendo il puro granito
che affiorava, nudo, sui ridossi. Vendemmiare poi non era
uno scherzo avendo come unico ausilio l‟asino su cui si
caricavano le ceste piene d‟uva.
A peggiorare le cose c‟era
poi la polverizzazione delle proprietà ed essendo sovente,
appunto, monoculture come la vite, i contadini guadagnavano
ben poco, siamo a livello di sussistenza senza dimenticare i
mille
pericoli
come
grandinate,
parassiti
e
ancora
chi
116
comprava poi il prodotto aveva in mano il destino di una
famiglia per tutto l‟anno. Da non dimenticare l‟attività della
raccolta delle castagne nel versante occidentale.
CASTAGNE
117
VITI
CURIOSITA‟
Le miniere, le cave di granito e le saline.
Non meno dura era la vita delle miniere di ferro o quella di
granito entrambe lavorate quasi completamente a mano e
venduti grezzi in continente con guadagni relativi anche per i
padroni delle zone di lavoro (gli altiforni saranno introdotti a
Portoferraio solo nei primi anni del 1900).
Anche
in
questo
caso
l‟unico
ausilio
era
l‟asino
che
trasportava il materiale al porto del capoluogo. Fondamentale
era
l‟apporto
delle
donne
e
dei
bambini
che
avevano
soprattutto il compito, appunto, di guidare gli asini. Gli
uomini lavoravano „ a cottimo‟ , cioè a prodotto estratto, per
cui non esistevano limiti di orario o problemi climatici che
potessero fermarli.
STRUTTURE MINIERE ELBANE
118
IL GRANITO
Il lavoro sul granito era anch‟esso fatto a mano con le stesse
tecniche degli antichi romani, fatta eccezione dell‟uso della
mina mentre per le saline venivano solitamente impiegati
come operai i forzati del bagno penale della Linguella. Le
saline all‟Elba erano diverse, ma certo la più importante era
quella di San Pietro nella zona dove ora sono le Terme di San
Giovanni. I detenuti, anche nei decenni successivi, verranno
utilizzati anche per la creazione delle strade che, a fatica,
cercavano di mettere in comunicazione i vari paesi sparsi per
l‟Elba e che, per lungo tempo, comunicavano solo per mare o
per
stretti
e
faticosi
sentieri
coperti
dalla
boscaglia.
Soprattutto il minerale veniva trasportato con imbarcazioni a
vela successivamente rimorchiate da bastimenti a vapore
chiamati “Lacconi”, per giungere dopo l‟unità d‟Italia alle
Regie Fonderie di Follonica.
Lo stesso avveniva per il trasporto del vino che andava verso
la Liguria o Livorno. Per il granito, poi, c‟era il problema
ulteriore di far scivolare questi blocchi pesantissimi verso la
riva del mare ed è intuibile quanto fosse pericoloso questo
tipo di lavoro.
CURIOSITA‟
Collegamenti Postali.
Venivano effettuati dalla Società Rubattino che rimase
famosa anche per l‟apporto dato ai Mille di Garibaldi.
119
(VOLANTINO DELLA SOCIETA’ RUBATTINO)
(BATTAGLIA DEI GARIBALDINI)
Essa forniva un servizio giornaliero con Piombino e uno
settimanale con Livorno. Per la zona interna, con il bivio di 120
Carpani, Portoferraio rimaneva il centro di collegamento fra i
due versanti dell‟Elba.
CURIOSITA‟
Progetti di difesa del Regno d‟Italia dal 1862.
Da “Portoferraio e Architettura Urbanistica 1548-1877 di
Amelio Fara- Ed. Fondazione Agnelli 1997.
Per questa bisogna, per quanto riguarda la zona dell‟Elba, fu
designato Luigi Federico Menabrea che aveva progettato e
realizzato fabbriche a Torino ( 1840-50), Bologna (1859) e
Piacenza (1860). La sua relazione giunse al governo nel
novembre 1865 e sottolinea i fondi eccellenti e la profondità
d‟acqua bastante per le più grosse navi anche se esistono
pericoli di „interrirsi‟ per la presenza di torrenti, il più
importante quello della Madonnina ( San Martino), che
portano detriti nel porto; quindi propone di imbrigliare i
torrenti. Giudizio positivo per le fortificazioni, anche quelle
da tempo abbandonate. Lato negativo è visto nella scarsità
dell‟acqua potabile a Portoferraio. Passa poi all‟importanza
strategico-militare dell‟Elba ritenuta fondamentale per la
difesa di tutta la Toscana fino ad oltre La Spezia.
Vede
nelle fortezze di Portoferraio e Porto Longone (e soprattutto
quest‟ultimo) due strutture importantissime da ristrutturare
rafforzando l‟artiglieria che si affaccia sul mare più di quella
verso terra, già ben difesa. Per tutti questi progetti,
compreso quello di imbrigliare il Torrente della Madonnina,
si prevedeva la spesa di 2.500.000 lire e anche nel secondo
piano
del 1871 fu prevista una stessa cifra elevata, ma in
effetti i lavori si limitarono a quelli di manutenzione e
resteranno veramente armate solo Forte Stella, la Batteria
dei Mulini, il bastione di San Giuseppe e quello di San Carlo
mentre il Forte Inglese diventa dimora di „ domiciliati coatti‟.
FORTE INGLESE
121
Curiosità:”Storia della bandiera italiana”
Ogni bandiera ha una propria storia, un significato e, a
volte, tante modifiche alle spalle, che rispecchiano la storia
dello
Stato
che
essa
rappresenta.
La nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948,
stabilisce all'art. 12: "La bandiera della Repubblica è il
Tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande
verticali di eguali dimensioni".
Questa è quella che conosciamo oggi. Ma
nel passato non è stata sempre così perché allora non
esisteva
ancora
l'Italia
di
oggi.
La bandiera italiana è una variante della bandiera della
rivoluzione francese, nella quale fu sostituito l'azzurro con il
verde che, secondo il simbolismo massonico, significava la
natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà). In realtà i
primi a ideare la bandiera italiana sono stati due patrioti e
studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, natio del
capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di
Castell'Alfero (Asti), che nell'autunno del 1794 unirono il
bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della
speranza. Si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per
ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta
con
la
sudditanza
agli
Stati
della
Chiesa.
Il tricolore italiano comparve per la prima volta il 14
122
novembre 1795 in una manifestazione di studenti a
Bologna.La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i
123
due
studenti
furono
pontificia,
scoperti
insieme
e
catturati
ad
dalla
altri
polizia
cittadini.
Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu
trovato morto nella cella denominata "Inferno" dove era
rinchiuso
insieme
strangolato
per
con
due
ordine
criminali
espresso
che
della
lo
avrebbero
polizia.
L'altro
studente Giovanni Battista De Rolandis fu condannato a
morte
ed
impiccato
il
23
aprile
1796.
I colori della bandiera italiana fanno la loro ricomparsa il 15
maggio 1796 per opera di Napoleone che li adotta come
vessillo
della
Transpadana.
Legione
Lombarda
della
Repubblica
1796
Vessillo
militare
dei
Cacciatori a cavallo della Legione
Lombarda
(Museo
del
Risorgimento di Milano)
Non si tratta però di una vera e propria bandiera nazionale,
infatti nell‟ottobre dello stesso anno il tricolore assunse il
titolo di bandiera rivoluzionaria italiana ed il suo verde,
proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di 124
speranza per un migliore avvenire. Con questo valore fu
adottato dalla Repubblica Cispadana, il 7 gennaio 1797, con i
colori disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il
bianco in mezzo, il verde in basso e con al centro il simbolo
dell'unione delle quattro popolazioni di Bologna, Ferrara,
Modena e Reggio Emilia e la sigla R.C. (Repubblica
Cispadana).
Bandiera della
Guardia Civica
Modenese della
Repubblica
Cispadana
(dal 7 gennaio
1797 al 29
giugno1797)
R
Repubblica
Cispadana
125
Da allora, le diverse vicissitudini dell'Italia portarono a
molte modifiche del vessillo secondo diverse forme e con
diverse decorazioni, pur conservando, comunque, i tre colori
originari. In quell‟epoca le sue bande erano disposte talvolta
verticalmente all'asta con quella verde in primo luogo,
talvolta orizzontalmente con la verde in alto; a cominciare
dal 1° maggio 1798 soltanto verticalmente, con asta
tricolorata a spirale, terminante con punta bianca.
La disposizione del tricolore cambia ancora una volta nella
metà del 1802, quando la Repubblica Cispadana prende il
nome di Repubblica Italiana (di Napoleone). La forma diviene
quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno
nell'altro; questo cambiamento fu voluto dal Melzi (vice
presidente della Repubblica Italiana) per cancellare ogni 126
vincolo rivoluzionario legato alla bandiera.
Nel 1805 i territori del nord Italia sono ribattezzati Regno
Italico e anche la bandiera viene a sua volta parzialmente
modificata nella disposizione dei colori. Con il Congresso di
Vienna del 1815 e la scomparsa di Napoleone dalla scena
europea, il tricolore cade in oblio.
Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il
vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma
continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei
moti del 1831, nelle rivolte mazziniane (nel 1831, Mazzini la
scelse come bandiera per la sua Giovine Italia), nella
disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni
negli Stati della Chiesa. Dovunque in Italia, il bianco, il rosso
e il verde esprimono una comune speranza che accende gli
entusiasmi e ispira i poeti: "Raccolgaci un'unica bandiera, una
speme", scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto
degli Italiani. E quando si dischiuse la stagione del '48 e
della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il
simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia,
da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge
alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che
annuncia la prima guerra d'indipendenza e che termina con
queste parole:"(…) per viemmeglio dimostrare con segni
esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le
Nostre Truppe(…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla
Bandiera tricolore italiana." Allo stemma dinastico fu
aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce
e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il
rosso delle bande del vessillo.
La bandiera è nella versione a bande verticali che ancora 127
oggi conosciamo, fatta eccezione per lievi modifiche alle
tonalità dei colori e per la presenza dello stemma Savoia o
della Repubblica Sociale al centro della banda bianca, la
bandiera non cambia più il suo aspetto giungendo (quasi)
intatta fino ai giorni nostri.
1861 Tricolore del Regno d'Italia
Nel 1946 l'Italia repubblicana conferma la bandiera
tricolore a strisce verticali, eliminando ogni stemma centrale.
Durante i moti del '48/'49, sventola in tutti gli Stati italiani
nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli,
Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di
Parma, Ducato di Modena, Milano, Venezia e Piemonte. In
quest'ultimo caso alla bandiera fu aggiunto nel centro lo
stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo
rosso, orlato d‟azzurro). La variante sabauda divenne
bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale
del 2 giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica e lo
scudo dei Savoia fu tolto.
Il 2 giugno 1946, con l‟avvento della repubblica, nasce il
Tricolore, definitivo vessillo della Repubblica Italiana.
Francia
Irlanda
Messico
Ci sono diverse bandiere al mondo simili alla nostra. Quella
francese, con la quale il Tricolore ha un legame storico, ha il
blu al posto del verde, mentre quella irlandese porta
l'arancio al posto del nostro rosso. Diverso è il caso del
Messico, che presenta i nostri stessi colori ma con un fregio
nel campo bianco.
Azzurro e tricolore
Nel mondo sportivo gli italiani gridano "forza azzurri" per
incitare la squadra o gli atleti italiani, a loro volta vestiti di
azzurro. Perché? Cosa centra l'azzurro con il tricolore?
Nelle guerre d'indipendenza dal 1848 al 1860, Carlo Alberto
utilizza come bandiera proprio il tricolore napoleonico
128
aggiungendoci al centro lo stemma dei Savoia, uno scudo
crociato bianco e rosso circondato da un colore blu-azzurro.
L'azzurro diventa il colore dello sport italiano nel primo
novecento, riuscendo così a superare la stessa caduta della
monarchia Savoia e tutti gli sconvolgimenti storicoistituzionali del paese. Forse sono in pochi a saperlo, ma
quando gridiamo "forza azzurri" per incitare la squadra di
calcio ai Mondiali storicamente è un po' come gridare "forza
Savoia".
Leggende e tricolore:
Verde = Il colore delle nostre pianure.
Bianco = La neve delle nostre cime.
Rosso = Il sangue dei caduti.
Non tutti conoscono la storia della nostra Bandiera, e
neppure il significato dei tre colori che la compongono.
Secondo un'antica poesiola scritta nei "sussidiari" delle
scuole elementari di un tempo, nel vessillo dell'Italia ci
sarebbe il verde per ricordare i nostri prati, il bianco per le
nostre nevi perenni ed il rosso in omaggio ai soldati che sono
morti in tante travagliate guerre. Su questo tema hanno
profuso rime anche poeti di fama come Giosuè Carducci,
Giovanni Pascoli, Ada Negri.... Davvero il verde dei prati, il
bianco delle nevi e il rosso di un sangue versato tra le
lacrime di un'intera nazione per duecento anni è la
trasposizione allegorica del nostro Tricolore? E' difficile
identificare chi e come ha inventato una simile leggenda
romantica. Alla luce della Storia è inconcepibile che una
penisola frazionata in tanti piccoli stati abbia avuto col
Risorgimento la forza di unirsi per celebrare prati e nevai....
Nasce quindi il sospetto che l'ignoto cantore di tale favola
129
abbia voluto nascondere una realtà ben diversa, e molto più
seria e drammatica.
Verde= Il colore delle foglie.
Bianco=Il colore del fiore.
Rosso= Il colore del frutto.
Un'altra leggenda nata intorno al tricolore è quella che
associa la bandiera italiana alla pianta del corbezzolo(pianta
spontanea tipica della macchia mediterranea), è un arbusto
sempreverde che fiorisce in autunno
insieme al frutto.
L‟albero si caratterizza per i frutti rossi, i fiori bianchi e
per le belle foglie sempreverdi. In epoca risorgimentale i
colori della pianta divennero emblema del tricolore e dunque
dell‟Unità d‟Italia.
Verde= Il colore del basilico.
Bianco=Il colore della mozzarella.
Rosso= Il colore del pomodoro.
… fantasticando sul tricolore a tavola ci viene in mente la
Pizza “Margerita” e a riguardo c‟è un simpatico e noto
aneddoto: la tradizione vuole che, nel 1889, in occasione
della visita a
Napoli degli allora sovrani d'Italia Re Umberto I e la Regina
Margherita,il pizzaiolo Raffaele Esposito(il miglior pizzaiolo
dell'epoca) realizzò per i sovrani una pizza che fu condita
con pomodoro,mozzarella e basilico i cui colori richiamavano
volutamente il tricolore italiano (Rosso, Bianco e Verde). La
sovrana apprezzò così tanto quest'ultima da voler ringraziare
ed elogiare il pizzaiolo per iscritto. Per tale motivo e per
130
contraccambiare Esposito diede il nome della Regina alla sua
creazione culinaria, che da allora si chiama: "Pizza
Margherita".
131
Portoferraio
Addita alle città sorelle
I volontari accorsi a difesa della patria
1848-1849
Antoni Ferdinando
Alieti Achille
Bettarini Mario
Bigoschi Eugenio
Bitossi Fausto
Broghi Luigi
Bracci Cesare
Cammilleti Lorenzo
Checchi Michele
Damiani Francesco
Dionigi Alessandro
Diversi Andrea
Fabiani Michele
Foresi Gabriello
Foresi Federico
Foresi Cesare
Foresi Ossiati
Gasperi Elbano
Melliti Gustavo
Mazzei Giovanni
Mattiozzi Michele
Parrini Giuseppe
Pani Jacopo
Senno Pietro
Senno Don Camiliolo
Senno Ettore
Senno Augusto
132
Traditi Antonio
Traditi Giuseppe
Zuccotti Domenico
1859-1860
Antoni Ferdinando
Allori Fulvio
Allori Natale
Bertacchi Pasquale
Baroni Giovanni
Bandinelli Domenico
Bettarini Filippo
Bellosi Giuseppe
Bensa Giovanni
Biancotti Francesco
Biancotti Paolo
Boni Aldegardo
Bracci Tito
Bracci Pietro
Calafati Paolo
Calafati Sebastiano
Casali Frediano
Caprilli Difendente
Cauei Pellegro
Cestari Cesare
Cinganetti Eugenio
Conti Angelo
Checchi Michele
Del Bruno Pietro
Del Bono Pasquale
Diversi Zenone
Diversi Luigi
Diversi Lorenzo
133
Diddi Giorgio
Foresi Federico
Foresi Gabriello
Fabiani Michele
Foresi Amedeo
Forni Giuseppe
Frangioni Eugenio
Giaconi Francesco
Godi Euripide
Grandotti Alessandro
Guelfi Vincenzo
Imparata Giuseppe
Matiganaro Rodolfo
Mannucci Raffaello
Maranea Antonio
Mazzei Giovanni
Martini Pietro
Martini Giovanni
Mettini Pietro
Mibelli Eurocle
Montelatici Tebaldo
Nardini Antonio
Parrini Giovanni
Parrini Secondo
Peltroniri Antonio
Radirchi Eugiulio
Ratti Jacopo
Sardi Napoleone
Senne Candide
Senne Pietro
Senno Augusto
Senno Ettore
134
Tesi Augusto
1866
Audifred Hdlebraudo
Calafati Paolo
Calafati Antonio
Cauri Pellegro
Cauri Ulisse
Calfon Abramo
Cinelli Domenico
Cinganelli Angelo
Cinganelli Eugenio
Checchi Michele
Didi Antonio
Diddi Giorgio
Fabiani Michele
Fabiani Andrea
Foresi Leonida
Fusai Pasquale
Giaconi Francesco
Hutre Alberto
Manganaro Rodolfo
Mariscotti Luigi
Montelateri Tebaldo
Mori Emilio
Ogni Giuseppe
Pullè Giulio
Traditi Antonio
1866
Hutre Alberto
Imparata Pasquale
Strina Faliero.
135
BIBLIOGRAFIA
1) Sono stati consultati diversi siti Internet alle voci
delle singole isole dell’ Arcipelago e della Provincia di
Livorno.
2) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi pagine
della rivista “Lo Scoglio”.
3) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi pagine del
foglio “Il Corriere Elbano”.
4) è stato consultato il nostro testo di Storia Vol. III 136
“La Valigia della Storia”.
5) Gin Racheli. “Le isole del ferro”Mursia 1975.
6) Aulo Gasparri. ”Lo Zibaldino” agosto 1994.
7) Gianfranco Vanagolli. ”L’Isola d’Elba nel Risorgimento.
Uomini idee e percorsi”.Le Opere e i giorni MMXI.
8) AA VV.”Il monte Capanne - Un’ isola verde nell’ Elba”a
cura della Comunità Montana- RS Editore.
9) Alessandro Canestrelli “Rio Marina e le miniere del
ferro dell’ Elba” Felici Editore- maggio 2001
10) Amelio Fara “Portoferraio e Architettura Urbanistica
dal 1862” Ed. Fondazione Agnelli 1997.
11) Alessandro Canestrelli “Storia degli Elbani dall’ Unità
all’Industrializzazione - (1860-1904)” Pacini Editore Pisa.
12) Alfonso Preziosi “Fermenti patriottici religiosi e
sociali all’Isola d’ Elba (1821-1921)”- Leo S. Olschki
Editore - Firenze 1976.
13) Sandro Foresi “Pubblicazioni elbane -1926-1930 I° e
II° Parte- Biblioteca Comunale “Foresiana”.
14)
Articolo
di
Alfonso
Preziosi-La
Piaggia-1994
“L’isolotto di Palmaiola, residenza coatta del Gran Ducato
di Toscana”.
15) Ivo Gentili “Scuola e Società all’Elba dal 1860 al
1900”- Belforte Grafica di Livorno nel febbraio 1988.
16) Sono stati consultati in mesi ed anni diversi la rivista
“L’ Isola”.
17) Luigi De Pasquali “Storia dell’Elba”-Editrice Stefanoni
- Lecco 1977.
137