Il pensiero del Verga
Il Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita. Egli pensava che tutti gli uomini sono
sottoposti ad un destino impietoso e crudele, che non solo li condanna all'infelicità e al dolore, ma
anche ad una condizione di immobilismo, nell'ambiente familiare, sociale ed economico in cui sono
venuti a trovarsi nascendo. Chi vuole e cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non
solo non trova la felicità sognata, ma va immancabilmente incontro a pene maggiori, come succede a
`Ntoni Malavoglia e a Mastro don Gesualdo.
Con questa visione pietrificata della società il Verga rinnova il mito greco del fato (la credenza cioè in
una potenza oscura e misteriosa che regola imperscrutabilmente le vicende degli uomini), ma senza
accompagnarlo col sentimento prometeico della ribellione, perché non crede nella possibilità di un
qualsiasi cambiamento o riscatto. Per il Verga all'uomo non rimane che la rassegnazione eroica e
dignitosa al suo destino.
Questa concezione fatalistica e immobile dell'uomo è in contrasto con la fede nel progresso propria
delle dottrine positivistiche ed evoluzionistiche. Ma il Verga non nega il progresso, lo riduce però alle
sole forme esteriori ed appariscenti, e, comunque, è un progresso che gronda lacrime e sangue e costa
pene infinite. In ogni caso progredisce l'umanità in genere per effetto delle conquiste scientifiche e
tecnologiche, ma l'uomo singolo è sempre dolorante ed infelice, quasi uno zimbello nelle mani del fato.
La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la letteratura italiana,
perfino di quella del Leopardi (il quale ha fede nella forza liberatrice della filosofia illuministica e nella
lotta solidale degli uomini contro la natura-cfr. La ginestra), se non fosse confortata da tre elementi
positivi.
Il primo è il sentimento della grandezza e dell'eroismo umano che porta il Verga ad assumere verso i
"vinti" un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miserie e le sventure che li
travagliano, ammirazione per la loro virile rassegnazione. Figura-simbolo della grandezza e
dell'eroismo umano è padron `Ntoni dei Malavoglia.
Il secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che sfuggono alle ferree leggi del destino e della
società, come la religione della famiglia e della casa intesa come centro di affetti e di solidarietà, la
dedizione al lavoro, il senso dell'onore e della dignità, la fedeltà alla parola data, lo spirito di sacrificio,
l'amore fatto di sentimenti profondi, come quello tra Mena e compar Alfio, tra Alessi e la Nunziata, tra
Mastro don Gesualdo e Diodata. L'amore nel Verga è più sottinteso che espresso, più spesso è fatto di
silenzi, di sguardi furtivi, di pudore, di gesti misurati, di allusioni velate.
Il terzo elemento positivo è la saggezza, che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci aiuta a
sopportare le delusioni. Modificando il pensiero di Novalis, Verga sembra esortarci a non cercare
l'infinito, perché troveremo sempre e soltanto "cose". Chi non ha la saggezza, condensata nei frequenti
proverbi di padron `Ntoni, va incontro immancabilmente all'infelicità.
Chi invece accetta la vita per quella che è, sa attingere da essa le gioie semplici e pure del lavoro, della
famiglia, dell'amore. La risposta del Verga al mito romantico della felicità assoluta è ancora una volta
l'ideale classico della moderazione e dell'equilibrio.
Verga e Manzoni - Verga e la letteratura di ispirazione sociale
Tra il Verga e il Manzoni ci sono alcune differenze. Anzitutto i protagonisti dell'arte del Manzoni sono
gli umili, i protagonisti dell'arte del Verga sono i "vinti". Umili e vinti non sono la stessa cosa.
Gli umili del Manzoni sono i poveri, i deboli, che lottano contro i soprusi dei potenti e dei violenti.
I "vinti" del Verga sono o possono diventare tutti gli uomini, indipendentemente dalla classe sociale a
cui appartengono. Sono dei "vinti" tutti quelli che, spinti dal bisogno di migliorare, di uscire dai limiti
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socio-ambientali per salire più in alto, urtano contro il volere del destino che non permette a nessuno di
varcare quei limiti, se non a costo di dolore e pene maggiori. Perciò il dolore e l'infelicità, secondo il
Verga, non sono dovuti alla società, ai tempi, ai sistemi economici, ma a una ragione metastorica, al
fato che incombe su tutti gli uomini e che bisogna accettare con virile rassegnazione.
Ma tra gli umili del Manzoni e i "vinti" del Verga c'è un'altra differenza: gli umili del Manzoni hanno
fede nella Provvidenza, che, oltre a consolarli, dà loro la certezza che non potrà mai abbandonarli e che
dalla sofferenza deriverà il bene. Dio, pensa Lucia nell'addio ai monti, "non turba mai la gioia dei suoi
figli, se non per prepararne una più certa e più grande" . La sventura nel Manzoni è provvida sia
quando si abbatte sui cattivi, perché li turba e li richiama al bene, sia quando si abbatte sui buoni,
perché li rende migliori e li prepara ad una gioia più grande.
I vinti del Verga invece sono soli, tristi, rassegnati, senza il conforto della fede religiosa, legati senza
scampo al loro destino di dolore. "Lo so anch'io che il mondo va così e non abbiamo il diritto di
lagnarci", dice la Nunziata nei Malavoglia.
Dio è assente dal mondo del Verga: il nome di Provvidenza che porta la barca dei Malavoglia, suona
come un'ironia beffarda alla sorte che si accanisce sulla povera famiglia. E quando qualche volta Dio
viene invocato, è come un idolo antico, inerte, indifferente alle sofferenze degli uomini. Se di
cristianesimo si può parlare nel mondo del Verga, si tratta, come dice il Russo, di un cristianesimo
primitivo, elementare, che induce alla rassegnazione paziente, senza speranza.
E come non c'è il Dio-Provvidenza dei cristiani nel Verga, così non c'è alcuna "astuzia della ragione" o
Provvidenza immanente di una qualsiasi filosofia laica, idealistica, che possa far pensare ad una forma
di riscatto o di liberazione. Il mondo del Verga è l'immobilismo rassegnato, elevato a sistema.
Per il suo pessimismo totale il Verga si discosta oltre che dal Manzoni, anche dalla letteratura di
ispirazione sociale in voga nel suo tempo, quando si diffondeva il socialismo e molti scrittori
rappresentavano nelle loro opere le condizioni di miseria delle classi più umili, le attese e le speranze di
rinnovamento. "Per il Verga nessuna forza può sollevare le plebi meridionali dal loro stato di miseria,
né lo stato che è solo uno strumento di oppressione nelle mani dei «galantuomini», né le plebi stesse,
capaci, come nella novella "Libertà", di improvvise fiammate di rivolta, a cui segue il ritorno al
primitivo stato di rassegnazione, né il giovane partito socialista, nato nelle prosperose campagne e nelle
città industriali del Nord, e sentito come estraneo al Mezzogiorno".
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