COMUNICATO STAMPA
Passi avanti nella lotta all’Epatite C:
in arrivo la prima terapia che agisce
direttamente sul virus
Circa 180 milioni di pazienti nel mondo, ma l’Italia è al primo posto in Europa
per numero di persone positive al virus dell’Epatite C, con più di 1 milione e mezzo di pazienti,
1.000 nuovi casi e 20.000 decessi ogni anno, ovvero due persone ogni ora.
Questi i numeri di un’emergenza globale ancora per lo più sommersa,
perché molti sono i portatori del virus inconsapevoli.
Ma finalmente la ricerca è vicina all’obiettivo più ambizioso: la possibile eradicazione del virus.
Boceprevir, presto disponibile anche in Italia, è il primo di una nuova classe di farmaci
che, in combinazione alla terapia standard, aumenta significativamente
il tasso di guarigione nei pazienti con HCV da genotipo 1,
la forma più insidiosa e più difficilmente curabile dell’Epatite C.
Roma, 17 aprile 2012 - Siamo ad un punto di svolta nella lotta contro il virus dell’Epatite C, la più
insidiosa malattia del fegato, prima causa di decesso per malattie infettive trasmissibili: con l’avvento
di boceprevir, capostipite di una nuova classe di farmaci con un meccanismo d’azione rivoluzionario,
diventa più vicina la prospettiva di eradicare completamente il virus.
Boceprevir, inibitore della proteasi, agisce direttamente sul virus ed è risultato efficace contro l’HCV
di genotipo 1, il più temibile, perché più refrattario ai trattamenti e perché rappresenta il 60% delle
infezioni globali. Aggiunto alla terapia standard con interferone pegilato e ribavirina, boceprevir
riesce a raddoppiare e addirittura triplicare la percentuale di guarigione dei pazienti.
Le evidenze arrivano da due trials clinici di Fase III: lo SPRINT-2, cui hanno partecipato pazienti mai
trattati precedentemente, e il RESPOND-2, che arruolava pazienti che avevano fallito con la terapia
“duplice”. I risultati sono stati entusiasmanti: in entrambe le tipologie di pazienti, l’aggiunta di
boceprevir alla terapia standard a base di peginterferone e ribavirina ha migliorato significativamente
la risposta virologica sostenuta, producendo rispettivamente un tasso di guarigione rispettivamente
del 66% e del 67% nei soggetti che avevano ricevuto il farmaco per 44 settimane.
«Boceprevir agisce direttamente sulla struttura attraverso la quale il virus, una volta pervenuto
all’interno dell’organismo, replica se stesso nelle cellule epatiche» – afferma Savino Bruno,
Direttore della Struttura Complessa di Medicina Interna a indirizzo Epatologico dell’Ospedale
Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, e coinvolto nelle prime sperimentazioni del farmaco – «la
struttura bersaglio, individuata nel RNA, è denominata regione NS-3: boceprevir inibisce le
proteasi, ovvero gli enzimi di questa regione che permettono al virus di replicarsi; impedisce la
replicazione del virus sostituendosi alle proteasi e, in tal modo, il virus cessa di replicarsi e quindi
non può più sopravvivere».
Sono circa 180 milioni le persone che soffrono di Epatite C cronica nel mondo, più del 3% della
popolazione globale. L’Italia è al primo posto in Europa per numero di persone positive al virus,
con 1.000 nuovi casi e 20.000 decessi ogni anno, ovvero due persone ogni ora.
Secondo il professor Antonio Gasbarrini, Professore ordinario di Gastroenterologia presso
l’Università Cattolica del S. Cuore, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e
Gastroenterologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli a Roma e Presidente della
Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE), «in Italia circa il 3% della popolazione italiana è
entrata in contatto con l'HCV, di cui 330.000 hanno sviluppato una cirrosi epatica: ciò vuol dire che
nel nostro Paese il numero di soggetti con infezione da virus dell’Epatite C cronicamente viremici
supera il milione e mezzo».
A livello regionale il Sud è il più colpito: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella
popolazione ultra settantenne la prevalenza dell'HCV supera il 20%.
L’HCV può entrare nel nostro organismo attraverso meccanismi diversissimi, dalle punture con
oggetti contaminati da sangue o fluidi corporei infetti, a operazioni sanitarie o estetiche (interventi
odontoiatrici, piercing, tatuaggi, etc.) effettuate con materiale contaminato e non adeguatamente
sterilizzato, fino ai rapporti sessuali, omo ed eterosessuali; non va inoltre esclusa le possibilità di
trasmissione attraverso le mucose. Come la B, anche l’Epatite C può cronicizzare, trasformandosi in
una patologia di lunga durata: a seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore
cronico del virus ed è esposto ai gravi danni epatici della malattia, come cirrosi e tumore al fegato.
Oltre che per la sua trasmissibilità, l’HCV è estremamente insidioso per il silenzio in cui agisce.
«Dal momento dell’entrata nell’organismo» – spiega Carlo Federico Perno, Professore ordinario
di Virologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia dell’Università
Tor Vergata di Roma – «per un periodo anche molto lungo (20-30 anni), dà pochissimi segni di sè
(in medicina si definisce latenza clinica), ma lentamente e inesorabilmente si diffonde nel fegato,
replica massicciamente (in una persona infettata sono prodotti fino a mille miliardi di particelle virali
al giorno), e causa l’uccisione delle cellule epatiche, ossia lavora, replica e distrugge, pur non
facendosi notare. Il più delle volte, la diagnosi d’infezione da HCV viene fatta quando ormai la
malattia è in stadio avanzato, cioè quando subentra la cirrosi o addirittura il carcinoma epatico».
A questo quadro preoccupante si aggiunge il peso sociale che la cronicizzazione della malattia
porta con sé come illustra Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC. «Quando la malattia
si evolve in una fase avanzata, la persona perde progressivamente la sua indipendenza, ha
bisogno e deve farsi aiutare da altri, è costretta a comunicare che è ammalata. Tutti noi dunque ci
auguriamo che con l’avvento dei nuovi farmaci l’Epatite C possa essere sconfitta definitivamente».
Il Presidente di EpaC si fa portavoce delle istanze di tutti i pazienti che l’Associazione rappresenta:
«è necessario che siano stanziati i fondi per garantire le terapie per tutti i pazienti eleggibili alla
cura, a prescindere dalla gravità della malattia» – continua Gardini – «in sostanza, che sia con la
duplice terapia o con l'aggiunta di nuovi farmaci, il diritto alla guarigione va comunque garantito a
tutti i pazienti».
La strategia terapeutica di boceprevir raggiunge un nuovo traguardo anche in termini di modalità e
tempi del trattamento, è previsto, infatti, un periodo di lead-in nel quale il paziente è valutato per
quattro settimane con la terapia “duplice” a base d’interferone pegilato e ribavirina. Una volta
accertato che il paziente risponde al trattamento viene aggiunto boceprevir. In questo modo si
raggiunge un duplice obiettivo: da una parte si riduce al massimo la possibilità che il virus si
organizzi per resistere alla terapia sviluppando delle mutazioni e dall'altra si riesce a selezionare i
pazienti adatti per la terapia “triplice”, con sensibile risparmio in termini di spesa pubblica e di
effetti collaterali.
Boceprevir è il frutto dell’impegno nella ricerca di MSD, l’azienda farmaceutica che da oltre 30 anni è
al fianco di medici e pazienti nella lotta contro le infezioni virali. In tutti questi anni MSD ha centrato
gli obiettivi più importanti della ricerca nel settore avendo messo a punto tutte le molecole
capostipiti del trattamento: dal primo interferone al primo interferone pegilato, dalla prima terapia di
combinazione ai vaccini per le Epatiti di tipo A e B fino ad arrivare ai giorni nostri con il primo
inibitore della proteasi. Nei prossimi anni MSD sarà l'unica azienda in grado di fornire il portfolio
completo dei farmaci per il trattamento del paziente con Epatite C. Nei suoi laboratori, infatti, sono
attualmente in fase di sviluppo non solo gli inibitori della proteasi di seconda generazione che
consentiranno una terapia interferone-free, ma anche molte altre promettenti molecole (almeno 12)
con meccanismi di azione complementari in grado di bloccare la replicazione del virus.
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Antonio Gasbarrini
Professore ordinario di Gastroenterologia, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia,
Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma
Presidente Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE)
Informazione per tutti:
arma vincente contro il virus dell’Epatite C
L’Epatite C è stata definita un’epidemia sommersa, per il numero di portatori sani e per
l’assenza di sintomi, ma globalmente rappresenta la prima causa di decesso per malattie
infettive trasmissibili: quali sono i numeri della patologia in Italia e nel mondo?
Dai 130 ai 210 milioni d’individui nel mondo sono affetti da infezione cronica da virus dell’Epatite C.
Nell’Europa occidentale, la prevalenza è stimata nel 0,4-3% ed è più alta nell’est Europa e nel
Medio Oriente, sebbene non esattamente quantificabile.
L’Egitto è il paese al mondo con più alta prevalenza: 9% nelle aree urbane, fino a raggiungere il
50% in alcune aree rurali. In Italia, il numero di soggetti con infezione da virus dell’Epatite C
cronicamente viremici supera il milione e mezzo (3% della popolazione).
Può spiegarci qual è l’impatto sul fegato del virus dell’Epatite C e quali le conseguenze
cliniche sull’organismo a breve e a lungo termine?
Il virus dell’Epatite C è raramente causa di Epatite acuta e l’infezione primaria decorre
asintomatica nel 50-90% dei casi; a seguito del contagio, la medesima percentuale d’individui
diventa portatrice cronica del virus, poiché il sistema immunitario non riesce a eliminare
spontaneamente l’infezione che, quindi, cronicizza.
Il danno che il virus può arrecare al fegato è variabile in termini d’infiammazione e sviluppo di
fibrosi epatica; in alcuni individui, nonostante la replicazione sia evidente e sostenuta, può non
esserci un quadro di Epatite aggressiva; in altri casi la progressione della fibrosi può portare in
tempi più o meno lunghi allo sviluppo della cirrosi epatica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente riconosciuto la gravità del
problema “Epatite C”, invitando i governi nazionali a stanziare fondi per far fronte
all’urgenza: quali sono gli strumenti per arginare i danni di questa patologia?
Nel passato la maggior parte delle infezioni da virus dell’Epatite C era dovuta al contatto con
materiale ematico infetto, di tipo iatrogeno o per uso di droghe endovena; la trasmissione per via
sessuale era invece più rara. Attualmente, un controllo più rigoroso del materiale sanitario e il
miglioramento delle tecniche di sterilizzazione ha portato a ridurre drasticamente, fino al quasi
completo azzeramento, il rischio di trasmissione.
Tuttavia, il metodo migliore per arginare i danni dell’infezione da virus dell’Epatite C rimane
l’informazione. Campagne sociali nelle scuole e fra i giovani che istruiscano sull’uso corretto del materiale
sanitario e sulle politiche igieniche, nonché iniziative volte a contenere l’uso di droghe, oltre ad
un’adeguata preparazione del personale sanitario, sono fondamentali per raggiungere questo obiettivo.
Quali sono le iniziative messe in atto in Italia?
Con la Risoluzione 6318 del 2010 l’OMS ha stabilito che tutti i Paesi membri devono adottare
misure volte a contrastare la diffusione e a sconfiggere le Epatiti virali. In Italia il progetto Alleanza
contro l’Epatite (ACE) firmato da Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE), Associazione
Italiana Studio Fegato (AISF) e EpaC ha proprio lo scopo di sensibilizzare media e Istituzioni nella
lotta alle Epatiti da virus C e B nel nostro Paese. Carlo Federico Perno
Professore ordinario di Virologia, Direttore della Scuola di Specializzazione
in Microbiologia e Virologia, Università Tor Vergata di Roma
Trattare per guarire definitivamente:
la cura dell’Epatite C diventa realtà
Perché il virus dell’Epatite C è così insidioso?
HCV (o virus dell’Epatite C) è un virus estremamente insidioso: dal momento dell’entrata
nell’organismo, per un periodo anche molto lungo (20-30 anni), da pochissimi segni di sé (in
medicina si definisce latenza clinica), ma lentamente e inesorabilmente si diffonde nel fegato,
replica massicciamente (in una persona infettata sono prodotti fino a mille miliardi di particelle virali
al giorno), e causa l’uccisione delle cellule epatiche (ossia lavora, replica e distrugge, pur non
facendosi notare). Proprio il silenzio clinico di HCV è l’elemento più insidioso in quanto, il più delle
volte, la diagnosi d’infezione da HCV viene fatta quando ormai la malattia è in stadio avanzato
(cirrosi o addirittura carcinoma epatico).
Quanti sono i genotipi conosciuti?
HCV è suddiviso in 7 diversi genotipi, di cui 6 sono quelli più diffusi nell’uomo. L’estrema variabilità
del virus HCV, insieme alla diversità tra genotipi, è la ragione prima della mancanza oggi di un
vaccino efficace contro l’HCV, ma è anche la ragione per cui, in caso di fallimento della terapia, si
sviluppano rapidamente ceppi virali resistenti alla terapia stessa.
Oltre che insidioso, l’HCV è anche difficilmente eradicabile? A che punto è la ricerca in
questa direzione?
Per le sue caratteristiche strutturali e replicative, HCV è un virus eradicabile. Né HIV (virus
dell’AIDS), né HBV (il virus dell’Epatite B) sono eradicabili; una volta entrati nell’organismo,
permangono per tutta la vita. Scopo della terapia anti-HBV o anti-HIV è pertanto quella di
controllare il virus e di addormentarlo il più a lungo possibile. Nel caso di HCV, invece, possiamo
pensare a una terapia in grado di eradicarlo, ossia a eliminarlo completamente dall’organismo, e
per sempre. Quindi, l’obiettivo della terapia anti-HCV è ambizioso: trattare per guarire
definitivamente.
Quali sono le modalità di trasmissione dell’HCV?
HCV entra nel nostro organismo attraverso meccanismi diversissimi, dalle punture con oggetti
contaminati da sangue o fluidi corporei infetti, a operazioni sanitarie o estetiche (interventi
odontoiatrici, piercing, tatuaggi, etc.) effettuate con materiale contaminato e non adeguatamente
sterilizzato, fino ai rapporti sessuali, omo ed eterosessuali; non va esclusa le possibilità di
trasmissione attraverso le mucose, come quella corneale dell’occhio.
Il virus è altamente infettante: pertanto, se una lesione delle barriere di superficie dell’organismo è
svolta con strumenti anche solo minimamente contaminati, il rischio è estremamente alto. Circa il
70-80% delle persone che s’infettano non riesce a eradicare l’infezione. La malattia cronicizza, e
con il tempo produce il danno epatico.
Di fronte a un virus così insidioso, quali sono le strategie più efficaci per impedirne la
diffusione?
Il primo elemento è la diagnosi precoce. Dato che si trasmette anche per via sessuale, ma
comunque per contagio diretto, conoscere il proprio status aiuta a mettere in atto comportamenti
che riducano il rischio di trasmissione.
Un secondo elemento, assolutamente di primaria importanza, è il rispetto di rigorosissime norme
d’igiene sanitaria. Gli operatori sanitari e gli esperti di estetica devono mantenere altissimo lo
standard di prevenzione attraverso una scrupolosa messa in atto delle regole di sterilizzazione. Il
sangue, di contro, è oggi decisamente sicuro, grazie ai controlli ferrei effettuati sulle sacche da
trasfondere.
In che misura è diffuso in Italia, al di là dei casi diagnosticati?
Il numero di persone infettate da HCV in Italia è difficile da calcolare, in quanto esiste un enorme
sommerso, derivato dalla latenza clinica del virus, che impedisce una diagnosi in tempo utile, a
meno che essa avvenga quasi per caso (donazioni di sangue, interventi chirurgici, screening per la
prevenzione delle malattie). Mancano dati certi, ma in alcune casistiche si calcola che in Italia le
persone infettate da HCV siano più di un milione (un italiano su 60), con un netto gradiente NordSud: al Sud, in alcune Regioni, la prevalenza di HCV rasenta il 6-7% dell’intera popolazione.
La latenza clinica del virus produce dunque un enorme “sommerso”: quali sono gli
strumenti per diagnosticare l’Epatite C?
È un peccato che sussista un così grande sommerso, dato che la diagnosi è facile, grazie ad un
banale test sierologico che indica la presenza o meno di anticorpi anti-HCV (quando ci sono gli
anticorpi, il più delle volte c’è anche il virus HCV). Un semplice screening, in cui, oltre al classico
test per il diabete, il colesterolo, e l’anemia, si aggiungesse anche il test HCV, permetterebbe di
diagnosticare prima l’infezione, e prevenire al meglio le sue conseguenze. Una sensibilizzazione
dei Medici di Medicina Generale potrebbe aiutare a ottenere questo risultato.
Un terzo elemento di grande importanza in prospettiva è l’eliminazione del virus dalle persone
infettate, grazie alla terapia antivirale. Se una persona è guarita da HCV, non solo non progredisce
la sua malattia, ma non avendo più il virus, non è più infettante.
È pensabile in futuro un trattamento preventivo contro l’HCV?
È evidente che, in linea di principio, il trattamento efficace, esteso a tutte le persone infettate,
ridurrebbe praticamente a zero la trasmissione del virus, in quanto esso non può sopravvivere
nell’ambiente esterno, ma ha bisogno assoluto di passare da un organismo all’altro per espandersi
e replicare (proprio come gli alieni di alcuni film di fantascienza).
Il fattore limitante di questo approccio preventivo, sicuramente il più attraente, è dato dai costi. È
però certo che, anche solo riducendo il numero di persone infettate, a parità di comportamenti a
rischio, si ridurrà il numero delle nuove infezioni. Il trattamento di tutte le persone infettate da HCV
oggi non è attuabile, per ovvie ragioni economiche, ma tale ipotesi dovrà essere considerata nel
futuro, quando e se ci saranno condizioni economiche e sanitarie diverse. 3b
Savino Bruno
Direttore Struttura Complessa Medicina Interna a indirizzo Epatologico,
Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico Milano
La terapia “triplice” triplica la percentuale di guarigione
dei pazienti affetti da Epatite C
Per la prima volta dalla scoperta del virus dell’Epatite C si parla di possibile eradicazione,
grazie all’arrivo di boceprevir, capostipite di farmaci antivirali di nuova generazione.
L’aspetto innovativo consiste nel suo meccanismo d’azione. Può spiegarci come funziona?
Boceprevir agisce direttamente sulla struttura attraverso la quale il virus, una volta pervenuto
all’interno dell’organismo, replica se stesso nelle cellule epatiche. La struttura bersaglio,
individuata nel RNA, è denominata regione NS-3: boceprevir inibisce le proteasi, ovvero gli enzimi
di questa regione che permettono al virus di replicarsi. Boceprevir impedisce la replicazione del
virus sostituendosi alle proteasi: in tal modo il virus cessa di replicarsi e quindi non può più
sopravvivere.
Quali sono le evidenze raggiunte da boceprevir in termini di efficacia contro l’HCV?
Boceprevir, aggiunto alla terapia standard, è risultato efficace contro il virus dell’Epatite C con
genotipo 1, il più difficile da eradicare e dunque il più pericoloso.
Sono stati condotti due studi finora e altri sono in corso di pubblicazione. I primi due studi sono
trials registrativi, cui si aggiungono gli studi di Fase II, che hanno dimostrato, oltre l’efficacia, anche
la sicurezza e la tollerabilità in generale. Sia nei pazienti mai trattati, sia in quelli non responsivi
alla terapia standard di interferone pegilato e ribavirina, l’aggiunta di boceprevir ha
sostanzialmente raddoppiato e triplicato la percentuale di guarigione dei pazienti in studi controllati
in doppio cieco, quindi condotti secondo il massimo dell’evidenza scientifica.
Qual è lo schema terapeutico con cui viene somministrato boceprevir e per quali pazienti
sarà indicato?
Boceprevir è indicato per il trattamento dell’infezione da Epatite C cronica di genotipo 1, in
associazione con peginterferone alfa e ribavirina, in pazienti adulti con malattia epatica compensata
che non sono stati trattati in precedenza o che non hanno risposto a precedente terapia.
Il farmaco va somministrato in dose di quattro pastiglie ogni otto ore: questa modalità d’assunzione
può essere disagevole per il paziente ma, dal punto di vista degli effetti collaterali, boceprevir non
comporta ulteriori complicanze rispetto alla terapia standard, anche se ne può potenziare gli effetti
collaterali, come l’anemia.
Il farmaco è molto ben tollerato, non provoca disturbi, se non una fastidiosa ma non preoccupante
disgeusia, ovvero la sensazione di un sapore metallico in bocca. Si tratta di effetti collaterali che
vanno valutati alla luce della brillante riposta terapeutica che l’aggiunta di boceprevir alla terapia
standard è riuscita a raggiungere, e che possono essere gestiti senza particolari problematiche.
L’aspetto innovativo di boceprevir riguarda anche le modalità e i tempi del trattamento?
Può spiegarci in cosa consiste la strategia lead-in e quali sono le sue finalità?
Sostanzialmente prevede quattro settimane di terapia standard, per valutare se l’interferone
pegilato e la ribavirina funzionano efficacemente; se questo avviene, l’aggiunta di boceprevir è
sicura, poiché riduce al massimo l’impatto della possibilità che il virus si organizzi per resistere alla
terapia, sviluppando delle mutazioni.
La strategia lead-in ha lo scopo di identificare i pazienti che hanno altissima probabilità di risposta:
infatti, coloro che hanno risposto dopo quattro settimane alla terapia standard, una volta aggiunto il
boceprevir hanno probabilità di risposta che sfiorano il 90%, mentre i pazienti che alla quarta
settimana non rispondono hanno non più di un 30% di probabilità.
Questo permette di selezionare i pazienti per decidere se curarli o meno con il boceprevir,
risparmiando denaro pubblico e garantendo loro il massimo dell’efficacia.
4b
Ivan Gardini
Presidente EpaC - Associazione Onlus
Il diritto alla guarigione per tutti:
le aspettative dei pazienti,
il ruolo dell’innovazione terapeutica
Quali sono le ripercussioni sul vissuto di una persona causate dalla sieropositività all'HCV?
Questa è una domanda molto difficile: io dico sempre che l’Epatite C è una malattia double face,
con vari livelli di gravità. Finché la malattia non crea problemi fisici, anche visibili, il disagio resta
confinato nella sfera psicologica, ovvero il malato vive un problema che è, soprattutto, di natura
sociale: non poter o, al contrario, essere costretto a comunicare di essere malati, ad esempio in
famiglia, in ambito lavorativo o con il partner, crea un disagio anche nelle fasi meno gravi.
Purtroppo, quasi sempre per via di scarsa conoscenza, una malattia infettiva trasmissibile genera
sempre inquietudine, sia nel portatore sia in chi gli sta vicino. Inevitabilmente, il paziente-portatore
viene spesso discriminato sotto varie forme, dalle più plateali a quelle più sottili e subdole.
E quando la malattia diventa cronica?
Quando poi la malattia si evolve in una fase avanzata, manifestandosi con sintomi e danni fisici
cronici, i disagi sono ben maggiori: la persona perde progressivamente la sua indipendenza, ha
bisogno e deve farsi aiutare da altri, è costretta a comunicare che è ammalata. Scattano una serie
di meccanismi che cambiano radicalmente la vita quotidiana del soggetto ammalato: la vita sociale
si riduce sempre più e i rapporti si limitano alle persone su cui può veramente contare, di solito
familiari e amici intimi. Contestualmente, anche i soggetti che normalmente sono a stretto contatto
con il paziente risentono della situazione e la qualità di vita si abbassa per l’intero nucleo familiare.
Fino ad oggi i pazienti sono stati curati con la “duplice” terapia a base di peginterferone e
ribavirina: quali sono gli unmet needs di questo regime terapeutico?
L’eradicazione permanente del virus è il principale obiettivo del paziente, possibilmente con una
terapia che dia luogo a pochi effetti collaterali, che duri il meno possibile, che funzioni su tutti i
genotipi virali e anche in presenza di comorbilità: a tutt’oggi la “duplice” non ha raggiunto questi
obiettivi nella loro totalità.
Tutti noi ci auguriamo che l’avvento di nuovi farmaci possa colmare progressivamente queste
necessità fino al punto in cui la malattia potrà essere sconfitta definitivamente e in tutti i pazienti. Il
mio personale pensiero ovviamente va a tutti coloro che non riescono a sconfiggere il virus, e in
particolare a quei sottogruppi di pazienti difficili da trattare come i cirrotici in fase avanzata, i coinfetti HIV-HCV, i trapiantati di fegato con recidiva da HCV, tanto per citarne alcuni. L’auspicio è
che cresca l’attenzione verso questi gruppi di pazienti che sono più a rischio di decesso di altri.
Dal punto di vista dei pazienti, quali sono i benefici da tenere in considerazione nel
momento in cui si valuta la sostenibilità di una terapia innovativa?
Senza dubbio il beneficio maggiore è rappresentato dall’aumento di possibilità di guarigione. Non
sono poi così tanti i farmaci antivirali che guariscono definitivamente da infezioni virali così
pericolose come l’Epatite. Per un paziente con HCV, quindi, guarire significa raggiungere il
massimo del beneficio.
E ogni farmaco nuovo che facilita il raggiungimento di questo obiettivo è salutato con grande
favore, rappresentando un grande valore per il paziente e anche un risparmio notevole sui costi
sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale.
Vanno poi valutate la tollerabilità in termini di effetti collaterali, la durata del trattamento, il costo e,
quindi, il numero di pazienti che può realmente beneficiare dell’innovazione.
Se, per una qualunque ragione, il farmaco innovativo può essere utilizzato solo da una piccola
frazione di pazienti, lo considero un’innovazione “elitaria” di difficile accesso, poiché i benefici
vanno a pochi, rispetto alla massa dei pazienti in attesa di essere curati.
Voglio sottolineare che sono già trascorsi diversi mesi dall’approvazione delle nuove molecole, gli
inibitori delle proteasi, da parte di FDA ed EMA e non è tollerabile il fatto che AIFA non abbia
ancora concesso l’autorizzazione alla loro rimborsabilità in Italia, nonostante le chiare evidenze
scientifiche di efficacia e le analisi positive in termini di costo-efficacia, come quella realizzata dal
NICE, National Institute for Health and Clinical Excellence.
Ci sono centinaia di pazienti, in cirrosi, che sono al limite della eleggibilità alle nuove cure: più
passa il tempo, più si allontana la loro unica possibilità di bloccare l’evoluzione della malattia. Se
questi pazienti non sono curati, sono destinati alle inenarrabili sofferenze dello scompenso epatico,
al decesso o al trapianto di fegato per i più fortunati. Non riusciamo a capire come il nostro Ente
Regolatorio non prenda in considerazione questa situazione di estrema emergenza, dove
un’approvazione rapida può salvare vite umane. Non esistono più buoni motivi per ritardare
ulteriormente l’approvazione delle nuove molecole: medici e pazienti le stanno aspettando con
impazienza.
Come rappresentante della più importante Associazione pazienti, può illustrarci le necessità
da loro espresse per garantire che l’innovazione terapeutica sia alla portata di tutti?
L’Associazione si è posta recentemente il problema di come portare le necessità, i desideri e le
aspettative dei pazienti ai tavoli di lavoro con Istituzioni pubbliche e Associazioni scientifiche. Il
modo migliore di rappresentare i pazienti è quello di chiedere direttamente a loro un’opinione su
argomenti ritenuti di primaria importanza.
Per questo motivo abbiamo deciso di scattare una “fotografia” sulle percezioni dei pazienti riguardo
all’accesso ai nuovi farmaci in un periodo di “pre-commercializzazione”, attraverso un sondaggio
tra i nostri iscritti. Alla domanda “Qual è la presa di posizione più giusta che l’Associazione EpaC
dovrebbe tenere pubblicamente sull’accesso ai nuovi farmaci?”, l’83% dei 727 intervistati ha
risposto che l’Associazione deve chiedere, sempre e comunque, che siano stanziati i fondi per
garantire le terapie per tutti i pazienti eleggibili alla cura, a prescindere dalla gravità della malattia.
Ci pare un plebiscito sufficiente a dimostrare che il desiderio di guarire è indipendente dalla gravità
della patologia: in base alla nostra esperienza, possiamo confermare che nessun paziente
(pienamente consapevole della malattia) riesce a convivere felicemente con un virus che quasi
sempre condiziona una parte o l’intera sua esistenza. In sostanza, che sia con duplice o con
triplice terapia, il diritto alla guarigione va comunque garantito a tutti i pazienti.
5b
EpaC
Associazione Onlus
Dalla fondazione del Comitato il 7 luglio 1999, EpaC ha sviluppato un know how concreto e
operativo che ha reso possibile lo svolgimento di attività nel settore dell'educazione, informazione,
prevenzione, solidarietà e counselling a favore dei soggetti infetti da Epatite virale e malattie del
fegato correlate, e di chiunque desideri documentarsi maggiormente sulle patologie epatiche, in
particolare sulle infezioni da virus dell’Epatite.
Attraverso servizi di consulenza, informazione e prevenzione e sostegno alla ricerca, EpaC
fornisce supporto gratuito a tutti i cittadini con riguardo ai soggetti più svantaggiati, quali malati
affetti da Epatite virale non eleggibili ai trattamenti antivirali, e/o che versano in condizioni di salute
particolarmente precarie, come ad esempio pazienti con cirrosi epatica, con epatocarcinoma, in
lista d’attesa per il trapianto di fegato, trapiantati, che non rispondono alle attuali terapie. Nello
specifico:
• sviluppa comunicazione e attività mirata per l'accesso precoce alle sperimentazioni cliniche;
• ove possibile, offre un sostegno mirato di tipo materiale;
• tutela i malati oggetto d’ingiuste discriminazioni e vessazioni attraverso l'offerta di servizi
informativi e consulenze orientative di natura giuridica;
• favorisce e finanzia progetti di ricerca finalizzati a migliorare le attuali conoscenze sull’Epatite C
e sull'impatto sociale, economico e sanitario causato dalla patologia epatica.
Nel Giugno 2004 è stata fondata l'Associazione EpaC Onlus in sostituzione del Comitato, per dare
continuità a quanto è stato creato e raggiungere nuovi obiettivi, sempre nell'ottica di migliorare la
qualità della vita dell’ammalato e aumentarne il benessere.
EpaC è ora il gruppo non profit più attivo in Italia nel fornire assistenza informativa sull’Epatite, con
oltre 100.000 consulenze fornite, 9 milioni di pagine visualizzate, migliaia di documenti scientifici
tradotti in italiano, documenti e interviste pubblicate sui siti internet, articoli stampa, spot radiofonici
e televisivi.
EpaC ora può contare su un “club dei traduttori” che traduce i documenti scientifici in italiano, su 6
delegati regionali e su numerosi volontari.
Attualmente EpaC è impegnata in una serie d’iniziative, tra cui:
• valutazione dei costi socio/sanitari e della qualità di vita nei soggetti affetti da malattia
epatica in Italia, uno studio finalizzato alla dimostrazione pratica che la diagnosi precoce
dell’Epatite può far risparmiare risorse al Servizio Sanitario Nazionale e aumentare la qualità
della vita dei pazienti;
• Progetto SOS fegato, per garantire un’informazione scientifica di qualità, equilibrata e
semplificata, attraverso 7 siti internet con dominio separato, su Epatite C, Epatite B, cirrosi,
tumore del fegato, trapianto di fegato e steatosi;
• l’Esperto Risponde, un servizio informativo per consentire a chiunque lo desideri di porre una
domanda e ricevere una risposta in tempi ragionevoli da un medico esperto e qualificato.
Inoltre, EpaC ha appena concluso un sondaggio su l’accesso ai nuovi farmaci in triplice terapia
riservato ai pazienti HCV positivi eleggibili a un trattamento antivirale, per conoscere nel dettaglio
l’opinione dei pazienti.
Infine, EpaC si distingue anche in Europa poiché membro fondatore e membro del consiglio
direttivo della European Liver Patient Associaton (ELPA) e coordinatore delle attività con EMA,
Ente regolatorio europeo per i farmaci.
EpaC Associazione Onlus
Sede di Vimercate
Via Luigi Cadorna 17/A
20871 Vimercate (MB)
Tel. 039 6083527
Fax. 039 661152
www.epac.it 5c
L’EPATITE C
Cosa è l’Epatite C?
L’Epatite C è un’infiammazione del fegato causata da un virus denominato hepacavirus (HCV) che,
attraverso l’attivazione del sistema immunitario, provoca la morte delle cellule epatiche (necrosi
epatica). Le cellule epatiche distrutte dal virus sono sostituite da un tessuto di cicatrizzazione, con la
comparsa di noduli e di cicatrici che determinano la perdita progressiva della funzionalità del fegato.
Come la B, infatti, anche l’Epatite C può cronicizzare, trasformandosi in una patologia di lunga
durata1. A seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del
virus2. Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad
alimentare efficientemente il pool dei portatori cronici del virus.
Altri cofattori, come sovraccarico di ferro, steatosi epatica (accumulo intracellulare di trigliceridi),
obesità e diabete possono contribuire a una progressione più rapida della fibrosi. Una volta che
tale tessuto sostituisce gran parte della componente sana del fegato, l’Epatite si evolve in cirrosi
epatica, con grave compromissione delle sue attività.
Quali sono le caratteristiche del virus dell’Epatite C?
L’hepacavirus responsabile dell’Epatite C è stato identificato nel 1989, attraverso tecniche di
biologia molecolare che hanno isolato un singolo clone di DNA complementare, ma la sua
esistenza era stata già stata scoperta negli Anni ’70, poiché determinava una forma di Epatite
chiamata, infatti, non-A, non-B. Successivamente sono state identificate sette varianti virali
dell’HCV, con diverso genotipo, numerati da 1 a 7, e oltre 90 sub‐tipi, nominati con lettere.
Il genotipo 1, responsabile di circa il 60% delle infezioni globali e diffuso prevalentemente nel Nord
America (1a) e in Europa (1b)2, ha dimostrato di essere il più difficile da trattare con successo.
Le sette varianti sono diversamente distribuite nel mondo e rispondono in modo differente alle
terapie antivirali: la definizione del genotipo è, infatti, fondamentale per determinare correttamente
il tipo e la durata del regime terapeutico.
Il virus può persistere anche in sistemi extracellulari extraepatici, grazie alla sua abilità di mutare
l’assetto antigenico e sfuggire all'attacco del sistema immunitario dell'ospite infettato.
Molecola del virus dell’Epatite C
Replicazione virale
Quanto è diffusa l’Epatite C in Italia e nel mondo?
L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di persoe positive al virus dell'Epatite C.
Circa il 3% della popolazione italiana è entrata in contatto con l'HCV e il 55% dei soggetti
con HCV è infettata dal genotipo 13.
Nel nostro Paese i portatori cronici del virus sono circa 1,6 milioni, di cui 330.000 con cirrosi
epatica: oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato (due persone
ogni ora) e, nel 65% dei casi, l’Epatite C risulta causa unica o concausa dei danni epatici. A livello
regionale il Sud è il più colpito: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione
ultra settantenne la prevalenza dell'HCV supera il 20%4.
Nel mondo si stima che siano circa 180 milioni nel mondo le persone che soffrono di
Epatite C cronica5, di cui intorno ai 4 milioni in Europa2 e altrettanti negli Stati Uniti: più del 3%
della popolazione globale. I decessi causati nel mondo da complicanze epatiche correlate
all’HCV sono più di 350.000 ogni anno1.
Sebbene l’infezione HCV sia endemica, la sua distribuzione geografica varia considerevolmente:
l’Africa e l’Asia sono le aree di maggiore prevalenza, mentre in America, Europa occidentale e
settentrionale e Australia la malattia è meno presente.
Negli ultimi 20 anni l’incidenza è notevolmente diminuita nei Paesi occidentali, per una maggior
sicurezza nelle trasfusioni di sangue e per il miglioramento delle condizioni sanitarie; tuttavia, in
Europa l'uso di droghe per via endovenosa è diventato il principale fattore di rischio per la
trasmissione di HCV.
Prevalenza dell’infezione HCV nel mondo (Fonte EpaC)
Quali sono le vie di trasmissione del virus?
La condivisione di aghi o siringhe è a tutt’oggi il maggior fattore di rischio di contrarre la malattia1.
Ma non è il solo. Altri fattori includono il tatuaggio e il body piercing eseguiti in ambienti non
igienicamente protetti o con strumenti non sterilizzati; la trasmissione dell’infezione per via
perinatale al proprio figlio; la trasfusione di sangue non sottoposto a screening; tagli/punture con
aghi/strumenti infetti in contesti ospedalieri; ma anche la condivisione dei dispositivi per
l’assunzione di droghe inalabili e di spazzolini dentali o spazzole da bagno contaminati, se utilizzati
in presenza di minime lesioni della cute o delle mucose.
Anche se l’Epatite C non è facilmente trasmissibile attraverso i rapporti sessuali, rapporti non
protetti, anche con più partner, sono associati a un rischio maggiore di contrarre l’HCV1.
6b
Come si manifesta la patologia?
La fase acuta dell’infezione del virus dell’Epatite C decorre quasi sempre in modo asintomatico6,
tanto che la patologia è definita un “silent killer”; appena contratta l'infezione, il paziente può
soffrire febbre, senso di stanchezza, inappetenza, dolore di stomaco, urine scure, ittero, nausea e
vomito, dolori ai muscoli e alle giunture, mancanza di concentrazione, ansia e depressione1.
Generalmente questi sintomi passano e per molti anni la malattia non da segni.
La cronicizzazione dell’Epatite, che accade in più del 70% dei pazienti, si manifesta con
transaminasi elevate o fluttuanti e con l’insorgenza della fibrosi.
Quali sono le complicanze che produce?
L’Epatite C è la causa principale delle cirrosi, dei tumori al fegato, dei trapianti di fegato e dei
decessi di malati di AIDS. Infatti, soprattutto nelle persone tossicodipendenti l’infezione dell’HCV e
spesso associata a quella dell’HIV: il 20% delle persone positiva all’HCV è coinfetta con l’HIV.
Entrambi i virus usano RNA per veicolare il loro codice genetico, anche se appartengono a due
famiglie differenti e hanno strategie di replicazione e sopravvivenza diverse.
La cronicizzazione dell’Epatite C può comportare la formazione di varici nell'esofago e nello
stomaco, che rompendosi causano emorragie; l'ingrossamento della milza, con conseguente
anemia, calo dei globuli bianchi e delle piastrine; l'ittero, per l'accumulo nel sangue del pigmento
bilirubina; l'accumulo di liquido nell'addome (ascite) con eventuale infezione; la riduzione nella
funzione urinaria, con concomitante aumento della creatinina e dell'azotemia. Inoltre, le sostanze
tossiche che il fegato non riesce più a smaltire possono riversarsi nel sangue e arrivare al cervello,
determinandone un cattivo funzionamento, che può iniziare con uno stato confusionale e arrivare
fino al coma (encefalopatia epatica).
Come si esegue una corretta diagnosi di HCV?
Non sempre le analisi del sangue di routine sono in grado d’identificare l’infezione da HCV: se si
ritiene di essere esposti al rischio del virus è bene consultare il proprio medico curante.
Sono quattro i test diagnostici utilizzati:
1) test dell’Alanina amino transferasi (Alt) e dell’Aspartato transaminasi (Ast): l’aumento di
questi due specifici enzimi, conosciuti anche come GPT (Transaminasi Glutammico-Piruvica) e
il GOT (Transaminasi Glutammico-Ossalacetica) segnala la presenza del virus nel sangue;
2) test Elisa (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) e Risa (Recombinant Immunoblot Assay):
misurano i livelli degli anticorpi specifici prodotti dall’organismo in risposta all’attacco del virus;
3) test PCR (Polymerase Chain Reaction): individua il materiale genetico del virus in campioni
biologici, una volta determinata la presenza di anticorpi nel sangue;
4) test RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism): determina i genotipi del virus,
analizzando direttamente la sequenza genomica o tramite una tecnica detta dell’ibridazione
inversa.
Una volta diagnosticata, può essere eseguita una biopsia sul tessuto epatico, per determinare il
grado d’infiammazione del fegato, l’eventuale presenza di fibrosi e lo stadio della malattia.
Come viene trattata l’Epatite C?
Gli obiettivi terapeutici primari sono: inattivare il virus, bloccare la progressione della malattia,
combattere i sintomi e prevenire il tumore al fegato. Il corrente Standard Of Care (SOC) si fonda
sulla cosiddetta “terapia duplice”, una combinazione tra interferone (standard o pegilato) associato
all’analogo nucleosidico ribavirina.
Le dosi e la durata del trattamento dipendono dal genotipo virale. Attualmente è stata resa
disponibile per i pazienti con Epatite C genotipo 1 una “terapia triplice”, ovvero la combinazione di
SOC più un inibitore della proteasi, come boceprevir, che consente l’eradicazione del virus
mediante un innovativo meccanismo d’azione.
6c
Esiste un vaccino per l’Epatite C?
A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’Epatite C, soprattutto perché il virus è veloce e aggressivo, e
quando si replica cambia in continuazione, riuscendo ad eludere il sistema immunitario
dell'organismo. Ai pazienti affetti da Epatite C viene però consigliata la vaccinazione contro le
Epatiti di tipo A e di tipo B, per scongiurare il sovrapporsi di infezioni che accelererebbero la
compromissione del fegato, fino a renderla irreversibile.
Note
1. World Hepatitis Alliance (WHA). Hepatitis B and C: Risk, Prevention and Treatment.
http://www.worldhepatitisalliance.org/Libraries/Documents/Hepatitis_B_C_Risks_Prevention_and_Treatment_Patient
_Leaflet.sflb.ashx (05.04.12).
2. World Health Organization (WHO). Hepatitis C Guide. http://www.int/csr/disease/hepatitis/Hepc.pdf (02.04.12).
3. Dati EpaC Associazione Onlus. http://www.epac.it/Notizie/default.asp?id=890&id_n=5379 (05.04.12)
4. Dati EpaC Associazione Onlus. http://www.epatitec.info/default.asp?id=743 (05.04.12).
5. Ghany, M. et al. AASLD Practice Guidelines: Diagnosis, Management and Treatment of Hepatitis C: An Update.
Hepatology 2009, 49, 4: 1335-1374.
6. Institute of Medicine of the National Accademies. Hepatits C and Liver Cancer: A National Strategy fo Prevention and
Control of Hepatitis B and C, January 11, 2010. http://www.iom.edu/Reports/2010/Hepatitis-and-Liver-Cancer-ANational-Strategy-for-Prevention-and-Control-of-Hepatitis-B-and-C.aspx (02.04.12).
6d
LE TERAPIE PER L’EPATITE CRONICA DI TIPO C
L’Epatite C cronica è una malattia curabile: se il trattamento è instaurato per tempo e seguito per il
periodo indicato dal medico, l’infezione si può dominare evitando la progressione verso i danni
epatici. Obiettivo del trattamento è ottenere una risposta virologica sostenuta, ovvero eliminare dal
sangue il virus nei sei mesi successivi alla fine della terapia.
Con l’introduzione nella terapia degli inibitori della proteasi, farmaci in grado di colpire direttamente
il virus come boceprevir, diventa concreta la prospettiva di ottenere l’eradicazione del virus.
Lo Standard of Care: la “terapia duplice”
• Dalla fine degli anni Novanta, il trattamento dell’Epatite C cronica si basa sulla combinazione di
due farmaci: interferone pegilato alfa (o peginterferone), somministrato una volta a settimana
per via sottocutanea e ribavirina, sotto forma di compresse o capsule quotidiane. L'efficacia di
questo trattamento combinato varia da persona a persona e la durata del trattamento può
variare dalle 24 alle 72 settimane.
• L’interferone alfa è una citochina naturalmente prodotta dall’organismo in risposta a
un’infezione che induce la produzione di sostanze antivirali e attiva le cellule immunitarie in
grado di distruggere il virus. La forma pegilata ha aumentato la sua efficacia e prolungato il suo
effetto, tanto da poterne ridurre le somministrazioni.
• La ribavirina, un analogo sintetico del nucleoside guanosina, è un antivirale che inibisce la
replicazione del virus, ma che da solo non basta per eliminare l’infezione. Somministrata
insieme all’interferone provoca invece un’azione sinergica e un’amplificazione reciproca degli
effetti.
• La “terapia duplice” comporta numerosi effetti collaterali, che impongono esami del sangue e
delle visite periodiche dallo specialista durante la terapia. L’interferone induce cefalea,
affaticamento, dolori, febbre, tiroiditi, depressione, caduta di capelli, variazioni nel numero delle
cellule del sangue, malattie autoimmuni; la ribavirina può causare anemia emolitica, tosse,
affanno, rash cutanei, insonnia e perdita dell’appetito.
• Tali effetti possono portare all’interruzione del trattamento o al decremento delle dosi, con
un’ovvia riduzione della sua efficacia, soprattutto per i pazienti più difficili da trattare, cioè quelli
con il virus di genotipo 1.
La nuova frontiera: la terapia “triplice”
Sebbene la terapia combinata con peginterferone e ribavirina abbia presentato un grande passo
avanti nella lotta alla malattia, oltre il 50% dei pazienti non ricava significativi benefici dal
trattamento. In particolare la terapia duplice sembra efficace nell’80-90% dei malati con virus di
genotipo 2 e 3 e nel 50% di quelli con virus di genotipo 1.
La triplice terapia rappresenta il fronte più avanzato nella lotta all’Epatite C cronica con HCV di
genotipo 1, il tipo più difficile da trattare: alla terapia standard (SOC) a base d’interferone alfa 2b
pegilato e ribavirina, può finalmente essere aggiunto boceprevir, un inibitore della proteasi.
Boceprevir ha dimostrato di avere il potere di migliorare significativamente la Risposta Virologica
Sostenuta (SVR) dei pazienti adulti con cirrosi che non abbiano mai seguito nessuna terapia o per
i quali la terapia standard “duplice” non sia stata efficace.
Stroncare il virus alla radice: l’azione di boceprevir
A differenza delle terapie standard che potenziano il sistema immunitario umano delegando ad esso la
risposta contro il virus, boceprevir attacca il virus stesso, impedendogli di replicarsi.
Boceprevir è infatti un rivoluzionario agente antivirale ad azione diretta che è in grado di interferire con
la capacità di replicazione del virus dell'Epatite C di genotipo 1, inibendo la proteasi serinica NS3/4A.
La proteasi serinica NS3/4A è una delle sei proteine non strutturali del genoma dell’HCV ed è
indispensabile per la replicazione del virus nella cellula infettata: tale genoma è infatti costituito da
un filamento di RNA a polarità positiva con due regioni non codificanti alle estremità, i geni
codificanti per le proteine strutturali localizzati nella porzione sinistra e quelli per le proteine non
strutturali nella porzione di destra del genoma.
La strategia terapeutica della “triplice terapia”: il regime lead-in
La strategia terapeutica del boceprevir prevede un periodo di lead-in: per le prime quattro
settimane i pazienti vengono trattati con la terapia duplice. Una volta accertato che il paziente
risponde al trattamento viene aggiunto boceprevir. È stato infatti dimostrato che le concentrazioni
di peginterferone alfa-2b e di ribavirina raggiungono lo stato stazionario proprio alla quarta
settimana: boceprevir viene quindi aggiunto quando il sistema immunitario del paziente è già stato
attivato e la terapia di combinazione ha raggiunto i valori ottimali.
Questo approccio riduce notevolmente la probabilità di sviluppare resistenze ed è in grado di
selezionare i pazienti responder, con conseguente risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale.
Gli studi clinici confermano che la terapia triplice (boceprevir+SOC) aumenta in misura sensibile la
percentuale di Risposta Virologica Sostenuta (SVR), rispetto al trattamento standard.
Le evidenze dei trial clinici
L’aggiunta di boceprevir alla terapia standard è stata oggetto di due trial di Fase III, nei quali
differenti tipologie di pazienti affetti da infezione cronica da Epatite C di genotipo 1 sono stati
sottoposti al regime di lead-in per quattro settimane:
• HCV SPRINT-2, studio controllato, randomizzato e a doppio cieco, con 1.097 pazienti mai
trattati in precedenza. L’endpoint primario era determinare in che misura l’aggiunta di
boceprevir al SOC incrementava il numero di pazienti che raggiungevano una Risposta
Virologica Sostenuta (SVR) rispetto alla terapia duplice;
7b
• HCV RESPOND-2, studio controllato parallelo, randomizzato e a doppio cieco, con 403 pazienti
adulti che avevano sperimentato altre terapie senza successo. L’endpoint primario era
determinare in che misura l’aggiunta di boceprevir al SOC incrementava significativamente il
tasso di SVR in questo tipo di pazienti.
Per SVR s’intende il raggiungimento di un HCV-RNA non più individuabile a 24 settimane dopo la
fine del trattamento.
Entrambi gli studi hanno incluso tre bracci di trattamento: un braccio con risposta-terapia guidata
(RGT), in cui i pazienti con virus non rilevabile (HCV-RNA) all’ottava settimana di trattamento
erano idonei per una durata più breve della terapia, un braccio di trattamento a 48 settimane e un
braccio di controllo in cui i pazienti hanno ricevuto un trattamento a 48 settimane con sola SOC.
Nello specifico, i pazienti adulti con Epatite C cronica da HCV di genotipo 1 che non hanno
risposto a un primo trattamento con la terapia standard sono dunque ancora in grado di
raggiungere la risposta virologica sostenuta (SVR) se trattati una seconda volta con boceprevir
aggiunto alla terapia standard.
Nel corso di HCV SPRINT-2 si è osservata la guarigione nel 66% dei soggetti che avevano
ricevuto boceprevir per 44 settimane rispetto al 38% dei pazienti trattati con placebo.
Durante HCV RESPOND-2, il tasso di guarigione è stato del 67% dei pazienti trattati con
boceprevir per 44 settimane rispetto al 21% dei soggetti cui era stato somministrato placebo.
Va somministrato, in associazione con peginterferone alfa e ribavirina, in dose di 800 mg (4
capsule da 200 mg) tre volte al giorno, con il cibo. Le raccomandazioni del dosaggio di boceprevir
si differenziano per alcuni sottogruppi.
7c
I TRIALS CLINICI DI FASE III DI BOCEPREVIR
HCV RESPOND-2 e HCV SPRINT-2 sono stati gli studi clinici registrativi di boceprevir, ai quali
hanno partecipato circa 1.500 pazienti. In base ai risultati raggiunti il farmaco ha dimostrato di
migliorare la Risposta Virologica Sostenuta (SVR) e diminuire il tempo complessivo del trattamento
rispetto allo Standard of Care (SOC), ovvero interferone pegilato e ribavirina, stabilito in 48
settimane nei pazienti adulti con infezione da virus di genotipo 1 dell’Epatite C cronica. Il tasso di
SVR della terapia standard è sotto il 50%.
In entrambi gli studi, tutti i pazienti hanno seguito la strategia di lead-in, ovvero sono stati trattati
per 4 settimane con 1.5 mcg/kg/settimana di peginterferone alfa-2b (P) e una dose sperimentale di
ribavirina (R) pari a 600-1400 gm/die, per poi assumere anche 800 mg di boceprevir tre volte al
giorno per 44 settimane.
HCV RESPOND-2 1
Disegno dello studio
Lo studio, a gruppi paralleli, in doppio cieco e randomizzato con un criterio 1:2:2, è stato condotto su
403 pazienti adulti che avevano dimostrato di rispondere parzialmente all’interferone, senza cioè
raggiungere una Risposta Virologica Sostenuta o la non individuazione del virus alla fine del
trattamento, andando incontro a una recidiva.
Sono stati stratificati in base alla risposta al regime terapeutico seguito precedentemente (pazienti
con recidiva vs pazienti con riposta parziale) e in base al sottotipo del virus (1a o 1b) e suddivisi in 3
gruppi.
A tutti i pazienti di ciascun gruppo sono stati somministrati P/R per 4 settimane (periodo lead-in).
Successivamente:
• il gruppo 1 (di controllo) ha ricevuto palcebo + P/R per 44 settimane;
• il gruppo 2 ha ricevuto boceprevir + P/R per 32 settimane: ai pazienti con un HCV-RNA
individuabile all’8a settimana è stato somministrato placebo + P/R per altre 12 settimane;
• il gruppo 3 ha ricevuto boceprevir + P/R per 44 settimane.
Il trattamento è stato sospeso a tutti i pazienti cui è stato individuato l’HCV-RNA alla 12a settimana.
Obiettivo primario
L’endpoint primario era determinare se boceprevir, in combinazione con P/R era in grado di
incrementare in modo significativo il tasso di SVR rispetto al trattamento di con solo P/R nei
pazienti per i quali questo standard di terapia era stata inefficace2.
Obiettivi secondari
Gli endopoints secondari erano determinare la percentuale di pazienti con risposta virologica
precoce (misurata in base alla non individuabilità dell’HCV-RNA dopo 2, 4, 8 o 12 settimane di
trattamento) che avevano raggiunto una Risposta Virologica Sostenuta e la percentuale di pazienti
con HCV-RNA non individuabile ai follow-up della 12a settimana e a 72 settimane dopo la
randomizzazione.
Risultati
Il tasso di Risposta Virologica Sostenuta, rispetto al gruppo di controllo, è stato sensibilmente più
alto nei due gruppi che avevano assunto boceprevir: 59% nel gruppo 2 e 66% nel gruppo 3
(21%, P<0.001).
Tra i pazienti con HCV-RNA non individuabile all’8a settimana, il tasso di SVR è stato dell’86%
dopo 32 settimane di boceprevir + P/R e dell’88% dopo 44 settimane.
Fra i 120 pazienti con un decremento del livello di HCV-RNA meno di 1 log10 IU/mL alla 4a
settimana di trattamento, il tasso di SVR è stato dello 0% nel gruppo di controllo, 33% e 34% nei
gruppi 2 e 3.
L’anemia è stata più comune nei gruppi che hanno assunto boceprevir rispetto al gruppo di
controllo.
HCV SPRINT-2 2
Disegno dello studio
Lo studio in doppio cieco è stato condotto su 1.093 pazienti adulti (938 non neri e 159 neri) con
infezione da virus dell’Epatite C con genotipo 1 mai trattati prima, suddivisi in tre gruppi.
A tutti i pazienti di ciascun gruppo sono stati somministrati peginterferone alfa-2b e ribavirina (P/R)
per 4 settimane (periodo lead-in). Successivamente:
• il gruppo 1 (di controllo) ha ricevuto palcebo + P/R per 44 settimane;
• il gruppo 2 ha ricevuto boceprevir + P/R per 24 settimane: ai pazienti con un HCV-RNA
individuabile tra l’8a e la 24a settimana è stato somministrato placebo + P/R per altre 20 settimane;
• il gruppo 3 ha ricevuto boceprevir + P/R per 44 settimane.
I pazienti neri e non neri sono stati reclutati e analizzati separatamente, dal momento che diversi
studi hanno mostrato che i pazienti afro-americani e neri mostravano una risposta più bassa ai
trattamenti per l’HCV.
Obiettivo primario
L’endpoint primario era determinare se boceprevir, in combinazione con P/R era in grado di
incrementare in modo significativo la percentuale di pazienti con infezione da Epatite C cronica
con virus di genotipo 1 che raggiungono una SVR, rispetto ai pazienti trattati solo con P/R.
Obiettivi secondari
Gli endpoints secondari erano determinare la percentuale di pazienti con risposta virologica
precoce (misurata in base alla non individuabilità dell’HCV-RNA dopo 2, 4, 8 o 12 settimane di
trattamento) che avevano raggiunto una Risposta Virologica Sostenuta e la percentuale di pazienti
con HCV-RNA non individuabile ai follow-up della 12a settimana e a 72 settimane dopo la
randomizzazione.
8b
Risultati
SVR è stata raggiunta in 125 dei 311 pazienti del gruppo di controllo (40%), in 211 dei 316 pazienti
del gruppo 2 (67%, P<0.001) e in 213 dei 311 pazienti del gruppo 3 (68%, P<0.001).
Nella coorte dei pazienti di colore SVR è stata raggiunta in 12 dei 52 pazienti del gruppo di
controllo (23%), in 22 dei 52 pazienti del gruppo 2 (42%, P=0.04) e in 29 dei 52 pazienti del gruppo
3 (53%, P=0.004).
L’aggiunta di boceprevir alla terapia standard, se comparata alla sola terapia duplice ha aumentato
in modo significativo il tasso di SVR nei pazienti con infezione da Epatite C cronica di genotipo 1.
Note
1
2
Bruce R. Bacon, Stuart C. Gordon, Eric Lawitz, Patrick Marcellin, John M. Vierling, Stefan Zeuzem, Fred Poordad,
Zachary D. Goodman, Heather L. Sings, Navdeep Boparai, Margaret Burroughs, Clifford A. Brass, Janice K. Albrecht,
and Rafael Esteban for the HCV RESPOND-2 Investigators. Boceprevir for Previously Treated Chronic HCV Genotype
1 Infection. New England Journal of Medicine 2011, 364:1207-1217.
Fred Poordad, Jonathan McCone, Jr., Bruce R. Bacon, Savino Bruno, Michael P. Manns, Mark S. Sulkowski, Ira M.
Jacobson, K. Rajender Reddy, Zachary D. Goodman, Navdeep Boparai, Mark J. DiNubile, Vilma Sniukiene, Clifford A.
Brass, Janice K. Albrecht and Jean-Pierre Bronowicki for the SPRINT-2 Investigators. Boceprevir for Untreated
Chronic HCV Genotype 1 Infection. New England Journal of Medicine 2011, 364:1195-1206.
8c
GLOSSARIO
Parole chiave per capire la terapia del virus dell’Epatite C
Antivirali ad Azione Diretta (DAA, Direct-Acting Antivirals)
Trattamenti antivirali specifici per alcune fasi del ciclo vitale dell’infezione HCV 1 .
Cirrosi
La sostituzione del normale tessuto epatico con tessuto necrotico cicatriziale 2 .
Cura Virologica
Condizione a lungo termine di assenza d’infezione da HCV 3Error! Bookmark not defined..
Epatite
Infiammazione del fegato. Può essere causata da tossine, alcune sostanze stupefacenti,
determinate patologie, l’abuso di alcol e infezioni virali 4 .
Genotipo
Sono almeno 7 i genotipi maggiori e più di 50 i subtipi dell’infezione HCV, con diverse distribuzioni
geografiche 5 .
Inibitori della proteasi
Una classe di farmaci usati per trattare o prevenire infezioni, virali, inclusa l’Epatite C, agiscono
bloccando la suddivisione delle proteine virali 6 .
Lead-in
Trattamento iniziale con peginterferone e ribavirina protratto per 4 settimane prima dell’aggiunta di
boceprevir3.
Paziente con Risposta Nulla (Null Responder Patient)
Pazienti che ottengono una riduzione dell’HCV RNA inferiore a 2 log 7 alla 12a settimana di terapia
standard 8 .
Paziente con Risposta Parziale (Partial Responder Patient)
Pazienti che ottengono una riduzione dell’HCV-RNA maggiore a 2 log7 alla 12a settimana di terapia
standard ma un HCV-RNA individuabile alla 12a e 24a settimana8.
Paziente Naïve
Che non ha mai ricevuto un trattamento per HCV3.
Paziente Non Responsivo (Non-Responder Patient)
Un paziente che è stato trattato per Epatite C cronica e non ha mai registrato un abbattimento di 2
log o non è mai arrivato ad avere l’HCV non rintracciabile nel corso del trattamento 9 .
Paziente Recidivo (Relapse Patient)
Quando un paziente raggiunge la non rintracciabilità del virus alla fine della terapia, ma esso
ritorna individuabile appena il trattamento è sospeso 10 .
Paziente Treatment-Failure
Paziente che pur essendo stato trattato per l’HCV, non ha raggiunto una Risposta Virologica
Sostenuta9.
Reazione a Catena della Polimerasi (PCR, Polymerase Chain Reaction)
Test che permette di stabilire se il virus dell'Epatite C è stato eliminato oppure se è ancora presente,
tramite un metodo che permette una rapida ed elevata amplificazione in vitro di specifiche sequenze
di DNA.
Risposta Fine Trattamento (ETR, End-of-Treatment Response)
Quando l’infezione HCV non è più rintracciabile nel sangue al termine del trattamento9.
Risposta Virologica Rapida (RVR, Rapid Virological Response)
Il raggiungimento di un HCV-RNA non rintracciabile in un test alla 4a settimana di trattamento,
mantenuto fino alla fine della terapia (il limite minimo per l’individuabilità è 50 IU/ml)8.
Risposta Virologica Sostenuta (SVR, Sustained Virologic Response)
HCV-RNA non rintracciabile con screening sierologico tramite il test della Reazione a Catena della
Polimerasi 24 settimane dopo l’interruzione del trattamento. È generalmente considerato una “cura
virologica” se il tasso di recidiva dopo le 24 settimane è <1%7.
Terapia Standard
Il trattamento per l’Epatite C cronica a base di peginterferone in combinazione con ribavirina 11 .
Test HCV-RNA
Determina se una persona ha un’infezione attiva da HCV nel sangue5.
Trattamento in Funzione della Risposta (Response-Guided Therapy)
Approccio terapeutico che usa un trattamento di lead-in di 4 settimane con peginterferone e
ribavirina prima di aggiungere un antivirale ad azione diretta3.
Note
1
FDA. HCV Guidance - Guidance for Industry Chronic Hepatitis C Virus Infection: Developing Direct-Acting
AntiviralAgents for Treatment. https://www.federalregister.gov/articles/2010/09/14/2010-22806/draft-guidance-forindustry-on-chronic-hepatitis-c-virus-infection-developing-direct-acting (04.12)
2
NDDIC (Cirrhosis - National Digestive Diseases Information Clearinghouse) (2008). Cirrhosis. Bethesda, MD: Nation
Digestive Diseases Information Clearinghouse. http://digestive.niddk.nih.gov/ddiseases/pubs/cirrhosis/ (04.12)
3
AASLD Practice Guidelines. (2011). An update on treatment of genotype 1 chronic hepatitis C virus infection: 2011
practice guideline by the American Association for the Study of Liver Diseases.
4
CDC. Hepatitis C. Hepatitis C FAQs for the Public. http://www.cdc.gov/hepatitis/C/cFAQ.htm (04.12)
5
NDDIK (National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases), Current Disease Management (2006).
Chronic hepatitis C: Current disease management. Bethesda, MD: Nation Digestive Diseases Information
Clearinghouse.
6
Chen, K. (2009) A Review of HCV Protease Inhibitors. Current Opinion in Investigational Drugs 10(8): 821-837.
7
AASLD Practice Guidelines. (2009). Diagnosis, management, and treatment of hepatitis C: An update.
8
EASL Guidelines- EASL Clinical Practice Guidelines: Management of Hepatitis C Virus Infection. Journal of
Hepatology.
Vol. 55 j 245–264. 5 Marzo 2011.
9
TAG HCV Report- Treatment Action Group. (2008). Hepatitis C: New Treatments in the Pipeline.
http://www.treatmentactiongroup.org/pipeline-report/2008 (04.12)
10
Mandell G.L., Bennett J.E., Dolin R. (Eds.). (2010). Principles and Practice of Infectious Diseases 7th Ed. Philadelphia,
PA: Churchill Livingstone Elsevier.
11
WHO (World Health Organization). Hepatitis C. http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs164/en/index.html (04.12). 11b
MSD Italia S.r.l. Via Vitorchiano 00189 Roma (RM) P.I.00887261006 www.msd‐italia.it www.merck.com Epatite C: l’impegno di MSD
L’impegno di MSD nella lotta contro l’Epatite racconta di una storia costellata di
successi importanti: nei suoi laboratori sono state, infatti, scoperte non solo tutte
le molecole capostipiti del trattamento per l’Epatite C, ma anche i vaccini per le
Epatiti di tipo A e B che sono commercializzate in Europa dalla joint venture
Sanofi Pasteur MSD.
1957: viene scoperto l’interferone e identificate le forme alfa, beta e gamma.
1963: viene sviluppato un test per identificare l’Epatite B.
1973: viene sviluppato un test per identificare anche l’Epatite A. Inizia a
emergere l’Epatite C, inizialmente denominata “non-A, non-B”.
1980: inizia l'impegno di MSD nella ricerca di trattamenti per l’Epatite C.
1989: il virus HCV è individuato per la prima volta in un clone di cDNA.
1991: viene autorizzata la prima terapia per l’HCV cronica a base d’interferone
alfa-2b nata nei laboratori MSD.
1992: entra in azione il test sierologico che ha consentito di eliminare l’HCV nel
sangue destinato alle trasfusioni e negli emoderivati.
1998: nasce dalla ricerca MSD la “terapia duplice”, il primo grosso balzo in avanti
nella terapia dell’Epatite C: interferone e ribavirina.
2001/2002: la FDA approva due forme d’interferone pegilato, cioè modificato per
allungarne l’emivita. L’interferone pegilato insieme alla ribavirina diventano la
nuova terapia standard.
2005: si approfondisce la conoscenza del ciclo vita del genotipo 1 del virus HCV
con la replica in vitro. Nello stesso anno, la terapia di associazione rivoluziona il
trattamento per i pazienti con Epatite C cronica con genotipo 1 grazie
all'approvazione di un ciclo terapeutico abbreviato a 24 settimane.
2011: prende avvio l’era della “triplice terapia”, con l’approvazione da parte di
FDA e EMA di due inibitori della proteasi da aggiungere alla terapia standard.
Uno di essi è boceprevir, che inaugura un nuovo corso terapeutico nella lotta
contro il virus.
MSD vuole ora continuare a essere leader nella scoperta, nello sviluppo e nella
commercializzazione di terapie innovative per il trattamento dell'Epatite C cronica
attraverso lo sviluppo di un inibitore della proteasi di seconda generazione e di
altre molecole con meccanismi d’azione complementari che siano in grado di
bloccare la replicazione del virus HCV.
MSD Italia è la consociata italiana dell'americana Merck & Co., il secondo gruppo
farmaceutico a livello mondiale.
MSD Italia conta su una presenza radicata nel nostro Paese dal 1956 con oltre
1.700 dipendenti, un quarto dei quali impiegati nei nostri stabilimenti di produzione,
ed un fatturato di quasi 900 milioni di euro.
L’obiettivo primario dell'Azienda è quello di scoprire, sviluppare e
commercializzare farmaci che rispondano ai bisogni della popolazione. Per poter
realizzare tale scopo, è necessario puntare su investimenti solidi in ricerca e
promuovere l'innovazione.
In Italia, MSD sta conducendo circa 135 sperimentazioni cliniche che
coinvolgono 969 centri ed oltre 6.000 pazienti. L'ultimo rapporto sulle
sperimentazioni cliniche nel Paese, curato dall'Agenzia Italiana del Farmaco,
colloca l'Azienda al terzo posto nel periodo 2006-2010.
MSD Italia ha contribuito alla crescita economica e occupazionale in diverse
aziende italiane di piccole, medie e grandi dimensioni anche grazie ad accordi e
alla concessione di licenze di vendita di prodotti già affermati o nuovi.