Chiese e islam alleati contro la tecnica di Emanuele Severino

Chiese e islam alleati contro la tecnica di Emanuele Severino
Risposta a Scola (Dal Corriere della Sera)
Il cardinale Scola ha proposto (Corriere, 17 luglio) di uscire dalla «immagine vecchia dell'idea e
della pratica della laicità». Lo esigerebbero fatti come il 1989, «caduta delle utopie»,
globalizzazione, civiltà tecnologica, nuovo ordine internazionale, terrorismo, eccetera. Un «laico»
potrebbe chiedersi perché non esista anche un'immagine vecchia della religiosità (cristiana e no),
dalla quale si debba uscire in forza di quegli stessi fatti. Ma vorrei innanzitutto invitare il cardinale
Scola — del quale ho grande stima e per il quale nutro affetto (è stato anche mio allievo
all'Università Cattolica di Milano) — a soffermarsi un poco su quanto dice del filosofo Habermas.
Scrive di non condividere la persuasione di Habermas, che cioè «per giustificarsi, una democrazia
costituzionale non ha bisogno di un "presupposto" etico o religioso». Ma si dichiara d'accordo con
lui nell'auspicio che credenti e non credenti «si predispongano a un confronto permanente». E si
può essere subito d'accordo, perché se non ci si vuole uccidere a vicenda ci si deve continuamente
confrontare nel dialogo. Ma da che cosa deve partire questo dialogo, se non dalla discussione della
tesi da cui il cardinale Scola dissente, cioè che la democrazia costituzionale non ha bisogno di alcun
«presupposto» etico o religioso? Se questo punto di partenza non è chiarito, tutti i consensi, che
lungo il dialogo si potranno stabilire, saranno degli equivoci. Poiché tale punto di partenza non è
stato chiarito nemmeno nel dialogo che l'allora cardinal Ratzinger ebbe con Habermas nel 2004, il
loro dialogo è stato in effetti un malinteso. Per affermare l'opportunità di non uccidersi ma di
dialogare non c'era bisogno di scomodare Habermas e Ratzinger. Ma quella tesi sulla democrazia
non se l'è inventata Habermas. Nel summenzionato incontro con l'allora cardinal Ratzinger,
Habermas la enuncia anzi di sfuggita, come cosa ovvia, scontata, sulla quale non valga la pena di
soffermarsi. Come mai? Perché egli ha alle sue spalle due secoli di filosofia che sempre più
perentoriamente ha mostrato l'impossibilità di ogni «presupposto» etico o religioso, cioè
l'impossibilità di un'etica o di una religione che pretendano possedere la verità assoluta. Non credo
che Habermas (e i molti che fanno come lui) faccia bene a dare per scontato il duro lavoro della
filosofia degli ultimi due secoli: in questo modo la potenza di quel lavoro vien lasciata in cantina ad
arrugginire, e appare come un semplice «relativismo» che la tradizione dell'Occidente
(Cristianesimo in testa) può ritenersi legittimata a lasciar da parte (come ha proposto Giovanni
Paolo II), auspicando il ritorno alla filosofia tradizionale (medioevale e antica) — ossia a quella
sapienza che, scavalcata dalla filosofia moderna, da Cartesio all'Illuminismo, è responsabile
(secondo Giovanni Paolo II) di tutti gli orrori del XX secolo. Non intendo negare questa
responsabilità. Anzi, la filosofia è, da ultimo, responsabile dell'intera storia dell'Occidente (che
include l'Islam, dalle fortissime radici greche), e ormai del pianeta. Ma proprio per questa
responsabilità non si può pensare che la filosofia degli ultimi due secoli sia una bazzecola dalla
quale ci si possa liberare agevolmente — con l'involontaria complicità di chi la lascia in cantina. Il
cardinal Scola è filosofo e queste cose le capisce al volo. Ma mi lasci dire che anche lui corre il
rischio di farsi involontariamente complice di quella liberazione troppo agevole, proprio quando
propone di abbandonare la vecchia immagine della laicità. Perché se il concetto di «laicità» è
quanto mai ambiguo, non è per niente ambigua (nella sua essenza più profonda) la potenza con cui
la filosofia del nostro tempo ha mostrato l'impossibilità di ogni verità assoluta, di ogni dio, di ogni
fondamento che pretenda di sottrarsi al divenire del mondo. La coscienza di questa impossibilità è il
fondamento ultimo di ogni «laicità» e proporsi di cambiare questo senso fondamentale della
«laicità» significa chiudere gli occhi di fronte all'essenza dello sviluppo storico dell'Occidente.
Propenderei anzi a mettere in secondo piano il problema della «laicità» e a portare invece in primo
piano la chiarificazione dell'essenza della filosofia del nostro tempo e della sua capacità di portare
al tramonto la tradizione dell'Occidente. Il che implica la chiarificazione del senso essenziale
dell'intero sviluppo del pensiero filosofico. Il cardinale Scola sa bene che il contenuto a cui si
rivolgono i miei scritti non è la difesa della filosofia del nostro tempo (ma nemmeno della filosofia
del passato), e sa bene che tuttavia i miei scritti danno una mano a questa filosofia, perché essa è la
conseguenza rigorosa e inevitabile del modo in cui il pensiero filosofico è nato in Grecia ed è stato
responsabile della storia dell'Occidente. I fatti che egli indica (e che ho richiamato all'inizio) sono,
al contrario, le conseguenze inevitabili di quell'evento essenziale in cui viene mostrata
l'impossibilità di ogni Dio, di ogni verità assoluta, di ogni fondamento. La «caduta delle utopie» è
appunto la caduta della convinzione che esista una verità assoluta che le alimenti. E se l'assolutismo
dello «Stato etico» è una espressione della filosofia del passato, non si vede perché il cristianesimo
e il suo fondamento filosofico non siano a loro volta una delle più grandiose di quelle utopie. E ci
può essere «globalizzazione» perché la tecnica guida il mondo: ha emarginato quelle utopie e si
muove nel clima di un pensiero filosofico che ha mostrato la loro impossibilità. Certo, l'Islam è oggi
al centro della scena mondiale. Ma per lo stesso motivo per cui, in America, al centro si trova
l'integralismo evangelico che ha fatto vincere Bush e, in Europa, al centro si trova la Chiesa
cattolica che ambisce a ridiventarne la guida. E il motivo è che se il pensiero del nostro tempo «ha
diritto» a decretare la morte della tradizione, la tradizione punta i piedi e reagisce in modo da far
provvisoriamente sbandare dalla parte opposta il processo storico. Già, il pensiero del nostro tempo
ha quel «diritto». Perché? Ecco, qui incomincia il dialogo - desidero dire al cardinale Scola. Ma a
questa domanda i «laici» contemporanei non danno alcuna risposta - e il dialogo con i «religiosi» è
troncato sul nascere - , se si limitano a considerare quel «diritto» come cosa ovvia, e cioè se si
limitano a dare per scontato, come accade nel discorso di Habermas, che la democrazia
costituzionale non ha bisogno di alcun presupposto etico o religioso.
CORRIERE DEL VENETO
Pag 12 Cacciari: “Un ponte tra non credenti e uomini di fede” di Lorenzo Fazzini
Il dibattito sulla laicità lanciato domenica dal patriarca Scola
Microfoni aperti sulla laicità. Protagonisti, autorevoli esponenti del dibattito culturale italiano
contemporaneo. Ai quali rispondono con opzioni concreti alcuni intellettuali cattolici. Ieri mattina,
sulla radio della diocesi di Venezia Gvradio Inblu, è andato in onda un dibattito sul tema lanciato
dal patriarca Scola in un'intervista ad Aldo Cazzullo pubblicata domenica sul Corriere della Sera.
Nell'intervista il cardinale invitava credenti e non credenti a superare una « vecchia » concezione di
laicità per fare spazio ad una sua « nuova » dimensione, da ricercarsi con «pazienza » e che tenga
presente i corpi intermedi « in competizione », tra i quali anche la Chiesa. In quest'ambito il
patriarca auspicava « un confronto appassionato » pure sulla legge 194 che regola l'aborto. Lo
stesso Scola ha incentrato la sua omelia di domenica in occasione della festa del Redentore proprio
sulla laicità, intesa come « la non identificazione con nessuna delle parti in causa, siano esse
religiose o laiche », affermando che uno « stato laico non può essere indifferente ai valori della
tradizione nazionale cui esso fa storicamente riferimento ». I temi sollevati dal patriarca hanno dato
il via alla discussione di ieri mattina cui hanno partecipato - tra gli altri - il sindaco di Venezia
Massimo Cacciari, il giornalista de La7 Gad Lerner, e il direttore del Foglio Giuliano Ferrara.
Lerner ha esordito affermando di concordare con Scola sulla necessità di « lavorare insieme » per «
reinventarci una nuova concezione della laicità all'altezza dei tempi ». Sull'abbattimento degli
steccati ha insistito anche Cacciari, che ha usato l'immagine urbanistica dei « ponti » tra uomini di
fede e non credenti per indicare la sua ipotesi di laicità, da costruirsi caso per caso e non seguendo «
soluzioni di principio ». Cacciari, per il quale tali ponti restano « artifici insufficienti » ma
necessari, ha invocato per il buon esito di questo processo un surplus di speranza, sia quella
religiosa sia « quella che si basa sulla volontà della ragione ». Da parte sua Ferrara ha sorvolato
l'Oceano per accostare le dichiarazioni di Scola a quelle di uno dei candidati alla Corte suprema
americana, visto che entrambi - secondo il direttore del Foglio - « segnalano la necessità di passare,
nel concetto di laicità, dalla separazione alla neutralità ». Su quali punti concreti dell'agenda politica
questa nuova laicità possa iniziare lo spiega Vittorio Possenti, docente di filosofia politica a Ca'
Foscari: « Il rapporto con l'islam, la questione della pace, le nuove biotecnologie ». In particolare
nei confronti della religione islamica Possenti ritiene che il confronto credenti-laici possa essere
fruttuoso in termini di nuova laicità: « I cattolici contribuiscano per il loro aspetto peculiare, quello
di un dialogo interreligioso; lo stato laico nel rapporto fra diverse culture ». Anche Claudio Gentili,
direttore della rivista veronese di dottrina sociale della chiesa La Società, plaude all'intervista di
Scola che, a suo giudizio, « dimostra come la laicità non vada confusa con il laicismo e che la
democrazia sia un ambito umano in cui le diverse identità sono componibili ».
IL GAZZETTINO
Pag 4 Cacciari d’accordo con Scola: “Serve un ponte tra laici e credenti”
Le reazioni alla proposta del Patriarca di Venezia di una “nuova laicità”
Venezia. Il Patriarca Angelo Scola ha colpito nel segno, lanciando la proposta di una «nuova
laicità» che il mondo - in particolare quello occidentale - dovrebbe perseguire. Ha colpito nel segno
anche per il numero e la qualità di reazioni seguite all'omelia pronunciata domenica nella chiesa del
Redentore. «Diamo vita a una virtuosa, creativa e critica convivenza tra credenti e non credenti propone Scola - alla ricerca di una nuova laicità». E su queste basi, discutere pacatamente anche
delle regole che "laicamente" governano la vita comune: ma alla fine decidere sulla base di quel che
intimamente convince la maggioranza dei cittadini. Un riferimento, esplicitato chiaramente in
un'intervista, a eventuali "colpi di mano" minoritari su matrimoni omosessuali o aborto. La risposta
del sindaco di Venezia Massimo Cacciari, filosofo attento ai temi dei rapporti tra laicità e religione,
è perentoria e va nel senso indicato dal Patriarca: «Facciamo ogni sforzo, credenti o non credenti,
perché si costruiscano ponti - dice Cacciari -; in parte saranno artifìci, con tutte le debolezze
connaturate e dovute alle diversità tra persone di credenze, opinioni, culture diverse. Saranno anche
artifìci insufficienti, ma è doveroso fare e sperare». «Ci sono delle cose che possiamo costruire
razionalmente e ragionevolmente - spiega Cacciari in riferimento proprio al tema della nuova laicità
- e ci sono altre cose che occorre sperare di poter risolvere; che anch'io spero come non credente di
poterle vedere superate. Certo la speranza del Patriarca ha una forza tutta diversa perché è una
speranza che si fonda sulla fede ed ha quel fondamento, la mia è invece una speranza che si basa
sulla volontà sulla ragione. Ma non sono speranze contraddittorie e polemiche tra di loro; possono
combinarsi, congiungersi, ci sono dei ponti che si costruiscono insieme, credenti e non credenti,
uomini di culture e civiltà diverse, perché sono il prodotto delle nostre intelligenze». Per Cacciari
«la democrazia si imbatte in una grande difficoltà tra convinzione e responsabilità» quindi «il
politico democratico deve avere delle profonde e radicate convinzioni non scambiabili» ma per il
sindaco di Venezia «nello stesso tempo deve essere responsabile nei confronti di molte altre
posizioni e deve garantire il rispetto della loro pluralità pur non cadendo in alcuna forma di
relativismo». «La soluzione in chiave politica di questa difficoltà, come mettere insieme queste due
dimensioni riconoscendo in modo pieno tutte le posizioni e tutti gli interessi non è definibile a
tavolino, è un'arte politica che va esercitata nelle diverse condizioni perché non ci sono soluzioni di
principio». Sempre dal centrosinistra arriva un apprezzamento per le parole di Scola anche da Enzo
Carra, componente della direzione federale della Margherita: «L'invito del Patriarca di Venezia ad
un nuovo confronto tra laici, credenti e non credenti, va accolto. Se non altro per interrompere
l'avvilente politica che allarga e restringe a suo piacimento le sponde del Tevere. Più largo quando
si tratta di mostrare la mascella laicista, più stretto quando ci si riconosce in appelli alla
compassione». Il deputato della Margherita sostiene che «non è questione di temere i monopoli etici
della Chiesa cattolica, al contrario bisogna liberalizzare al massimo il confronto sulle questioni
fondamentali per l'uomo e la società. Guarentigie per tutti significherebbero anche minori necessità
di politiche concordatarie. Ma per ora non c'è che la strada della nuova laicità indicata da Scola».
CORRIERE DELLA SERA
Pag 18 “Al Patriarca propongo un patto sulla religiosità” di Gian Guido Vecchi
Pannella risponde a Scola: “La Chiesa non deve avere il monopolio dei valori. Benvenuto il dialogo
ma tra individui”. Applausi al cardinale da Forza Italia e Cossiga
Il cardinale Scola, Patriarca di Venezia, propone un «patto per una nuova laicità». Che cosa l'ha
convinta, Marco Pannella, e che cosa no?
«Beh, mi ha convinto che egli assuma una iniziativa che è anche politica, e lo è nettamente, e che i
termini di questo invito al dialogo, per me sempre benvenuto, siano oggi sempre più intelligibili ai
laici-credenti o ai credenti-laici. Non fa un discorso da chierici, da iniziati...».
«Laici-credenti»?
«O viceversa, sì: viviamo in un tempo nel quale i due termini non sono in contraddizione ma
rappresentano due connotati della stessa realtà antropologica, per riprendere il riferimenti del
cardinale...». Marco Pannella tormenta un sigaro, la polo candida come i capelli a contrastare
l'abbronzatura: su Radio radicale ha appena finito di parlare per un'ora dell'intervista al Corriere del
Patriarca di Venezia, «è un documento molto importante, per la Chiesa siamo davanti a un
momento di sintesi febbrile dei decenni di pensiero e di azione dell'attuale pontefice».
E cosa non l'ha convinta, invece?
«Direi che oggi la nuova laicità, così ipotizzata, mi sembra un tema meno urgente di quanto non
possa essere la nuova religiosità: oggi, antropologicamente, la laicità è un elemento costitutivo della
religiosità come la religiosità lo è della laicità. Anche i cosiddetti atei non sono indifferenti, ma
credenti in altro».
Ricorda quasi ciò che diceva il cardinale Martini quando parlava del «credente e del non credente
che c'è in ciascuno di noi».
«Esattamente. Mi pare che proprio Martini abbia richiamato pubblicamente l'attenzione sul
"relativismo cristiano", che peraltro mi sembra comprensibilmente assente nella posizione di
Scola...».
Assente in che senso?
«Il Patriarca riconduce il rapporto, diciamolo pure, tra Chiesa e Stato, a richiami continui alla "vita
buona", come in altri momenti si parlava della libertà come "libertà nel bene". E in questo discorso
è chiaro che non la coscienza religiosa, ma la Chiesa romana hanno la responsabilità del
monopolio».
Veramente il cardinale dice: io sono un cittadino che esprime «la sua visione di vita buona» e la
pone in «confronto» e «competizione dialogica» con «le altre». Dove sta il monopolio della Chiesa?
«Va bene, il cardinale parla per tre volte di competizione e confronto, ne sono felicissimo. Ma il
confronto è anche un confronto politico sul piano del diritto positivo, occorre garantire parità alla
competizione. Il problema è che la Chiesa si incarna nella storia e diciamo che la competizione
democratica non le è per la verità propria né al suo interno né all'esterno. Del resto basta leggere
quando parla di un "terreno comune" in cui "le autorità costituite operino come garanti di una
pluriforme società civile". Ecco: queste autorità sono quelle che costituiscono il potere dello Stato
fondato sul "riconoscimento dei corpi intermedi in cui l'io vive": dalla famiglia alla Chiesa».
E a lei non piace questo ruolo dei corpi intermedi...
«Beh, se queste autorità sono concepite come nello Stato etico che abbiamo conosciuto in Italia, lo
Stato etico-fascista, assolutamente ademocratico, non laico e illiberale...».
Però dipende: il loro ruolo è riconosciuto pure da grandi democratici liberali come Tocqueville, no?
«Vero, ma lo stesso Tocqueville, ne "La democrazia in America", scriveva: "Sono così persuaso dei
pericoli quasi inevitabili che corrono le tendenze religiose quando i loro interpreti s'immischiano nei
pubblici affari, e sono tanto convinto che a ogni costo occorra conservare il cristianesimo in seno
alle nuove democrazie, che preferirei incatenare i sacerdoti nel santuario per impedire che escano"».
Vorrà mica incatenarli?
«Eh no, anzi: noi vorremmo assolutamente che gli ecclesiastici di qualsiasi livello, da cittadini
italiani, potessero liberamente concorrere al formarsi di parlamenti e governi. Che pure il cardinale
Scola possa diventare, che so, presidente della Repubblica! Mi permetto di ricordare che don
Romolo Murri fu deputato radicale come, nel 1978, suor Marisa Galli, caso unico in Italia e forse in
assoluto ».
E quindi?
«Ci troviamo sempre nel grande pericolo di una concertazione permanente tra le "autorità
costituite", ecco il punto. Stiamo parlando di affari di questo mondo, con tutte le sue nequizie e
spiritualità, e allora diciamolo chiaro: anche nell'intervista del cardinale Scola trapela un'immagine
temporalistica nella quale la Chiesa romana vorrebbe avere o ha il monopolio dell'etica, della
morale e della rettitudine delle leggi e dello Stato».
Insomma, che cosa risponderebbe al Patriarca?
«Che noi radicali siamo per il mercato libero e contro gli oligopoli, specie sul piano etico e
culturale. Mi si permetta di sentire l'urgenza di evocare il diritto e la libertà di coscienza dei credenti
delle varie Chiese, dei protestanti, delle altre religioni monoteistiche, dei laici-credenti e in primo
luogo dei cattolici, contro i quali più feroce è storicamente stato il potere romano».
E non è il confronto che lui propone?
«Sarà, ma perché il confronto sia vero occorrono norme che lo garantiscano e che ci sia una realtà
diversa da quella attuale italiana, nella quale il potere economico, finanziario, politico e mediatico
delle gerarchie ecclesiastiche è senza precedenti, non solo da noi».
Il cardinale propone anche di riaprire il confronto sull'aborto...
«Bene, se mi permette vorrei essere io a sollecitare alcune risposte: legalizzando l'interruzione
volontaria di gravidanza abbiamo sconfitto l'immondo flagello dell'aborto clandestino di massa e di
classe, quella che resta è responsabilità di chi impedisce informazione contraccettiva su preservativi
e pillola del giorno dopo, o no? E ancora: una risposta che sollecito da almeno vent'anni sul perché
persino i feti non possano per tassativi divieti canonici essere battezzati, non potendo questo
sacramento essere amministrato a quanto ictu oculi non abbia già sembianze umane; mentre gli Stati
democratici che non riconoscono nell'embrione un individuo umano da tutelare vengono insultati
come equiparabili al nazismo autore della Shoah».
Insomma, che dovrebbe fare la Chiesa? Rinunciare al concordato, come dicevate voi radicali?
«Non ci sarà momento favorevole al dialogo finché l'essenza non solo della laicità ma anche del
Concilio Vaticano II non continueranno ad essere negati o rinnegati. Proprio il Concilio diceva di
abolire i concordati nelle nazioni democratiche, oggi mi pare siano 149...».
Scola diceva anche: «Io non impongo assoluti, tu non mettere in campo assoluti come il "vietato
vietare"».
«Vorrei sommessamente ricordare al cardinale Scola che l'essenza della posizione radicale da loro
condannata è sempre stata quella della legalizzazione, altro che "vietato vietare"!».