58 Circuits RetroNet Martedì 29 Maggio 2007 di Carlo Alberto Carnevale Maffè ■ ■ ■ Power6 Ibm Il suo chip aumenta le prestazioni, ma riduce del 50% i consumi Processori evoluti, potenza al risparmio Telefonia mobile, con Poste lo stato rientra nel business L o stato rientra nella telefonia mobile. Paradossalmente, tuttavia, questa potrebbe non rivelarsi una cattiva notizia per il mercato. Un’azienda monopolista controllata dal governo, Poste italiane, diventa operatore mobile virtuale, sia pure nella modalità di semplice rivendita di traffico, grazie alle pressioni della politica e con il beneplacito delle autorità di controllo. Fin qui, tutto si muove sulla linea del neointerventismo che ha portato tra l’altro al commissariamento finanziario di Telecom Italia. Chissà che cosa diranno ai propri azionisti quelle stesse banche che oggi si accorgono di contribuire indirettamente a far crescere un pericoloso concorrente nell’ambito dei sistemi di pagamento. Poste italiane, infatti, tramite l’amministratore delegato Sarmi, ha anticipato che con i propri servizi di telefonia mobile sarà possibile usare il cellulare come strumento di pagamento. Grazie alla propria capacità innovativa e alla capillare rete distributiva, Poste italiane ha conquistato una felice posizione dominante sul mercato delle carte di credito prepagate, e c’è da augurarsi che le autorità garanti della concorrenza non se ne dimentichino, quando si tratterà di concedere a un’azienda statale quanto è stato negato ad altri, ovvero il bundling di servizi che sfruttano la convergenPotranno avere za digitale, oltre che una maggiore libertà d’azione nell’utigrande sviluppo lizzo di sistemi di billing per molte nicchie di pagamenti non necessariamente correlati ai servizi di servizi, come telefonia, che è stata finora liM2M, telecontrollo, mitata anche grazie al lobbying del sistema bancalogistica e forza rio. lavoro mobile L’Italia arriva da buona ultima in Europa nel dare spazio agli Mvno, tardiva compensazione agli operatori per il pizzo imposto al settore con la sciagurata base d’asta per l’Umts. Il ritardo nell’avvio degli Mvno non potrà più consentire ai nuovi entranti di puntare sulla penetrazione, che in Italia è già ai massimi livelli mondiali. È probabile infatti che il modello di Mvno puro, ovvero di operatore focalizzato sulle telecomunicazioni mobili, o la scelta di lancio di brand secondari da parte degli operatori già presenti, come sperimentato in Belgio e in Scandinavia, non trovi abbastanza spazio in un mercato ormai saturo. In compenso, e qui sta la buona notizia per il mercato, costringerà i nuovi entranti a esplorare i mercati adiacenti e i servizi complementari. La tendenziale mancanza di marginalità nella rivendita di commodities come il traffico voce dovrà quindi essere compensata dal sussidio incrociato con altri servizi. E in questo quadro si innestano iniziative come quella di Poste italiane. Se la prima generazione di Mvno europei ha lavorato sul mercato voce, c’è da attendersi che la seconda ondata si concentri sul mercato delle applicazioni specifiche. La focalizzazione dei principali operatori, come Tim e Vodafone, sul livello di Arpu e di marginalità primaria ha finora sbarrato la strada a servizi a marginalità minore, che non sono stati implementati a causa della diluizione di redditività che avrebbero portato. Ma se sapranno disegnare con attenzione i propri accordi di condivisione delle infrastrutture, gli operatori potranno lasciare spazio a molte nicchie di servizi finora impossibilitate a ricevere attenzione nel portafoglio dei grandi attori del settore. Si pensi ai servizi M2M (machine to machine), ad applicazioni come il telecontrollo o a servizi specifici per forza lavoro mobile, dagli operatori di logistica agli agenti sul territorio. Non è il caso di attendersi troppo in termini di marginalità, che sarà necessariamente più bassa, ma sarà possibile veder nascere servizi a valore aggiunto con limitati effetti di cannibalizzazione e ad alta fedeltà degli utenti. Anche il mercato dei media si accorgerà dell’enorme potenziale di attenzione catturabile dai cellulari, e assisteremo a un progressivo sviluppo del mobile advertising come sussidio incrociato all’offerta di bundle di voce e messaggistica, a meno che il garante per la privacy non opponga la consueta dose di proibizionismo oscurantista che ha finora impedito il decollo del mercato. (riproduzione riservata) di Mila Cataldo I Il suo chip pesa solo pochi grammi, ma è quattro volte più potente di Deep Blue, il supercomputer del peso di 1,4 tonnellate che un decennio fa sconfisse il campione di scacchi Garry Kasparov. È il microprocessore Power6, l’ultimo nato in casa Ibm, due volte più potente del predecessore Power5, ma in grado di ridurre del 50% il consumo di elettricità. Elemento non trascurabile vista la crescente attenzione del mercato verso la riduzione dei costi elettrici, la cui incidenza, tra alimentazione e raffreddamento, secondo Idc è a livello mondiale pari a 50 centesimi per ogni dollaro investito in hardware ed è destinata a crescere del 54% nel prossimo quadriennio. Il processore dual-core Power6 passa da 3,5 a 4,7 GHz e ha una potenza che consente di scaricare l’intero catalogo iTunes in 60 secondi. Un nuovo server System p, ultra-potente, da 2 a 16 core, capace di sfruttare le molte innovazioni del chip in termini di risparmio energetico e tecnologia di virtualizzazione. È la macchina per il consolidamento più potente del mondo e contiene hardware e software che consentono di creare molti server virtuali in un singolo box. Si può realizzare l’upgrade senza arrestare il sistema, aggiungendo memoria e processori a caldo senza fermare le applicazioni e senza interrompere i servizi per l’utente. Power6 ha una cache totale di 8 MB per chip per bilanciare la notevole larghezza di banda e inviare dati al chip a una velocità che sfrutta appieno la potenza del processore stesso. «Power6 offre il doppio della potenza a parità di consumo, o, se si preferisce, uguale potenza e consumi dimezzati», spiega Alessandro Colonna, director of system p, systems and technology group Ibm Italia. Il prezzo parte da 50 mila euro e aumenta col variare delle configurazioni del sistema. Grazie alla tecnologia «Power6 live partition mobility» c’è una funzionalità che consente di spostare le macchine virtuali attive, ossia partizioni virtualizzate attive, da un server fisico Unix a un altro, mantenendo una disponibilità continua. Il Power6 può lavorare a bassa tensione, così lo stesso chip può essere usato in ambienti blade a bassa potenza e in grandi macchine di multiprocessing simmetrico ad alte prestazioni. Il chip ha larghezza di banda configurabile, così si possono scegliere prestazioni massime o costi minimi. Le prestazioni del chip aumentano, ma eliminando il lavoro superfluo e svolgendo una maggiore quantità di lavoro in parallelo, si dimezzano i tempi d’esecuzione e diminuisce il consumo energetico. Il comune di Roma ha razionalizzato le strutture informatiche per ridurre i costi It e non sforare il budget, garantendo un incremento dei servizi forniti e standard qualitativi più elevati. «Il consolida- mento infrastrutturale ha comportato la sostituzione di più server di piccola capacità con un cluster ad alta affidabilità Ibm pseries, di potenza elaborativa superiore», spiega l’ingegner Luigi Baldoni, dirigente dei sistemi informativi. 1.300 persone usano un browser web per accedere alle applicazioni Sap installate sulla piattaforma System p Ibm che offrono una visione integrata di tutte le attività finanziarie del comune di Roma. Tanti i vantaggi: l’integrazione di tutte le operazioni contabili ha ridotto il lavoro manuale, ha tagliato i costi dell’amministrazione e permesso di attuare una gestione finanziaria più efficiente, offrendo anche un miglior servizio ai cittadini. Altri benefici importanti: la riduzione del 50% dei consumi elettrici, con minore emissione di calore e risparmio nei costi di condizionamento, e un incremento dei livelli di sicurezza, necessari per sistemi capaci di dare servizio direttamente agli utenti via web. (riproduzione riservata)