IL MOBBING AZIENDALE IL MOBBING AZIENDALE Il verbo inglese "to mob" significa "attaccare", "aggredire". Letteralmente, con il termine "mobbing" si indica il tipo di aggressione praticato da alcuni animali che, circondando minacciosamente un membro del gruppo, ne provocano l’allontanamento. Si verifica una situazione di mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori o degli stessi suoi colleghi e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall'ambiente di lavoro o ad espellerlo con la conseguenza di intaccare gravemente l'equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino il suicidio. La responsabilità del datore di lavoro deriva dall'art. 2087 c.c. che impone di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Il Mobbing è un fenomeno sociale che si manifesta in un insieme di azioni e comunicazioni tra persone del medesimo ambito lavorativo, volto a determinare una condizione di debolezza in una persona allo scopo di emarginarla dall’ambiente. Di fronte a questi veri e propri attacchi, ripetuti con frequenza, la “vittima” prova un senso di isolamento, si sente non valorizzata né utilizzata per le sue reali capacità, arrivando a percepire una estromissione, effettiva o virtuale, dal contesto lavorativo. E’ evidente come tale condizione di disagio diventi una potenziale fonte di turbamento per la salute del mobbizzato. Quest’ultimo ha veramente qualcosa di diverso, che lo pone su di un altro piano rispetto agli altri. Il mobbizzato, spesso inconsapevolmente, entra in un circolo relazionale vizioso, bersaglio di una sottile e diabolica aggressione da parte di un carnefice. Gli attacchi però non sempre sono eclatanti e la vittima non è subito in grado di identificare chiaramente quello che gli sta succedendo: cattiverie e pettegolezzi sono ritenuti regole del gioco e sdrammatizzate da parenti e amici a cui vengono raccontati. Così l'individuo inizia a provare senso di inadeguatezza e di colpa per non riuscire ad essere migliore e quindi inattaccabile. Non riesce a mettere in relazione il fastidioso mal di testa, la difficoltà di digestione, gli attacchi d'ansia con lo stillicidio quotidiano di digestione, gli attacchi d'ansia con lo stillicidio quotidiano di diffidenze, maldicenze e rimproveri gratuiti che riceve. Il mob finisce spesso per attribuire a se stesso la responsabilità delle sue difficoltà di adattamento all'ambiente lavorativo. I disturbi psicosomatici e i danni alla stima della persona sono inevitabili. Si passa dunque ad un tipo di relazione in cui la vittima assume il ruolo di sottomesso (one-down). Tale vittima è la persona “scelta”, diventata il bersaglio delle frustrazioni e delle vessazioni dell’intero comparto e dell’azienda; una persona da evitare, da attaccare, da isolare in modo sistematico, continuo e mirato. Diviene il parafulmine dei nervosismi e degli “sfoghi aziendali”. Al mobbizzato non si lascia spazio per costruire e gestire i normali rapporti interpersonali e professionali. In questo modo, il mobbizzato si sente una persona negata, che riceve solo dei rifiuti, espliciti o impliciti, dai suoi colleghi e/o dai superiori, mentre in realtà, nella maggior parte dei casi la vittima è una persona brillante, creativa e capace, è un lavoratore che ama la sua professione. Divenire bersaglio del mobbing può portare conseguenze non sempre superabili con facilità. Troppi sono i fattori che contribuiscono alla reazione psico-fisica della vittima, non ultimi i tratti del carattere e la capacità di reazione emotiva a stimoli esterni di tale natura. Essere “vittima”, essere “mobbizzato” vuol dire trovarsi in una condizione di totale sudditanza e impotenza, dalla quale troppo spesso non si sa uscire poiché non esiste ancora una cultura giuridica in grado di tutelare chi ne è soggetto. Il Mobbing è un’azione aggressiva, che vede necessariamente due attori: il Mobber, cioè l’aggressore, e il Mobbizzato, ossia la sua vittima. Tuttavia, in un ufficio o in un qualsiasi altro luogo di lavoro, solo di rado questi due personaggi si trovano da soli l’uno contro l’altro: nessuna situazione di Mobbing può restare inavvertita dai cosiddetti spettatori; la sua portata è troppo pregnante perché non venga in qualche modo percepita. Di conseguenza, anche gli spettatori del Mobbing ne sono coinvolti: possono fare da semplice sfondo oppure parteggiare apertamente per una delle due parti. Gli spettatori sono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, che non sono coinvolti direttamente nel Mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di riflesso. La funzione che lo spettatore ricopre all’interno del posto di lavoro ha un’importanza cruciale per lo sviluppo del Mobbing, in quanto ha una forte capacità di influenza: se lo spettatore è un neoassunto in contratto di Formazione allora è comprensibile che potrà fare ben poco di fronte al Mobbing; se invece è il capo-reparto, egli ha l’autorità di porre fine o far proseguire il processo. L’atteggiamento inerte dello spettatore fa sì che egli si trasformi in un altro temibile aggressore; per cui un collega che assiste al Mobbing e non lo denuncia o non cerca di interromperlo in qualche modo può diventare egli stesso un “aggressore” di riflesso, ossia un side-mobber, poiché favorisce il Mobbing, con la sua indifferenza e la sua non disponibilità ad intervenire. I colleghi non direttamente coinvolti hanno una potenzialità tale da permettere o non permettere l’azione del mobber nel loro ufficio; il side-mobber non è dunque un semplice testimone, ma un vero e proprio complice silenzioso, in quanto spettatore che osserva ma non interviene. Il Mobbing consiste nel compimento di strategie persecutorie tra i lavoratori, indipendenti dalle direzioni gerarchiche o dalle caratteristiche dei soggetti che lo praticano. Queste avvengono tra due o più soggetti in cui si individua la vittima (il mobbizzato) ed il persecutore (il mobber). Il Mobber è un caso tipico di disturbo narcisistico “terminale”, impermeabile all’esistenza degli altri, in preda a delle fantasie di successo, potere, fascino e bellezza “illimitati”: in parole povere una persona con seri problemi. Questo è il Mobber: chi vessa i propri sottoposti o colleghi per scopi che in superficie sono di potere, ma nascondono motivazioni psicopatologiche più profonde, le quali arrivano al sadismo praticato per il proprio piacere, anche fisico. Secondo alcune indagini, condotte sul campo, il mobber ha una personalità “psicopatologicamente disturbata”, che si manifesta come “disturbo narcisistico di personalità”, evidenziato dalla presenza di almeno cinque su nove delle seguenti caratteristiche: senso grandioso di importanza; assorbito da fantasie illimitate di potere; successo; bellezza; fascino; crede di essere speciale e unico e di poter frequentare ed essere compreso da persone speciali come lui o di classe elevata; pretende ammirazione; sente che tutto gli sia dovuto; si approfitta degli altri per i propri scopi; incapace di riconoscere i sentimenti e le necessità degli altri; invidioso degli altri o convinto che sia invidiato; mostra con piacere comportamenti arroganti e presuntuosi. Fanno parte della categoria del Mobber: il frustrato (scarica i suoi problemi privati sugli altri); l’istigatore ( alla ricerca di nuove cattiverie); il megalomane ( con una propria visione distorta); il narcisista perverso. Secondo la psicoterapeuta francese Marie France Hirigoyen, il “narcisista perverso” è quello più pericoloso, poiché è psicotico senza sintomi, che trova il suo equilibrio scaricando su altri il dolore, che non è capace di provare e le contraddizioni interne che rifiuta di prendere in considerazione. Questo transfert del dolore permette la sua valorizzazione a spese dell’altro. Quando il dolore non viene avvertito, neanche come disagio, l’individuo diventa persecutore, maldicente, pronto ad usare tutte le astuzie per veder soffrire un altro individuo, in una parola diventa Mobber: ordisce la pratica del “transfert” del dolore, dell’inferiorità intimamente riconosciuta dalla sua subcoscienza. L’attuazione, quando riesce, comporta la presenza di due soggetti: il soggetto portatore originario della propria incapacità di vivere e del conseguente connesso “dolore” e il soggetto cui il dolore si trasferisce, nelle forme più varie, tutte riconducibili al Mobbing, che è persecuzione e tortura: la vittima si ammala e non sa il perché. La terapia possibile è quella di rimuovere la figura del Mobber dalla sua posizione subdola rendendolo innocuo; affrontare il persecutore per riportarlo alla realtà. L’opinione predominante è che la tematica debba essere urgentemente esaminata dal Legislatore, poiché si scopre, nel comportamento del Mobber, senza dubbio, un allarme sociale di enorme gravità. Infatti, spesso osservando casi di mobbing si rimane sconcertati nel notare il modo in cui il mobber abbia agito come se coltivasse, nell’intimo, un forte convincimento di impunità. La figura del mobber è impersonata all’interno delle aziende e dei luoghi di lavoro in genere, da un capo, da un collega o da un altro personaggio di per sé insignificante, i quali, in modo subdolo e nascosto, agiscono, senza una ragione apparente, all’interno della comunità dei lavoratori, per sottoporre a continua persecuzione, un lavoratore ignaro inconsapevole delle manovre compiute ai suoi danni. La caratteristica comune alle tipologie di Mobber sarebbe l’apparente indifferenza di tali soggetti nei confronti di quanto accade nel posto di lavoro, mentre intensa, palese, continua, permane la loro propensione alla maldicenza, al gusto di creare situazioni paradossali tra i compagni di lavoro, annientando la personalità di qualcuno di essi: questo “qualcuno” è appunto, la vittima. Tra alcuni studiosi sorge la domanda: i lavoratori mobbizzati sono veramente malati o sono malati, al contrario, i loro persecutori? Sorge il sospetto che il vero malato sia proprio il Mobber; tale personaggio però sfugge, mentre la vittima si ammala, perde giorni di lavoro, soffre di patologie mai prima accusate. E’ opportuno sottolineare alcune caratteristiche presenti nelle figure di Mobber: si tratta, spesso, del capoufficio (o semplicemente capo), del caporeparto, del dirigente, del “caposquadra”, di un incaricato dell’organizzazione aziendale che non vi riesce e tenta di scaricare la propria incapacità sugli altri, ritrovando nella sofferenza altrui una parvenza di equilibrio del proprio essere; di personaggi che non vivono una propria vita lineare, non se ne sentono protagonisti ed avvertono interiormente un conflitto tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere: il cui conflitto non sfocia in una decisione di superamento del proprio stato, in quanto comporterebbe tutta la propria buona volontà necessaria per salire in alto o per restare sereni nella stessa posizione. La posizione del Mobber Chi era il suo nemico? Le persone nel suo reparto/i colleghi Numero % 31 10,29900 I dipendenti o altri in posizioni inferiori alla sua I capi o altri in posizioni superiori alla sua insieme alle persone nel suo reparto/i colleghi nessuno TOTALE 173 57,47508 90 29,90033 0 301 0 100 tratto da "I numeri del Mobbing" di Harald Ege, Pitagora, Bologna, 1998, pag. 151 In circa l´88% dei casi è coinvolto un mobber in una posizione superiore a quella della vittima, fra questi in circa il 58% dei casi il mobber è il capo che agisce da solo, mentre nel restante 30% il capo è coadiuvato nel Mobbing dai colleghi della vittima. Solo il 10% sono i casi in cui il mobber era costituito dai colleghi. Dunque, la presenza di una persona di grado superiore nel Mobbing sembra una circostanza diffusa. Tuttavia, il ruolo del capo può essere di due tipi: il capo può essere il promotore del Mobbing, che quindi comincia per sua iniziativa e coinvolge i colleghi che lo assecondano o lo aiutano sperando in una qualche forma di gratificazione o semplicemente per amore del quieto vivere (sono molto rari infatti i casi in cui un collega prende le difese di una vittima di Mobbing, mettendosi così apertamente contro il capo). Il capo può tollerare il Mobbing dei colleghi, permetterlo o addirittura favorirlo: un collega mobber ha sempre bisogno di una sorta di "permesso" da parte del capo a mobbizzare qualcuno. Sia nel primo che nel secondo caso la persona in posizione superiore svolge un ruolo "chiave" per la sopravvivenza ed il progresso del Mobbing. Un tipo di mobber quantitativamente quasi irrelavante (2%) è invece il mobber che si trova in posizione inferiore a quella della vittima. Possiamo quindi pensare che in Italia esista sul posto di lavoro un certo tipo di gerarchia che tende ad essere rispettata al punto che il Mobbing dall’alto è quasi giustificato dal maggiore potere e autorità; dall’altra parte insubordinazioni tali da causare il Mobbing dal basso non sono tollerate. Questa sorta di "regola" sembra ben radicata in Italia: si tende infatti a parlare con un senso si rassegnazione ed inevitabilità riguardo ai possibili problemi di relazione sul lavoro: in pratica sembra che un superiore abbia il diritto di esercitare la sua autorità anche quando non è strettamente necessario e legittimo e che al sottoposto non resta altro da fare se non adattarsi alla situazione. Molte persone sono letteralmente abituate a subire pressioni psicologiche anche molto forti dai loro capi, e tuttavia non pensano minimamente che ciò può essere dannoso e che non è comunque legittimo (A cura di Harald Ege, Specialista in Relazioni Industriali e del Lavoro, Dottore di Ricerca in Psicologia del Lavoro e dell’´Organizzazione, Presidente Associazione PRIMA). I mobber agiscono con l’arma della parola e l’arma dello psicoterrore, dall’assegnazione di compiti dequalificanti o troppo elevati o pericolosi, in più, oltre alla violenza psicologica e verbale, usano armi subdole e imprevedibili come il sabotaggio. Il meccanismo della persecuzione è implacabile e può avvalersi di mille piccoli gesti quotidiani, che conducono irrimediabilmente verso l’isolamento. Lo scopo che viene perseguito dai mobber è devitalizzare il “mobbizzato”, emarginarlo, fino alla resa inducendo il lavoratore alle dimissioni, a richiedere il prepensionamento per malattia professionale o creare le condizioni favorevoli al licenziamento, senza che si crei un “caso sindacale”, il suo terrore è voluto ed è premeditato, infatti, il mobber investe tempo, energie e denaro nel pianificare le dannose azioni mobbizzanti. Da dove nascono i conflitti La relazione è un rapporto fra due o più entità (cose o persone) entro cui si stabilisce una comunicazione. Nel lavoro tale comunicazione si crea fra colleghi, fra superiore e subordinato, fra lavoratore e clienti, fra lavoratore e azienda, ma anche fra lavoratore e oggetti lavorativi (simboli, ufficio, computer, ecc.). Ciò che non è possibile non fare è comunicare e quindi creare relazioni. Comunicare è un bisogno psicologico dell'uomo, infatti attraverso la comunicazione noi riceviamo dagli altri il riconoscimento della nostra esistenza e del nostro valore personale e sociale. Per comunicare è fondamentale interagire con gli altri. Da questo comportamento riceviamo la quantità di stimoli e di riconoscimenti (carezze) che ci motivano e che ci danno il senso del nostro agire. La comunicazione è un passaggio bidirezionale di informazioni, messaggi (pensieri, sentimenti ed emozioni) all'interno di un contesto ben definito in cui ogni persona coinvolta utilizza un linguaggio differente. Sul lavoro ciò si traduce in dialoghi, gesti, intenzioni, messaggi all'interno di un contesto ben preciso di regole ed aspettative. Dal dialogo nasce il conflitto. Cosa significa conflitto? Il conflitto è comunicazione e comunicazione è conflitto. Comunicare vuol dire urto fra due linguaggi diversi. Per comunicare bisogna creare un linguaggio comune, ma ciò si crea in funzione di un precedente conflitto che rende possibile questo risultato. Senza conflitto non c'è comunicazione. Il conflitto, di per sé, è quindi solo un incontro fra due entità differenti, può invece prendere una forma positiva o negativa a seconda di come avviene l'interazione. Conflitto positivo Individui con punti di vista e personalità diverse che mostrano rispetto reciproco per pensieri e sentimenti altrui. Sono sufficientemente sicuri di sé da comunicare francamente. Evitano giochetti mentali. NON INTERPRETANO le critiche o i pensieri negativi come attacchi personali. Conflitto negativo Individui che considerano gli altri come avversari. Sono maggiormente interessati a proteggere se stessi che a rispettare gli altri. Cercano di vincere ad ogni costo. INTERPRETANO le critiche negative come attacchi personali e per tutta risposta non cercano di sollecitare i veri pensieri e le emozioni degli altri. CONFLITTO POSITIVO = decentramento cognitivo ed emozionale CONFLITTO NEGATIVO = egocentrismo puro Effetti di un conflitto I conflitti nel lavoro non sono certo una rarità, infatti possono nascere da semplici divergenze di opinione e discussioni animate. In realtà i conflitti definiscono una quota di "stress" che rappresenta il motore che ci spinge verso una maturazione interpersonale e personale. Come in ogni contatto interpersonale anche, e soprattutto, sul lavoro veniamo a confronto con persone differenti ed è da tali differenze che nascono le vere maturazioni. Il conflitto può e deve essere l'ostacolo da superare, in grado di creare in noi nuove capacita' personali. Quando però le differenze ed il contrasto sono cause di un alto livello di disagio, possono anche provocare gravi e costanti infelicità dovute all'alterazione del nostro benessere psicofisico, alla perdita della nostra sicurezza ed autostima. Ci sono molti · la natura · il ruolo fattori stessa che contribuiscono dell'impiego all'interno (troppo a lavoro dell'organizzazione (per rendere o stressante troppo es. il poco, il o livello nostro mal di lavoro: distribuito) responsabilità) · la struttura dell'organizzazione stessa (es. mancanza di canali di comunicazioni fra colleghi o mansioni o ruoli ambigui). · la carriera (es. la frustrazione delle proprie ambizioni o l'arrivismo) · la natura del rapporto instaurato con colleghi, superiori, clienti, ecc. (fattore legato fortemente alle caratteristiche peculiari della personalità) I conflitti interpersonali sul lavoro possono dare luogo, come si e' detto, a effetti positivi e negativi; esaminiamoli. Effetti positivi: · rafforza il rapporto (due persone che partono da punti di vista differenti, trovando un punto in comune, aumentano la propria capacita' di mediare e ciò rafforza il loro rapporto non solo in quel preciso momento e per quel singolo episodio ma anche nella fiducia di potersi accordare, anche in futuro, su altre questioni) · aumenta l'autostima (risolvere un conflitto vuol dire sentirsi capace di superare un ostacolo e sentire di aver affinato maggiormente la difficile abilita' dello stare insieme) · stimola la creatività (nel momento in cui si risolve un conflitto si crea, si produce qualche cosa di nuovo, si scopre una nostra nuova risorsa) · è fonte di soddisfazione (alcuni ricercatori sostengono che l'uomo abbia sempre bisogno di stimoli capaci di far accumulare e di liberare la tensione. Il conflitto, quindi, stimola interesse e curiosità poiché permette all'individuo di utilizzare appieno le proprie capacita' individuali -Deutsch 1971-) Effetti negativi: · a livello individuale tali effetti si esprimono in sintomi psicologici (incapacità di concentrazione, aumento dell'irritabilità, difficoltà di rilassamento, incapacità di utilizzare ragionamenti lucidi e razionali); fisici (emicrania, insonnia, difficoltà digestive, ulcera, ipertensione); comportamentali (abbandono o evitamento dei rapporti interpersonali, abuso di alcol, sigarette e tranquillanti). · A livello aziendale tali effetti generano tensione all'interno di tutta l'organizzazione e, per un gioco di schieramento delle parti, possono dare avvio ad una vera e propria guerra allargata. Inoltre ne risente la produttività in generale, oltre che un aumento dei rischi per la sicurezza sul posto di lavoro. Come si deduce, se il conflitto può rappresentare una risorsa notevole quando e' sotto controllo e ben gestito, diventa invece portatore di grosse difficoltà se non individuato per tempo e gestito con capacità e chiarezza. E' proprio l'elemento della chiarezza che determina il cattivo andamento del conflitto, infatti la maggior parte delle volte la prima reazione di fronte al conflitto è quella della non curanza con la speranza, quanto mai fantasmatica, che si possa risolvere magicamente da solo. In tale condizione di non visibilità il conflitto può perdurare per molto tempo ed avere gravi conseguenze. I motivi di un conflitto Esistono alcuni fattori che permettono di stabilire la probabilità o meno che si possa sviluppare un conflitto interpersonale: 1. Le caratteristiche dei gruppi Come in ogni forma di interazione sociale anche nel lavoro tendono a crearsi dei gruppi i quali possono essere formali (creati per svolgere insieme determinati lavori) o informali (basati sulla condivisione, reale ed immaginaria, di interessi e abitudini o semplici caratteristiche di genere o età). Sono proprio questi ultimi che, sulla base dei più diffusi stereotipi, tendono a strutturarsi in sottogruppi o "cricche" e, come tali, possono decidere di escludere una persona dalla circolazione delle informazione e tendere ad isolarla per poi molto spesso riversarle addosso ogni insuccesso lavorativo. 2. Regole d'interazione Tutti i nostri rapporti sociali sono governati da regole che definisco cosa e' appropriato e cosa non lo e' in una determinata situazione. L'inosservanza di tali regole determina inevitabilmente conflitti o rotture del rapporto. Regole specifiche dell'ambiente lavorativo sono: * Regole di aiuto: si deve aiutare il collega nella sua attività lavorativa, lo si deve sostituire in caso di assenza e gli si debbono dare consigli ed incoraggiamenti in casi di difficoltà * Regole di interazione stretta: deve esserci il rispetto della privacy e ci si deve astenere da molestie sessuali di ogni specie * Regole verso terzi: non bisogna criticare il collega di fronte ad una terza persona (capo o cliente), non si devono discutere confidenze con terzi e si deve difendere i colleghi di fronte agli altri quando loro stessi non possono farlo * Regole sui compiti: ogni professionista ha una serie di compiti o mansioni che deve svolgere (es. il giardiniere non può fare diagnosi mediche). Nella gestione dei conflitti risulta quindi molto utile capire quale regola e' stata infranta. 3. Modalità con cui trattiamo gli altri Ogni individuo tende a trattare gli altri secondo modalità uniche e particolari. Ciò e' legato alle differenze di personalità, di sesso e d'età. * Personalità: le persone che fanno lo stesso lavoro possono essere molto diverse fra loro ed inevitabilmente ci saranno colleghi che quasi "epidermicamente" ci appaiono più simpatici e altri con cui non riusciamo a legare o verso cui abbiamo un'antipatia quasi "innata". Ciò e' legato al differente modo che le persone hanno di affrontare i compiti della vita e, dunque, anche il lavoro. In altre parole, se una persona con un carattere molto metodico e preciso e, quindi, uno stile di comportamento lavorativo conseguente, deve lavorare insieme ad un collega flessibile ed accomodante con abitudini diverse e' molto probabile che insorga un conflitto. * Età: gli stereotipi legati a questo fattore influenzano il nostro modo di rapportarci con i colleghi di lavoro e con gli stessi capi. Tali stereotipi presentano il giovane come maggiormente creativo, flessibile e aggiornato sulle moderne tecnologie, mentre il lavoratore più vecchio è considerato più esperto e ricoprente ruoli di maggiore responsabilità. Per i lavoratori più anziani può essere imbarazzante lavorare o, peggio, avere come capo una persona più giovane e chiedergli quindi aiuto. Al contrario, un lavoratore giovane può sentirsi costantemente sotto esame lavorando con una persona più vecchia ed esperta a cui dover fare costantemente riferimento. * Sesso: rappresentazione sociale ancora diffusa e' quella che vede la donna in posizioni lavorative di minor rilievo rispetto a quelle maschili. Ciò e' legato agli stereotipi sui ruoli sessuali, che possono raggruppare 4 immagini: "Madre terra", donna come nutrice amorosa che si comporta in questo modo nell'ambito lavorativo. "Seduttrice", donna come oggetto d'attrazione sessuale la cui funzione non e' lavorare ma stuzzicare e stimolare l'uomo. "Animale domestico", donna tollerata o trattata come un complemento dell'arredo o dell'ambiente di lavoro e non come pari. "Signora di ferro", donna pericolosa e per nulla femminile. 4. Percezione della situazione I conflitti raramente hanno un confine preciso. Le parti in causa hanno ognuna la propria percezione ed interpretazione dei fatti e queste possono anche essere differenti. Due sono i fattori cruciali per una valutazione realistica di un evento: fare un'attenta analisi della situazione e cercare di capire il punto di vista altrui. Quest'ultimo passo determina lo scatenarsi del conflitto, poiché nessuno e' disposto a cogliere l'altro punto di vista, soprattutto se è inserito a vario titolo nel conflitto stesso. Questo è però un elemento cruciale per risolvere la situazione conflittuale, infatti il modo con cui noi viviamo gli eventi dipende dai nostri principi e dalle nostre aspettative ed attribuzioni; in una parola, dal nostro schema mentale cognitivo ed affettivo. Come risolvere un conflitto Dall'analisi tracciata sui motivi per i quali si creano i conflitti e' più semplice ora passare ad una rapida analisi di quali sono gli aspetti fondamentali da analizzare per capire correttamente un conflitto e risolverlo. · Storia del conflitto In che modo si e' sviluppato, chiedendosi "come si e' manifestato?", "esiste un fatto particolare che ne ha segnato l'inizio?", "quanto e' durato?". · Contesto del conflitto Analizzando il contesto e l'ambiente in cui si sviluppa un conflitto e' più facile capirne la gravità e la natura. Chiediamoci: "Questa persona ha avuto problemi con altra gente o solo con me?", "da quali comportamenti e da quali azioni e' caratterizzato il conflitto?" · Altre parti coinvolte nel conflitto E' importante inserire il conflitto in un contesto più ampio, poiché raramente esso non ha effetti sugli altri. Chiediamoci: "c'e' qualcuno che alimenta il conflitto?". "chi ci guadagna se il conflitto va avanti o si aggrava?" · Motivi del conflitto E' importante ricercare i motivi del disaccordo sulla base di quanto esposto nelle pagine precedenti. · Dinamiche del conflitto Capire come il conflitto si evolve e quale direzione prende può esserci utile per risolverlo. Chiediamoci: "la causa iniziale del conflitto e' ancora valida?", "le nostre posizioni si sono radicalizzate?" Una volta svolta questa analisi è possibile sapere dove agire per ricomporre il conflitto. Le tecniche più usate per risolvere una situazione conflittuale sono: 1. la mediazione consiste nel saper trovare il giusto mezzo fra le posizioni divergenti. Tale tecnica si fonda sull'ascolto e sull'empatia ed un uso molto abile del linguaggio 2. il lavoro sul proprio stile è una tecnica che tende ad analizzare lo stile di risposta di ognuno per renderlo più funzionale, attraverso la creazione di risposte tipiche più efficaci. 3. l'assertività è una tecnica molto diffusa che tende ad esprimere con onestà e trasparenza le proprie opinioni, anche negative, senza perdere il controllo della situazione e rispettando sempre i diritti altrui. 4. ignorare è una tecnica che tende a sdrammatizzare i toni del conflitto 5. la repressione questo metodo è utilizzato quando non si vuole offendere i sentimenti altrui temendo di aumentare il conflitto e si pone l'accento sul rafforzamento delle relazione con gli altri. 6. l'innovazione Si considera il conflitto come informazioni diverse che si accumulano alla ricerca di un nuovo input creativo. In ogni caso i conflitti possono essere ricomposti quando il bilancio fra svantaggi e vantaggi è positivo. Primaria regola da considerare e' che: Non siete responsabili di tutto, cioè il conflitto si ricompone solo se da entrambi, prima, ne e' riconosciuta l'esistenza e, poi e' espresso il desiderio di raggiungere un accordo. Se non c'e' questo tipo di collaborazione dovete riconoscere di aver fatto tutto il possibile senza cosi' attribuirvi responsabilità altrui. Le fasi del Mobbing Gli studiosi del settore pongono l'accento sulla gradualità della manifestazione del mobbing. A titolo esemplificativo, si individuano 6 fasi, che nella realtà non sono ben distinte l'una dall'altra, ma possono intrecciarsi o confondersi reciprocamente. La prima fase è caratterizzata dal "conflitto mirato" che si manifesta qualora si addossano alla stessa persona le colpe per i ritardi, gli errori, gli inconvenienti, che si verificano nel normale svolgimento dell'attività aziendale (per es. le lamentele del cliente per il ritardo nella consegna, vengono poi "indirizzate" al singolo dipendente, che così diventa il capro espiatorio). In questa prima fase, si sfrutta ogni minimo pretesto per attaccare ed aggredire una determinata persona. Nella seconda fase, invece, si "creano" i pretesti e le occasioni per isolare ulteriormente la vittima. La terza fase è caratterizzata dalla comparsa dei primi problemi psicosomatici in capo al mobizzato, consistenti nella insonnia, nodo alla gola, tremore alle gambe, sfinimenti, iniziale depressione, mal di schiena, vomiti etc..... Queste manifestazioni denotano un certo squilibrio, anche di carattere psichico e caratteriale. Infatti, la persona inizia a dare segnali di cedimento della personalità, con continui scatti di nervosismo o di totale assenza o sfiducia nelle sue capacità lavorative e personali. Il soggetto mobizzato, a causa di questi malesseri, può assentarsi dal lavoro per malattia, anche per lunghi periodi, con grave deprezzamento delle sue capacità e della sua immagine professionale e danni alla salute. Si attiva, in altri termini, quella reazione a catena per cui una persona piu' è debole, piu' si ammala e piu' viene isolata e " accantonata ". Spesso circola la voce che le sue lunghe assenze siano una scusa per non lavorare etc..... Nella fase successiva, il caso del mobizzato, varca le soglie dell'ufficio di appartenenza, e viene portato alla conoscenza dell'intera azienda. Esso, cioè, diventa " il caso aziendale " al centro delle discussioni tra colleghi, delle dicerie etc.... che ne aumentano la portata e la gravità. ll caso arriva sul tavolo della Direzione del personale (quinta fase), che convoca ripetutamente il mobizzato, con eventuale minaccia di sanzioni disciplinari in caso di persistenza nel suo comportamento. Nella fase ultima (sesta) si ha la c.d. uscita dal mondo del lavoro per una delle seguenti cause: prepensionamento per malattia professionale (dovuta al mobbing), licenziamento (per es: per il venir meno del rapporto fiduciario con il datore), dimissioni (per il clima insopportabile creato nei suoi confronti), suicidio. Le conseguenze del mobbing Conseguenze sulla salute I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti sono osservabili sulla salute delle vittime che, quasi inevitabilmente, dopo un intervallo di tempo variabile, si altera con manifestazioni nella sfera neuropsichica. Precoci sono i segnali di allarme psicosomatico (cefalea, tachicardia, gastroenteralgie, dolori osteoarticolari, mialgie, disturbi dell'equilibrio), emozionale (ansia, tensione, disturbi del sonno, dell'umore), comportamentale (anoressia, bulimia, potus, farmacodipendenza). Se lo stimolo avverso è duraturo, oltre al possibile concorso nello sviluppo di patologia d'organo, i sintomi descritti possono organizzarsi nei due quadri sindromici principali che rappresentano le risposte psichiatriche a condizionamenti o situazioni esogene: il disturbo dell'adattamento e il disturbo posttraumatico da stress. Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV, le conseguenze sulla salute che possono derivare da una condizione di mobbing dovrebbero essere comprese nell'insieme definito "Reazioni ad Eventi". Tali reazioni includono: Disturbo dell'adattamento (DA) Disturbo acuto da stress (DAS) Disturbo post-traumatico da stress (DPTS). Tuttavia, occorre tener presente che in ambito lavorativo esiste un vasto insieme di disturbi psichiatrici classificabili come "reazioni ad eventi", identificabili, per nesso eziologico, come malattie professionali o malattie correlate al lavoro (work-related), che nulla hanno a che vedere con la condizione di mobbing. Va infatti considerato che la messa in cassa integrazione, il licenziamento dovuto a cause strutturali di crisi aziendale, una fase di forte conflitto aziendale, e tutta una serie di eventi analoghi che possono realizzarsi in ambito lavorativo, senza alcun elemento di intenzionale violenza psicologica, possono ugualmente determinare quadri di patologia anche molto gravi, senza per questo essere inquadrabili all'interno di una sindrome provocata da una condizione di mobbing. Nell'esperienza della Clinica del Lavoro di Milano, il disturbo dell'adattamento è largamente prevalente (oltre i 2/3 dei casi con caratteristiche di attendibilità), mentre il disturbo post-traumatico da stress (stessi sintomi del disturbo dell'adattamento, ma più gravi e con possibilità di sequele associato a intrusività del pensiero, comportamenti di evitamento di situazioni che possano - anche indirettamente - richiamare il problema lavorativo, e blocco dell'io) rappresenta un evento meno frequente. Circa un terzo della casistica totale è, infine, costituito da casi di patologia psichiatrica comune o di patologia fittizia. Al contrario, la casistica osservata nel centro di Napoli, ancora in fase di sperimentazione, ha permesso di rilevare una notevole presenza dei casi più drammatici del fenomeno, che si è manifestato prevalentemente come Disturbo post-traumatico da stress (DPTS), mentre il 20% dei casi è costituito da Reazioni ad Eventi in ambito lavorativo, nei quali l'evento-causa della reazione non è individuabile in una condizione di mobbing, quanto piuttosto in una condizione di conflitto aziendale senza valenze intenzionali di tipo persecutorio. Conseguenze sociali Le conseguenze sociali possono essere devastanti, in quanto la persistenza dei disturbi psicofisici porta ad assenze dal lavoro sempre più prolungate, con "sindrome da rientro al lavoro" sempre più accentuata, fino alle dimissioni o al licenziamento. La perdita dell'autostima e del ruolo sociale comporta insicurezza, difficoltà relazionali e, per le fasce d'età più avanzate, l'impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi. Il soggetto porta all'interno dell'ambito familiare il proprio stato di grave disagio, e non sono rari i casi di separazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali. Più precisamente, le conseguenze devastanti della situazione di mobbing in ambito sociale interessano tre aree distinte: a.- Difficile recupero dell'inserimento occupazionale. Tale difficoltà, oltre che da condizioni di mercato del lavoro fortemente selettivo, è caratterizzata dai seguenti elementi: La collocazione di un quadro dirigenziale ad alto livello presenta difficoltà maggiori di un lavoratore di tipologia media, dal momento che le nicchie di mercato per ruoli dirigenziali sono molto ristrette e "protette" in termini di scalata gerarchica interna alle aziende. Il contenzioso legale per veder riconosciuti i diritti al recupero della posizione lavorativa precedentemente ricoperta, in Italia prevede tempi talmente lunghi, che la stessa attesa diventa elemento di sofferenza concomitante alla sindrome da mobbing. Inoltre, un lungo periodo di attesa (che può ricoprire anche diversi anni), determina una perdita di professionalità ad alti livelli, che si fonda sul costante esercizio pratico dell'attività manageriale. Come dire: a certi livelli, chi si ferma è professionalmente perduto! b.- Coinvolgimento del nucleo familiare. Agli occhi del soggetto mobbizzato, la famiglia appare come la struttura sociale immediatamente più disponibile per temporanee forme di compenso. Essa costituisce comunque un compenso temporaneo, variabile e - oltre certi limiti - incapace di assorbire e metabolizzare le tensioni, che le si ritorcono pericolosamente contro, implicandola in comportamenti reattivi di natura "patologica". c. - Coinvolgimento del tessuto della vita di relazione. Gli effetti del mobbing si ripercuotono significativamente anche nella vita di relazione del soggetto mobbizzato, che subisce una progressiva contrazione, motivata in genere da due fattori: la caduta del ruolo lavorativo viene vissuta anche come caduta dello stato sociale, che si traduce in una fuga dai contatti sociali tradizionali; la problematica del mobbing diventa pervasiva e totalizzante, determinando una progressiva caduta d'interesse per la vita di relazione. A ciò si aggiunga il fatto che i costi delle conseguenze del mobbing non riguardano solo gli aspetti individuali, ma si riflettono più generalmente a livello aziendale, in termini di ore lavorative perse e scadimento della qualità del lavoro, della produttività e, a livello della collettività, con un aumento dei pre-pensionamenti, delle invalidità civili e della spesa sanitaria. Il soggetto mobbizzato è diventato improduttivo, di peso per la società, per la famiglia, per se stesso: di ciò egli è consapevole, ma non ha più energie da spendere, né entusiasmo da investire. Gli articoli del Codice Civile che tutelano il lavoratore Art. 2087 - Tutela delle condizioni di lavoro 1. L`imprenditore è tenuto ad adottare nell`esercizio dell`impresa le misure che, secondo la particolarita` del lavoro, l`esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l`integrita` fisica e la personalita` morale dei prestatori di lavoro. Art. 2103 Mansioni del lavoratore 1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.(omissis) 2. Ogni patto contrario è nullo D.Lgs. n. 626/1994 Art. 3 Misure generali di tutela 1. Le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono:(omissis) 2. Informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro; Art. 5 Obblighi dei lavoratori 1. Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. 2. In particolare i lavoratori:(omissis)… contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento di tutti gli obblighi imposti dall'autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro. Reati ipotizzabili in caso di mobbing A carico dei mobbers possono essere ipotizzati i seguenti reati: Art. 377 C.P. - Subornazione Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria ovvero a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi ridotte dalla metà ai due terzi . La stessa disposizione si applica qualora l'offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa. La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici. art. 378 C.P. - Favoreggiamento personale Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni. Quando il delitto commesso è quello previsto dall'articolo 416 bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a lire un milione. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto. art. 414 C.P. - Istigazione a delinquere Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione: 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti. 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a lire quattrocentomila, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1. Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. art. 416 C.P. - Associazione per delinquere Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più. art. da 476 C.P. a 493 C.P. - Falsità materiale o ideologica Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni. art. 582 C.P. - Lesioni personali Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa (1). (1)Articolo così modificato dalla L. 26 gennaio 1963, n. 24. Il secondo comma è stato successivamente così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689. Art. 583 Circostanze aggravanti La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo; 3) se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l'acceleramento del parto (1). La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella; 4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso; 5) l'aborto della persona offesa (1). Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa. art. 590 C.P. - Lesioni personali colpose Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire duecentoquarantamila a un milione duecentomila; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da lire seicentomila a due milioni quattrocentomila. Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da due a sei mesi o della multa da lire quattrocentottantamila a un milione duecentomila; e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da sei mesi a due anni o della multa da lire un milione duecentomila a due milioni quattrocentomila. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale. art 594. C.P. – Ingiurie Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone. art.595 C.P. – Diffamazione Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate. art. 599 C.P. - Ritorsione o provocazione Nei casi preveduti dall'articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute. art. 610 C.P. - Violenza privata Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339. Art. 339 - Circostanze aggravanti Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni. art. 611 C.P. - Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato Chiunque usa violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339. art. 612 C.P. – Minaccia Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire centomila. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio. art. 613 C.P. - Stato di incapacità provocata mediante violenza Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d'incapacità d'intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno. Il consenso dato dalle persone indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo 579 non esclude la punibilità. La pena è della reclusione fino a cinque anni: 1) se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato; 2) se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto. art. 616 C.P. - Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prendere o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per "corrispondenza" si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza. art. 618 C.P. - Rivelazione del contenuto di corrispondenza Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione. Il delitto è punibile a querela art. 624 C.P. – Furto Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sè o per altri è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire sessantamila a un milione. Agli effetti della legge penale, si considera "cosa mobile" anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico. art. 627 C.P. - Sottrazione di cose comuni Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sè o ad altri un profitto, s'impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire quarantamila a quattrocentomila (1). Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante. (1) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 art. 629 C P.- Estorsione Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni (1). La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni, se concorre taluna delle circostanze indicate nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente. art. 635 C.P. - Danneggiamento Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila. La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso: 1) con violenza alla persona o con minaccia; 2) da datori di lavoro in occasione di serrate, o da lavoratori in occasione di sciopero, ovvero in occasione di alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 330, 331 e 333 (1); 3) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico all'esercizio di un culto, o su altre delle cose indicate nel n. 7 dell'articolo 625; 4) sopra opere destinate all'irrigazione; 5) sopra piante di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento. (1) Con sentenza n. 119 del 6 luglio 1970 la Corte cost. ha dichiarato l'illegittimità del secondo comma di questo articolo nella parte in cui prevede come circostanza aggravante e come causa di procedibilità d'ufficio il fatto che il reato sia commesso da lavoratori in occasione di sciopero e da datori di lavoro in occasione di serrata. Art. 635 bis - Danneggiamento di sistemi informatici e telematici Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se ricorre una o più delle circostanze di cui al secondo comma dell'articolo 635, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni (1). Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 23 dicembre 1993, n. 547. art. 660 C.P. - Molestia o disturbo alle persone Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire un milione. art. 711. C.P. - Apertura arbitraria di luoghi od oggetti Chiunque, esercitando il mestiere di fabbro o di chiavaiuolo, ovvero un altro simile mestiere, apre serrature o altri congegni analoghi apposti a difesa di un luogo o di un oggetto, su domanda di chi non sia da lui conosciuto come proprietario o possessore del luogo o dell'oggetto, o come un loro incaricato, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire ventimila a quattrocentomila. Se il mobber è un pubblico dipendente ed il mobbing è diretto verso un pubblico dipendente, ai precedenti reati possono aggiungersi i seguenti: art. 323 C.P. - Abuso d'ufficio Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità. Articolo sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente così sostituito dall'art. 1, L. 16 uglio 1997, n. 234. art. 328 C.P. - Omissione d'atti d'ufficio Il pubblico ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto dell'ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (1). (1)Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86. art. 331 C.P. - Interruzione di pubblico servizio o di pubblica necessità Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a lire un milione. I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a lire sei milioni. Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente. art. 336 C.P. - Violenza o minaccia a pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio Chiunque usa violenza a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa. art. 340 C.P. - Interruzione di ufficio o servizio pubblico o servizio di pubblica necessità Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi, o promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. art. 344 C.P. - Oltraggio a pubblico impiegato Le disposizioni dell'articolo 341 si applicano anche nel caso in cui l'offesa è recata a un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio; ma la pene sono ridotte di un terzo. art. 374 bis C.P. - False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'A.G. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all'autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1). (1)Articolo aggiunto dall'art. 11, comma 3, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Il mobbizzato impiegato pubblico, se riveste anche l'incarico di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio può andare incontro ai reati seguenti: art. 361 C.P. - Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire sessantamila a un milione. La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto. Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa. Il medico venuto a conoscenza per motivi professionali di una malattia insorta a causa del mobbing è obbligato a presentare il referto che è l'atto con il quale dà notizia all'autorità giudiziaria di aver prestato assistenza od opera in casi in cui si profila l'eventualità di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio o a querela di parte [lesioni personali da cui sia derivata una malattia di durata superiore ai 20 giorni (art 582 C.P.) o lesioni personali aggravate artt. 583 - 585 C.P.)]. Altra incombenza è quella della denuncia alle ASL, ai sensi dell'art. 103 del Testo unico delle leggi sanitarie (RD 27.7.1934), per le lesioni personali, dipendenti da qualsiasi causa acquisita, da cui sia derivata o possa derivare una inabilità al lavoro, anche parziale, di carattere permanente. Tra le denuncie cui il medico è tenuto, ricorre anche quella all'INAIL o all'INPS per gli stessi motivi [malattia professionale da causa di lavoro (art. 590 C.P.)]. Pertanto il medico che non adempie all'obbligo di referto compie il reato di cui all' Art. 365 C.P. Omissione di referto. Art. 572 C.P. - Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni. (Consultare la sentenza nr. 10090/2001 Corte di Cassazione). ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ CONSIGLI PRATICI PER RESISTERE AL MOBBING E NON FARSI TRAVOLGERE DA ESSO (un decalogo) Qui di seguito sono elencati alcuni consigli per mettere in condizione chi subisce vessazioni ed angherie sul luogo di lavoro, di resistere, organizzarsi, reagire, lottare contro i mobbers. Essi sono frutto di esperienze personali, letture, documentazione. In mancanza di idonea e mirata legislazione, essi costituiscono una base per fornire ai mobbizzati un minimo di aiuto concreto. 1. Abbiate pazienza: Il viaggio contro il mobbing è lungo, duro e difficile: organizzatevi per una lotta nella quale, alla fine, sarete voi i vincitori. Il tempo gioca a vostro favore: dopo un periodo iniziale di scoramento e di depressione ritroverete la forza di vivere, di sorridere, di sconfiggere i vostri mobbers, di essere giustamente risarciti per i danni subiti. 2. Non cedete allo scoramento ed alla depressione: Il mobbing cui siete sottoposti non avviene per colpa vostra: le motivazioni socio-psicologiche alla base del mobbing sono molteplici e complesse, oggetto di studi approfonditi di sociologi, psicologi e giuristi. Voi siete solo un capro espiatorio di una situazione che non dipende da vostre colpe. 3. Non pensate alle dimissioni: La prima cosa alla quale un mobbizzato pensa è quella di fuggire e di liberarsi dalla situazione stressante, abbandonando la scena. In effetti spesso il mobbing ha solo lo scopo di “poter licenziare impunemente”. Dare le dimissioni vi libera, è vero, dal mobbing ma con le dimissioni “la date vinta al mobber” e vi precludete qualsiasi successiva azione risarcitoria nei vostri confronti. Ricorrete ad un periodo di malattia solo per il tempo strettamente necessario: utilizzate preferibilmente i periodi di ferie non godute o i recuperi orari. Tenete però ben presente che al ritorno sul luogo di lavoro dopo un periodi più o meno breve di assenza potreste trovare che molte cose sono cambiate in peggio: durante la vostra assenza il mobber ha avuto tutto il tempo per organizzarsi meglio. 4. Non pensate di essere gli unici: Si calcola per difetto che in Italia vi siano almeno un milione e mezzo di mobbizzati (circa il 6% della forza lavoro). Pensare di essere gli unici è una falsa immodestia: siete solo uno dei tanti. 5. Organizzatevi per resistere: Considerate che, secondo calcoli fatti dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), la messa in atto di azioni mobbizzanti nei vostri confronti, costa alla vostra azienda attorno al 190%della vostra retribuzione annua lorda: alcune cause di questi costi sono: Il tempo impiegato dal mobber per studiare nuove forme di vessazione nei vostri confronti La perdita di morale tra i lavoratori Le giornate lavorative perse in malattia a causa del mobbing I costi a carico del SSN per la cura dei lavoratori ammalatisi a causa del mobbing I costi delle liquidazioni in caso di licenziamento spontaneo L'azienda, a causa del mobbing, perde elementi produttivi e competenti La sostituzione del lavoratore licenziato ha un costo per l’azienda in termine di know-how I risarcimenti per cause civili ai lavoratori mobbizzati 6. Raccogliete la documentazione delle vessazioni subite: Poiché il mobbing, anche se non vi è una legislazione precisa e ad hoc contro di esso, rientra in fattispecie di reati previsti e penalmente perseguibili e di illeciti amministrativi (per esempio, reati: abuso di potere, minacce, violenza privata, diffamazione, calunnia, lesioni personali, etc; illeciti amministrativi: demansionamento, dequalificazione, etc.), è necessario che voi documentiate nel modo migliore possibile le azioni mobbizzanti messe in atto nei vostri confronti. Pertanto: Trovate colleghi disposti a testimoniare (anche se è difficile……..) Tenete un diario di ogni azione mobbizante contenente: data, ora, luogo, autore, descrizione, persone presenti, testimoni Tenete un resoconto delle conseguenze psico-fisiche sul vostro organismo delle azioni mobbizzanti (il mobbing fa ammalare: i sintomi di questa malattia possono essere psichici (ansia, depressione, attacchi di panico, etc.), fisici (insonnia, emicrania, cefalea, dolori muscolari, precordialgie, palpitazioni cardiache, acidità gastrica, tremori, mancanza d’appetito, appetito eccessivo, diminuzione della potenza e del desiderio sessuale, etc.) e del comportamento (perdita dell’autostima, mancanza di fiducia in se stessi, senso di inutilità, etc). Questo vi faciliterà nel documentare il danno biologico che il mobbing ha determinato su di voi, al fine della richiesta di risarcimento dei danni psico-fisici (lesioni personali). Mettete in forma scritta e fate protocollare o spedite per raccomandata A.R. ogni vostra richiesta: trasformate qualsiasi ordine verbale ricevuto, in interrogazione scritta (“a voce mi è stato detto di fare questo, chiedo conferma scritta”). Molto spesso non riceverete risposta: ciò sarà la prova di una tra le azioni mobbizzanti. 7. Cercate degli alleati: E’ questa la cosa più difficile: non sempre i colleghi sono dei “cuor di leone”. Spesso si ritirano in disparte per evitare che il mobbing messo in atto nei vostri confronti possa estendersi anche ad essi. Oppure, nel mobbing trasversale, sono essi stessi i vostri mobbers. Non vi isolate: coltivate le vostre relazioni sociali, frequentate gli amici, rinsaldate i rapporti familiari spesso impoveriti dal punto di vista affettivo e sessuale. Spiegate ai vostri familiari cos’è il mobbing e quello che state subendo. Non vergognatevi della vostra situazione, parlate con le persone che vi sono vicine per acquistare consapevolezza della vostra situazione, per rafforzare l’autostima ma non passate all’estremo opposto. Parlare incessantemente del vostro problema, focalizzare l’attenzione unicamente sul vostro dramma, può stancare amici e familiari e quindi potreste trovarvi ancora più soli. Il vostro matrimonio, la vostra famiglia, le vostre amicizie potrebbero andare in crisi. Si realizzerebbe così il fenomeno del “doppio mobbing” per il quale le persone coinvolte in Italia dal mobbing, assommano a 5 milioni. 8. Denunciate il mobbing: E’ questa una attività da attuare con ponderata attenzione: evitate che le denuncie possano esporvi a ritorsioni (possibili querele per diffamazione). Scrivete la storia del vostro mobbing. Siate il più concisi possibile. Prima di divulgarla riponetela in un cassetto e rileggetela dopo almeno una settimana: eliminate le parti superflue e conservate solo quelle importanti. La precisione nei particolari fa diventare pesante la vostra storia: dovete colpire l'attenzione di chi vi legge. Rivolgetevi ai giornali, televisioni private, radio locali, sindacati, associazioni di categoria. Denunciate fatti reali e documentati. Scrivete dei tazebao da affiggere nei luoghi consentiti. Divulgate all’interno dell’azienda le vostra situazione: il racconto della vostra storia potrebbe far sorgere tra gli altri dipendenti un movimento di opinione a vostro favore. Ricordate che la pubblicizzazione della vostra denuncia può essere incompatibile con la segretezza degli atti d’ufficio. Chiedete copia della documentazione esistente negli atti d'ufficio e nel vostro fascicolo personale: è un vostro diritto (legge 241/90 sulla trasparenza amministrativa e legge 675/96 cosiddetta sulla "privacy") l'accesso agli atti d'ufficio che vi riguardano e al vostro fascicolo personale per poter ottenere copia di tutti i documenti che vi interessano. 9. Iscrivetevi ad una associazione contro il mobbing: Rivolgetevi unicamente a quelle che sono apolitiche, asindacali, aconfessionali, che non hanno scopo di lucro. 10.Ricorrete alle vie legali: In questo caso non siate impazienti: Nella scelta tra procedimento penale e/o civile, (causa di lavoro, risarcimento del danno biologico), preferite dapprima il procedimento civile (causa di lavoro, risarcimento per lesioni personali). La durata di una causa di lavoro è lunga: anche in caso di vittoria in primo grado, aspettatevi un ricorso in appello da parte dell’azienda: calcolate da un minimo di quattro anni fino ad otto – dieci anni. Rivolgetevi ad un buon avvocato cha abbia già trattato cause di mobbing, che sicuramente non abbia legami con la vostra azienda. Chiarite subito gli obiettivi che intendete raggiungere (danno biologico, demansionamento, reintegra nel posto di lavoro, patteggiamento, risarcimento dei danni, etc.) e le strade da percorrere. Coinvolgete il minor numero di persone: possibilmente solo la vostra azienda. In questo modo il vostro avvocato non si troverà a dover lottare contro eserciti di avvocati di controparte che si coalizzeranno contro di voi. Successivamente potrete procedere anche contro gli autori materiali del vostro mobbing: ad esempio, in caso di pubblici dipendenti, sarà possibile documentare il danno all'erario determinato dai vostri mobbers. Dott. Pasquale Salvatore Consigliere del Direttivo Nazionale MIMA E' possibile utilizzare quanto sopra, siete solo pregati di citarne la fonte.