Archeologici Lipari disvela i suoi tesori archeologici. Cronaca di un recente scavo in c.da Diana, nel cuore del paese Michele BENFARI Maria Clara MARTINELLI Fig. 2 - Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier nel 1992 Lo scavo archeologico oltre ad essere la principale chiave di lettura per un passato remoto, è un atto di distruzione! Esso scopre e asporta, in modo irreversibile, i resti di antiche vite umane che rappresentano la nostra storia. Per questo l’archeologo ha un compito di grande responsabilità che è quello di registrare e documentare ogni momento dello scavo per mostrare alla comunità moderna e agli studio- si quello che accadeva in quei luoghi molti secoli prima. Ha, cioè, il dovere morale e scientifico di scrivere, disegnare e fotografare tutto ciò che emerge dalla terra senza esimersi dall’impegno di spiegare e di porsi i numerosi quesiti che aiutano ad una interpretazione scientifica dei fatti accaduti. La terra su cui ci spostiamo si muove, si accumula, scivola trascinata dalle acque, si deposita trasportata dal vento; le strutture in pietra o in mattoni abbandonate dall’uomo, si sgretolano, crollano i muri, si consumano i legni, le tracce di antiche vite vengono cancellate dalla vista. Ciò che rimane, giace sottoterra, protetto per millenni. I fatti sono i reperti, gli strati, ogni piccola traccia lasciata dall’uomo e dalla natura. L’accanimento dell’uomo moderno verso un uso invasivo del territorio, se da un lato provoca l’incremento di scoperte archeologiche, ovvero di antichi siti, villaggi, città, cimiteri, e così via, dall’altro ne occulta e distrugge altri. Succede anche a Lipari, un isola del basso Tirreno, già testimone di importanti ritrovamenti fin dal 1950. Luogo incontaminato fino agli anni ‘70, quando incomincia ad espandersi il volume dell’urbanizzazione e quando i terreni della piana di contrada Diana (fig. 1), percorsi da stretti sentie- ri costeggiati da muri e fiancheggiati da coltivazioni a vigneto, iniziarono ad essere destinati all’edilizia moderna. Questa è storia che vede protagonisti due archeologi, Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier (fig. 2) che con il loro instancabile lavoro portano alla luce un patrimonio culturale di immenso valore e, soprattutto, fondano il Museo Archeologico, contenitore privilegiato dei numerosi manufatti 1 Fig. 1 - Veduta della contrada Diana a Lipari negli anni 1930-40 Fig. 3 - La rocca con la cinta muraria spagnola vista dall’alto Archeologici Fig. 4 - La cinta muraria di età greca (IV secolo a.C.) venuti alla luce insieme al racconto minuzioso della storia dei ritrovamenti. Dieci metri di stratigrafia sull’acropoli di Lipari, in cui si succedono fasi culturali dal Neolitico al Rinascimento, sono testimonianza della storia dell’arcipelago Eoliano. Il Museo ha sede sulla rocca di Lipari, l’antica acropoli, oggi cinta dalle mura di età spagnola. Lipari fu abitata fin dal Neolitico alla fine del V millennio a.C., quando un gruppo di uomini provenienti dalla Sicilia si stanziarono nel fertile altopiano di Quattropani, al centro dell’isola. Fig. 6 - L’area dello scavo 2012-2013 La motivazione che li spinse a navigare su semplici canoe verso questa terra circondata dal mare, era la presenza di ossidiana, una roccia vulcanica, nera, vetrosa che veniva impiegata per fabbricare strumenti di lavo- 2 ro e che divenne un’importante materia prima da scambiare con altri materiali, come la selce e l’argilla. Da questo primo momento in cui si svilupparono le più antiche forme di commercio, le isole Eolie, diventarono punto strategico nel mar Mediterraneo per il controllo delle rotte marittime che solcavano il basso Tirreno. L’arrivo dei Greci nel 580 a.C. trasformò l’insediamento protostorico fatto di villaggi su fertili pianure o posti su alture difese naturalmente. All’inizio lo stanziamento greco doveva essere sulla rocca, ma ben presto la città si estese alle sue pendici verso la piana di contrada Diana. La rocca, divenne l’Acropoli della città (fig. 3), ovvero la sua parte più alta cinta di mura, al cui interno erano case, templi e l’agorà. L’ampliamento della città determinò la costruzione di mura difensive (fig. 4). La necropoli è giunta quasi intatta fino a noi e costituisce una preziosa documentazione per la storia culturale ed economica della città nei diversi momenti di evoluzione, dall’età greca all’età tardo romana. Furono condotti solo alcuni scavi, i primi fino al 1864 da parte del barone Enrico Piraino di Mandralisca, di Cefalù, poi nel 1879 da Giuseppe Scolarici per conto di James Stevenson, una famiglia scozzese che esercitava l’industria dell’allume e dello zolfo nell’isola di Vulcano, infine la visita fatta dal noto archeologo Paolo Orsi nel 1928. Dal 1948 al 1995 gli scavi archeologici sistematici nella necropoli hanno portato alla luce, fino ad oggi, quasi 3000 tombe, dotate nella maggior parte di ricchi corredi funerari (vasi di forme diverse, oggetti personali, statuette, maschere, gioielli) posti prevalentemente all'esterno della sepoltura (fig. 5), nell'angolo Sud-Ovest, all'interno di altri vasi o avvolti in un involucro di argilla cruda. Ma la necropoli fu impiantata in un’area che era stata sede di più antichi insediamenti, estesi villaggi, uno neolitico e l’altro della prima età del Fig. 5 - Corredo funerario di IV-III sec. a.C. Archeologici Fig. 7 - Tombe a cappuccina Bronzo insieme ad una necro- si conservano livelli archeologipoli ad incinerazione dello stes- ci perfettamente integri in cui affiorano le strutture tombali del so periodo. tipo “a cappuccina” e i sarcofagi Le indagini archeologiche lapidei (fig. 7). La storia di queste tombe è complessa perché 2012-2013 man mano che ne venivano La forza dei depositi archeologici della contrada Diana (fig. 6), è deposte di nuove in periodi ben nota, ma questo non impe- diversi, quelle precedenti e più disce di continuare a progettare antiche venivano intercettate e nuove edificazioni in quei rari distrutte. Il terreno archeologico terreni liberi, piccoli giardini di è ricco di manufatti frammentari limoni e aranci, sopravvissuti residuo di quelle sepolture. agli interventi edilizi recenti. E Stessa sorte per le strutture preiallora, pur prevedibile e annun- storiche che sono state distrutte ciato, il privato proprietario del e reimpiegati i materiali lapidei fazzoletto di terra, si stupisce che le componevano. E’ normadavanti allo scavo archeologico. le trovare tombe a cappuccina Accade questo in circa 400 mq di IV- III sec. a.C. inserite nel dove emergono antiche dimore muro di una capanna del II milsepolcrali di età greca e romana lennio a.C. così come è normale e strutture pertinenti ad un vil- trovare strumenti in ossidiana di età neolitica insieme ai resti laggio preistorico. ossei di una sepoltura greca o Al di sotto di uno strato nero superficiale e pertanto maggior- romana. mente esposto a manomissioni, Sia in età greca che in epoca romana la necropoli presenta un rito misto: nel primo caso il massimo numero delle tombe è a inumazione e un numero minore è a cremazione, mentre in età romana la proporzione appare rovesciata. Tra i molti elementi di rilevante interesse, emerge la ricchezza dei corredi funerari del IV sec. a.C., con importanti crateri a figure rosse di produzione siceliota o italiota, le significative produzioni vascolari locali assegnate alle botteghe artigianali del pittore di Cefalù e del pittore di Lipari, ed il numero molto elevato di maschere teatrali (IV - III sec. a.C.), che rappresentano il più cospicuo complesso di questo tipo finora noto nel mondo greco. La presenza di terrecotte teatrali nelle tombe o come offerta ai defunti è comune nel mondo greco del IV secolo a.C. e poi di quello ellenistico di III sec. a.C., in rapporto con la complessa personalità di Dioniso, dio del vino, del teatro e dell’aldilà, che offre a chiunque venga iniziato ai suoi misteri, le beatitudini dell’oltretomba. Sulle ceramiche dipinte a figure rosse, prodotto di moda in Magna Grecia nel IV sec. a.C., ricorrono scene dionisiache che rispecchiano nei soggetti rappresentati i diversi aspetti della personalità di Dioniso: il thiasos dionisiaco, scene teatrali spesso 3 Fig. 8 - Diverse tipologie di sepolture Archeologici Fig. 9 - Cratere a calice con la raffigurazione di Afrodite Fig. 10 - Sepoltura ad incinerazione nel cratere mitologiche della tragedia o satiresche della commedia, e infine del banchetto. La presenza nelle sepolture di Lipari delle maschere insieme ai crateri figurati con scene dionisiache, attesta la intima connessione fra il culto dei defunti e quello di Dioniso, in anticipo cronologico rispetto a tutti gli altri centri della Magna Grecia e della Sicilia, dove non compaiono modellini di maschere prima dell’età della commedia nuova (prima metà del III secolo a.C.). La maschera teatrale sopravvive al declino delle raffigurazioni dionisiache 4 sulla ceramica a figure rosse. Infatti già alla fine del IV secolo, compaiono nuove scene figurate con un simbolismo diverso, questa volta connesso con il mondo di Afrodite e centrato intorno all’idea delle nozze. Si accompagna un nuovo repertorio di vasi propri della cerimonia nuziale, come la lekàne contenente le offerte alla sposa e il lebes gamikós per il bagno nuziale. Questo nuovo repertorio si afferma durante il III secolo a.C., nella produzione di maestri ceramografi locali fra cui il Pittore di Cefalù, il Pittore delle tre Nikai e il Pittore di Lipari con i suoi allievi. Le tombe di questo periodo sono a sarcofago costruito con mattoni o con lastre litiche, le più povere sono del tipo a cappuccina o a sarcofago fatto con le tegole. Tutte hanno un corredo esterno sistemato entro un involucro di argilla cruda, composto da un gruppo di vasi a vernice nera standardizzati (una olpe, tre o quattro piattini, una kylix, una lucerna). Ma, solo in alcune di queste tombe in sarcofago si trova, deposto all’interno della cassa litica, un ricco corredo costituito da vasi dipinti di questi ceramografi locali. L’ipotesi è che queste tombe siano riservate ad una eletta minoranza che veniva iniziata ai culti dionisiaci. Soprattutto donne e poi anche uomini, facevano parte di questi gruppi religiosi, che furono atrocemente perseguitati durante l’età romana. A loro quindi, erano dedicati due corredi, uno esterno ed uno interno al sarcofago, posati come elemento distintivo nella ritualità della sepoltura. Solo dopo aver fatto questa introduzione è possibile, in modo preliminare, descrivere alcuni dei ritrovamenti effettuati in questo nuovo settore di scavo che è stato chiamato “trincea L”, numerazione data per seguire quella stabilita dagli scavi Bernabò Brea e Cavalier. I rinvenimenti si sono dimostrati subito imponenti, addensati fra loro. Le tombe orientate in Fig. 11 - Corredo esterno della sepoltura ad incinerazione entro cratere Archeologici Fig. 12 - Unguentari di vetro del corredo interno alla tomba in muratura (I sec- a-C.-II sec. d.C.) senso N-S, sono di diverse tipologie che corrispondono a diverse fasi temporali, livelli sociali, riti, mode artigianali. Avendo usato nel tempo lo stesso luogo appaiono disposte in disordine, senza una chiara sequenza stratigrafica, tanto che possono trovarsi sullo stesso piano sepolture cronologicamente distanti tra loro (fig. 8). Fig. 14 - Aulòs rinvenuto in una tomba in muratura tardoromana Solo un attenta lettura permette di individuare i corredi corrispondenti, pertanto l’elaborazione della pianta generale e la sua trascrizione in programmi vettoriali è fondamentale allo studio. Risaltano fra le tante, quelle a cremazione di V-IV secolo a.C., composte da un cratere figurato contenenti le ceneri del defunto e da un olla acroma in cui era protetto il corredo. Una di queste mostrava uno splendido cratere a calice a figure rosse di fabbrica campana o apula, che ha suscitato particolare interesse perché si distingue per l’ iconografia delle figure e il pregio della manifattura. Su un lato del cratere si osserva la nascita di Afrodite dalla conchiglia (fig. 9), resa con sovra dipinture bianche e dorate che appare rappresentata in uno stile eccessivo quasi barocco, dando rilievo al viso bianco della dea che domina il disegno. L’iconografia greca che viene accolta sulle ceramiche a figure rosse prodotte in Italia meridionale (Magna Grecia), sceglie la conchiglia, un chiaro simbolo sessuale femminile, per evocare le acque da cui sorge, oppure le foglie spinose di acanto, come sembrerebbero evocate nel disegno del cratere appena rinvenuto (fig. 10). L’iconografia di questo cratere, è unica nel patrimonio eoliano, in quanto principale testimone di un cambiamento delle espressioni della religione dionisiaca che si manifesta alla fine del IV secolo a.C., quando le rappresentazioni simboliche sono rivolte alla dea Afrodite e soprattutto all’intima espressione dell’idea delle nozze. porale, ricordi di una vita passata. Sono i casi di due tombe romane di I a.C./ II d.C. del tipo in muratura in cui il corredo della prima presentava uno scrigno chiuso con la chiave ancora inserita nella serratura di bronzo. Lo scrigno (fig.12), che doveva essere in legno, conte- Il corredo di questa sepoltura ad incinerazione era contenuto entro una pentola posta accanto al cratere e consiste in due maschere teatrali della commedia di mezzo, una kylix, due piattini a vernice nera ed una lucerna acroma. All’esterno fra il cratere e la pentola, era stata appoggiata anche una lekane acroma (fig. 11). Ci sono alcuni corredi che colpiscono l’immagine perché riescono a trasferire in una corsa tem- 5 Fig. 13 - Anello in oro con pietra incastonata Archeologici Fig. 15 - Resti di strutture dell’età del Bronzo antico Fig. 16 - Copertura della villa romana di Patti (ME) neva nove unguentari di vetro a collo distinto e corpo conico, per essenze e balsami profumati, ed inoltre vicino ai resti dell’inumato, era un piccolo anello d’oro con pietra dura incastonata (fig. 13). Nell’altro caso invece, un giovane uomo tardo romano, aveva portato con se nel momento del trapasso, un aulòs (doppio flauto) di bronzo con intarsi di osso, segnale attivo di partecipazione ai culti dionisiaci e spesso suonato dai satiri come si legge sulle raffigurazioni di età greca. Questo è l’unico strumento musicale trovato nella necropoli di Lipari (fig. 14). La datazione è determinata sia dal tipo di sarcofago a mattoni e sia dalla presenza sempre nel corredo, di una lucerna fittile con la lotta fra gladiatori a rilievo. A conclusione di questo complesso e purtroppo breve reso- 6 conto, si conserva eccezionalmente una parte del villaggio a capanne che si estendeva nella pianura di c.da Diana durante la prima fase della cultura di Capo Graziano risalente a 4000 anni fa, all’inizio dell’età del Bronzo (fig. 15). Il villaggio è contemporaneo ad un altro imponente insediamento trovato a Filicudi sulla piana di Filo Braccio, entrambi noti, ma indagati solo per piccoli lembi. Le ricerche recenti avviate nel 2009 a Filicudi ed oggi in questa nuova trincea di scavo a Lipari, permettono di approfondire la conoscenza di questa fase culturale, Capo Graziano I, ancora oscura. Lo studio delle strutture abitative e di lavoro, del vasellame in uso, dei manufatti litici, dei resti carboniosi di vegetali, permetterà di migliorare la nostra conoscenza di un momento storico in cui Luigi Bernabò Brea vedeva un legame con il mito degli Eoli, espressione dei grandi viaggi intrapresi per la ricerca di miniere di rame e di stagno. Nelle isole Eolie segna l’arrivo di genti estranee alle culture locali siciliane, che intorno al 2200 a.C. si stanziano a Lipari e Filicudi con due grandi villaggi costieri e che dopo il 1800 a.C. si spostano su alture, probabilmente per necessità di difesa. Sorgeranno così i grandi villaggi sull’Acropoli di Lipari, sul Capo Graziano a Filicudi, a San Vincenzo nell’isola di Stromboli e a Punta Megna a Salina. E’ proprio attraverso le genti di Capo Graziano che si affacciano popoli che recano i segni della propria insularità, infatti non a caso, mostrano importanti affinità con la cultura di Tarxien Cemetery nell’isola di Malta. Appunti sulla conservazione In un brevissimo saggio del 1962, Roberto Pane denunciava la consuetudine, in quegli anni assai frequente, di distruggere con disinvoltura la storia dell’arte, dell’archeologia, dell’architettura. A cinquant’anni di distanza nulla è cambiato e Roberto Pane sarebbe ancora più caustico se potesse giudicare non solo l’operato degli speculatori ma anche quello degli autori delle Archeologici Fig. 17 - Abside e struttura a cassettoni sulla villa romana di Piazza Armerina (EN) Bibliografia BELLAMy PoSTIGLIoNE M., MARTINELLI M. C., BENFARI M. 2012, Contaminazioni, dall’età del Bronzo alle collezioni artistiche eoliane moderne e contemporanee, Catalogo della mostra, Museo Archeologico regionale Luigi Bernabò Brea, 14 aprile 2012 . Chiesa di Santa Caterina, Lipari. BERNABò BREA L. 1985, Gli Eoli e l’inizio dell’età dei metalli del Bronzo nelle isole Eolie nell’Italia meridionale, Napoli. BERNABò BREA L., CAVALIER M. 1960, Scavi nella necropoli greca di Lipari, Meligunis Lipara V, Palermo. BERNABò BREA L., CAVALIER M. 1965, La necropoli greca e romana nella contrada Diana, Meligunis Lipara II, Palermo. BERNABò BREA L., CAVALIER M. 1981, Menandro e il teatro greco nelle terrecotte liparesi, Genova. BERNABò BREA L., CAVALIER M. 1991, Filicudi: insediamenti dell’età del bronzo, Meligunìs Lipára VI, Palermo. BERNABò BREA L., CAVALIER M., VILLARD F. 1994, Lipari, contrada Diana. Scavo diventato il leitmotiv di molti progettisti che non comprendono il significato della “sacralità” della storia disvelata. Si impacchettano ruderi e delicati impianti musivi, perimetrando lo scavo stratigrafico con “diavolerie” in qualunque materiale contemporaneo, tralasciando tranquillamente la fase intermedia della conservazione del bene. In questo consiste, per presunte valorizzazioni, che alcuni, la valorizzazione del spesso, fraintendendo le esigen- patrimonio archeologico. ze di tutela e conservazione della storia umana, attribuisco- Di fatto già una sola copertura a no ad essi esclusivamente valore protezione di uno scavo ne economico e turistico annullan- distrugge parzialmente la done il valore della memoria, memoria, poiché crea, generald’arte e di storia. Né quest’infau- mente, inevitabili cesure tra l’ogsta pratica risparmia i musei che getto che si vuol proteggere e il spesso sono stati (e continuano suo contesto contermine. Val la ad essere) oggetto di trasforma- pena ricordare, solo per citare zioni, abbellimenti, riplasmazio- tre casi recenti, la realizzazione ni funzionali che finiscono col di una gigantesca copertura in privarli della loro funzione pri- acciaio e policarbonato (circa maria di luoghi “sacri” della 3000 mq di superficie) sui delimemoria, emarginando ciò che cati scavi della villa romana di sostanzia l’istituzione museale Patti (Me) (fig. 16) i cui pilastri, (cioè gli oggetti ivi contenuti) per motivi strutturali, vengono per far spazio a chiassose pro- incuneati nelle esili compagini poste progettuali di architetti di murarie del IV sec. d.C., oppure, grido, sponsorizzati spesso da come nel caso della villa del fazioni politiche interessate sol- Casale a Piazza Armerina (En) tanto a immediati riscontri di (fig. 17), dove si assiste (increimmagine in termini di consen- duli !) alla riproposizione di una so politico. copertura absidata e un cassetDi questi ultimi tempi, poi, il disegnare sistemi di protezione sulle aree archeologiche, è tonato ligneo che non aggiunge nulla al complesso, anzi distoglie l’attenzione dai mosaici e dagli autentici elementi architettonici ancora superstiti. In ultimo, il caso della copertura del teatro greco di Eraclea Minoa (Ag) (fig.18) costruito alla fine del V secolo a.C., reso illeggibile da un “ventaglio” in metacrilato che nasconde, nella presunzione di proteggere, ciò che resta della cavea di marna bianca. In tutti e tre i casi, un’inutile esibizione parossistica che ha soltanto l’ambizione di voler evocare l’ego di chi ha disegnato quelle “cose” che sono totalmente avulse dai contesti artistici e ambientali da cui sono stati generati. Nella realtà dell’arcipelago eoliano, oggi, si lavora affinchè non cambi nulla, non secondo l’assunto gattopardesco, ma per conservare al meglio la memoria illuminata e magistralmente conservata entro le mura della rocca e i depositi del Museo di Lipari. Fig. 18 - Copertura a ventaglio sulle vestigia del teatro greco di Eraclea Minoa (AG) 7 XXXVI in proprietà Zagami (1975-1984), Meligunis Lipara VII, Palermo. BERNABò BREA L., CAVALIER M. 2000, Scoperte e scavi archeologici nell’area urbana e suburbana di Lipari, Meligunis Lipara X, Palermo. BERNABò BREA L., CAVALIER M., VILLARD F. 2001, Gli scavi nella necropoli greca e romana di Lipari nell’area del terreno vescovile, Meligunis Lipara XI, Palermo. RoMEo E., MoREZZI E. 2012, Che almeno ne resti il ricordo. Riflessioni sulla conservazione del patrimonio architettonico e paesaggistico. ed Aracne, Roma. MARTINELLI M. C., FIoRENTINo G., PRoSDoCIMI B., D’oRoNZo C., LEVI S. T., MANGANo G., STELLATI A., WoLFF N., Nuove ricerche nell’insediamento sull’istmo di Filo Braccio a Filicudi. Nota preliminare sugli scavi 2009, origini, Roma 2010, pp. 285-314. MASTELLoNI M. A., SPIGo U. (a cura di) 1998, Agli albori della ricerca archeologica nelle Eolie, Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali e P.I., Messina. VALTIERI S., BENFARI M. 2011, La Rocca di Lipari. 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