art. 5 lett. a) l. 283 del 1962 [modalità compatibilità]

ART. 5, lett. a)
legge n. 283/1962
La genuinità alimentare
La tutela degli interessi commerciali
del consumatore
È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o
bevande, vendere, somministrare o distribuire per il
consumo, sostanze alimentari:
a) private anche in parte dei propri elementi
nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o trattate in modo da variarne la composizione naturale
sostanze private dei propri
elementi nutritivi
L’espressione utilizzata (“private”) <<si riferisce al fatto obiettivo
della mancanza degli elementi nutritivi, quale che ne possa
essere la causa>> (Cass. 8.11.1995, Ollino, FI, 1987, II, 167),
nel senso che non occorre una azione positiva e volontaria
dell’uomo rivolta a tale risultato.
Al contrario, una simile condotta manipolativa, farebbe
trascendere il fatto nella sfera dei più gravi delitti del
codice penale, ove ne derivasse pericolo per la salute
(sotto il profilo della adulterazione dell’alimento).
sostanze mescolate ad altre di
qualità inferiore
Si realizza quando l’alimento contiene nella
propria composizione degli ingredienti diversi
e più scadenti (in sé o per l’apprezzamento del
consumatore) rispetto a quelli indicati in
etichetta
Commette il reato di frode in commercio previsto dall'art. 516 cod.
pen. colui il quale pone in vendita salsiccia fresca di carne suina
che poi risulti contenere carne bovina. Tale condotta assorbe, se
caratterizzata dal dolo, quella contravvenzionale prevista dall'art. 5
della legge 30 aprile 1962 n. 283 e d'altro canto per sostanza
alimentare non genuina deve intendersi anche quella che non
contiene le sostanze o i quantitativi previsti (oppure contiene additivi
non consentiti) e, in mancanza di specifici cartelli indicatori, deve
ritenersi il confezionamento delle salsicce esclusivamente con carne
suina.
(Cass. 18.10.1995, Pittarello)
Il fatto che la carne bovina sia piu' costosa o pregiata di quella
suina e' circostanza del tutto irrilevante ai fini della sussistenza
della contravvenzione di cui all'art. 5 legge 30 aprile 1962, n.
283. Infatti, tale disposizione di legge vieta categoricamente il
trattamento di prodotti alimentari in modo da modificarne la
composizione la quale, nel caso degli insaccati, non solo trova
elementi di determinazione nella pratica commerciale secondo cui gli
insaccati di pura carne suina hanno maggior pregio rispetto a quelli
preparati con altre carni, o a composizione mista, ma e' altresi'
ben specificata da apposita disposizione di legge (art. 55, R.D. 20
dicembre 1928, n. 3298) che espressamente vieta nella
preparazione degli insaccati destinati al commercio di
"mescolare carni appartenenti a specie diverse di animali“
(Cass. 3.6.1992, Borelli)
La presentazione di salsicce fresche come composte da carne
bovino-suina ma, in effetti prive delle prima delle due componenti,
non integra la sussistenza del reato di cui all'art. 5 della legge
30 aprile 1962, n. 283, che vieta il trattamento di prodotti
alimentari in modo da modificarne la composizione: cio' in quanto
gli insaccati di pura carne di suino hanno maggior pregio rispetto
agli insaccati confezionati con altre carni o con mescolanza di
carni di qualita' inferiore, nonche' in conformita' a quanto
disposto dall'art. 55 R.D. n. 3298 del 1928 che vieta, nella
preparazione degli insaccati destinati al commercio, di mescolare
carni appartenenti a specie diverse di animali
(Cass. 4.5.2000, Carbone)
La GENUINITA’
<<La nozione di non genuinità della sostanza alimentare, si
distingue in naturale e formale: la prima attiene a quelle
sostanze alimentari che abbiano subito un'artificiosa
alterazione nella loro essenza e nella loro composizione
normale mediante commistione di sostanze estranee o
sottrazione di principi nutritivi caratteristici, mentre la seconda
concerne quelle che, dovendo contenere determinate sostanze
o ben precisati quantitativi di esse, non le contengano nella
misura richiesta>>
(Cass. 13.10.1994, Fiorito, GP, 1995, II, 469).
Per parte della dottrina (Pica) non può parlarsi di
alimento “non genuino” se questo non abbia subito
una artificiosa manipolazione.
Si contesta dunque la categoria della genuinità
“normativa o formale o legale”
<<ciò comporta sul piano logico che non basta la semplice difformità dalla
composizione tipicizzata a far sussistere la non-genuinità, ma l'interprete deve
ulteriormente accertare se tale difformità sia il frutto di un'azione umana
(altrimenti non può neppure parlarsi di «non genuinità»), ed in caso affermativo
se la manipolazione dell'uomo abbia semplicemente variato la composizione in
forma irrilevante,(anche aggiungendo additivi vari), o abbia effettivamente
falsificato l'alimento. La mera differenza delle percentuali di componenti
riscontrate in concreto rispetto a quella ticipicizzata è irrilevante ai sensi
dell’art. 516 c.p., se non comporta lo «snaturamento» del prodotto>> (PICA)
Il rinvio alla disciplina settoriale è contenuto nell’inciso
«salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali»
(C., Sez. VI, 3.2.1970, Russo, GP, 1970, II, 887, 1883).
Viene così confermato che ove la disposizione parla di
«composizione naturale» questa non può essere intesa in
senso strettamente letterale e naturalistico ma deve esserlo
in chiave normativa.
Qualora manchino disposizioni prescrittive sulla composizione
alimentare del prodotto la giurisprudenza richiama la
pratica commerciale come parametro di riferimento
(C., Sez. VI, 3.6.1992, Borelli, RP, 1993, 443) o alla
tradizione gastronomica (Correra)
CASISTICA
• la produzione per la vendita di provole affumicate con contenuto
di grassi inferiore al dovuto (C. 15.10.1985, Argiolas) anche se per
effetto dell'art. 53, l. 142/1992 la percentuale minima di materia grassa è prescritta
solo per i formaggi tipici o a denominazione d'origine
• messa in commercio di latte con presenza di antibiotici
(G.I.P. T Torino, 19.6.2000, Frola ined.)
• importazione di grano radioattivo oltre i limiti di ammissibilità
fissati dal reg. Euratom 3954/1987 (P Bari, 12.4.1989, Loizzo)
• presenza di OGM oltre i limiti ammessi
• trattamento degli animali da macello con sostanze vietate
Trattamento illecito di animali
La somministrazione di sostanze vietate agli animali destinati
al consumo umano o
l’utilizzo di sostanze ammesse ma per scopi non terapeutici
bensì di improprio incremento ponderale
determina una VARIAZIONE NELLA COMPOSIZIONE delle
carni e dunque la violazione dell’art. 5.
Ciò vale sia quando l’accertamento dei residui vietati avvenga
sulle carni sia quando ciò avvenga sugli animali in allevamento.
Per l’art. 1, d.lgs. 158/2006 costituisce
“ trattamento illecito”:
l’utilizzazione di sostanze o prodotti non
autorizzati, ovvero di sostanze o prodotti
autorizzati, a fini o a condizioni diversi da
quelli previsti dalle disposizioni vigenti
Ai sensi dell’art. 3, d.lgs. 158/2006 è vietata la somministrazione agli animali d’azienda – salvo che per scopi terapeutici
e assimilati – di:
• tireostatici
• stilbeni e derivati
• estradiolo 17-beta e derivati
• sostanze beta-agoniste
• sostanze ad azione estrogena, androgena o gestagena
Alcune di queste sostanze (come DES e estradiolo 17-beta
sono provatamente cancerogene)
Altre sostanze vietate: desametazone e isoniazide
Il trattamento sanzionatorio dell’utilizzo in zootecnia
di sostanze vietate si articola come segue:
• art. 5, lett. a), l. 283/1962
•art. 440 c.p. (per le sostanze pericolose per la salute)
• art. 515 c.p.
e inoltre nei segue illeciti amministrativi:
•art. 17/ 2 e 22/4, l. 281/1963 (mangimi) (già pen. ora ammin.:
art. 6 l. 4/2011)
• art. 32, d.lgs. 158/2006
• art. 108 , d.lgs. 193/2006 (farmaco veterinario)
Art. 22 l. 281/1963
• 1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque
vende, pone in vendita o mette altrimenti in
commercio o prepara per conto di terzi o,
comunque, per la distribuzione per il consumo
prodotti disciplinati dalla presente legge non
rispondenti alle prescrizioni stabilite, o
risultanti all'analisi non conformi alle
dichiarazioni, indicazioni e denominazioni, e'
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria
da 1.500 euro a 15.000 euro.
• Rapporti con art. 515 cp
Art. 22 l. 281/1963 (segue)
• 2. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque
vende, pone in vendita, mette altrimenti in
commercio o prepara per conto di terzi o,
comunque, per la distribuzione per il consumo
prodotti disciplinati dalla presente legge
contenenti sostanze di cui e'
vietato l'impiego, e' punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da 8.000 euro a 30.000
euro
• Rapporto con art. 515 c.p.
Art. 22 l. 281/1963 (segue)
• 3. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque
vende, pone in vendita o mette altrimenti in
commercio o prepara per conto di terzi o,
comunque, per la distribuzione per il consumo
sostanze vietate o prodotti, con dichiarazioni,
indicazioni e denominazioni tali da trarre in
inganno sulla composizione, specie e natura
della merce, e‘ punito con la sanzione amministrativa
pecuniaria da 20.000 euro a 66.000 euro.
• Rapporti con art. 515 c.p.
Art. 22 l. 281/1963 (segue)
• 4. Le sanzioni previste dai commi 2 e 3 si
applicano anche all'allevatore che detiene
e somministra i prodotti richiamati ai
medesimi commi».
• Non si fa più riferimento come in
precedenza alla somministrazione di
sostanze vietate di cui all’art. 17/2
Art. 23 l. 281/1963
• 1. In caso di reiterazione della violazione
delle disposizioni previste dall'articolo 22,
commi 2 e 3, l'autorita‘ competente dispone
la sospensione dell'attivita' per un periodo
da tre giorni a tre mesi.
Art. 8 bis l. 689/1981
• Salvo quanto previsto da speciali disposizioni
di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque
anni successivi alla commissione di una violazione
amministrativa, accertata con provvedimento
esecutivo, lo stesso soggetto commette un'altra
violazione della stessa indole.
Si ha reiterazione anche quando piu' violazioni
della stessa indole commesse nel quinquennio
sono accertate con unico provvedimento
esecutivo.
Art. 8 bis l. 689/1981(segue)
• 2. Se il fatto e' di particolare gravita' e da
esso e' derivato pericolo per la salute
umana, l'autorita' competente dispone la
chiusura definitiva dello stabilimento o
dell'esercizio. Il titolare dello stabilimento o
dell'esercizio non puo' ottenere una nuova
autorizzazione allo svolgimento della stessa
attivita' o di un'attivita' analoga per la durata
di cinque anni».
prevalenza dell’art. 5, l. 283/1962
sugli illeciti amministrativi
• art. 9/3 l. 689/1981 (deroga al principio di specialità)
• diversità degli interessi protetti (la normativa zootecnica ha funzione di
attuazione di direttive comunitarie senza interferire con gli aspetti penali) (contra Paone)
• diversità strutturale
L’illecito amministrativo viene integrato dalla
somministrazione in sé della sostanza, mentre l’art. 5, l.
283 richiede un quid pluris: la variazione nella
composizione dell’alimento, ossia la presenza di residui
Tale diversità nella struttura delle fattispecie a confronto
comporta che nel trattamento di animali da macello con
sostanze e/o con modalità vietate l’illecito penale (art. 5,
lett. a, l. 283/1962) e l’illecito amministrativo (art. 3, d.lgs.
158/2006) possono CONCORRERE
Dal momento che l’esistenza del reato dipende dall’accertamento dell’illecito non penale si è in presenza della connessione ex art. 24/1, l. 689/1981, che radica nel giudice penale
la competenza a decidere anche sull’illecito amministrativo
Contra Paone 1994:
<<nello stesso momento in cui si effettua la somministrazione delle sostanze
ad azione anabolizzante si verifica indefettibilmente una variazione della
struttura bio-chimica dell’animale (…). In altre parole, dunque, il trattamento
illecito è oggetto dell’accertamento giudiziale e non già la variazione della
composizione naturale dell’animale che è conseguenza normale e ordinaria
del medesimo trattamento. Ciò è tanto vero che, anche nel caso di mancato
ritrovamento di residui, l’avvenuta somministrazione potrebbe essere
provata, ad esempio, mediante testimonianze o chiamate in correità, cioè
con mezzi diversi dalle prove di laboratorio.
Per questo motivo, la scomparsa, nel tempo, dei residui dell’anabolizzante
utilizzato è un evento del tutto irrilevante per ritenere integrato il reato di cui
all’art. 5, lett. a), l. 283/62: infatti, al più vengono meno gli effetti del trattamento,
ovvero la variazione della composizione naturale dell’animale, ma non viene
certo meno un reato già consumato (…) a nulla rilevando, se non per i profili di
carattere probatorio, il fatto che la modificazione della composizione della
sostanza possa essere “temporanea”>>
Si può obiettare che
• la somministrazione di sostanza vietata è cosa
concettualmente e praticamente diversa dalla detenzione di animali o carni variati nella loro composizione
• così come non può scambiarsi la causa con l’effetto
• inoltre la somministrazione potrebbe non avere
in concreto determinato una modificazione metabolica tale da integrare il reato
<E' noto invece che, nel caso della sostanza ormonale in oggetto, il trascorrere del tempo può comportare la scomparsa dei
residui senza che, per ciò, sia scongiurato con sicurezza il
pericolo per i consumatori delle carni. Ciò ha giustificato e
giustifica l'applicazione di sanzioni amministrative al semplice
fatto della messa in vendita di animali o loro carni dopo l'illecita
somministrazione, indipendentemente dalla presenza di residui,
cioè dalla sicura, attuale modificazione della composizione
naturale della sostanza alimentare.
Ma ha pure giustificato in passato, e giustifica ora, l'applicazione
di sanzione penale, qualora la sostanza alimentare presenti
l'ulteriore requisito di essere, all'atto della detenzione per la
vendita (e della immissione sul mercato, della macellazione,
della vendita, della distribuzione per il consumo) modificata nella
sua naturale composizione a seguito degli illeciti trattamenti,
desumibile dalla presenza di residui>>
(Pret. Cuneo 5.3.1992, Perotto, DGA, 1993, II, 556).
bisogna, però, riconoscere che il d.lgs. 158/2006 (come
già il d.lgs. 336/1999) non punisce solo (amministrativamente) la somministrazione di sostanze vietate
ma anche la detenzione per la vendita di animali che contengono le sostanze vietate o nei quali stata constatata la
presenza di tale sostanza
Rapporti tra art. 5, l. 283/1962 e art. 108, d.lgs.
193/2006 (farmaco veterinario)
Anche qui si deve ammettere il concorso tra il
reato e l’illecito amministrativo
Quest’ultimo sanziona la somministrazione del
farmaco non autorizzato all’animale
che è cosa diversa dal rinvenimento di residui del
farmaco nell’animale o nelle sue carni