CARCIOFO SPINOSO d’ALBENGA Silvana Nicola, Emanuela Fontana, Jeanet Hoeberechts, Giuseppe Piovano, Daniela Saglietti, Gian Enrico Bassetti Introduzione Origine, diffusione ed importanza economica Caratteri botanici e biologici Piccolo glossario Esigenze ed adattamento ambientale La coltivazione Avvicendamento e lavori preparatori Propagazione Impianto Concimazione Controllo delle infestanti Irrigazione Interventi sulla pianta Avversità Raccolta e produzione Il post-raccolta Fisiologia post-raccolta e conservazione Caratteristiche qualitative e nutrizionali Commercializzazione del prodotto Bibliografia consultata 53 54 FOTO S. NICOLA INTRODUZIONE INTRODUZIONE Origine, diffusione e importanza economica Il carciofo è una specie originaria del bacino del Mediterraneo, dal quale si è diffusa nel resto del mondo con i flussi degli emigranti. Attualmente la superficie coltivata a carciofo nel mondo è stimata in circa 122mila ha con una produzione di circa 1,33 milioni di t, di cui la maggior parte distribuita in Europa (ca 85mila ha), seguita da Africa, America ed Asia con circa 12mila ha ciascuna. Il Paese maggior produttore di carciofo al mondo è l’Italia, con 49mila ha, che precede Spagna (ca 18mila ha) e Francia (ca 12mila ha). In Italia la produzione si concentra soprattutto nel sud e nelle isole (ca 45mila ha), mentre al centro ed al nord la coltura è presente per circa 2500 ha e 300 ha rispettivamente. Caratteri botanici e biologici Il carciofo (Cynara scolymus L.), dopo il pomodoro e la patata, è la coltura più diffusa in Italia; può essere annuale o poliennale in coltura specializzata. Richiede clima mite e può essere coltivato anche in bassa collina pur risentendo di un certo ritardo nella produzione dei capolini. È una pianta a rizoma sotterraneo; può raggiungere l’altezza di 1,20-1,30 m. Il fusto è eretto e termina in un capolino, di peso variabile da 150 ad oltre 400 g, costituito da un ricettacolo carnoso (parte edule) e da molte brattee di colore verde o violetto che possono anche terminare con una spina nelle cultivar spinose (fig. 1, 2). ● Fig. 1. Capolino di carciofo spinoso di Albenga (foto Nicola). ● Fig. 2. Infiorescenza di carciofo (foto Galbussera). Dopo la formazione del capolino principale, il fusto si ramifica in maniera dicotomica e produce, in sequenza, 6-7 capolini di 2° e 3° ordine che costituiscono il prodotto commerciabile per il mercato fresco (fig. 3). I capolini di più modeste dimensioni vengono destinati all’industria conserviera. Alla base del fusto, ogni 55 INTRODUZIONE anno si formano nuovi getti chiamati carducci o polloni che devono essere asportati in modo da lasciarne 1-2 per pianta (fig. 4). Oltre ad essere commestibili, i carducci possono essere utilizzati per la riproduzione di nuove carciofaie, per l’alimentazione animale oppure per la conservazione della fertilità del terreno, lasciati in campo come materiale organico. ● Fig. 3. Pianta di carciofo: sono evidenti il capolino principale e due capolini di secondo ordine (foto Nicola). ● Fig. 4. Carducci pronti per l’impianto (foto Zunino). Piccolo glossario Brattea o squama involucrale: il ricettacolo carnoso e le brattee interne sono la parte commestibile del carciofo. Capolino o calatide: è l’infiorescenza del carciofo, nel cui ricettacolo sono inseriti i fiori. Carducci o polloni: sono i germogli, capaci di radicare e dare origine a piante, che si formano dalle gemme presenti sulla parte sotterranea della ceppaia, in numero diverso a seconda della varietà e dell’età della pianta; vengono staccati con una porzione di radice. Ceppaia: è il fusto rizomatoso su cui si differenziano le gemme che daranno origine a germogli, detti carducci, ed ai capolini. Eterofillia: caratteristica del carciofo di avere sulla stessa pianta foglie di forma diversa. Ovoli: sono rami quiescenti che si formano sulla base del fusto interrato, muniti di gemma apicale e gemme laterali. Si staccano dalla pianta madre durante la fase di riposo estivo. Scarducciatura: eliminazione manuale dei carducci superflui. 56 INTRODUZIONE Esigenze e adattamento ambientale Il carciofo spinoso d’Albenga preferisce i terreni freschi, di medio impasto, ben drenati, profondi, ben dotati di sostanza organica, ma si adatta anche a terreni di diversa composizione granulometrica, con pH compreso tra 6,4 e 7,0. I terreni argillosi ritardano la maturazione dei capolini, mentre quelli sabbiosi e calcarei provocano invece una riduzione delle loro dimensioni. Le temperature ideali per questa coltura nel periodo invernale non devono essere eccessivamente basse e non devono verificarsi gelate e precipitazioni nevose. Le temperature ottimali per la pianta sembrano essere 12-14°C durante la notte e 20-22°C durante il giorno, con umidità relativa abbastanza elevata. Nel clima mediterraneo, a causa dell’alta temperatura e dell’assenza di pioggia, a maggio-giugno la parte aerea dissecca e le gemme situate sul rizoma vanno in riposo. Il limite biologico di vegetazione si aggira intorno a 8°C; la pianta resiste bene fino a 0°C, anche se i capolini riportano danni alla cuticola delle brattee; tra –4 e –8°C anche le foglie vengono danneggiate e oltre –10°C anche le gemme ipogee più superficiali subiscono danni (fig. 5). Temperature superiori a 25°C sono dannose a colture precoci in fase riproduttiva, dando origine ad una fisiopatia chiamata "atrofia del capolino", che provoca una necrosi delle cellule del calice a cui segue la cessazione dell’accrescimento delle brattee interne. Tale fisiopatia colpisce soprattutto i capolini principali rendendoli non commerciabili, con perdite talvolta superiori al 40% dell'intera produzione. Mediante una gestione razionale della coltura è possibile evitare il manifestarsi di questo problema, evitando di anticipare eccessivamente il risveglio della carciofaia e regolando le irrigazioni per non forzare, oltre certi limiti, i naturali cicli biologici della specie. ● Fig. 5. L’inverno del 2001 è stato particolarmente rigido: ecco come si presentavano le carciofaie gelate (foto Nicola). 57 LA COLTIVAZIONE LA COLTIVAZIONE Avvicendamento e lavori preparatori Il carciofo è una pianta poliennale, per cui può rimanere nello stesso appezzamento per diversi anni, fino ad un massimo di 3-4 anni, anche se la durata economica più conveniente è di 2-3 anni. Nell’Albenganese la carciofaia viene rinnovata annualmente nella maggior parte dei casi, ma può anche rimanere in sito, generalmente per non più di 2 anni. Il carciofo è una pianta che non sfrutta eccessivamente il terreno ed anzi lo lascia ben strutturato, in quanto è dotato di un apparato radicale molto sviluppato in lunghezza. Per questo motivo, nell’ambito della rotazione delle colture nell’azienda agricola, è utilizzabile per migliorare terreni troppo compattati o mal strutturati, che possono essersi originati per errori commessi nella gestione agronomica, oppure per contenere infestanti troppo invasive. È assolutamente sconsigliato fare seguire al carciofo specie appartenenti alla stessa famiglia botanica, quali cardo, lattuga e cicoria, mentre può precedere la coltivazione di ortive che sfruttano molto il terreno in quanto produce, nel corso degli anni di impianto, notevoli quantità di residui organici, utilizzabili per il compostaggio direttamente sul terreno e lasciando quindi una notevole fertilità residua. Nell’areale ingauno è uso lasciare il terreno scoperto tra la fine di un ciclo, in aprile-maggio, e l’inizio del successivo, in luglio, oppure impiantare un ciclo colturale di melanzana, pomodoro o zucchino per sfruttare il terreno nel periodo estivo. Propagazione La propagazione del carciofo spinoso può avvenire secondo diverse modalità, partendo da materiale sano proveniente da selezioni varietali locali, sia preparato in azienda sia in strutture vivaistiche specializzate. L’impianto viene effettuato tra l’inizio di luglio e la fine di agosto, a seconda che l’obiettivo del produttore sia di ottenere una produzione precoce, e quindi più remunerativa, ma a rischio di gelate, oppure una produzione tardiva, sicura ma meno redditizia. • Propagazione per carducci: all'epoca delle scarducciature si prelevano i carducci in soprannumero dalle piante madri e si trapiantano in pieno campo. I carducci scelti per il trapianto dovrebbero essere dotati di un sufficiente numero di radici e di 4-5 foglie, meglio se a lamina intera in quanto producono più precocemente di quelli che presentano foglie più o meno settate. Se la porzione di radice non è presente in quantità adeguata, l’attecchimento delle piantine non è regolare ed esse possono essere più facilmente attaccate da patogeni tellurici (Fusarium, Verticillium, Rhizoctonia, Sclerotinia) con conseguente moria. La scelta del materiale di propagazione è molto importante per le strategie aziendali, in quanto i carducci di piante precoci mantengono tale caratteristica, una volta trapiantati, per almeno 2-3 anni. 58 LA COLTIVAZIONE Con questo sistema di propagazione la coltura spesso non è uniforme a causa delle molte fallanze che, anche se rimpiazzate da altri successivi trapianti, provocano tuttavia una produzione scalare dei capolini a causa della diversa età delle piantine. • Propagazione per ovoli: occorre scegliere gli ovoli posti verso la base del rizoma in quanto si sono differenziati prima, per cui sono di maggiori dimensioni e danno origine a piante precoci e più produttive. Impianto Il carciofo ha radici profonde, per cui all'impianto si effettua un’aratura principale di 40-50 cm di profondità che, nello stesso tempo, provvede all’interramento del letame o di altri fertilizzanti organici (fig. 6). All’impianto si eseguono lavorazioni di affinamento del terreno con erpici rotativi o a maglie, che sono necessarie per una buona preparazione del terreno (fig. 7). La densità di impianto è mediamente di 1200 piante per 1000 m2. Il sesto di impianto è di circa 1,20 m tra le file e 0,7 m sulla fila. In genere, però, la distanza tra le file è funzione dei mezzi disponibili per le operazioni colturali. ● Fig. 6. Preparazione del terreno: posizionamento delle file (foto Zunino). ● Fig. 7. Rinnovo della carciofaia: impianto di carducci (foto Zunino). Concimazione Per la coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga si è stabilito un apporto complessivo di azoto, tra concimi minerali e sostanza organica di base, non superiore a 150 kg/ha, anche se è sempre opportuno effettuare analisi chimiche per verificare le potenzialità del terreno in termini di disponibilità di nutrienti. Altri fattori da tenere in considerazione per una corretta gestione della fertilizzazione sono il posto che il carciofo occupa nella rotazione, la cultivar prescelta e la sua produttività in relazione al tipo di terreno, alle tecniche di allevamento ed alla fertilità residua della coltura precedente. 59 LA COLTIVAZIONE Il carciofo ha un lungo ciclo colturale, e, oltre alla produzione dei capolini che può essere stimata mediamente intorno a 10-12 t/ha, produce una notevole quantità di massa verde (80-100 t/ha), in parte utilizzata per una migliore presentazione del prodotto sul mercato. La commercializzazione dei capolini con stelo lungo anche 30-40 cm e con 2-3 foglie causa l’asporto annuo da una carciofaia di almeno 15-20 t/ha di foglie e di steli che, invece, potrebbero reintegrare la quantità di materiale organico nel terreno. Con riferimento ai soli capolini e per produzioni dell'ordine di 12 t/ha, la coltura asporterebbe almeno 90 kg/ha di azoto (N), 30 kg/ha di fosforo (P2O5) e 120 di potassio (K2O). Controllo delle infestanti La carciofaia, a causa del lungo ciclo colturale, necessita di una attenta gestione della flora spontanea, anche se il naturale sviluppo delle piante di carciofo riesce a contrastare abbastanza bene la crescita delle infestanti. Per la coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga sono ammesse le tecniche di controllo delle infestanti a ridotto impatto ambientale, basate soprattutto sull’applicazione di corrette tecniche agronomiche, preferendo l’impiego di sistemi di lotta integrata e biologica. Gli interventi di controllo meccanico consistono nell’effettuare delle fresature se la distanza tra le file lo permette (fig. 8), mentre sulla fila si interviene in genere manualmente (scerbatura) o con l'aiuto di zappe, anche se, quando lo sviluppo delle piante raggiunge 50-60 cm circa di altezza e le foglie tendono a chiudere l'interfila, non è più possibile intervenire con mezzi meccanici. ● Fig. 8. Fresatura lungo le file della carciofaia per contenere l’invasione delle piante infestanti (foto Nicola). 60 LA COLTIVAZIONE Le infestanti più comuni nella coltivazione del carciofo spinoso d’Albenga sono riportate nella tabella seguente: Monocotiledoni Estate Autunno - Primavera Echinochloa crus-galli, giavone Avena fatua, avena selvatica Digitaria sanguinalis, sanguinella Cynodon dactylon, gramigna Setaria viridis, panico verde Dicotiledoni Portulaca oleracea, erba porcellana Fumaria officinalis, fumaria comune Amaranthus spp., amaranto Veronica persica, veronica Chenopodium spp., farinaccio Stellaria media, centocchio Le specie più difficili da combattere sono quelle che si propagano attraverso rizomi e bulbilli. Per questo motivo sono opportuni un’adeguata lavorazione del terreno al fine di portare in superficie gli organi riproduttivi ed un trattamento con pirodiserbo effettuati prima dell’impianto della carciofaia, che consentirebbero di ridurre notevolmente la loro presenza. Nel caso di infestazione notevole della coltura si può ricorrere all’impiego di diserbanti, in primo luogo quelli a ridotto impatto ambientale. Irrigazione Per stabilire volumi e turni irrigui occorre considerare alcuni parametri: le caratteristiche del terreno (tessitura, profondità, capacità di ritenzione o permeabilità, giacitura), la profondità dell'apparato radicale, l'andamento climatico dei periodi colturali e la stima dell'evapotraspirazione giornaliera. Un'adeguata preparazione del terreno prima dell'impianto e opportune lavorazioni durante il ciclo colturale consentono di utilizzare al meglio le risorse idriche naturali, quali l'acqua nel terreno e quella apportata dagli eventi meteorologici. La tecnica irrigua più in uso nell’areale ingauno è l’irrigazione per scorrimento, adottata nelle prime fasi della coltivazione, a cui segue l’irrigazione per aspersione, che prevede l'impiego di microerogatori a pioggia. Questa tecnica consente un risparmio ed una migliore distribuzione dell'acqua, una minore lisciviazione di nutrienti ed un minore sviluppo della flora spontanea. La distribuzione mirata dell’acqua consente di ridurre notevolmente le infezioni da patogeni fungini ed in particolare dall’oidio il quale si manifesta spesso, nel periodo estivo-autunnale, soprattutto in carciofaie a risveglio anticipato. Il fabbisogno idrico per il carciofo varia in relazione all'epoca d'impianto o di risveglio della carciofaia ed all'andamento della piovosità dell'annata. Il periodo estivo-autunnale e talvolta quello primaverile risultano ovviamente i più critici: le carenze idriche provocano produzione ritardata dei capolini e limitano alquanto la loro pezzatura e qualità. 61 LA COLTIVAZIONE Interventi sulla pianta Le normali operazioni colturali si limitano a sarchiature, rincalzature ed irrigazioni a seconda delle necessità della coltura. La scarducciatura delle piante permette di stimolare la massima precocità di produzione; essa, in genere, avviene in due diversi periodi. L'operazione consiste nell'eliminare manualmente, a strappo, i polloni superflui delle piante, lasciandone in allevamento uno o due, raramente tre, a seconda della fertilità del terreno. Un primo intervento di scarducciatura viene effettuato a settembre-ottobre ed un secondo in febbraio. I carducci asportati possono essere in parte utilizzati per l'impianto di nuove carciofaie o trapiantati in piantonaio, ma generalmente rimangono sul terreno a costituire sostanza organica o materiale pacciamante, in quanto tali operazioni implicano notevoli costi per la manodopera. La dicioccatura consiste nell'eliminare i residui delle piante a fine raccolta. Tale operazione, alcuni anni or sono, veniva effettuata con la zappa, recidendo, con un colpo secco, il fusto delle piante a livello del terreno o poco sotto. Il materiale può venire accumulato in mucchi e compostato. Attualmente si fa ricorso a mezzi meccanici che sfibrano e riducono in piccoli frammenti le piante secche, rendendole particolarmente adatte alla loro decomposizione. Tale tecnica deve però essere evitata a causa del rischio di diffusione di agenti di gravi malattie fungine come Fusarium, Verticillium, Sclerotinia e Rhizoctonia se questi erano presenti nella precedente coltivazione. Alla bruciatura dei residui, che causa la perdita di azoto, elemento indispensabile per l’accrescimento delle piante, è preferibile l’interramento, che viene effettuato con un’aratura interfila profonda 20-25 cm dopo l’irrigazione, quando sono evidenti le file della nuova vegetazione. Avversità Il carciofo è una pianta attaccata da diversi parassiti di origine animale e vegetale. Tipologia Crittogame Batteriosi Virus 62 Malattia oidio tracheomicosi o avvizzimento delle foglie marciumi del colletto rizottoniosi marciume dei capolini peronospora marciume radicale virus dell'avvizzimento della fava virus dell'avvizzimento maculato del pomodoro Agente Leveillula taurica f. sp. cynarae Verticillium dahliae Sclerotinia sclerotiorum Rhizoctonia solani Botrytis cinerea, Ascochyta spp. Bremia lactucae Erwinia carotovora var. carotovora BBWV TSWV LA COLTIVAZIONE Tipologia del danno Vettori di virus; sviluppo di fumaggini Asportazione di tessuti vegetali Lesioni a capolini e foglie Lesioni alle radici Fisiopatie Temperature <-8°C Temperature >25°C Parassiti animali afide nero della fava, afide verde-nerastro del carciofo, afidone della patata, afide verde del pesco, tripidi lepidotteri (nottue, depressaria del carciofo) molluschi roditori Tipologia del danno danni da freddo atrofia dei capolini L'asportazione e la distruzione (fuori dal campo) di piante infette con successiva disinfezione localizzata del terreno ed eventuali rotazioni delle colture sono i deterrenti più efficaci per evitare la trasmissione di alcuni patogeni, quali Fusarium, Verticillium, Sclerotinia e Rhizoctonia. La lotta contro topi e arvicole può essere efficacemente condotta impiegando piccole attrezzature funzionanti a pila, disposte nelle carciofaie a livello del terreno, le quali emettono alternativamente piccoli rumori o vibrazioni che tengono lontano i topi ed altri roditori (fig. 9). ● Fig. 9. Malformazione provocata da una puntura di insetto durante le fasi iniziali dello sviluppo del capolino (foto Nicola). 63 LA COLTIVAZIONE Raccolta e produzione La raccolta del carciofo spinoso d’Albenga viene effettuata a partire dall’inizio di novembre, rigorosamente a mano e di preferenza nelle ore più fresche della giornata, e si protrae in modo scalare fino alla fine di maggio per gli impianti tardivi (fig. 10). Il trasporto al bordo del campo avviene, in genere, con l’impiego di cesti che l'operaio porta in spalla. ● Fig. 10. Dopo la raccolta, occorre preparare le cassette per la vendita (foto Nicola). A differenza delle altre zone di produzione del carciofo, dove la raccolta viene quantificata in peso di capolini, nel ponente ligure la produzione del carciofo spinoso d’Albenga è tradizionalmente indicata dal numero di capolini prodotti. La produzione media è di circa 7 capolini per pianta, corrispondenti a 8400-9800 capolini per 1000 m2 a seconda del sesto di impianto. A seguito di un andamento stagionale favorevole alla coltura o di una sua particolare vigoria è possibile ottenere produzioni più elevate, che non influiscono negativamente sulla qualità del prodotto, ma che devono comunque rimanere entro i 10000 capolini per 1000 m2 di coltura. 64 LA COLTIVAZIONE · IL POST-RACCOLTA In base al Reg. CEE 963/98 relativo alle norme di commercializzazione di cavolfiore e carciofo un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, intero, sano, pulito, privo di odore o sapore estranei. Sono previste tre categorie di capolini: categoria Extra: capolini di qualità superiore, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Devono essere esenti da ogni difetto, ma sono ammesse lievissime lesioni superficiali dell’epidermide delle brattee. I fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione. 1ª categoria: capolini di buona qualità, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Sono ammessi leggeri difetti (lieve deformità, lievi alterazioni dovute al gelo, lievissime ammaccature); i fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione. 2ª categoria: capolini di qualità mercantile che non possono essere classificati nelle categorie superiori, con brattee un po’ aperte; si ammettono leggeri difetti (deformità, alterazioni dovute al gelo, lievi ammaccature, lievi macchie sulle brattee esterne, inizio di lignificazione dei vasi della parte inferiore). La calibrazione determinata dal diametro della sezione massima perpendicolare all'asse del capolino è obbligatoria per i capolini Extra e di 1ª categoria. La normativa fornisce anche indicazioni circa l’imballaggio e la presentazione del prodotto; in particolare ogni imballaggio deve contenere capolini della stessa varietà, qualità e calibrazione, con il peduncolo tagliato di netto e di lunghezza anche superiore a 10 cm (la disposizione per cui il peduncolo deve essere non superiore a 10 cm non si applica ai carciofi della varietà "Spinoso"). IL POST-RACCOLTA Fisiologia post-raccolta e conservazione Il prodotto raccolto deve essere avviato alla commercializzazione tal quale, non appena concluse le operazioni di cernita e di confezionamento. I carciofi spinosi in attesa di lavorazione devono essere bagnati con acqua fredda; non è ammesso l’impiego di sostanze di sintesi per la conservazione del prodotto o altri tipi di trattamento. A causa dell’intensa attività respiratoria è necessario sottoporre i capolini alla refrigerazione subito dopo la raccolta, per poter mantenere un’elevata qualità del prodotto durante la conservazione. La conservazione in cella frigorifera va effettuata a temperature di 2-4 °C ed umidità relativa del 90% per il prodotto appena raccolto in attesa di lavorazione e per il prodotto già lavorato per il tempo necessario alla spedizione. 65 IL POST-RACCOLTA Caratteristiche qualitative e nutrizionali del prodotto Un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, senza segni di appassimento; il capolino deve essere intero, diritto, con squame involucrali ben serrate, privo di ammaccature e altre lesioni. Il carciofo deve essere sano, pulito, privo di marciumi incipienti, di impurità e di odore o sapore estranei. Il gambo deve essere turgido ma non lignificato, lungo almeno 20 cm, con un taglio netto alla base, portante una o più foglie non appassite. Il carciofo è un ortaggio dal buon valore alimentare che si presta a numerose preparazioni culinarie. La composizione media di 100 g di parte edule allo stato fresco è riportato nella seguente tabella (dati Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, 2000). Composizione chimica e valore energetico per 100 g di parte edibile Parte edibile (%): Acqua (g): Proteine (g): Lipidi(g): Carboidrati disponibili (g): Amido (g): Zuccheri solubili (g): Fibra totale (g): Energia (kcal): Energia (kJ): Sodio (mg): Potassio (mg): Ferro (mg): Calcio (mg): Fosforo (mg): Magnesio (mg): Zinco (mg): Rame (mg): Tiamina (mg): Riboflavina (mg): Niacina (mg): Vitamina A retinolo eq. (µg): Vitamina C (mg): ● 34,00 91,30 2,70 0,20 2,50 0,50 1,90 5,50 22,00 92,00 133,00 376,00 1,00 86,00 67,00 45,00 0,95 0,24 0,06 0,10 0,50 18,00 12,00 (Fonte: INRAN) Il capolino è ricco di inulina, per cui è un alimento consigliabile per i diabetici. Il buon contenuto di fibre nelle brattee eduli è utile per favorire la peristalsi intestinale. Commercializzazione del prodotto Per il consumo fresco e sui mercati il carciofo spinoso viene di norma conferito in confezioni di 15-20 pezzi con gambo che talvolta supera i 30-40 cm e con almeno 1-3 foglie, sia perché anche il gambo può essere consumato essendo particolarmente tenero, sia perché la presenza di foglie e gambo evidenziano la freschezza del 66 IL POST-RACCOLTA ● Fig. 11. Cassetta di carciofi pronti per la commercializzazione (foto Nicola). prodotto (fig. 11). Tale sistema di raccolta, però, porta ad una perdita di materiale organico che dovrebbe invece reintegrare in parte la fertilità del terreno. I residui di foglie e steli, infatti, raggiungono in media 10 t/ha: essi vengono generalmente trinciati ed interrati per costituire sostanza organica. Il carciofo spinoso viene confezionato in imballaggi nuovi, che possono essere sacchetti o contenitori in plastica, legno, cartone o altri materiali idonei per il condizionamento di prodotti alimentari, contenenti un numero variabile di capolini. Il prodotto preparato nei contenitori deve essere omogeneo per dimensioni, lunghezza del gambo e calibro. Il carciofo spinoso d’Albenga è attualmente commercializzato a livello interno, soprattutto sui mercati di Genova, Milano e Torino. Quantità modeste di prodotto vengono esportate in alcuni Paesi del Nord-Europa, dove è molto apprezzato. 67 BIBLIOGRAFIA CONSULTATA Bibliografia consultata • Baldoni, R. e Giardini, L., 2001. Coltivazioni erbacee – Piante oleifere, da zucchero, da fibra, orticole e aromatiche. Patron Editore, Bologna. • Bianco, V.V., 1990. Carciofo. In: Bianco, V.V. e Pimpini, F. Orticoltura. Patron Editore, Bologna. • Consorzio COOPINTESA, C.C.I.A.A. Savona e Comitato promotore DOP IGP Albenga, 2002. Domanda di registrazione della Indicazione Geografica Protetta “Carciofo spinoso d’Albenga”. • www.fao.org • www.sinab.it/ortive/web871.htm • www.inran.it/documentazione/documentazione.htm 68 NOTE STORICHE E STATISTICHE CARCIOFO SPINOSO d’ALBENGA NOTE STORICHE E STATISTICHE FOTO M. GAROFALO Riccardo Galbussera 69 NOTE STORICHE E STATISTICHE L a coltura del carciofo è già nota, secondo la testimonianza di più autori, in tempi molto antichi: gli Egizi lo conoscono e ne fanno uso alimentare, gli Arabi coltivano già nel IV secolo a.C. la pianta detta karshuf (altri scrivono kharshaf), dal cui nome deriva l'attuale termine carciofo. Teofrasto, nel IV secolo a. C., ne testimonia la coltivazione; in epoca romana Lucio Giunio Moderato Columella, nel decimo libro della sua opera De Re Rustica, dedicato alla coltivazione degli orti, invita a piantare il carciofo, "dolce a Bacco che beve, ma ingrato a Febo che canta". Secondo lo stesso autore il carciofo trova giovamento dall'esser concimato con abbondante cenere: dal latino cinis, genitivo cineris, stando ad alcuni autori, deriva appunto il nome cynara della specie. Plinio ed altri scrittori latini indicano la pianta col nome di Cardus; secondo Targioni-Tozzetti gli antichi conoscevano solo il carciofo selvatico e lo stesso autore avanza l'ipotesi che il carciofo comune (Cynara scolymus) derivi dal selvatico (Cynara cardunculus) per variazioni ottenute in seguito ad accurate ed appropriate pratiche colturali (1). Da altre fonti storiche si apprende che il carciofo si diffonde in Italia e gode di particolare prestigio in epoca rinascimentale, come prelibatezza destinata alle mense dei ricchi raffinati intenditori, tra questi Caterina de' Medici, che pare li tenga in particolare considerazione. Filippo Strozzi ne introduce la coltivazione in Toscana nel 1466, importandone i semi dal Regno di Napoli, che a sua volta li aveva avuti dai Mori (2). Altri autori sono restii a riconoscere per il carciofo un debito della cucina europea verso gli Arabi, ritenendo si tratti di nuove varietà di piante già conosciute (3). Già nella seconda metà del Cinquecento Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V, nel suo libro intitolato Opera. Dell'arte del cucinare, cita spesso piatti di "Carciofani", crudi e cotti, sia nei servizi di cucina (piatti caldi), sia nei servizi di credenza (piatti freddi) (4). Il 22 aprile 1697 il principe Borghese offre, nella sua tenuta di Corraceto sulla via di Nettuno, un grandioso ricevimento a Papa Innocenzo XII. Con ottantadue botti di vino, dodici buoi, quaranta vitelle, cinquecento agnelli, duemila capponi, altrettanti lepri e quantità incredibili di altre derrate consumate nell'occasione, sono diligentemente annotati anche tremilaquattrocento carciofi (5). Al diffondersi della coltura contribuisce anche la considerazione che il carciofo riscuote all’epoca come pianta officinale, ad azione terapeutica epato-biliare. Ancora oggi il carciofo è classificato nella farmacopea ufficiale (estratto idroalcolico secco) come pianta officinale con proprietà amaricanti, aperitive, colagoghe, coleretiche, diuretiche, ipocolesterolemizzanti, ipolipimizzanti, blandamente lassative, dovute ai composti polifenolici ed ai flavonidi che contengono (soprattutto nelle foglie). Il medico e botanico senese Pier Andrea Mattioli, commentando, nella seconda metà del Cinquecento, i libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, scrive: "Sono nelle spetie de Cardi domestichi anchora i Carcioffi, chiamati Archiciocchi in Lombardia … Veggonsi oltre a ciò à tempi nostri i Carcioffi in Italia di diverse sorti. imperoche di spinosi, serrati, & aperti, & di non spinosi, ritondi, lunghi, aperti, & chiusi se ne ritrovano …" (6). 70 NOTE STORICHE E STATISTICHE Della coltura del carciofo in Liguria, nella provincia di Savona e nell'Albenganese, si hanno testimonianze storiche importanti. Il Prefetto conte Gilbert Chabrol de Volvic, inviato da Napoleone a Savona per organizzare il dipartimento di Montenotte, una delle tre circoscrizioni dell'ex repubblica di Genova, annessa alla Francia nel 1805, nelle sue ponderose "Statistiche", scrive che "I paesi costieri dei due circondari meridionali, e soprattutto i cantoni di Savona, Varazze, Finale, Pietra, Alassio … hanno una gran quantità di orti … sempre coperti di ortaggi e legumi … Ogni stagione ha i suoi prodotti; per la primavera si piantano varie qualità di insalate, piselli, fave, fagioli, carciofi, asparagi, cavoli cappucci, cipolle, aglio" (7). Nell'ultimo quarto del XIX secolo l'inchiesta agraria Jacini, elencando tra le piante alimentari coltivate, quelle specie delle quali si mangia la giovane inflorazione (sic), annota: "i carciofi ed i cavoli-fiore primaticci sono oggetto di esportazione, ma in quantità non considerevole. Fra i preferiti sono i carciofi di San Remo, Ripa Ligure, Albenga, Savona, Varazze, Pietra Ligure, del Chiavarese, di Spotorno, Arenzano, Prà, di dove se ne esportano vagoni interi" (8). Nella stessa relazione, poche pagine prima, è già stata evidenziata l'importanza economica che localmente, in allora, riveste la coltura del carciofo: "Borgio, presso Finale, comune di men che 400 anime, ha fatto a proprie spese la stazione ferroviaria, esclusivamente col prodotto delle pesche e dei carciofi". Più oltre, l'inchiesta Jacini, curata per la Liguria dal Commissario Agostino Bertani, Deputato al Parlamento, cita nuovamente la coltura del carciofo con una osservazione che merita di essere riportata integralmente: "La coltura speciale degli aranceti, agrumeti e delle ortaglie in genere, e soprattutto dei carciofi e dei pomodori non è stata senza alcuna influenza anche morale sulla classe dei coltivatori della terra in questa regione marittima, oltre all'avere contribuito di gran lunga a migliorarne le condizioni economiche. Difatti, il contatto quasi quotidiano con mercanti e speculatori venuti dal di fuori per acquisto dei generi prodotti da siffatte colture, la necessità di un più frequente muoversi ed allontanarsi dal natio paese per andare sui mercati anche vicini, dove pure vedono necessariamente e parlano con più persone in un giorno, che non a casa loro in un mese; il bisogno, per sostenere la concorrenza, di conoscere ed imparare l'arte; i modi efficaci per ottenere dal terreno il desiderato prodotto, nella quantità e qualità e colla sollecitudine voluta, hanno determinato in queste popolazioni rurali uno sviluppo notevole della loro coltura intellettuale, di tutte le manifestazioni del vivere sociale, anche in quella parte che non sarebbe forse desiderabile, talché sono infinitamente meno rozze e meno ignare delle forme del vivere civile che non in qualche altra parte d'Italia" (8). In tempi più recenti sono molte le citazioni relative alla coltura del carciofo in Liguria ed in particolare nella Riviera di ponente, particolarmente significative le seguenti. Gli atti del 1° Congresso internazionale di studi sul carciofo, curati dall'Università di Bari nel 1967, riportano, per la Liguria: "In questa regione nell'ultimo quinquennio il carciofo ha occupato, in media, una superficie di 814 ha con una produzione di 71 NOTE STORICHE E STATISTICHE 90.906 quintali, mostrando una sensibile tendenza a ridursi. Le zone tipiche di coltura si concentrano lungo i centri rivieraschi della provincia di Imperia e di Savona, … La varietà più coltivata è il «Violetto spinoso della Liguria» noto sotto nomi diversi (zuccherino di Genova, spinoso violetto grosso di Albenga) … ", elencando tra le principali zone di coltivazione del carciofo in Italia Albenga, Andora e Ceriale in provincia di Savona (9). Negli stessi atti sono citate prove di confronto tra 36 varietà di carciofo effettuate nel triennio 1964/1966 a Palese di Bari, dove il "carciofo spinoso di Albenga", portato in prova dall'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura di Savona, si colloca circa a metà della classifica per il peso medio dei capolini. Un altro testo riporta: "Il carciofo spinoso di Liguria è coltivato nella Riviera Ligure ed in particolare nel tratto fra Albenga e Imperia. Ha foglie lunghe, color verde scuro; capolino allungato, conico, verde, con sfumature violette, brattee spinose, …" (10). Nel 1965 Carlo Carocci Buzi, direttore dell'Istituto sperimentale per l'olivicoltura e l'oleificio di Imperia, pubblica un resoconto sulla coltura del carciofo, dove scrive: "In questa nota ci riferiamo, dunque, al carciofo spinoso, varietà «violetto», tenero, delicato, gustosissimo, di estesa coltivazione nella Riviera Ligure di Ponente e di largo consumo … fu nostra cura procurarci «gemme» bene sviluppate … della pregiata varietà di «carciofo spinoso violetto» estesamente coltivato nella pianura dell'Albenganese (Savona)" (11). Un altro autore ancora riporta: "Le cultivar (di carciofo) più note ed apprezzate sono: … Spinoso di Liguria, …" (12). In merito alla diffusione della coltura del carciofo nell'Albenganese notizie interessanti sono dovute al p.a. Carlo Rapa, memoria storica dell'agricoltura Ingauna, recentemente scomparso in tarda età, che, intervistato nel 1980, ha detto: […] un fenomeno di ridimensionamento colturale e di cambiamento nell'agricoltura di Albenga, si è verificato nel periodo della grande guerra. Fino a quel momento, la piana di Albenga comprendeva colture orticole di alto pregio, che richiedevano una presenza costante e prevalente della manodopera maschile … Con la guerra l'uomo viene a mancare … rimangono le donne, i vecchi ed i bambini e di conseguenza si trasforma abbastanza sensibilmente l'agricoltura. Si sceglie, fra tutte le colture orticole, quella che richiede un minor impiego di manodopera maschile: il carciofo. … In questo periodo il carciofo è arrivato a coprire anche il 50% del terreno di una azienda; …" (13). Il fascicolo provinciale di Savona del catasto agrario, che riporta superfici e produzioni medie rilevate negli anni 1923-29, citando anche il prof. Allegri, allora titolare della locale Cattedra ambulante di agricoltura, riporta: "Nella piana albenganese si producono a profusione le più squisite primizie orticole e gli ortaggi di grande coltura che alimentano i principali mercati dell'Italia settentrionale. … I principali ortaggi ottenuti in pien'aria sono il carciofo e l'asparago; seguono per importanza il cavolfiore, il cavolo, le insalate, il pisello, la patata; tutti in grande parte inviati ai mercati dell'Italia settentrionale" (14). 72 NOTE STORICHE E STATISTICHE Lo stesso catasto agrario indica per la provincia di Savona 158 ettari di carciofo in coltura integrante e 351,5 ettari in coltura ripetuta e, rispettivamente, 84,3 ed 81,3 quintali per ettaro la produzione unitaria (media 1923-1928). Complessivamente la produzione provinciale di carciofi somma mediamente, in quegli anni, 4.190 tonnellate. Nel solo comune di Albenga il catasto rileva 54 ettari in coltura integrante e 111,6 in coltura ripetuta, con una produzione complessiva di 1.325 tonnellate, indicativamente corrispondenti a circa sei milioni di carciofi, considerando un peso medio comprendente un lungo pezzo di gambo, secondo il sistema di raccolta tradizionale locale. Da una relazione che la Società Anonima Cooperativa l'Ortofrutticola di Albenga invia, il 6 marzo 1944, all'Unione Provinciale degli Agricoltori di Savona, si apprende che i carciofi sono considerati come coltura precoce, autunno-invernale, fino al 31 marzo, e come coltura normale, da aprile in poi. La coltura precoce, che rappresenta, in quegli anni, circa il 10 - 15 % del totale, è ritenuta di alto pregio, ma ad alto rischio perché "viene venduta in media una volta ogni tre anni a causa del gelo". La relazione ha lo scopo di contestare i prezzi ufficiali alla produzione imposti nel periodo di guerra, ritenuti inadeguati alle particolari realtà della piana di Albenga (15). Negli anni 1964 - 1965 la coltura del carciofo occupa in provincia di Savona solo più 299 ettari, con una resa media di 12,37 tonnellate per ettaro ed una produzione totale di 3.700 tonnellate (16). Tra il 1962 ed il 1967 il carciofo occupa in media, in Liguria, una superficie di 814 ettari, concentrati nelle zone tipiche della coltura lungo i centri rivieraschi della province di Savona ed Imperia, con una produzione di 9.090 tonnellate (9). Negli anni Sessanta la produzione regionale ligure di carciofi decresce costantemente, passando da 10.820 tonnellate nel 1961 a 6.400 tonnellate nel 1971 (17). Il Carciofo spinoso di Albenga, talvolta indicato come "violetto di Albenga" od anche "violetto spinoso di Albenga", è caratteristico per la consistenza delle foglie (brattee) interne, che sono eccezionalmente tenere, croccanti e dolci, adattissime ad essere apprezzate crude, intinte in olio extra vergine di oliva (18). 73 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Riferimenti bibliografici 1. Mazzeranghi A., 1981. La coltivazione del carciofo, Universale Edagricole. 2. Cattabiani A., 1998. Florario, Arnoldo Mondadori Editore. 3. Rosenberger B., 1999. La cucina araba e il suo apporto alla cucina europea, in Storia dell'alimentazione, Laterza Editore. 4. Bartolomeo Scappi, 1570. Opera. Dell'arte del cucinare. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1981. 5. Di Schino J. e Luccichenti F., 2001. Viaggio di Papa Innocentio XII da Roma a Nettuno l'anno 1697, Viviani Editore. 6. Pier Andrea Mattioli, 1557. I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1984. 7. Statistique des provinces de Savone, d'Oneille, d'Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l'ancien département de Montenotte par le compte de Chabrol de Volvic, conseiller d'Etat, préfet de la Seine, 1824. Traduzione di Assereto G., Comune di Savona, 1994. 8. Atti della Giunta per l'inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, 1883. Volume X. Ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, 1978. 9. Atti del 1° congresso internazionale di studi sul carciofo, 1967, Università di Bari. 10. Per una moderna agricoltura. Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, 1965, REDA. 11. Carocci Buzi C., 1965. Il carciofo coltivato in pien'aria, Istituto sperimentale per l'Olivicoltura e l'Oleificio di Sanremo. 12. Liuzzo A., 1970. L'Agricoltura per tutti, Sansoni. 13. Amadori M. G., Cultura ed economia agraria nella Liguria di ponente «sec. XIX - XX»: l'esperienza di un protagonista nell'area Albenganese, Università di Genova, Facoltà di lettere, tesi di laurea, anno accademico 1979 / 1980. 14. Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia. Catasto agrario 1929. Compartimento della Liguria, Provincia di Savona, fascicolo 10, 1936. 15. Società anonima cooperativa l'Ortofrutticola. Relazione inviata all'Unione provinciale degli agricoltori di Savona in data 6 marzo 1944, avente per oggetto: Prezzi alla produzione per i prodotti ortoflorofrutticoli della campagna agraria 1943 – 1944. 16. Compendio statistico provinciale 1964 – 1965. Ufficio provinciale di statistica, CCIAA di Savona. 17. Dizionario statistico ligure, 1972. Centro Studi Unioncamere Liguri, Genova. 18. Regione Liguria, Assessorato all'Agricoltura e Turismo, 2001. Prodotti di Liguria, Atlante regionale dei prodotti tradizionali. 74