I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della

I progressi nella lotta
contro il cancro e il nuovo ruolo
della comunicazione
Cos’è il tumore
•
La riabilitazione
dei pazienti
•
Le cure
•
•
I big killer
•
La prevenzione
Innovazione e sostenibilità
•
Le storie
I media. Parlano 15 Direttori: ecco come
i giornalisti oggi devono affrontare il tema cancro
insieme
contro il cancro
•
Progetto Editoriale
Intermedia per la comunicazione integrata
Via Malta 12/B, Brescia
030 226105
Autori
Mauro Boldrini, Sabrina Smerrieri
Coordinamento scientifico
Fondazione “Insieme contro il Cancro”
Presidente prof. Francesco Cognetti
Via Domenico Cimarosa 18, Roma
06 8553259
Hanno collaborato
Alessandro Andriolo, Davide Antonioli,
Antonella Boraso, Paolo Cabra,
Fabrizio Fiorelli
Si ringraziano
Paolo Carlini, Anna Ceribelli, Alessandra Fabi,
Alessandra Felici, Virginia Ferraresi, Carlo Garufi,
Paola Malaguti, Michele Milella, Carmen Nuzzo,
Antonella Savarese, Massimo Zeuli
Grafica Luisa Goglio
© 2014 Intermedia srl
Il male incurabile
I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della comunicazione
insieme
contro il cancro
Prefazione
È un onore scrivere questa prefazione per il volume “Il Male In curabile”,
prodotto dalla iniziativa della Fondazione “Insieme contro il Cancro” ad un anno
dalla sua nascita. Il volume contiene, nella prima parte, un sommario dell’evoluzione della lotta contro il cancro e dell’oncologia durante gli ultimi 40 anni, mentre la
seconda parte è dedicata al ruolo della comunicazione nell’aumentare la conoscenza
e comprensione delle problematiche oncologiche nel pubblico, con interviste ai direttori delle più importanti testate giornalistiche italiane.
Il progresso della ricerca contro il cancro durante questi ultimi 40 anni è stato
incredibile e si sta muovendo oggi con ancor maggiore celerità. Quarant’anni fa non
sapevamo praticamente nulla della base molecolare dei tumori. Questo è stato possibile dopo che si è visto che il cancro è causato da alterazioni genetiche somatiche
che si verificano durante la nostra vita.
L’identificazione di queste alterazioni ha permesso lo sviluppo di nuovi farmaci
mirati (target therapy), a cui le cellule tumorali sono molto sensibili, mentre quelle
normali non lo sono. In altre parole le cellule tumorali sono dipendenti, per la loro
crescita e sopravvivenza, da queste alterazioni. Sviluppando farmaci diretti alle
conseguenze di queste alterazioni si possono uccidere specificatamente le cellule
tumorali, lasciando per lo più indenni le cellule normali. Quindi si possono ottenere remissioni durature con modesti effetti collaterali. Al contrario, la cosiddetta
chemioterapia, che ancora ha spazio nella terapia antitumorale, è solitamente caratterizzata da considerevole tossicità.
Quindi, durante questi ultimi anni, si è riusciti a scoprire per molti tumori, anche i più comuni, le cause genetiche della malattia e si è riusciti a sviluppare farmaci
“intelligenti”. Il problema è che molti tumori sono causati da alterazioni per le quali
è difficilissimo oggi sviluppare tali farmaci (untargetable targets) e che, anche se la
terapia funziona, nel tumore si possono sviluppare varianti genetiche resistenti alla
terapia. Anche in questo campo si stanno facendo molti progressi.
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Prefazione
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Il volume contiene contributi, sia concernenti la chemioterapia che la target therapy, espressi in un modo molto leggibile e comprensibile anche per i non addetti ai
lavori, che lo rendono ancora più utile, essendo anche divulgativo. Il contributo delle
maggiori testate giornalistiche mostra il grande interesse della stampa per questo
importantissimo argomento.
Voglio congratularmi con il prof. Cognetti e i suoi valenti collaboratori per questa opera intelligente ed estremamente aggiornata.
carlo maria croce*
* Director of Human Cancer Genetics, Chairman of Molecular Virology,
Immunology and Medical Genetics, and Director of the Institute of Genetics at
The Ohio State University Comprehensive Cancer Center
Professore di Oncologia Medica presso l’Università di Ferrara
Top Italian Scientist della VIA-Academy (1st in the ranking)
Introduzione
Il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nel dicembre 1971, firmò il National Cancer Act, una vera e propria dichiarazione di guerra al cancro. Con quella
legge, il Presidente destinò ingenti finanziamenti alla ricerca medico-scientifica e
trasformò il National Cancer Institute in un ente indipendente, con un solo obiettivo: rendere il tumore una malattia curabile. Oggi, a più di 40 anni di distanza,
possiamo dire di averlo raggiunto. Più della metà dei pazienti guarisce e, in alcuni
casi, i tempi di sopravvivenza sono molto cresciuti, tanto che possiamo parlare di
cronicizzazione della malattia. Con terapie di combinazione, come è stato fatto con
l’HIV o il diabete, siamo in grado di rendere il cancro una malattia cronica, con cui
il paziente può convivere.
Per effetto dei progressi nel campo della diagnosi precoce, dell’aumento dei nuovi casi, della diminuzione della mortalità e del prolungamento della sopravvivenza,
abbiamo assistito negli ultimi decenni a un incremento costante dei pazienti con
storia di cancro in Italia: erano meno di un milione e mezzo all’inizio degli anni
Novanta, due milioni e mezzo nel 2012, circa tre milioni nel 2013. Nel 2020 saranno
4 milioni e mezzo. Lo scenario dell’oncologia è in rapida evoluzione: i tumori sono
soprattutto una malattia dell’età avanzata e il numero di nuovi casi cresce in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. Nel 2030 circa il 30% degli
italiani avrà più di 65 anni. è chiaro quindi che assisteremo a un aumento significativo del numero di neoplasie. Siamo di fronte a una sfida difficile, soprattutto per
tumori che, nella fase metastatica, fanno registrare talvolta alti tassi di mortalità e
che, negli ultimi decenni, non hanno beneficiato di significativi progressi terapeutici, a fronte di un costante aumento di casi. Ma una sfida possibile, anche attraverso
il progresso della biologia e della genetica nel campo dei tumori.
Vi sono elementi che, in un prossimo futuro, produrranno ulteriori risultati
favorevoli nel campo, affascinante e molto delicato, dell’epidemiologia molecolare
che prevede l’utilizzo di tecnologie estremamente innovative. Basti pensare all’identificazione della suscettibilità di una singola persona ad ammalarsi di cancro, cioè
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Introduzione
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alla misurazione del livello di rischio individuale e alla valutazione dell’interazione
dei fattori genetici che predispongono alla malattia con quelli ambientali e con le
abitudini di vita. Si potrà sempre più frequentemente, attraverso l’identificazione
di nuovi bersagli molecolari (quelli potenzialmente disponibili sono già circa 600),
dare applicazione alla medicina personalizzata, con tutte le implicazioni di sviluppo
delle conoscenze scientifiche, di ricerca, etiche, legali e sociali. Sarà quindi possibile
usare nuovi trattamenti personalizzati e combinarli insieme. Si tratta di risultati
impensabili fino a pochi anni fa. Grazie anche all’introduzione di farmaci mirati,
cioè le terapie biologiche, le percentuali di sopravvivenza continuano ulteriormente
a migliorare. L’esempio è offerto da due neoplasie a forte incidenza, come quelle
del colon retto e del seno. Non solo è possibile individuarle con lo screening in fase
precoce e guarirle grazie a terapie innovative, ma anche la sopravvivenza nella fase
metastatica è migliorata in modo significativo per effetto di trattamenti sempre più
efficaci. Nel colon-retto in 15 anni è passata dai 6-9 mesi agli attuali 30-36 e, nel
tumore al seno, l’effetto combinato di screening e terapia adiuvante ha contribuito a
ridurre la mortalità di più del 30%. Un ulteriore passo in avanti, per il nostro Paese,
sarà costituito dal necessario potenziamento delle nostre strutture, soprattutto nel
campo dell’istopatologia molecolare: l’obiettivo è un sistema integrato nazionale
di sviluppo di approcci di diagnostica molecolare innovativi, con l’istituzione di
biobanche per la raccolta del materiale e delle informazioni cliniche. Sulla scia di
quanto realizzato alcuni anni fa dall’Agenzia nazionale per la ricerca e dall’Organizzazione oncologica della ricerca integrata francesi, che, sotto l’egida del Governo
d’Oltralpe, hanno finanziato e reso possibile l’avvio del primo grande programma
clinico di medicina molecolare, condotto dalla rete degli Istituti oncologici nazionali francesi.
Nonostante i decisivi passi in avanti, testimoniati nei diversi capitoli di questo
volume, la guerra al cancro non è finita e, purtroppo, ancora molti pazienti non
riescono a sconfiggere la malattia. La Fondazione “Insieme contro il Cancro”, nata
nel luglio 2013, vuole dare un contributo fondamentale in questa battaglia. E unisce,
per la prima volta al mondo, clinici e pazienti. La Fondazione intende, attraverso
azioni coese e un dialogo proficuo tra Istituzioni, associazioni, opinion leader e
industria, porre l’attenzione sul problema della ricerca innovativa, della necessaria
uniformità di accesso alle cure, alla diagnosi e ai trattamenti di alta qualità per tutti i
pazienti oncologici in Italia, con uno sguardo rivolto anche all’Europa. Il 25 febbraio
2014 abbiamo presentato al Senato il Position Paper sul “Sistema della prevenzione,
dell’assistenza e della ricerca oncologica in Italia”, un documento fondamentale sullo stato dell’oncologia nel nostro Paese, che segna le linee entro cui “Insieme contro
il Cancro” intende muoversi nei prossimi anni. Come evidenziato nel Position Paper,
è necessaria una radicale riorganizzazione nel campo dell’oncologia, per rispondere
alle innumerevoli necessità dei malati di cancro e di coloro che sono guariti. Questi
ultimi, talvolta, devono affrontare gli effetti a lungo termine della patologia o delle
terapie utilizzate per curarla. I tumori rappresentano un’enorme realtà multidimensionale, non solo confinata agli aspetti clinico-assistenziali e di ricerca, ma anche ed
inevitabilmente gravata da rilevanti ricadute sui malati e i loro familiari (nella sfera
affettiva, psicologica, familiare, sociale, lavorativa, assicurativa, etc...).
Questo libro celebra il primo anno di attività della nostra Fondazione. In dodici
mesi abbiamo realizzato iniziative importanti. Oltre al Position Paper, ricordiamo
il convegno nazionale sull’“Innovazione e la ricerca farmaceutica in oncologia”, alla
Camera dei Deputati (25 marzo 2014), che ha approfondito il dibattito sui ritardi
nell’accesso alle terapie innovative in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Al tema
dell’innovazione è strettamente legato quella della sostenibilità. I sistemi sanitari
potranno garantire i farmaci innovativi a tutti i pazienti solo trovando nuove forme di risparmio per liberare risorse. E la prevenzione rappresenta la via principale,
dove però l’Italia è ultima in Europa. In queste iniziative investiamo solo lo 0,5%
della spesa sanitaria complessiva, contro una media Ue del 2,9%. Ben al di sopra
si collocano Paesi come Germania (3,2), Svezia (3,6), Olanda (4,8) e Romania (6,2).
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Introduzione
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Con “La lotta al cancro non ha colore”, la Fondazione ha lanciato lo scorso aprile la
prima campagna nazionale per la prevenzione oncologica indirizzata ai cittadini
più disagiati, in particolare agli immigrati che abitano nel nostro Paese. E il 12
maggio abbiamo presentato “Pro Job”, un progetto dell’AIMaC, realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, “Insieme contro il Cancro” e
l’Istituto Nazionale Tumori del capoluogo lombardo, per promuovere l’inclusione
dei pazienti oncologici nel mondo delle imprese. Questo libro si divide in due parti.
Nella prima abbiamo approfondito l’evoluzione della lotta alla malattia negli ultimi
decenni, rispondendo a domande su sono cambiate le cure, quali sono le differenze
fra chemioterapia, immunoterapia, farmaci intelligenti e altri quesiti sulle armi oggi
a disposizione del clinico. Poi abbiamo dedicato spazio a chi, sconfitta la malattia,
affronta la riabilitazione, che può essere fisica, sociale e psicologica. E abbiamo raccolto le preziose testimonianze dei pazienti, persone che, in alcuni casi, convivono
con la malattia da molti anni. Oggi le neoplasie non sono ancora state inserite fra
le patologie croniche, ma credo che nei prossimi anni vi entreranno di diritto. Se si
considera l’impatto dei tumori nell’Unione Europea e nel resto del mondo, è difficile
pensare che il “problema cancro” sia poco rilevante, sia in termini epidemiologici
che finanziari. I media dovrebbero essere fedeli testimoni non solo dei cambiamenti
in atto e dei progressi della ricerca, ma anche del livello di percezione della malattia
da parte dei cittadini. Per questo, nella seconda parte del volume, ci siamo rivolti
ai direttori delle principali testate giornalistiche italiane, per capire come il tema
cancro oggi venga affrontato dai media. Serve, ora, un patto fra clinici, giornalisti
e Istituzioni per trasmettere a tutti i cittadini informazioni e messaggi corretti, con
un’attenzione particolare anche alla prevenzione. Perché il 40% dei tumori può
essere prevenuto seguendo uno stile di vita sano.
Francesco Cognetti
Presidente Fondazione “Insieme contro il Cancro”
Nota degli Autori
L’idea di realizzare questo libro è nata – a vent’anni dall’inizio dell’attività della
nostra agenzia giornalistica, Intermedia – mentre riflettevamo su come celebrare il
primo compleanno della Fondazione “Insieme contro il Cancro”. Così abbiamo pensato di offrire un’istantanea il più attuale possibile sull’argomento cancro nelle sue
varie sfaccettature, ottenuta sovrapponendo i ritagli di decenni di cambiamenti nel
modo di trattare un argomento quasi sempre considerato tabù. Partendo dall’analisi
di come sono cambiate la percezione e la comunicazione della malattia. Attraverso
un osservatorio particolare: dal 1998, infatti, abbiamo il privilegio di guidare la
comunicazione dell’AIOM, la società scientifica che raggruppa gli oncologi medici
italiani e, dalla sua nascita, di “Insieme contro il Cancro”. Ci siamo chiesti come si
è evoluto il modo di parlare di tumore e se dal linguaggio quotidiano stia finalmente
scomparendo il concetto di “male incurabile”.
Ma per meglio comprendere la realtà italiana, era importante partire da dati
oggettivi, dalle cifre. E così, ecco i primi capitoli con i numeri di casi, tumore
per tumore, dai big killer a quelli più diffusi per capire come si sta evolvendo la
lotta al cancro, grazie alla ricerca, alla diagnosi precoce, ai progressi terapeutici.
Senza trionfalismi, ma con la consapevolezza che si è percorsa molta strada. Poi,
a seguire, spazio alla prevenzione, che va adottata “senza se e senza ma” e a tutte
le età. Numeri, certo, statistiche, cifre, tabelle, ma che diventano vita vissuta nelle
storie degli amici che ce l’hanno fatta, con le testimonianze di personaggi famosi
ma tanto simili a quelle dei circa tre milioni di persone che continuiamo, con un
termine bruttissimo, a chiamare “lungosopravviventi”. E che, invece, dovremmo
chiamare persone guarite che si trovano a convivere con una malattia cronica e che
rivendicano il diritto a tornare a condurre un’esistenza normale. E che chiedono il
rispetto di diritti impensabili fino a pochi anni fa, come diventare genitori o tornare
al lavoro, lontano da ogni discriminazione.
Ma volevamo qualcosa in più. E questo qualcosa era un approfondimento diretto
su come i media trattano oggi questo argomento. Ambiziosamente, ci siamo rivolti
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Nota degli Autori
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ai direttori delle maggiori testate nazionali. Abbiamo rivolto loro tante domande,
tutti sono stati disponibili e pazienti nelle risposte. L’idea di chiedere un contributo
di chi dirige testate importanti, con milioni di lettori, ci è sembrata vincente. Le
testimonianze dei quindici direttori sono state determinanti, a nostro avviso, per
mettere a fuoco la nostra fotografia.
Li ringraziamo per questo e crediamo che, oltre a permetterci di inserire interviste prestigiose nel volume, abbiano svolto un servizio di grandissimo valore per la
collettività. Il ruolo della comunicazione, infatti, è fondamentale in questo delicato
settore. Le notizie diffuse al pubblico devono avere seguire criteri di grande professionalità ed equilibrio. Il concetto di “male incurabile” deve scomparire una volta
per tutte. In primo luogo, perché è un termine che non risponde più al vero. La sopravvivenza non è più una chimera e la mortalità si va fortunatamente abbassando.
I progressi terapeutici hanno portato in quarant’anni a raddoppiare le percentuali di
sopravvivenza. E poi perché si deve dare speranza, essere di aiuto nella conoscenza,
senza alimentare facili illusioni. Perché, purtroppo, ancora molti cittadini non ce
la fanno, nonostante l’impegno e la professionalità di medici e di tutto il personale
sanitario. A loro e ai loro familiari va il nostro impegno, anche nel difendere un
sistema sanitario nazionale che, pur fra mille problemi, è ancora uno dei migliori
al mondo. Un sistema sanitario che va difeso e valorizzato.
Senza dubbio avremo dimenticato qualcosa: la selezione impone alcune scelte.
Speriamo, però, di aver raggiunto l’obiettivo che ci eravamo posti: iniziare un dibattito su un argomento in qualche modo “figlio dei tempi”, affrontando i vari aspetti
che rendono oggi il cancro un male curabile.
Mauro Boldrini, Sabrina Smerrieri
La Fondazione “Insieme contro il Cancro”
insieme
contro il cancro
“Insieme contro il Cancro” (insiemecontroilcancro.net) è una Fondazione, istituita nel 2013 con decreto del Prefetto di Roma e voluta dall’Associazione Italiana di
Oncologia Medica (AIOM), Società scientifica che riunisce la quasi totalità degli specialisti del nostro Paese, e dall’Associazione Italiana Malati di Cancro, Parenti e Amici
(AIMaC), riconosciuta nel 2010 dal Ministero del Lavoro come “organizzazione che
svolge un’attività di evidente funzione sociale sul territorio nazionale”. La Fondazione
è presieduta dal prof. Francesco Cognetti, Direttore del Dipartimento di Oncologia
Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma. Forte dell’esperienza
sul campo delle due associazioni, impegnate da sempre in campagne d’informazione,
“Insieme contro il Cancro” si propone di attuare una lotta globale contro i tumori al
fine di ridurre il carico di malattia, realizzando attività di ricerca, impegnandosi per la
riabilitazione e il reinserimento sociale dei malati oncologici e avviando campagne di
comunicazione e di educazione della popolazione su prevenzione (tra cui: stili di vita
sani, screening), diagnosi e cura. Intende promuovere e realizzare la migliore tutela
del paziente, sia dal punto di vista delle possibilità terapeutiche, che dell’assistenza
personale, sanitaria, psicologica, informativa, e giuridica.
Si propone inoltre di favorire e realizzare:
·l’informazione dei pazienti oncologici e delle loro famiglie sulla possibilità di
accesso alle cure, con realizzazione e diffusione di documentazione e opuscoli
·l’innovazione nella diagnosi e cura dei tumori e la diffusione di informazione e
ricerca
·l’uguale accesso di tutti i pazienti oncologici agli approcci diagnostici, terapeutici
e riabilitativi e ai sistemi più innovativi e avanzati di prevenzione, diagnosi e cura
personalizzate, nonché alle sperimentazioni
·l’integrazione sociale e la difesa dei diritti civili rispetto al lavoro, alla pensione,
alle cure e all’assistenza socio-sanitaria di chi è o è stato malato di tumore e dei
loro familiari. L’informazione e il sostegno psicologico riguardo a tale stato di
disagio individuale e sociale e la formazione dei pazienti, dei professionisti e dei
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La Fondazione “Insieme contro il Cancro”
volontari che operano nei settori sanitari, sociali e lavorativi interessati
·l’attività di prevenzione fra la popolazione, anche tramite i corretti stili di vita, e
la realizzazione di screening
·la diffusione della cultura dell’alleanza terapeutica per il miglioramento del rapporto tra pazienti, familiari e operatori sanitari
·il coordinamento e lo scambio di informazioni scientifiche e cliniche fra l’AIOM
e le associazioni, istituzioni, strutture o enti che supportano, assistono o curano
i malati, ex malati, lungo-viventi oncologici e loro familiari
· la raccolta fondi da destinare agli scopi istituzionali.
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CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE
COMITATO SCIENTIFICO
Presidente Francesco Cognetti
Vicepresidente Giancarlo Vecchio
Segretario Elisabetta Iannelli
Membri Salvatore Maria Aloj, Corrado Boni, Stefano
Presidente Francesco Cognetti, Direttore del Dip. di Oncologia
Cascinu, Saverio Cinieri, Carmelo Iacono, Silvia Novello
Direttore Comunicazione Mauro Boldrini
COMITATO D’ONORE
Giancarlo Abete, Imprenditore
Luigi Abete, Presidente BNL
Giulio Anselmi, Presidente ANSA
Margherita Buy, Attrice
Francesco Gaetano Caltagirone, Imprenditore
Antonio Catricalà, Presidente di sezione del Consiglio di Stato
Virman Cusenza, Direttore “Il Messaggero”
Luigi Frati, Rettore “La Sapienza”
Antonio Golini, Presidente ISTAT
Margherita Granbassi, Campionessa olimpica di scherma
Roberto Iadicicco, Direttore AGI
Gianni Letta, Giornalista
Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute
Giovanni Malagò, Presidente CONI
Giuseppe Marra, Presidente AdnKronos
Mauro Mazza, Direttore Rai Sport
Mario Orfeo, Direttore Tg1
Giuseppe Pecoraro, Prefetto di Roma
Giuseppe Tornatore, Regista
Francesco Totti, Calciatore
Luca Vago, Rettore Università degli Studi di Milano
Sarah Varetto, Direttore Sky Tg 24
Antonello Venditti, Cantante
Carlo Verdone, Attore/Regista
Valentina Vezzali, Campionessa olimpica di scherma
Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Roma)
Dino Amadori, Direttore Scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo
Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Meldola (Forlì)
Claudio Cricelli, Presidente SIMG (Società Italiana di Medicina
Generale)
Maria Grazia De Marinis, Professore Associato, Scienze
Infermieristiche Generali, Cliniche e Pediatriche, Presidente Corso
di Laurea in Infermieristica Università Campus Bio Medico di Roma
Guido Fanelli, Direttore della struttura complessa 2a Anestesia,
rianimazione e terapia antalgica (Dipartimento chirurgico)
dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma
Marco Pierotti, Direttore Scientifico IRCCS - Istituto Nazionale
Tumori Milano
Gabriella Pravettoni, Professore Ordinario di Psicologia
Cognitiva presso il Dipartimento di Studi Sociali e Politici
dell’Università degli Studi di Milano
Walter Ricciardi, Professore Ordinario di Igiene presso la Facoltà
di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Roma
Michele Tiraboschi, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Direttore del
Centro Studi internazionali e comparati “Marco Biagi”
SEDE LEGALE
Roma, via Domenico Cimarosa 18
Tel 06 8553259 - Fax 06 8553221
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Il cancro
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce con la parola “cancro”
(o carcinoma) “un gruppo di malattie che possono colpire qualsiasi parte del corpo.
Una sua caratteristica distintiva è la rapida creazione di cellule anormali che crescono oltre i loro confini abituali e che, quindi, invadono parti adiacenti del corpo e
si diffondo in altri organi”. Il cancro non è una singola patologia per la quale esiste
un’unica terapia. Gli oncologi hanno studiato e classificato oltre 200 diversi tipi di
carcinoma, che possono essere curati in vario modo. Quasi tutte le cellule che compongono il nostro organismo si riproducono seguendo uno schema simile. Di solito,
la loro moltiplicazione avviene in modo ordinato e controllato. Però, a volte può
capitare che qualcosa non funzioni. Un tumore si sviluppa quando le cellule sane
vivono più a lungo del loro ciclo vitale medio, continuando a suddividersi senza controllo. La riproduzione anormale dà così origine a una massa chiamata neoplasia.
Alcuni tipi di cancro, come quelli del sangue, non determinano lo sviluppo di masse
tumorali. Il carcinoma è, comunque, un processo lento e progressivo, combattuto
nella grande maggioranza dei casi con successo dai sistemi di difesa dell’organismo
(meccanismi di riparazione del genoma e di difesa immunitaria). Dal suo inizio
biologico può impiegare molto tempo a manifestarsi, anche decine di anni.
Nonostante sia stato definito “il Male del secolo” nel Novecento, il cancro accompagna da sempre il cammino dell’umanità. Le prime testimonianze storiche
risalgono a papiri egizi del 1600 a.C., in cui veniva chiamato “nemsu”, fino al termine “carcinoma” coniato dal medico greco Ippocrate. Personaggi storici di varie
epoche come l’imperatore romano Ottaviano Augusto, San Francesco d’Assisi o il
compositore Gioacchino Rossini sono deceduti a causa di una neoplasia. L’oncologia
medica nasce nel corso del 1700, quando gli scienziati iniziarono a studiare, per la
prima volta, gli effetti cancerogeni di alcune sostanze come il tabacco o la fuliggine.
Nell’ultimo secolo, il cancro è diventata una delle malattie più diffuse in tutto
il mondo. Le cause di questo fenomeno sono il costante aumento della vita media,
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Il cancro
il sempre maggiore inquinamento ambientale e la tendenza tra la popolazione ad
adottare stili di vita non salutari (fumo, abuso di alcol, sedentarietà e dieta scorretta).
Le differenze tra benigni e maligni
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Le cellule dei tumori benigni si sviluppano lentamente e non hanno la capacità
di diffondersi ad altre parti dell’organismo, anche se possono creare problemi alla
salute. Se, infatti, continuano a crescere, esercitano pressione contro gli organi sani
limitrofi. I tumori maligni, invece, sono composti da cellule che, senza un adeguato
trattamento, possono invadere i tessuti circostanti. Inoltre, hanno la capacità di
espandersi a distanza, ovvero al di fuori della sede di insorgenza del tumore primitivo. Le vie di diffusione principali sono il sangue e il sistema linfatico. Quando
raggiungono una nuova sede, le cellule possono continuare a dividersi, dando
così origine a una metastasi. Quando un cancro maligno si diffonde, viene ancora
denominato in base alla parte del corpo da cui ha avuto origine. Ad esempio, se
un cancro della mammella metastatizza ai polmoni, continua ad essere chiamato
cancro della mammella, non del polmone. La biopsia è un esame che consente di
accertare l’eventuale presenza di cellule atipiche. Viene svolto per verificare se il
tumore è benigno o maligno. L’esame consiste nel prelievo di un campione di cellule
o di tessuto esaminato poi al microscopio.
Le principali cause
I motivi per cui una persona si può ammalare sono ancora largamente sconosciuti. Solo in alcuni casi il cancro ha una componente genetica. Sono riconosciute
due cause, imputabili a fattori esterni e interni. I primi includono il fumo di sigaretta, l’abuso di alcol, l’esposizione a radiazioni (compresi i raggi ultravioletti del sole)
e ad agenti chimici. I fattori interni comprendono invece elevati livelli ormonali,
mutazioni genetiche e alterate condizioni del sistema immunitario. Alcune neoplasie possono essere causate da infezioni virali. L’esempio più noto è il Papilloma
virus umano (HPV), che può provocare il cancro della cervice uterina, della testa
e del collo e dell’ano.
Chi è a rischio di sviluppare la malattia
Tutte le persone possono essere considerate a rischio. Il fattore più importante
è l’età. In Italia oltre il 50% delle neoplasie solide (mammella, prostata, polmone,
colon) è diagnosticato in pazienti over 65. Anche i tumori del sangue (linfomi nonHodgkin, la malattia di Hodgkin e tutte le leucemie) presentano un andamento simile. La prevenzione resta però un’arma vincente: il 40% delle neoplasie si potrebbe
evitare con uno stile di vita sano (no al fumo di sigaretta, dieta corretta e attività
fisica costante).
Circa il 5-10% dei tumori è ereditario. Le persone che hanno avuto casi familiari
presentano quindi un rischio maggiore. Ad esempio, una donna con madre o sorella malata di cancro della mammella ha il doppio delle probabilità di sviluppare la
patologia rispetto a chi ha parenti sane. La frequenza dei tumori si può esprimere
anche come probabilità teorica individuale di ammalarsi nel corso della vita (per
convenzione, le statistiche sono limitate all’intervallo di tempo che va dalla nascita
agli 84 anni, 0-84). Questa misura si chiama “rischio cumulativo”: il numero di persone che è necessario seguire, nel corso della loro vita, perché una di queste abbia la
probabilità di ammalarsi di cancro. Questa probabilità riguarda ad oggi un uomo
ogni due e una donna ogni tre.
Se si analizzano i dati nel dettaglio, si scopre che ogni 8 donne una si ammalerà
di un tumore alla mammella; un uomo ogni 9 e una donna ogni 36 svilupperanno
invece un carcinoma polmonare; 1 maschio ogni 7 un tumore della prostata; un
uomo ogni 10 e una donna ogni 17 una neoplasia del colon-retto.
17
18 Tabella 1.
Numero totale di nuovi casi
di tumore stimati per il 2013
(Popolazione italiana residente da
previsioni ISTAT)
Sede
Vie aerodigestive superiori
Esofago
Stomaco
Colon-retto
Colon
Retto
Fegato
Colecisti e vie biliari
Pancreas
Polmone
Osso
Cute (melanomi)
Cute (non melanomi)
Mesotelioma
Sarcoma di Kaposi
Tessuti molli
Mammella
Utero cervice
Utero corpo
Ovaio
Prostata
Testicolo
Rene, vie urinarie (rene, pelvi e uretere)
Parenchima
Pelvi e vie urinarie
Vescica (tumori infiltranti e non infiltranti)
Sistema nervoso centrale
Tiroide
Linfoma di Hodgkin
Linfoma non-Hodgkin
Mieloma
Leucemie
Tutti i tumori, esclusi carcinomi della cute
Maschi
7.200
1.400
7.900
31.400
21.900
9.500
8.900
2.100
5.800
27.000
400
5.300
38.500
1.300
500
1.100
1.100
35.800
2.200
8.400
7.000
1.400
22.100
3.200
4.100
1.300
6.900
2.700
4.400
199.500
Femmine
2.300
600
5.300
23.200
17.000
6.200
4.300
2.400
6.400
11.200
200
5.100
32.900
400
200
700
46.900
2.000
8.200
4.800
4.300
3.600
700
5.100
2.500
12.200
1.000
5.900
2.500
3.500
166.500
I numeri del cancro in Italia
Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati circa 366.000 nuovi casi di tumore
(quasi 1.000 al giorno), di cui 200.000 (55%) negli uomini e 166.000 (45%) nelle
donne1. [Tabella 1, nella pagina a sinistra]
I tumori più frequenti
Il cancro più diffuso (escludendo le neoplasie della pelle) è quello del colon-retto,
con oltre 54.000 nuove diagnosi l’anno. Seguono il carcinoma della mammella
(48.000 casi, di cui il 98% nelle donne), del polmone (38.000, quasi il 30% nel sesso
femminile), della prostata (36.000 diagnosi) e della vescica con 27.000 casi (22.000
tra gli uomini, 5.000 tra le donne)1. [Tabella 2]
In Italia il cancro colpisce più nelle regioni settentrionali rispetto a quelle
meridionali. I motivi di questo fenomeno possono essere legati alla minore esposizione a elementi cancerogeni al Sud (fumo di tabacco, inquinamento ambientale) e allo stile di vita alimentare (dieta mediterranea) e riproduttivo (maggior
numero di figli).
Tabella 2. Prime cinque neoplasie più frequentemente diagnosticate e proporzione sul totale dei tumori (esclusi i carcinomi della
cute) per sesso. Pool Airtum 2006-2009
Rango
Maschi
Femmine
Tutta la popolazione
1°
2°
3°
4°
5°
Prostata (20%)
Polmone (15%)
Colon-retto (14%)
Vescica (10%)
Stomaco (5%)
Mammella (29%)
Colon-retto (14%)
Polmone (6%)
Utero corpo (5%)
Tiroide (5%)
Colon-retto (14%)
Mammella (13%)
Prostata (11%)
Polmone (11%)
Vescica (7%)
1
A questi si dovrebbero aggiungere i carcinomi della cute. Per le loro peculiarità biologiche e cliniche e
per la difficoltà di stimarne esattamente il numero (orientativamente circa 71.000 casi, 38.000 nei maschi e
33.000 nelle femmine) vengono conteggiati separatamente.
19
I numeri del cancro in Italia
La sopravvivenza
La possibilità di sopravvivere a un tumore dipende soprattutto da due fattori:
la prevenzione secondaria (adesione a programmi di screening) e le terapie. Più
precoce è la diagnosi, maggiore è la probabilità di essere efficacemente curati. La
sopravvivenza a 5 anni è aumentata notevolmente nell’ultimo quarantennio.
Alla fine degli anni ’70 era stimata al 33% ed è salita al 47% nei primi anni ’90.
Dal 2004 al 2007 la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 57% tra gli uomini e
del 63% per le donne.
20
Le cure contro il cancro
Esistono diversi approcci nel trattamento delle neoplasie. Sono rappresentati
dalla chirurgia, dalla chemioterapia, dalla radioterapia, dall’immunoterapia e dalle
terapie biologiche. Queste armi possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione. Nel corso degli anni la ricerca ha portato a terapie sempre più efficaci, in
grado di ridurre la mortalità, con effetti collaterali minori. Dopo la fine di ogni tipo
di trattamento, sono necessari esami periodici di controllo. Questa pratica clinica
si chiama follow-up e ha come obiettivo la gestione di possibili complicanze, legate
al trattamento utilizzato e all’eventuale ricomparsa di cellule tumorali. Il programma di follow-up deve tenere conto della storia naturale della neoplasia (velocità di
crescita del tumore, sede, modalità e rischio di ripresa, tossicità tardive, beneficio
della diagnosi precoce).
Chirurgia
Il ricorso al bisturi è, salvo alcune eccezioni, il primo passo nel trattamento dei
tumori. Quando la diagnosi è precoce e la massa ha dimensioni ridotte, può costituire
l’unica terapia necessaria. In altri casi, la chirurgia va affiancata alla chemioterapia
o ad altre tipologie di cura. I clinici possono sconsigliare l’intervento se il cancro è
molto esteso e la malattia è in fase avanzata. Quando il tumore è situato in una posizione molto delicata, il ricorso al bisturi potrebbe provocare danni a organi e tessuti
adiacenti. In questo caso è preferibile ricorrere ad altre terapie. Dopo l’operazione
chirurgica il paziente può sentire freddo, nausea, sonnolenza, confusione e debolezza. Il livello del malessere varia in base alla tipologia dell’intervento e di anestesia.
Alcuni problemi continuano anche dopo il rientro a casa. In seguito a un’operazione al seno o al torace il dolore può persistere ed è quindi necessario assumere
antidolorifici. Altre conseguenze a lungo termine di molti interventi chirurgici oncologici sono le cicatrici cutanee e il linfedema, un rigonfiamento del braccio o della
21
Le cure contro il cancro
22
gamba che può verificarsi dopo l’asportazione dei linfonodi ascellari o dell’inguine.
Anche la chirurgia è stata investita in maniera notevole dal progresso tecnologico, soprattutto dal punto di vista strumentale. Ad esempio, l’arresto delle emorragie (emostasi) è possibile con una precisione prima impensabile, grazie a nuovi
dispositivi di elettrocoagulazione bipolare o a ultrasuoni. Vengono utilizzate con
successo anche una serie di sostanze o supporti adesivi a base di collagene o fibrina, applicabili sotto forma di spray, tessuto o materiale spugnoso. I fili di sutura
riassorbibili di nuova generazione riducono le infezioni e garantiscono un migliore
risultato estetico. Le suturatrici meccaniche lineari e circolari con punti in titanio,
proposte già dai chirurghi russi negli anni ’70, sono oggi disponibili in un’estrema
varietà di forme e misure e trovano ormai ampio utilizzo le tecnologie laser di
ultima generazione. Così come la chirurgia laparoscopica, che ha reso le procedure
meno traumatiche per il paziente (cicatrici minime, dolore ridotto, dimissioni anche
entro 48 ore, rapida ripresa delle normali attività lavorative).
Infine, l’asportazione totale dell’organo è stata sostituita progressivamente da interventi individualizzati dove la resezione completa, ma il più possibile conservativa,
si inserisce in un programma multidisciplinare. Questo può variare in relazione alle
caratteristiche cliniche e biologiche della malattia, ma anche alle diverse esigenze
sociali, culturali e allo stato di benessere del paziente.
Chemioterapia
La chemioterapia si basa sulla somministrazione di specifici farmaci (chiamati
citotossici o antiblastici), che distruggono le cellule tumorali e interferiscono con la
loro crescita, prevenendone la riproduzione. Un trattamento chemioterapico può
essere costituito da una o più molecole. La decisione su quale terapia utilizzare deve
tenere conto di una serie di fattori: tipo e stadio del tumore, condizioni biologiche,
età, sesso, stato e condizioni generali del malato, ecc.
I chemioterapici vengono di solito somministrati per via:
·endovenosa, in strutture ospedaliere
·orale, generalmente sotto forma di compresse.
La chemioterapia rappresenta tuttora il trattamento cardine dei tumori. Si basa su
farmaci più efficaci e meno tossici rispetto a quelli utilizzati fino ad alcuni anni fa. Sono
disponibili terapie che non provocano caduta dei capelli, altre ancora che rispettano
la produzione di globuli bianchi e rossi e piastrine da parte del midollo osseo. Alcuni
trattamenti aumentano ulteriormente la tollerabilità della chemioterapia. Ad esempio, è possibile combattere nausea e vomito, debellare stanchezza e fatigue, ridurre
il rischio di infezioni, in modo da affrontare meglio il percorso di cura.
La chemioterapia può essere:
·
adiuvante, quando viene eseguita dopo il trattamento chirurgico, con lo scopo di eliminare eventuali cellule tumorali non visibili. In questo modo si riduce il rischio di
recidiva della malattia
· neoadiuvante, se eseguita prima di un’operazione, per diminuire le dimensioni del
tumore e facilitarne l’asportazione.
Quando la neoplasia non può essere eliminata, perché le metastasi sono già diffuse
nell’organismo, i chemioterapici possono prolungare la sopravvivenza del paziente. Il
trattamento può anche migliorare alcuni sintomi causati dalla massa tumorale. L’uso
di grandi quantità di farmaci chemioterapici può preparare l’organismo a un trapianto
di midollo osseo o di cellule staminali.
23
Come funziona e gli effetti collaterali
I farmaci chemioterapici raggiungono le cellule tumorali attraverso il sangue, impedendone la divisione e riproduzione. Un trattamento chemioterapico è costituito
da più cicli, composti a loro volta da un numero variabile di sedute, intervallati da
Gli effetti collaterali più frequenti
Caduta dei capelli è uno degli effetti più temuti, ma non riguarda tutti i farmaci. Solitamente
ricrescono nell’arco di 3-6 mesi dopo la conclusione del ciclo di terapia
Nausea e vomito
le sedute di chemioterapia, in alcuni casi, provocano conati di vomito e
forte senso di nausea. Esistono farmaci specifici (antiemetici) efficaci nella
stragrande maggioranza dei casi
Stanchezza
è una normale reazione del corpo alla malattia e ai farmaci. Questa sensazione
a volte prosegue anche dopo la fine del trattamento
Infezioni
la distruzione delle cellule sane tende a indebolire la capacità dell’organismo di
rispondere alle infezioni. In particolare, si presentano con facilità irritazione e
ulcere alla bocca. Generalmente sono curate con antibiotici e sciacqui periodici
Anemia
i trattamenti (o la malattia stessa) possono generare perdita di emoglobina e/o
globuli rossi, diminuendo così la capacità di trasportare ossigeno nel sangue.
Ne derivano varie conseguenze, tra cui la stanchezza cronica. Anche in questo
caso esistono farmaci specifici
Piccole emorragie alcune molecole possono compromettere l’azione delle piastrine e rallentare
così la coagulazione del sangue. Durante i cicli possono sopraggiungere
emorragie nasali, lividi o abbondanti perdite ematiche a fronte di piccoli tagli o
graffi. A volte è quindi necessaria una trasfusione di piastrine
Dolore
può essere causato direttamente dal tumore, oppure dagli effetti collaterali
delle terapie. È importante che il paziente riferisca sempre al medico i sintomi
riscontrati. A seconda dell’intensità vengono utilizzati diversi medicinali
(antinfiammatori non steroidei, codeina, morfina, metadone)
Le cure contro il cancro
24
un periodo di pausa. Quindi, nei tre/sei mesi che costituiscono la fase di trattamento,
si effettuano in genere da tre/quattro a sei/otto cicli. Ognuno dura alcuni giorni ed
è seguito da un periodo di riposo. Il numero totale di sedute dipende dalla risposta
del tumore alla terapia.
Durante la pausa dalle cure, le cellule e i tessuti normali si riprendono dai danni
causati dai farmaci. I chemioterapici possono, infatti, agire anche sulle cellule sane
provocando effetti collaterali. Le parti sane dell’organismo più esposte alle controindicazioni sono l’apparato digerente, la mucosa della bocca, il midollo osseo e i follicoli
piliferi. Gli effetti collaterali variano in base alla tipologia di trattamento e alle condizioni generali di salute del paziente. Molti disturbi sono temporanei e diminuiscono,
fino a scomparire, alla conclusione della terapia.
Radioterapia
L’uso di radiazioni ad alta energia permette di colpire e distruggere le cellule
tumorali, con l’ulteriore obiettivo di danneggiare il meno possibile quelle sane. La
radioterapia è utilizzata da sola oppure dopo l’intervento chirurgico. Ogni anno in
Italia sono sottoposti a questo trattamento oltre 110.000 pazienti.
La radioterapia può essere impiegata a scopo:
·
curativo: elimina le cellule tumorali e cura così la malattia
· p rofilattico: impedisce che i nuclei di cellule tumorali microscopiche possano di
nuovo proliferare nel tessuto sano. Di solito viene impiegata con questa finalità
dopo un intervento chirurgico
· p alliativo: allevia i sintomi quando la patologia non può essere curata. La dose
totale di radiazioni è più bassa di quella usata per scopo curativo, la durata complessiva del trattamento minore.
I possibili effetti collaterali della radioterapia sono paragonabili a quelli provocati dai farmaci chemioterapici: vomito, nausea, diarrea, stanchezza cronica, tosse e
dolore a livello toracico. Durante le sedute possono comparire sulla pelle forti arrossamenti, simili a quelli provocati da un eritema solare. Questa irritazione cutanea si
chiama radiodermite, che può a volte far sospendere il trattamento. I medici consigliano ai pazienti di portare vestiti non aderenti ed evitare camicie dal collo stretto e
cravatte. Le donne sottoposte a irradiazione della mammella non devono indossare
il reggiseno, perché lo sfregamento delle spalline e delle bretelle può irritare la pelle.
Al termine dei trattamenti si può avere difficoltà a deglutire o a bere bevande molto
calde o fredde.
La brachiterapia
La brachiterapia è una forma particolare di radioterapia, praticata soltanto in alcuni
ospedali: la sorgente radioattiva viene introdotta, in forma sigillata, direttamente nel
tessuto malato o nelle immediate vicinanze. Le modalità di irradiazione sono due:
· i nterna (o endocavitaria), la fonte radioattiva è inserita in organi cavi (cervice uterina,
esofago, trachea e bronchi)
·
interstiziale, in cui piccole sorgenti radioattive sono impiantate all’interno del tessuto
tumorale con tecniche chirurgiche mini-invasive
Vista la sua particolarità, questo trattamento comporta il rischio di esposizione alle radiazioni per il personale ospedaliero, i familiari e gli amici che vanno a trovare il paziente. Quindi, durante il tempo in cui la terapia è in corso, è necessario adottare le dovute
precauzioni per proteggere tutte le persone nelle vicinanze. Sono misure di sicurezza che
prevedono anche limitazioni alle visite e possono, a volte, far sentire soli. È importante
parlarne con il medico. Il timore di emettere radioattività anche al termine del trattamento è però infondato perché ogni pericolo scompare una volta rimossa la sorgente.
Immunoterapia
L’immunoterapia è la quarta arma per sconfiggere il tumore, che si aggiunge a
chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Questo tipo di trattamento stimola le cellule
del sistema immunitario a combattere la malattia e persegue una strategia opposta
a quella delle terapie “classiche”. Non colpisce direttamente le cellule tumorali,
ma attiva i linfociti T del paziente (potenti globuli bianchi capaci di eliminare o
neutralizzare le cellule infette o anormali), che diventano in grado di distruggere
il tumore. Diversi studi hanno valutato farmaci immunoterapici nel trattamento
di vari tipi di neoplasie, tra cui soprattutto il carcinoma renale e il melanoma, ma
anche il cancro della prostata e del polmone. Anche se non tutti i pazienti rispondono all’immunoterapia, vari studi evidenziano una riduzione della massa tumorale
di lunga durata e un aumento della sopravvivenza, che possono essere superiori a
quanto generalmente osservato con la chemioterapia, quando questa risulta efficace.
Come funziona e gli effetti collaterali
L’immunoterapia funziona stimolando le cellule del sistema immunitario a combattere il tumore, per esempio alcuni anticorpi colpiscono componenti specifici che
regolano il sistema immunitario del paziente.
La maggior parte delle immunoterapie oncologiche agisce specificamente sui
linfociti, modificandone o influenzandone la funzione nel sistema immunitario.
L’effetto clinico dell’immunoterapia (ritardato) è diverso rispetto a quello delle
25
Le cure contro il cancro
Immunoterapia, cenni storici
26
L’idea che il sistema immunitario potesse essere in grado di proteggere l’organismo
dallo sviluppo di tumori risale addirittura agli inizi del Novecento. Ma furono solo i
primi esperimenti scientifici, svolti nella seconda metà del secolo scorso, a generare evidenze sperimentali che definirono chiaramente il ruolo del ‘network di sorveglianza’
dell’organismo in questo ambito.
In seguito, grazie all’identificazione di determinate categorie di antigeni associati al
cancro, si sono potuti ipotizzare per la prima volta trattamenti mirati esclusivamente alle
cellule tumorali. Basandosi su queste rivoluzionarie scoperte, i ricercatori hanno potuto
successivamente sviluppare vaccini terapeutici per certi tipi di tumori.
L’identificazione degli antigeni ha permesso anche di formulare l’ipotesi dell’immunosorveglianza: il sistema immunitario riuscirebbe a controllare la crescita incontrollata
delle cellule tumorali tramite i linfociti T. Nelle persone immunodepresse aumenterebbe
quindi il rischio di sviluppare un tumore. Ipilimumab è il primo farmaco immunoterapico ad essere stato approvato (nel 2011, dall’FDA, l’autorità regolatoria statunitense) per
il trattamento del melanoma metastatico.
altre terapie convenzionali (immediato), perché le risposte immunologiche possono
richiedere un po’ di tempo prima di tradursi in evidenza clinica. Quindi un beneficio può essere visto solo dopo alcuni mesi dall’inizio del trattamento.
Gli eventi avversi osservati con l’immunoterapia sono diversi da quelli che si
manifestano con la chemioterapia tradizionale, che non è selettiva e colpisce quindi
anche le cellule sane. Con l’immunoterapia, invece, il potenziamento della “sorveglianza” può portare a un aumento delle “difese” in altre parti del corpo, in cui lo
stimolo non è necessario. Si possono verificare, ad esempio, infiammazioni temporanee a livello gastrointestinale o sulla pelle, sotto forma di eruzioni cutanee. Non
si tratta comunque di una gestione particolarmente complessa: gli effetti collaterali
sono generalmente inferiori rispetto ai trattamenti “classici”. L’altro aspetto fondamentale è legato ancora al meccanismo d’azione del farmaco immunoterapico e
riguarda il tempo di insorgenza degli effetti collaterali: non si tratta di poche ore o
qualche giorno ma, anche in questo caso, esiste una latenza decisamente più lunga.
Possono trascorrere anche 6-7 settimane dall’inizio della terapia prima che si verifichi il picco di eventi avversi.
Rispetto al trattamento con le terapie target, il tempo di latenza del farmaco immuno-oncologico non genera risultati visibili nell’immediato. Proprio perché non
colpisce direttamente le cellule tumorali ma attiva prima il sistema immunitario
per ottenere la risposta. In certi casi non si è quindi in grado nemmeno di valutare
il reale beneficio clinico nei tempi standard della terapia oncologica. È possibile
notare anche un iniziale aumento della massa tumorale, seguito solo in un secondo
tempo dalla regressione. In generale, comunque, possono trascorrere anche 16-20
settimane perché si verifichi la risposta immunitaria.
Terapie biologiche
Le terapie biologiche, dette anche target therapy, sono rivolte contro quei meccanismi che controllano la crescita e la diffusione del cancro (bersagli molecolari).
Possono includere:
·anticorpi monoclonali
·fattori di crescita
·vaccini
·terapie genetiche
Sono trattamenti mirati ai processi specifici del tumore e si differenziano
notevolmente da altri tipi di intervento, come la chemioterapia o la radioterapia.
L’obiettivo è realizzare l’antico sogno della “pallottola magica”, capace di eliminare il
cancro senza alcun danno per i tessuti sani. I risultati ottenuti in questi ultimi anni
sono entusiasmanti.
L’era delle terapie biologiche è iniziata negli anni ’90 del secolo scorso. Imatinib,
capostipite degli inibitori della tirosin-chinasi, ha cambiato radicalmente le prospettive di cura per i pazienti colpiti da leucemia mieloide cronica: il farmaco si è addirittura guadagnato la copertina di Time Magazine il 28 maggio 2001. I primi progressi
portarono alla scoperta di numerose molecole, che hanno determinato significativi
miglioramenti nei tassi di sopravvivenza e nella riduzione della tossicità. In questo
modo è stato possibile identificare i pazienti con specifiche anomalie cellulari e
prescrivere loro il trattamento potenzialmente più efficace. Da allora, come diretta
conseguenza, alle persone non idonee vengono risparmiate cure non necessarie
e relativi effetti collaterali. Si è così entrati nell’era della medicina personalizzata.
Cosa sono le terapie mirate
Questi nuovi concetti farmacologici sono alla base delle target therapy, cioè dei
farmaci – cosiddetti “biologici” o “intelligenti” – che agiscono selettivamente su
recettori cellulari specifici. Questa azione selettiva influenza il risultato terapeutico
e risparmia le cellule sane dall’azione degli altri agenti terapeutici, con un miglioramento quindi della tollerabilità del trattamento. A tutto vantaggio del paziente
e della sua qualità di vita. Altro punto a favore delle target therapy è la possibile
sinergia con chemio e radioterapia. Inoltre, dati della ricerca clinica sostengono
la possibilità di impiegare un’ampia gamma di farmaci, indirizzati su differenti
bersagli molecolari.
La restrizione maggiore al loro impiego è lo spettro d’azione limitato a quelle
particolari neoplasie che dipendono da alterazioni molecolari specifiche. Senza dimenticare i loro costi molto elevati, che implicano una selezione attenta dei pazienti.
27
Le cure contro il cancro
Come funzionano
Le terapie mirate possono agire su uno o più fronti, in particolare l’anti-angiogenesi è la via che oggi appare più promettente. Si cerca di ostacolare lo sviluppo
di nuovi vasi sanguigni, fondamentali per nutrire il cancro. Basti pensare che, con
queste molecole, è possibile aumentare la sopravvivenza in pazienti colpiti da tumori del colon-retto, della mammella, del polmone e del rene in stadio anche molto
avanzato, risultati impensabili con la sola chemioterapia.
I mediatori più studiati sono i fattori di crescita, in particolare il Vascular Endo-
28
La psiconcologia
Tra i malati di cancro esiste un forte disagio emozionale inquadrabile come distress.
I principali studi effettuati in questi anni dimostrano infatti che il 30-35% delle persone con tumore presenta sintomi di sofferenza psicologica (es. ansia, depressione).
Un punto chiave, ampiamente dibattuto, riguarda la necessità di cogliere in maniera
precoce questo disagio, inserendo anche strumenti di controllo nelle cartelle cliniche
(es. termometro del distress).
Come sottolineato dalla Società Italiana di Psiconcologia (SIPO) e dall’Associazione
Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in Italia è forte l’esigenza di affrontare queste
sofferenze con programmi di screening e con l’attuazione di percorsi integrati. Tenendo conto del ruolo del supporto psicologico al paziente, ai familiari e anche all’équipe
curante. Sono oggi disponibili diversi interventi specifici e di provata efficacia, che
impattano in modo positivo sul benessere del paziente. Nonostante questa vasta serie
di dati a favore del supporto psiconcologico, in Italia la situazione risulta precaria.
Rispetto al primo censimento effettuato nel 2005 da SIPO e FAVO, in collaborazione
con l’Istituto Superiore di Sanità, la realtà nel nostro Paese è certamente migliorata.
Sono aumentati ad esempio i servizi, ma lo scenario resta assai difforme sul territorio.
Ad oggi sono oltre 300 i centri, nelle diverse Regioni, in cui è disponibile un’assistenza in senso psiconcologico. Ma:
·la maggior parte (56%) delle strutture è al Nord;
·quasi la metà dei servizi risulta attiva in centri non pubblici;
·la continuità assistenziale non è sempre garantita;
·il rapporto tra personale strutturato e precario è in favore di quest’ultimo (62%);
·un terzo (30%) della forza lavoro impiegata è costituito da specializzandi in tirocinio e
frequentatori volontari. Un ulteriore terzo (34%) è formato da personale a contratto;
·la maggior parte del carico assistenziale (57%) ricade su una singola figura professionale piuttosto che su un’équipe.
Ulteriori criticità riguardano, in particolare, l’insufficienza di risorse economiche
dedicate all’area, la mancanza di spazi adeguati, la precarietà della figura dello psiconcologo. Mentre in altri Paesi esiste infatti un suo riconoscimento come parte integrante
dell’équipe multidisciplinare, in Italia questo non si è mai verificato, malgrado la psiconcologia sia stata inserita nelle aree programmatiche del Piano Oncologico Nazionale 2011-2013.
thelial Growth Factor (VEGF). Negli ultimi anni molti trattamenti chemioterapici
sono risultati sempre meno efficaci a causa della resistenza stessa della malattia. Gli
anti-angiogenici aggirano questo ostacolo, perché i loro target non sono le cellule
neoplastiche ma i vasi che le alimentano. Questi vantaggi hanno portato a un nuovo
paradigma nel trattamento antitumorale, non più diretto a distruggere le cellule
cancerose ma a colpirle, tenendole sotto controllo. Come ha scritto Moses Judas
Folkman, uno dei padri di questa nuova branca della medicina: “Arrestare la crescita
tumorale potrebbe portare i pazienti a convivere per anni con il tumore come con una
malattia cronica quale il diabete”.
Verso una nuova classificazione dei tumori
La possibilità di conoscere il profilo genetico e molecolare di ogni singolo tumore
ha determinato quindi una rivoluzione nell’affrontare queste malattie, dal punto di
vista diagnostico, prognostico e terapeutico. In un futuro non lontano, un cancro del
colon e uno della mammella che condividono alterazioni genetiche identiche potranno
essere classificati in uno stesso gruppo, pur nascendo da tessuti diversi. Invece, due
neoplasie che originano dallo stesso organo potranno essere incluse in categorie
completamente differenti. Gli oncologi oggi tendono a scegliere le terapie in base
alla biologia del tumore e alle mutazioni genetiche che trasformano le cellule sane
in cancerose.
La chemioterapia rappresenta, ancora oggi, l’unica scelta per affrontare alcuni
tipi di neoplasie. Ma nei tumori in cui è possibile identificare specifici bersagli
molecolari le opportunità offerte dai nuovi farmaci sono, in determinati casi, straordinarie.
29
I big killer
Tumore del polmone
Nel 2013 ha colpito in Italia oltre 38.000 persone (70% uomini e 30% donne) e
ha causato 34.000 decessi. Rappresenta l’11% di tutte le nuove diagnosi di cancro
nel nostro Paese. è la prima causa di morte per tumore nei maschi (26%) e la terza
nelle donne (11%). Si calcola che un uomo su 9 e una femmina su 36 possano sviluppare un cancro al polmone nel corso della vita. Negli ultimi anni si è registrato
un progressivo e preoccupante aumento di casi nelle donne, dovuto al diffondersi
del vizio del fumo. È infatti statisticamente dimostrato che il consumo di prodotti
a base di tabacco sia responsabile dell’85-90% dei casi di neoplasie polmonari. La
probabilità di sviluppare la malattia aumenta di 14 volte nei tabagisti rispetto ai non
fumatori (e fino a 20 volte nelle persone che consumano oltre 20 sigarette al giorno).
è una patologia subdola che, spesso, non presenta sintomi fino allo stadio
avanzato. Non vi è accordo fra gli esperti sull’opportunità di sottoporre a esami
periodici le persone a rischio (perché fumatrici o ex fumatrici). Si distinguono due
tipi principali di cancro del polmone, a seconda dell’aspetto delle cellule all’esame
microscopico: non a piccole cellule (la forma più comune); a piccole cellule (meno
frequente, ma con maggiori probabilità di diffondersi ad altri organi).
I progressi
La percentuale di persone che hanno superato la malattia da almeno 5 anni è
moderatamente aumentata tra i primi anni ’90 e la fine del primo decennio del 2000:
dal 10 al 14% nei maschi e dal 12 al 18% nelle femmine.
La chemioterapia è il trattamento di prima scelta per la maggior parte dei casi di
tumore del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule. Un’opzione terapeutica
sempre più efficace è costituita dalle terapie biologiche. In particolare, l’uso di test
genetici consente la selezione dei pazienti in cui queste terapie possono funzionare.
L’operazione chirurgica invece varia in relazione alle dimensioni e alla posizione
31
I big killer
del cancro: la pneumonectomia si esegue quando le dimensioni del tumore sono importanti e consiste nell’asportazione dell’intero polmone. La radioterapia, infine, è
uno dei trattamenti che possono essere impiegati nella variante non a piccole cellule,
in particolare quando il cancro non è ancora diffuso. Può essere utilizzata anche
per alleviare sintomi legati alla malattia, come mancanza di respiro, tosse e dolore.
32
Tumore del seno
Nel 2013 nel nostro Paese sono stati diagnosticati circa 48.000 nuovi casi di cancro al seno e 12.500 decessi. Si stima che una donna su 8 si ammalerà nel corso della
vita. Il tumore alla mammella rappresenta la neoplasia femminile più diagnosticata:
circa un tumore maligno ogni tre è un carcinoma mammario. In totale, nel nostro
Paese vivono 522.235 donne (stima per il 2006) con una diagnosi di questa malattia.
Il suo sviluppo avviene nelle ghiandole dove si produce il latte oppure nei dotti, da
dove il latte arriva al capezzolo. Anche se non è possibile indicare una causa precisa,
i fattori di rischio più probabili sono: l’età (prima dei 30 anni è raro, dopo i 40 si
assiste a un graduale aumento dell’incidenza); l’assenza di gravidanze (la gestazione
svolge un’influenza protettiva); precedenti patologie benigne al seno; familiarità (il
5-10% di tutte le neoplasie sono da imputare a questa predisposizione); sovrappeso
e obesità; stile di vita sedentario; fumo; abuso di alcol e alimentazione scorretta.
I progressi
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è in moderato e costante aumento da
molti anni (78% per le donne ammalate dal 1990 al 1992, 87% dal 2005 al 2007), in
relazione a diverse variabili, tra cui l’anticipazione diagnostica attraverso lo screening
radiologico e il miglioramento delle terapie.
Per l’individuazione precoce del tumore, i medici raccomandano l’autopalpazione del seno una volta al mese e altri esami clinici più approfonditi. La mammografia
può indicare un carcinoma mammario in uno stadio precoce, quando la neoplasia
si evidenzia con dimensioni piccole e sviluppo minore, pertanto il trattamento può
essere più efficace e la possibilità di guarigione molto elevata. La diffusione su larga
scala in Italia della mammografia, dalla seconda metà degli anni ’90, ha ridotto il
numero di decessi e ha notevolmente ridotto gli interventi di mastectomia. È indicata in tutte le donne, dai 50 anni ai 69 anni, con cadenza biennale. Nella fascia di
età tra i 40 e 50 anni andrebbe eseguita personalizzando la cadenza dell’esame sulla
base di alcuni fattori di rischio cui la paziente è portatrice, quali la storia familiare
e la densità del tessuto mammario.
Le attuali opzioni terapeutiche comprendono la chirurgia (possibile solo negli
stadi iniziali della patologia e in alcuni casi di metastasi singole), la radioterapia, la
chemioterapia, le terapie biologiche e l’ormonoterapia (o terapia ormonale). Queste
armi si possono usare da sole o in combinazione, in base allo stadio della malattia,
alle sue catteristiche biologiche e ad alcune peculiarità del paziente (età, patologie
preesistenti, ecc.).
In particolare, la chirurgia nel tumore della mammella ha compiuto progressi
notevolissimi, passando dai primi interventi mutilanti a quelli cosiddetti “conservativi”, che mirano cioè a eliminare solo la massa tumorale e il tessuto immediatamente adiacente al tumore e preservando il più possibile il muscolo. Fu Umberto
Veronesi, all’Istituto Nazionale Tumori di Milano, il primo a parlare di quadrantectomia, cioè di asportazione di un solo “quadrante” della mammella. I progressi in
questo campo consentono inoltre di ricostruire il seno già durante la mastectomia,
evitando alla paziente il distress psicologico dovuto ad un radicale cambiamento
dell’immagine corporea, un nuovo intervento chirurgico e garantendo un miglior
recupero. La quadrantectomia è l’opzione terapeutica principale nei casi in cui il
tumore non presenta dimensioni importanti ed è rimasto confinato all’organo.
È stato un oncologo italiano, Gianni Bonadonna, il primo a introdurre la chemioterapia, cioè la cura attraverso i farmaci, per il tumore del seno. Il contributo
delle ricerche di Bonadonna è stato decisivo. Infatti l’American Society of Clinical
Oncology (ASCO) ha istituito nel 2007 il “Gianni Bonadonna Breast Cancer Award
and Lecture”, che viene assegnato ogni anno ad un ricercatore che si sia distinto
in questo campo. Di recente, nei casi operati ma ad alto rischio di recidiva per
l’interessamento dei linfonodi ascellari, la somministrazione di regimi accelerati
(più ravvicinati) di chemioterapia ha prodotto un tasso minore di ricaduta rispetto
a trattamenti più convenzionali. Questo risultato è dovuto a studi di un gruppo
cooperativo italiano (GIM-Gruppo Italiano Mammella) coordinati dagli Istituti di
Roma, Genova e Napoli che coinvolge 150 Istituzioni italiane.
La recente introduzione di nuove molecole biologiche ha rivoluzionato le aspettative terapeutiche e incrementato le possibilità di guarigione nelle pazienti colpite
da una forma particolarmente aggressiva, il tumore al seno HER2 positivo (sigla che
indica la proteina prodotta da un gene specifico) e che si trova espressa in una donna
su 4 con tumore al seno. In questi casi, l’uso di test genetici consente la selezione
delle pazienti in cui queste terapie possono funzionare.
Nella lotta contro questa neoplasia gli oncologi hanno a disposizione un’ulteriore
arma, l’ormonoterapia. Consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano
33
I big killer
l’attività degli ormoni estrogeni, coinvolti nello sviluppo di almeno un terzo dei
tumori mammari. La possibilità di ricorrere a questo tipo di terapia dipende dalla
presenza di recettori estrogenici (e/o progestinici) sulle cellule tumorali.
Tumore del colon-retto
34
è in assoluto il tumore più frequente nella popolazione italiana, con quasi 55.000
diagnosi stimate nel 2013 (oltre 20.000 i decessi). Rappresenta la quarta neoplasia
più diffusa a livello mondiale. È abbastanza rara prima dei 40 anni, sempre più
frequente a partire dai 60.
I fattori di rischio più importanti sono costituiti da stili di vita scorretti e familiarità. Numerose ricerche hanno dimostrato come un consumo eccessivo di carni
rosse, insaccati, farine e zuccheri raffinati, unito a una dieta povera di frutta e verdura, possa favorire lo sviluppo della patologia. Senza dimenticare altre condizioni
e abitudini errate come: sovrappeso, scarsa attività fisica, fumo e abuso di alcol.
Circa un terzo dei tumori del colon-retto dipende da fattori ereditari. Il rischio
infatti aumenta di 2-3 volte in chi ha un familiare di primo grado (padre, madre o
fratello) già colpito dalla malattia. Questo tumore spesso non manifesta particolari
sintomi, almeno nelle prime fasi. Nella maggior parte dei casi deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi: piccole escrescenze, di per sé benigne, dovute
alla riproduzione incontrollata delle cellule della mucosa intestinale.
Il programma di screening del colon-retto è indirizzato a uomini e donne dai 50 ai
69 anni di età. È un intervento di prevenzione attiva, mediante il test di ricerca di sangue occulto nelle feci e successiva colonscopia nei casi positivi, con ripetizione regolare
ogni 2 anni. Lo screening può consentire il riscontro e la rimozione di adenomi prima
della trasformazione in carcinoma e l’eventuale diagnosi di neoplasia in stadio iniziale.
La prevenzione è fondamentale: il tumore del colon-retto si può evitare seguendo
uno stile di vita sano. Infatti, un consumo regolare di frutta e verdura, l’assunzione
di vitamina D e calcio e un esercizio fisico costante possono ridurre il rischio di
ammalarsi.
I progressi
La malattia presenta una prognosi sostanzialmente favorevole e in progressivo
aumento: dal 50% a 5 anni dei primi anni ’90 al 64% del 2005-2007 nei maschi, a
rispettivamente 51% e 63% nelle donne.
La terapia di prima scelta è costituita dalla chirurgia. Anche in questa forma di
tumore (come nel seno), gli interventi ormai non sono demolitivi, ma sempre più
conservativi.
La chemioterapia è utilizzata sia nella malattia operabile sia in quella avanzata, non operabile. Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia della chemioterapia
adiuvante, cioè effettuata dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di
recidiva. La radioterapia è indicata nella fase postoperatoria insieme alla chemioterapia, ma trova indicazione anche nella fase preoperatoria, da sola o in associazione
alla chemioterapia.
Negli ultimi anni l’introduzione di farmaci biologici sempre più efficaci ha contribuito a migliorare le percentuali di sopravvivenza. In particolare, l’uso di test
genetici consente la selezione dei pazienti in cui queste terapie possono funzionare.
Tumore della prostata
Nell’ultimo decennio è diventata la forma di cancro più frequente fra gli uomini
nei Paesi occidentali. Il carcinoma prostatico rappresenta il 20% di tutti i tumori
diagnosticati a partire dai 50 anni di età. Nel 2013, si sono stimati nel nostro Paese
circa 36.000 nuovi casi e 9.000 decessi. La neoplasia non presenta sintomi specifici. I
disturbi che si possono riscontrare sono gli stessi dell’iperplasia prostatica benigna,
una patologia molto frequente negli over 50, che si manifesta attraverso frequente
e incontenibile necessità di urinare (sia di giorno che di notte), possibile dolore alla
minzione e presenza di sangue nelle urine. Le cause del cancro alla prostata rimangono, quindi, ancora sconosciute. È scientificamente provato come alcuni fattori
dietetici e comportamentali, oltre all’età, possano essere associati alla malattia. Tra
questi, alimentazione (una dieta ricca di grassi), sedentarietà, sostanze chimiche
(cadmio, alcuni fertilizzanti e coloranti) e alti livelli di androgeni nel sangue.
Per diagnosticare la neoplasia esiste l’esame del PSA. Si tratta di una semplice
analisi del sangue che misura la quantità di Prostate Specific Antigene, una proteina
secreta dalla ghiandola e normalmente presente nell’organismo in piccole quantità.
È dimostrato, infatti, che il livello aumenta in presenza di un tumore. Non tutti gli
specialisti però sono d’accordo sulla affidabilità di questo esame. Secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), non è stabilita una soglia standard
che indichi con certezza il cancro alla prostata. I valori elevati di PSA possono essere
dovuti anche ad altri fattori come infiammazioni o infezioni. In questi casi sono
35
I big killer
necessari ulteriori accertamenti, in particolare attraverso la biopsia, per arrivare a
una diagnosi più precisa. Al tradizionale test del livello di PSA si possono affiancare
due nuovi marcatori (PHI e PCA3). In questo modo è possibile ottenere risultati più
specifici e quindi di maggiore affidabilità.
I progressi
36
La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico è attualmente attestata
al 91% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita.
Le principali armi a disposizione sono rappresentate da chirurgia, radioterapia
e ormonoterapia. Il ricorso al bisturi è spesso inevitabile per rimuovere la parte del
tumore che ostruisce l’uretra, il canale che trasporta l’urina dalla vescica al pene.
La radioterapia prevede di solito l’irradiazione esterna, ma in alcuni casi si può
procedere anche a quella interna. Il tumore della prostata dipende dagli ormoni
maschili, gli androgeni. Può quindi essere curato con l’ormonoterapia, che ha lo
scopo di ridurre il livello di testosterone.
Negli ultimi 5 anni vi sono stati cambiamenti decisivi nel trattamento. La sopravvivenza media, infatti, è decisamente migliorata. Un tempo la malattia poteva
essere contrastata solo con la terapia antiormonale. Oggi nuovi farmaci chemioterapici hanno cambiato radicalmente le prospettive, anche per la fase metastatica.
In alcuni casi (pazienti anziani o con tumori di piccole dimensioni e a basso
rischio) si può scegliere di non procedere con nessuna terapia (cosiddetta “attesa
vigile”) e di aspettare. Diverse forme di tumore della prostata sono infatti poco
aggressive, tendono a rimanere localizzate e a crescere poco. In questi casi, anche
in considerazione dell’età, può risultare preferibile mantenere il quadro clinico sotto
controllo piuttosto che intervenire e aumentare così il rischio di effetti collaterali.
Tumore dello stomaco
In Italia nel 2013 si sono stimati circa 13.200 nuovi casi di carcinoma gastrico
e 10.000 decessi (il 58% nei maschi). Rappresenta la quinta causa di morte per
tumore in Occidente, anche se in Europa e negli Stati Uniti la sua incidenza è in
calo. L’Italia si colloca tra i Paesi con livelli di mortalità e incidenza intermedi. Nel
nostro Paese i decessi sono minori al Sud e maggiori al Centro-Nord, soprattutto in
aree geografiche tradizionalmente a rischio elevato (Appennino tosco-romagnolo
e marchigiano).
Numerosi studi confermano che il cancro gastrico viene favorito dall’infezione
da Helicobacter pylori; dal forte consumo di carni rosse, cibi affumicati e conservati
ricchi di nitrati; da un’alimentazione povera di frutta e verdura; dal consumo di
sigarette e di alcol. Anche se non si può parlare di tumori ereditari dello stomaco,
si è però visto che è più facile ammalarsi in alcuni gruppi familiari.
Purtroppo è difficile diagnosticare il cancro gastrico in fase iniziale. I sintomi
sono molto generici, possono essere confusi con quelli di una gastrite e spesso
compaiono quando la malattia è avanzata. Per scoprirla precocemente e curarla
tempestivamente, è importante conoscere i segnali, cioè le “spie” del tumore. I campanelli d’allarme possono essere: cattiva digestione, nausea, mancanza di appetito,
dolore dopo aver mangiato (localizzato soprattutto nella parte alta dello stomaco),
presenza di ulcera gastrica (può portare la mucosa gastrica a uno stato di progressivo deterioramento e, alla fine, al tumore).
I progressi
Nel periodo 2005-2007 la sopravvivenza per questa malattia si conferma bassa
(34% a 5 anni nei maschi, 36% nelle femmine) e in modesto aumento rispetto ai periodi precedenti.
Negli ultimi anni, però, sono stati introdotti in terapia anche alcuni farmaci
biologici. In particolare, l’uso di test genetici consente la selezione dei pazienti in
cui queste terapie possono funzionare. L’individuazione di bersagli cellulari porterà
allo sviluppo di trattamenti sempre più efficaci.
L’intervento chirurgico di asportazione dello stomaco (molto spesso totale) rappresenta la tappa fondamentale nel trattamento della neoplasia. In questo caso la
cavità gastrica viene rimpiazzata, nel corso dell’intervento, da un’ansa intestinale
che, nell’arco di pochi mesi, “impara” a svolgere quelle funzioni di serbatoio che
costituiscono il principale ruolo fisiologico dello stomaco. L’approccio polichemioterapico (utilizzo di diversi farmaci chemioterapici) è quello più diffuso. Viene
utilizzato soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. La radioterapia è invece
un’opzione poco impiegata.
Tumore del pancreas
Il delicato funzionamento di questo organo può essere messo in discussione
da alcune malattie. Infiammazioni più o meno gravi (pancreatiti) sono in grado
di danneggiarlo seriamente e, come tutti gli altri organi del nostro corpo, anche il
37
I big killer
38
pancreas può subire l’attacco di un tumore. La sua testa è la sede colpita con maggior
frequenza, anche a causa del suo grande volume. Circa il 95% di tutte le neoplasie
che lo interessano riguarda la componente “esocrina”, la porzione che produce i
succhi pancreatici. Il tumore del pancreas colpisce ogni anno in Italia circa 12.200
persone (la maggior parte di età compresa tra i 60 e gli 80 anni).
Si tratta di un nemico insidioso, perché in fase precoce non dà sintomi particolari. Segnali chiari compaiono quando ha ormai iniziato a diffondersi agli organi
circostanti o ha bloccato i dotti biliari. Proprio per questi motivi il carcinoma
pancreatico è una delle neoplasie a prognosi più infausta: solo il 7% degli uomini
e il 9% delle donne risultano vivi a 5 anni. La malattia ha un grande nemico: un
corretto stile di vita. In particolare, è dimostrato che le sigarette aumentano del 70%
la probabilità di svilupparla.
I progressi
Non si sono verificati sensibili scostamenti nella sopravvivenza nell’ultimo ventennio. Fino a oggi. Per lunghi anni l’unico trattamento si è basato su un solo farmaco
chemioterapico. Recentemente, una combinazione di tre molecole ha determinato un
significativo vantaggio, raddoppiando quasi la sopravvivenza dei malati.
Purtroppo, solo una piccola frazione di loro può giovarsi di questo trattamento,
che è aggressivo e va riservato a persone in buone condizioni generali. Gli ultimi
progressi nel campo della ricerca hanno però permesso di compiere ulteriori e
promettenti passi avanti. Le protagoniste assolute di questa rivoluzione sono le nanotecnologie, che aprono nuovi orizzonti nella personalizzazione della terapia. Nel
caso del tumore del pancreas, un nuovo trattamento sta dando per la prima volta
risultati incoraggianti, con un aumento della sopravvivenza del 27%. Il farmaco è
in grado di arrivare alla radice del tumore, arrestandone così la crescita.
Le altre forme di tumore
Tumore del fegato
Nel 2013 si sono stimati nel nostro Paese circa 13.200 nuovi casi di tumore del
fegato, il 3% di tutte le nuove diagnosi di cancro (con un rapporto di circa 2:1 tra
maschi e femmine), e 5.000 decessi.
Nei Paesi occidentali, lo sviluppo della malattia è strettamente correlato alla
presenza di cirrosi epatica. Circa l’80% dei tumori ha origine da un fegato colpito
da cirrosi o da epatite cronica (virus dell’epatite B o dell’epatite C). Altri fattori di
rischio includono: abuso di alcol, esposizione ad aflatossine (prodotte da una muffa
che cresce in noci, semi e legumi), malattie dovute ad accumulo di ferro, obesità e
diabete. Nelle persone affette da epatite B cronica, la malattia di solito progredisce
dopo molti anni fino alla fibrosi, alla cirrosi e al cancro del fegato. Nello stesso modo,
i pazienti con epatite C cronica rischiano di sviluppare la cirrosi, che aumenta le
probabilità di carcinoma epatico. La vaccinazione è il miglior metodo di prevenzione dell’epatite B, ma è efficace solo in chi non è mai stato esposto al virus. Non è
ancora disponibile, invece, il vaccino per l’epatite C.
I progressi
Il 17% degli uomini e il 16% delle donne che hanno sviluppato questa neoplasia
risultano ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi.
Rispetto ai quinquenni precedenti la speranza di vita appare proporzionalmente
migliorata, sia pure nel contesto di una malattia comunque a prognosi infausta.
Fino a circa 20 anni fa l’unica opzione terapeutica era rappresentata dalla chirurgia
(resettiva e trapianto), ma dagli inizi degli anni Novanta sono state introdotte nella
pratica clinica procedure mini-invasive quali la termoablazione, l’alcolizzazione e
la chemioembolizzazione.
Ulteriori alternative sono rappresentate dalla chemioterapia e dalla radioterapia.
La chirurgia è indicata quando il tumore è localizzato, cioè non si è esteso al di fuori
39
Le altre forme di tumore
del fegato. Tuttavia solo una piccola quota di pazienti rientra in questi criteri e può
beneficiarne. Lo stesso discorso vale per il trapianto, che non può essere considerato
una soluzione, anche per il ridotto numero di organi a disposizione. La termoablazione si è dimostrata negli anni molto efficace per il controllo della malattia,
con percentuali di recidive locali e di sopravvivenza sovrapponibili a quelle della
chirurgia resettiva.
Questa tecnica presenta, inoltre, minori complicanze e ha il vantaggio di poter
essere ripetuta più volte nel caso in cui compaiano ulteriori lesioni epatiche. Sono
in corso sperimentazioni con farmaci biologici e terapie target, capaci di colpire un
bersaglio specifico espresso dalle cellule tumorali.
40
Melanoma
Il melanoma è il tumore che, nel mondo, ha registrato il maggior incremento negli ultimi 60 anni. Attualmente in Italia è la terza neoplasia più frequente, in entrambi
i sessi, al di sotto dei 50 anni. Nel 2013 nel nostro Paese si sono registrati circa 10.500
nuovi casi, con 1.500 decessi. Va sottolineato che l’età dei malati si sta abbassando
progressivamente. Dieci anni fa i giovani rappresentavano solo il 5% dei casi e questo tumore della pelle riguardava soprattutto gli over 50. Oggi il 20% delle nuove
diagnosi viene formulato in pazienti di età compresa tra 15 e 39 anni. Tra i fattori
di rischio ricordiamo: carnagione chiara, precedenti casi in famiglia, la presenza di
numerosi nevi congeniti o acquisiti di dimensioni crescenti. Il maggiore fattore di
rischio ambientale è stato identificato nelle radiazioni UV: influiscono nella patogenesi le dosi assorbite, il tipo di esposizione (intermittente più che cronica) e l’età
(a maggior rischio i bambini e gli adolescenti). Il sole va preso nei tempi e nei modi
giusti e non devono essere utilizzati i lettini solari (vietati in Italia agli under 18).
Uno studio dello IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha
dimostrato che l’esposizione a queste apparecchiature, se avviene in età inferiore
ai 30 anni, comporta un aumento di rischio di melanoma del 75%. Una visitata
dermatologica annuale permette di identificare le lesioni sospette. Il melanoma, se
individuato in fase iniziale, può essere asportato chirurgicamente ed è guaribile nel
90% dei casi. In stadio avanzato, quando si è diffuso ad altre parti del corpo, è più
difficile da trattare. Per questo la prevenzione è fondamentale.
I progressi
Il melanoma se viene riconosciuto in tempo presenta una buona prognosi. Gra-
zie alle campagne pubbliche di sensibilizzazione volte ad incoraggiare la diagnosi
precoce, la sopravvivenza a 5 anni è aumentata nel corso degli ultimi 20 anni di circa
il 15% nei maschi e del 6% delle femmine. Se non viene individuato in fase iniziale,
può diffondersi ad altre parti dell’organismo, come fegato, polmoni, ossa e cervello
con prognosi sfavorevole nella maggior parte dei casi.
Nello stadio avanzato, difficile da trattare con le terapie convenzionali, non si
registravano progressi significativi da decenni. Il melanoma si è rivelato il “candidato ideale” nell’applicazione dei principi dell’immunoterapia: un farmaco immunoterapico, con un meccanismo d’azione innovativo, ha rappresentato il primo
significativo avanzamento nel trattamento della malattia metastatica negli ultimi
trent’anni, con una potenziale sopravvivenza a lungo termine in alcuni pazienti.
Inoltre, una nuova terapia mirata si è dimostrata efficace nel migliorare la sopravvivenza nelle persone con melanoma avanzato positive alla mutazione di un gene
(presente in circa la metà di tutti i casi). Per individuare i pazienti candidati a questo
trattamento è necessario effettuare un test molecolare per verificare la presenza della
mutazione genetica.
Tumore del rene
In Italia nel 2013 si sono registrati circa 12.700 nuovi casi di tumore del rene (e delle
vie urinarie), con circa 3.200 decessi. Si tratta di una malattia difficile da diagnosticare
perché, soprattutto nelle fasi iniziali, dà pochi segni. Prevale nei maschi (con un rapporto di 2 a 1 fra uomini e donne) e colpisce soprattutto gli over 60. Questa malattia
sembra verificarsi più frequentemente nelle aree urbane rispetto a quelle rurali: le
cause precise non sono ancora note, ma si conoscono alcuni possibili fattori di rischio,
in particolare il fumo di sigaretta. Secondo alcune stime, l’abolizione di questo vizio
potrebbe ridurre del 20% la probabilità di sviluppare la malattia. Anche l’obesità e
l’ipertensione arteriosa sono stati identificati come fattori favorenti. Inoltre, l’elevato
consumo di grassi animali (carni, latticini) può essere una concausa, mentre una dieta
ricca di vegetali può svolgere un ruolo protettivo. Esiste inoltre una componente di
rischio legata a fattori genetici.
I sintomi caratteristici del tumore renale sono tre: presenza di sangue nelle urine
(ematuria); dolore al fianco, dorso, addome; massa palpabile. Nel 30% dei casi il riscontro è occasionale: un paziente si sottopone a un accertamento radiologico a livello
addominale (ecografia, TAC, RMN) per altri motivi e casualmente viene individuata
una massa renale. Questa “accidentalità” è in realtà un evento fortunato perché con-
41
Le altre forme di tumore
sente spesso di riscontrare la patologia in uno stadio precoce, guaribile più facilmente
in maniera definitiva con l’intervento chirurgico.
I progressi
42
Il 69% degli uomini che ha contratto un tumore del rene (e il 65% con diagnosi di
tumore a pelvi e vie urinarie) nella seconda metà degli anni 2000 risulta ancora in
vita a 5 anni dalla diagnosi. Nello stesso periodo, nelle donne, la sopravvivenza per
tumori renali è del 73% a 5 anni.
I fondamenti del trattamento del cancro del rene sono oggi costituiti dalla chirurgia e dalla terapia mirata, mentre radioterapia e chemioterapia hanno dato scarsi
risultati e rappresentano una scelta secondaria. Il trattamento chirurgico standard
consiste nella nefrectomia, cioè nell’asportazione del rene e della parte adiposa
che lo avvolge. Se la lesione non è estesa, si può eseguire una nefrectomia parziale, asportando solo il tumore e una parte di rene sano adiacente. La tecnica della
laparoscopia consente di asportare il rene attraverso una piccola incisione. Questa
operazione ha il grande vantaggio di lasciare una cicatrice molto piccola e, quindi,
di avere tempi di recupero più brevi. Inoltre ha evidenziato gli stessi risultati della
chirurgia tradizionale.
Recentemente sono stati sviluppati nuovi farmaci mirati, promettenti per il
trattamento di pazienti con malattia avanzata e metastatica. Questi farmaci svolgono un’azione “anti-angiogenica” (anticorpi monoclonali anti-VEGF), hanno cioè
la capacità di inibire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questo meccanismo
interferisce con lo sviluppo del tumore che, per crescere, ha bisogno di ossigeno e
di sangue e dunque di nuovi vasi sanguigni che lo irrorino.
Tumore del testicolo
Nel 2013 in Italia si sono registrati circa 2.200 nuovi casi di cancro del testicolo.
È la forma di tumore più frequente nei giovani uomini (0-49 anni): rappresenta
infatti l’11% del totale delle diagnosi oncologiche in questa fascia di età. La malattia
esordisce, solitamente, con alcuni segni che non devono essere sottovalutati: rigonfiamento del testicolo, perdita di volume, sensazione di pesantezza e/o improvvisa
formazione di liquido nello scroto, dolore sordo nella parte inferiore dell’addome o
all’inguine, dolore o senso di disagio al testicolo, sangue nelle urine.
Le cause di questa neoplasia restano sconosciute. È dimostrato che i pazienti
con criptorchidismo (testicolo che non discende nello scroto durante lo sviluppo)
hanno una probabilità da 10 a 40 volte superiore di sviluppare la malattia. Un altro
importante fattore di rischio è la sindrome di Klinefelter, un difetto dei cromosomi.
I progressi
Il dato di sopravvivenza a 5 anni relativo a questa forma di cancro, già elevato se
confrontato con altri tumori, è aumentato costantemente negli ultimi due decenni. Si
è passati dall’86% del periodo 1990-92 al 94% del 2005-2007.
Se il raffronto viene esteso agli ultimi 40 anni, i dati sono ancora più evidenti: nel
1970 il 90% dei pazienti con cancro testicolare moriva. Dagli anni Novanta, grazie
all’introduzione di nuovi farmaci, la situazione si è invertita: oggi il 90% dei malati
può essere trattato con successo.
Se la malattia è individuata in fase iniziale ed è limitata al testicolo, la chirurgia,
con o senza radioterapia, rappresenta la prima scelta. Nelle forme più avanzate, invece, è necessario utilizzare la chemioterapia. Questa neoplasia è estremamente sensibile agli effetti dei farmaci, con cui si raggiungono ottimi risultati. Si tratta quindi
di un tumore curabile nella maggioranza dei casi. Soprattutto se viene trattato in
centri con esperienza specifica, dove sono presenti tutte le competenze necessarie
anche per la gestione delle problematiche correlate ai trattamenti. Prima fra tutte,
la preservazione della fertilità.
Tumore dell’utero
Nel 2013 in Italia 10.200 donne si sono ammalate di tumore dell’utero: 8.200
sono state colpite al corpo dell’utero e 2.000 alla cervice. Quasi tutte le neoplasie
del corpo dell’utero originano dalle cellule dell’endometrio e sono chiamate carcinomi endometriali: costituiscono il quarto tumore più frequente nelle donne (4%
del totale). Le forme cervicali occupano il quinto posto nelle under 50 (5% di tutte
le neoplasie di questa fascia d’età).
Per quanto riguarda il cancro dell’endometrio, l’età rappresenta il principale
fattore di rischio. Anche obesità (legata a una dieta troppo ricca di calorie e grassi) e
diabete possono favorirne lo sviluppo. In una percentuale limitata di casi, il tumore
dell’endometrio è associato a una forma eredofamiliare quale la sindrome di Lynch,
che predispone soprattutto al tumore del colon ma anche a quello della mammella.
La principale causa di sviluppo di un tumore della cervice è invece l’infezione da
Papilloma virus (HPV), che si trasmette per via sessuale. Il tumore della cervice
uterina può essere prevenuto se si riconosce e si cura l’infezione da HPV oppure
43
Le altre forme di tumore
può essere diagnosticato in fase molto iniziale se viene effettuato regolarmente lo
screening con il Pap-test.
I progressi
44
La mortalità per questi due tumori (cervice uterina e corpo dell’utero) è stabilmente in calo negli ultimi due decenni (–2,1%/anno). La sopravvivenza a 5 anni per i
carcinomi cervicali è aumentata negli ultimi 20 anni dal 63% al 71%, mentre per la
patologia endometriale è passata dal 73% al 77%.
Questi successi indiscutibili sono dovuti in larga parte anche al miglioramento delle procedure diagnostiche e, per il tumore della cervice, all’estensione dello
screening con il Pap-test e il test HPV-DNA. Il 98% delle donne con un tumore alla
cervice uterina scoperto precocemente è vivo a cinque anni. Se la diagnosi è invece
tardiva si scende al 30%. Le opzioni terapeutiche sono costituite da chirurgia, radioterapia e chemioterapia.
Un’arma che si sta rivelando fondamentale per la prevenzione primaria del cancro della cervice uterina è la vaccinazione contro il Papilloma virus (HPV). In Italia,
tutte le Regioni hanno avviato questa misura di profilassi contro l’infezione da HPV
dalla fine del 2008. L’offerta vaccinale gratuita (come stabilito dal Piano Nazionale
Prevenzione Vaccinale) è limitata alle sole dodicenni, nonostante vi sia la possibilità
di estendere la protezione anche alle donne fino ai 45 anni e agli uomini fino ai 26,
dal momento che uno dei due vaccini, il quadrivalente, è indicato per entrambi i
generi. La profilassi è molto efficace se effettuata prima dell’inizio dell’attività sessuale, perché determina una protezione prima di un eventuale contagio con l’HPV.
Tumore della vescica
In Italia si sono stimate circa 27.000 nuove diagnosi di tumore della vescica nel
2013 (il 7,4% dei nuovi casi di cancro): 22.000 tra gli uomini e 5.000 tra le donne.
Questa neoplasia rappresenta il 3,6% del totale dei decessi per cancro (4,9% tra i
maschi, 1,8% tra le femmine).
Il principale fattore di rischio è costituito dal fumo di sigaretta. La probabilità di
sviluppare la malattia nei tabagisti è da 4 a 5 volte superiore rispetto ai non fumatori. Va sottolineato che circa il 25% dei casi è attribuibile a esposizioni lavorative,
in particolare alle amine aromatiche e nitrosamine (frequente nell’industria tessile,
dei coloranti, della gomma e del cuoio).
Non esistono segni specifici che permettono una diagnosi precoce. Il più frequente, la presenza di sangue nelle urine (ematuria), è infatti comune anche alle
infezioni urinarie. Oltre all’ematuria, i principali sintomi iniziali possono essere:
la necessità più frequente di minzione, l’urgenza, il dolore o la difficoltà all’atto di
urinare.
I progressi
L’80% dei maschi e delle femmine che ha contratto un tumore della vescica nella
seconda metà degli anni 2000 risulta ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi. Rispetto ai
periodi precedenti, la speranza di vita appare moderatamente migliorata, soprattutto
grazie alla tendenza a diagnosticare lesioni in stadio sempre più precoce.
In caso di neoplasie superficiali e di piccole dimensioni il trattamento chirurgico
consiste in una resezione endoscopica transuretrale che, in alcuni casi, può essere
risolutiva. Questa tecnica consiste nell’introduzione nella vescica di un sottile endoscopio, dotato anche di illuminazione, attraverso l’uretra, con cui si asporta il
tumore, la sua base di impianto ed i margini circostanti. In caso di neoplasie di dimensioni maggiori o che interessano più in profondità la parete della vescica, il trattamento standard è la cistectomia radicale, l’asportazione cioè dell’intera vescica,
della prostata, e delle vescichette seminali negli uomini e dell’utero e degli annessi
nelle donne; vengono inoltre asportati i linfonodi regionali. L’approccio terapeutico
prevede oggi interventi combinati che possono includere, in combinazioni diverse:
chirurgia, chemioterapia e radioterapia.
45
46
Le principali norme di prevenzione
1 No al fumo
il 25-30% di tutte le neoplasie è collegato al consumo di tabacco. Ogni
anno, nel mondo, tre milioni di persone perdono la vita per questa
causa. Numerose ricerche confermano la pericolosità anche del fumo
passivo.
2 Modera il consumo
di alcol
le bevande alcoliche aumentano il rischio di cancro del cavo orale,
della faringe, dell’esofago e della laringe. Sono inoltre fortemente
correlate anche all’insorgenza di tumore del fegato, dell’intestino e della
mammella. L’assunzione è assolutamente sconsigliata prima dei 15 anni.
3 Segui la dieta
mediterranea
è dimostrato che il maggior consumo di frutta e verdura (specialmente
se crude) ha un forte effetto protettivo sul rischio di numerose forme
tumorali, in particolare a carico degli apparati digerente e respiratorio.
4 Controlla il peso
l’obesità e l’elevata assunzione di grassi sono importanti fattori di
pericolo. Le persone in sovrappeso presentano tassi maggiori di
mortalità per cancro del colon-retto, della prostata, dell’utero, della
cistifellea e della mammella.
5 Pratica attività fisica
lo sport riduce in modo notevole le possibilità di sviluppare una
neoplasia. I sedentari hanno una probabilità del 20-40% superiore di
ammalarsi. L’effetto protettivo dell’attività fisica praticata da giovani
dura nel tempo, ma è buona norma restare in movimento a tutte le età.
6 No alle lampade solari
e attenzione a nei e
noduli
le lampade abbronzanti sono considerate cancerogene al pari delle
sigarette. Un’esposizione precoce, in particolare prima dei 30 anni,
incrementa del 75% il rischio di sviluppare il melanoma. La presenza
di nei indica inoltre una maggiore predisposizione allo sviluppo di
neoplasie della pelle.
7 Proteggiti dalle
malattie sessualmente
trasmissibili
il 15-20% dei tumori deriva da infezioni che possono essere prevenute.
Alcune di queste, come l’epatite o il Papilloma virus, si trasmettono
anche con i rapporti sessuali con persone infette.
8 No all’uso di sostanze
dopanti
gli steroidi anabolizzanti aumentano il rischio di tumori, in particolare
a fegato, prostata e reni.
L’importanza della prevenzione
La prevenzione è l’arma più efficace per sconfiggere sul tempo il cancro. Il 40%
dei tumori, infatti, si può prevenire con l’adozione di stili di vita sani (vedi tabella
nella pagina a sinistra), affiancata dall’abitudine a sottoporsi a visite ed esami di
controllo per la diagnosi precoce.
Il concetto di prevenzione del cancro ha assunto maggiore importanza negli
ultimi decenni, in seguito all’incremento dei nuovi casi. Si è passati da un approccio solamente curativo a uno preventivo. Risale al 1981 la pubblicazione, da
parte di due importanti epidemiologi (Richard Doll e Richard Peto), del primo
elenco scientificamente controllato dei principali fattori di rischio che determinano la comparsa di un cancro. Tra gli elementi individuati in questo studio
compaiono il fumo di sigaretta, l’alimentazione e altre cause come virus, ormoni
e radiazioni.
Oggi l’approccio è di tipo multifattoriale, cioè la probabilità reale di contrarre
la malattia è data dalla combinazione dei diversi fattori di rischio. Inoltre, si è capito che le misure “cautelative” non sono limitate solo alle fasi che precedono l’insorgenza della malattia (prevenzione primaria), ma possono essere applicate anche
quando la patologia è già presente (prevenzione secondaria e terziaria).
La prevenzione primaria
Consiste nell’individuazione dei fattori di rischio che possono generare lo sviluppo della malattia, nella loro riduzione o eliminazione. Le strategie di prevenzione primaria possono essere dirette a tutta la popolazione (per esempio quelle che
riguardano il modo corretto di alimentarsi o di praticare attività fisica) o a categorie
di persone considerate “a rischio” (per esempio chi ha un particolare “corredo genetico” o i fumatori). Rientrano nella categoria anche i vaccini contro specifici agenti
infettivi, quali il virus dell’epatite B (legato allo sviluppo di tumori del fegato) o il
Papilloma virus umano (HPV, responsabile del cancro della cervice uterina).
47
L’importanza della prevenzione
Una corretta prevenzione primaria non si basa però soltanto sull’identificazione dei fattori di rischio, ma anche e soprattutto sulla valutazione di quanto l’intera
popolazione o il singolo individuo sono esposti a tali elementi. Ecco perché si attua principalmente attraverso l’educazione sanitaria e una corretta informazione
e sensibilizzazione.
L’autopalpazione
48
È un esame che la donna può effettuare a casa. Permette di scoprire il tumore del seno
quando è ancora molto piccolo. Questo gesto molto semplice può essere salva-vita: basta
posizionarsi davanti allo specchio ed esaminare le mammelle. Prima con le braccia sopra
la testa, poi spingendo le mani sui fianchi, inclinandosi in avanti. È necessario controllare se ci sono cambiamenti di forma o di grandezza del seno, lievi depressioni o retrazioni
della pelle o dei capezzoli, rossore, dolore localizzato e secrezioni mai notate prima.
L’autopalpazione è un primo strumento di prevenzione del tumore del seno, ma da sola non è sufficiente. Deve essere abbinata, a partire dai 50 anni (o anche prima in caso di familiarità o
alterazioni), ad esami strumentali più precisi come la mammografia.
Numerosi progetti educazionali sono stati negli anni promossi e realizzati da
Istituzioni come il Ministero della Salute e da associazioni come AIRC (Associazione
Italiana Ricerca sul Cancro), Healthy Foundation, Fondazione Veronesi, LILT (Lega Italiana Lotta Tumori), FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), ANT (Associazione Nazionale Tumori) ed enti locali.
Ecco le principali campagne di informazione per la prevenzione oncologica
promosse dalla Fondazione “Insieme contro il Cancro”, con AIOM (Associazione
Italiana Oncologia Medica) e AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro):
Nato nel 2010, il progetto “Non fare autogol” (nonfareautogol.it) è
dedicato alla formazione e sensibilizzazione degli studenti delle
scuole superiori di tutta Italia, rispetto ai principali fattori di rischio oncologico. In cinque anni la campagna ha raggiunto oltre
un milione di ragazzi. Per rendere più incisivo il messaggio vengono coin-
volti i calciatori di tutte le squadre di serie A che, a fianco degli oncologi,
incontrano i giovani per un progetto nazionale itinerante di educazione a
corretti stili di vita: lotta al fumo, all’alcol, alla dieta scorretta, alla sedentarietà, alla scorretta esposizione al sole, all’utilizzo delle lampade abbronzanti, al sesso non protetto e al consumo di sostanze dopanti. Per ribadire
questo concetto, al fianco di AIOM e Fondazione “Insieme contro il Cancro” si sono schierati la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il CONI, la
Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e la Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI). Per massimizzare la ricaduta educazionale, inoltre, sono
stati attivati un sito internet, un canale Youtube, una pagina Facebook e un
profilo Twitter.
“Fai il tifo per la tua salute” è il progetto che ha sensibilizzato i tifosi negli
salute stadi italiani sull’importanza degli stili di vita sani. Sono stati distribuiti opuscoli informativi su come si possa e si debba praticare esercizio
tutti i giorni, in qualsiasi stagione dell’anno. Inoltre, è stato somministrato un sondaggio su attività fisica, fumo e alimentazione per indagare il livello di conoscenza dei tifosi sulla prevenzione oncologica. Il
progetto è partito allo Stadio Olimpico di Roma durante il campionato
di calcio di Serie A 2013/2014. Ha raggiunto finora oltre 100mila persone e,
nella stagione 2014/2015, si allargherà ad altri stadi di calcio.
Fai il tifo per la tua
I benefici dell’attività fisica
nella prevenzione dei tumori
insieme
insieme
contro il cancro
contro il cancro
c o l o re
ha
l a l o tt a al
“La lotta al cancro non ha colore” (lalottaalcancrononhacolore.org) è la prima
la lotta
al cancro per la prevenzione dei tumori, lanciata ad aprile
campagna
nazionale
non ha colore
2014, indirizzata ai cittadini più disagiati. In particolare agli immigrati
can
che abitano nel nostro Paese. In Italia vivono oltre 4,5 milioni di stracro non
nieri (il 7,5% della popolazione). Meno della metà di questi aderisce agli
esami di screening contro il cancro: percentuali inferiori, in media, del 50%
rispetto agli italiani. Con la conseguenza che si arriva tardi alla diagnosi,
fino a 12 mesi dopo, quando la malattia diventa difficile da trattare e fa registrare un maggior numero di decessi, superiore del 20%. Uno degli obiettivi
della campagna è che, entro tre anni, le percentuali di adesione ai controlli
preventivi tra gli stranieri raggiungano quelle degli italiani. Durante la settimana che ha preceduto la finale di TIM Cup di calcio tra Napoli e Fiorentina del 3 maggio 2014, i cittadini hanno potuto supportare il progetto con gli
“SMS Solidali” al numero 45594. Il ricavato della raccolta fondi è utilizzato
49
L’importanza della prevenzione
per numerose iniziative di sensibilizzazione e informazione, indirizzate anche alle regioni del Sud Italia dove le percentuali di adesione agli screening
sono inferiori rispetto al Settentrione. La campagna ha il sostegno della
Presidenza della Repubblica e il patrocinio della Camera dei Deputati e del
Senato.
CANCRO?
Sul modello delle “giornate della letteratura”, nasce il festival itinerante della prevenzione e dell’innovazione oncologica: “Cancro? No grazie”
(cancronograzie.org). È una manifestazione che elegge ogni anno una
città italiana come punto di riferimento per gli stili di vita sani, oltre
a sottolineare il valore dell’innovazione nei farmaci. L’obiettivo è andare
direttamente nelle piazze per raggiungere tutte le fasce della popolazione,
ad ogni età. La prima edizione si terrà a Torino dal 19 al 21 settembre 2014:
il capoluogo piemontese è stato nominato capitale europea dello sport. È
prevista una serie di eventi, in stretta sinergia con l’amministrazione comunale, con oncologi, testimonial sportivi, rappresentanti delle Istituzioni.
Verranno distribuiti opuscoli informativi, questionari di valutazione del rischio oncologico e sondaggi conoscitivi. L’obiettivo è rendere la prevenzione
primaria parte integrante della vita quotidiana per tutti i cittadini, di ogni
strato sociale e far comprendere che adottare uno stile di vita sano a qualunque età comporta grandi benefici.
50
IL
ritratto
DELLA
Nato nel 2011, “Il Ritratto della Salute” (ilritrattodellasalute.org) è il primo progetto italiano dedicato esclusivamente alla “medicina dei sani”.
Cosa significa? Vuol dire seguire comportamenti salutari e stili di vita
equilibrati per prevenire moltissime malattie, tra cui i tumori. Il progetto gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri
e del CONI e ha, come partner, le principali società medico-scientifiche del
Paese. I messaggi lanciati da “Il Ritratto della Salute” hanno raggiunto finora oltre cinque milioni di persone.
sa ute
Il tumore del pancreas è un nemico insidioso, perché in fase
precoce non dà sintomi particolari, ma risente in modo significativo di uno stile di vita sano. Per questo è nata nel 2014
“PanCrea: creiamo informazione” (tumorepancreas.org), la prima campagna
nazionale di informazione e sensibilizzazione su questo tipo di cancro. Un
progetto articolato, che comprende la distribuzione di opuscoli informativi,
un sondaggio fra gli oncologi, uno fra i cittadini, un sito web dedicato a
questa patologia e un tour in sette Regioni, che coinvolge associazioni di
pazienti, amministratori, oncologi, medici di famiglia, personale sanitario.
Tutti i pericoli del
fumo passivo
(e attivo)
“Tumore del polmone, tutti i pericoli del fumo passivo (e attivo)”. Il tumore del polmone è particolarmente aggressivo, purtroppo però troppi italiani ignorano le regole fondamentali per prevenirlo. Il fumo di sigaretta è tuttora
il più importante fattore di rischio per questa patologia: è responsabile
dell’85-90% di tutti i casi. Ma non vanno sottovalutati anche i danni del
fumo passivo, che triplica le possibilità di sviluppare la malattia nei non
tabagisti, oltre ad aumentare il rischio di patologie polmonari di natura
non cancerogena. Per questo nasce nell’estate del 2014 un progetto per sensibilizzare sui rischi anche del fumo passivo (ilritrattodellasalute.org), con
momenti di confronto fra cittadini, oncologi e Istituzioni in otto Regioni
italiane. La campagna ha il patrocinio di WALCE (Women Against Lung
Cancer in Europe).
Prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria ha l’obiettivo di individuare il tumore in uno stadio
precoce, così da poterlo trattare in maniera efficace e ottenere un maggior numero
di guarigioni. Può essere effettuata con l’individuazione dei sintomi iniziali della
malattia (diagnosi precoce) o con indagini diagnostiche sulla popolazione che non
presenta sintomi (screening).
Diagnosi precoce
Diagnosi precoce vuol dire tempestività, con la possibilità di individuare la malattia (o una lesione che ne precede la comparsa) nella sua fase iniziale. Questo
offre il vantaggio di garantire cure efficaci, terapie poco aggressive e un’elevatissima probabilità di completa guarigione. Di solito è molto più semplice trattare un
tumore in stadio iniziale: spesso si ottengono ottimi risultati in termini di cura
con interventi chirurgici o farmacologici non particolarmente invasivi e, di conseguenza, migliora anche la qualità di vita del paziente. La diagnosi precoce può
essere frutto del caso, quando, per esempio, il tumore viene individuato grazie a
un esame effettuato per altri motivi. Molto più spesso, però, il merito della sco-
51
L’importanza della prevenzione
52
perta precoce di alcuni tra i tumori più diffusi (come seno, collo dell’utero, colon)
deve essere attribuito a programmi di screening appositamente studiati. In Italia,
secondo le indicazioni del Ministero della Salute, il servizio sanitario nazionale
fornisce gratuitamente accertamenti per la diagnosi precoce oncologica e in particolare:
·
tumore del seno: mammografia ogni 2 anni per le donne di età compresa tra i 50
e i 69 anni;
· cancro del collo dell’utero: Pap-test ogni 3 anni per le donne tra i 25 e i 64 anni;
·
tumore del colon-retto: per uomini e donne ricerca del sangue occulto nelle feci
ogni anno tra i 50 e i 75 anni. Se il primo esame risulta positivo, si esegue una
colonscopia; in caso di familiarità per questo tumore si consiglia una colonscopia
ogni 5 anni dopo i 50 anni.
Le modalità e l’adesione delle autorità sanitarie a queste campagne di screening
possono poi variare a livello regionale. Per merito di un’attenta strategia di diagnosi precoce, ogni anno in Italia vengono individuati allo stadio iniziale 35.000
nuovi casi di tumore del seno e 36.000 del colon-retto. La maggior parte di queste
neoplasie può essere curata con successo.
Esami di screening
Screening è un termine inglese che significa “selezione”. Si tratta di analisi condotte a tappeto su una fascia più o meno ampia della popolazione allo scopo di
individuare una patologia o i suoi precursori (anomalie da cui la malattia si sviluppa) prima che si manifesti con sintomi. In particolare, gli screening oncologici servono a individuare precocemente i tumori o i loro precursori, quando non
hanno ancora dato segno di sé. Questi programmi hanno l’obiettivo di scoprire la
malattia quando è più facilmente curabile. Nello stadio iniziale, infatti, il cancro
è normalmente circoscritto a una ristretta area dell’organismo e, il più delle volte,
non dà sintomi. In questa fase il tumore può essere affrontato con maggiore efficacia e le probabilità di guarigione sono più alte.
Oggi esistono 3 programmi di screening oncologici rivolti alle fasce di popolazione considerate a rischio: per il tumore della mammella, della cervice uterina e
del colon retto.
Come si legge nel Position Paper (“Il sistema della prevenzione, dell’assistenza
e della ricerca oncologica in Italia”) che la Fondazione “Insieme contro il Cancro”
ha presentato il 25 febbraio 2014 al Senato, “secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), pubblicato a fine 2012 (in base ai dati rilevati
nel 2010) emergono differenze preoccupanti: nel Sud-Isole l’estensione globale e
reale degli screening (percentuale di donne che ricevono regolarmente la lettera
di invito) è inferiore al 50% (più precisamente, mammella meno del 40%; colonretto circa 8%; cervice uterina circa il 59%) rispetto all’80-90% del Centro-Nord
Italia. Per quanto riguarda l’adesione ai programmi di screening istituzionali, nel
Sud-Isole si registra un’adesione globalmente inferiore al 40% rispetto a una percentuale decisamente superiore al 50% del Nord-Centro Italia”.
Secondo il Position Paper “è necessario promuovere progetti rivolti all’implementazione sia dei programmi sia dell’adesione agli screening, in particolare
nelle Regioni meridionali. È essenziale sensibilizzare da un lato le Istituzioni preposte, dall’altro la popolazione target”.
1.Screening del tumore della mammella
Il cancro al seno è una delle neoplasie più frequenti nel sesso femminile: nel
2013 ha colpito in Italia 48.000 donne. Ma è anche una forma di tumore che può
essere scoperta precocemente, grazie alla mammografia. Si prevede che l’esame
venga eseguito ogni 2 anni, a partire dai 50 anni (sino a 69), e consiste in una
radiografia alle mammelle. L’analisi dura pochi minuti, può essere fastidiosa e leggermente invasiva, ma presenta il vantaggio di diagnosticare il tumore quando è
ancora di piccole dimensioni.
Il regolare ricorso a questo screening riduce del 30% il tasso di mortalità della
neoplasia. Oltre alla mammografia, eventualmente associata a un’ecografia, è importante che ogni donna, a partire dai 25 anni, effettui almeno una volta l’anno
l’autoesame del seno.
2.Screening del tumore della cervice uterina
Questa forma di tumore è in netto calo negli ultimi anni, sia per frequenza sia
per mortalità (–75%), grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Colpisce comunque
ogni anno circa 2.000 donne. Lo screening oncologico riguarda le italiane tra i 25 e
i 64 anni di età e consiste in un esame semplice e non doloroso da effettuare anche
ogni 3 anni (a giudizio del medico): il Pap-test. Prevede il prelievo, con una spatola
e un particolare spazzolino, di un campione di poche cellule dal collo dell’utero,
che viene in seguito analizzato in laboratorio. Per assicurare risultati attendibili, il
test va eseguito:
·ad almeno 3 giorni dalla fine delle mestruazioni e in assenza di perdite di sangue
·astenendosi da rapporti sessuali nei 2 giorni prima dell’esame
·evitando ovuli, creme o lavande vaginali nei 3 giorni precedenti il test.
Il Pap-test può essere accompagnato dai test molecolari per l’individuazione
dell’HPV. In donne gravate da maggior rischio (familiarità, genetica, etc.) sia il
programma che i metodi di screening possono cambiare.
53
L’importanza della prevenzione
3.Screening del tumore del colon-retto
È una neoplasia che colpisce, ogni anno, in Italia, circa 55.000 persone e interessa l’ultima parte dell’intestino (colon-retto). Non presenta particolari sintomi,
per questo la prevenzione è estremamente importante. Grazie alla diagnosi precoce si può guarire in un’altissima percentuale di casi. Lo screening consiste in un
esame volto alla ricerca di sangue occulto nelle feci, cioè non visibile ad occhio
nudo, e nell’esecuzione di un esame endoscopico (al colon, a partire dai 50 anni).
La prevenzione terziaria
54
Con prevenzione terziaria si intende la prevenzione delle cosiddette recidive
(ricadute) o di eventuali metastasi dopo che la malattia è stata curata. Si fa carico
delle problematiche insorte durante il percorso terapeutico dei pazienti, con pratiche quali l’assistenza domiciliare, la riabilitazione fisica e psichica e il reinserimento sociale e occupazionale del malato oncologico. Ha inoltre come obiettivo la
prevenzione o il controllo dei sintomi della neoplasia o delle complicazioni causate
dalla terapia. Aiuta a: migliorare la qualità di vita, aumentare la sopravvivenza e
ridurre la mortalità.
Gli approcci terziari non coinvolgono la prevenzione o il trattamento del cancro alla sua insorgenza, ma è importante notare che la prevenzione delle recidive
di una neoplasia già diagnosticata e trattata, o la protezione da un secondo differente tumore, dopo l’intervento su una prima patologia possono essere incluse
nella definizione di prevenzione oncologica terziaria. Coinvolge quindi le cure di
sostegno, la riabilitazione fisica, psicologica, sociale e occupazionale e il sollievo
dal dolore del malato.
La riabilitazione e il reinserimento
Sono circa due milioni gli italiani che hanno sconfitto il tumore. Ma, mentre
molto si è fatto e si fa per la prevenzione e la ricerca, minore è l’attenzione per la
situazione e le necessità di queste persone. I malati oncologici cronicizzati possono
vivere ormai come i diabetici, gli ipertesi, i cardiopatici: gestiscono la loro condizione ma richiedono, anche attraverso le Associazioni che li rappresentano, forti tutele
giuridiche.
Compiuta la delicata fase della riabilitazione fisica, parte integrante del piano
di trattamento, con il recupero delle funzioni eventualmente compromesse, come
deglutizione, respirazione, movimento, si passa alla fase di rientro alla vita sociale.
La riabilitazione, che comprende anche un supporto psicologico, consente maggiori
probabilità di reinserimento delle persone colpite dal cancro, permettendo loro un
ritorno più precoce nel modo del lavoro, nella famiglia e nella società civile.
Il ritorno al lavoro
La legge italiana tutela il paziente con misure che favoriscono il reinserimento
lavorativo. Alcuni “strumenti” pratici sono:
·pensione o assegno di invalidità civile, classificati in maniera diversa a seconda
della gravità della situazione;
·attivazione di rapporti lavorativi part-time, per persone assunte a tempo pieno
ma con ridotte capacità causate dalle terapie. Questa norma è inserita nella Legge
Biagi, che riconosce al malato il diritto di diminuire l’orario senza rinunciare
del tutto all’impiego, con uno stipendio proporzionalmente ridotto. Un processo
reversibile, nel momento in cui le condizioni di salute consentiranno al paziente
di tornare agli standard precedenti la diagnosi;
·indennità di accompagnamento.
Questi vantaggi non sono ancora molto noti ai malati e ai loro familiari e spesso
non sono sfruttati al meglio. Anche le discriminazioni, purtroppo, esistono. Uno
55
La riabilitazione e il reinserimento
studio pubblicato nel 2009 sulla prestigiosa rivista internazionale Jama ha dimostrato che chi sopravvive a un tumore ha il 37% in meno di possibilità di trovare lavoro
quando finisce le cure. Sono soprattutto le donne a incontrare maggiori difficoltà,
in particolar modo quelle colpite da cancro al seno.
Secondo dati italiani, il 40% delle pazienti con un tumore mammario ricomincia
a lavorare a due mesi dalla diagnosi, soprattutto in mansioni d’ufficio. A due anni la
percentuale si alza al 74%, ma il 35% si sente discriminato. Molte tornano alla stessa
attività che svolgevano prima di assentarsi, ma altre preferirebbero invece ottenere
un part-time. Non sempre però ci riescono: il 25% deve adattarsi a impieghi diversi.
56
Diventare genitori
Quando la malattia colpisce in giovane età, i temi della maternità e della paternità
sono fra i più delicati. Nel 2006 la Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO)
precisò che tutti i giovani pazienti sottoposti a trattamenti anticancro avrebbero dovuto essere informati sui possibili effetti collaterali delle terapie, anche in termini di
fertilità. Pensare alla nascita di un bimbo, una volta superata la patologia, comporta,
infatti, un effetto positivo sull’equilibrio emotivo e diventa un modo per riprendere
i progetti di vita. Come sottolineato nel VI Rapporto sulla condizione assistenziale
dei malati oncologici, presentato il 15 maggio 2014 al Senato dalla Federazione delle
Associazioni di Volontariato Oncologico (FAVO), entro due anni nel nostro Paese
nessun paziente con diagnosi di cancro in età riproduttiva dovrà essere escluso da
una consultazione sulla preservazione della fertilità. Oggi purtroppo non è così: molti
malati infatti non vengono informati sulle tecniche esistenti e perdono la possibilità di
diventare genitori. Ogni anno nel nostro Paese 2.500 donne under 40 sono colpite da
tumore al seno: oltre un terzo di loro non ha ancora avuto figli. Però solo il 10% ricorre
alle tecniche disponibili per la preservazione della fertilità e il 90% perde l’opportunità
di diventare madre. È stato coniato il termine “oncofertilità” per definire una nuova
disciplina, frutto dell’incontro tra Oncologia e Medicina della Riproduzione.
Riprendere l’attività sessuale
Dopo la malattia, è possibile anche tornare ad avere rapporti sessuali. Quasi tutte le
disfunzioni di questa sfera, connesse con il trattamento del tumore, sono infatti temporanee. Ma anche le problematiche permanenti possono essere affrontate e migliorate.
Uno degli elementi fondamentali è l’informazione, che non deve mai essere lacunosa: i
pazienti hanno il diritto di sapere quali disturbi sessuali potrebbero colpirli in seguito
alle terapie. Una corretta comunicazione sfata anche quei falsi miti che ancora circondano il cancro e soprattutto i trattamenti, come la paura di trasmettere al partner la
malattia, di nuocergli, durante o dopo le cure, se sottoposti a radiazioni.
I diritti del paziente oncologico
Il paziente colpito da cancro gode degli stessi diritti degli altri cittadini, ma troppo spesso accade che non ne sia sufficientemente a conoscenza. Per colmare questo
gap informativo, nel 2003 AIMaC pubblicò, per la prima volta in Italia, il libretto I
diritti del malato di cancro (giunto alla decima edizione nel 2013). Nel 2013, inoltre,
un’indagine Censis-FAVO ha evidenziato, dati alla mano, che la malattia ha un forte
impatto sulla situazione economica dei pazienti: il 78% dei malati oncologici, infatti,
ha subito un cambiamento nel lavoro in seguito alla diagnosi, il 36,8% ha dovuto
fare assenze, il 20,5% è stato costretto a lasciare l’impiego e il 10,2% si è dimesso o
ha cessato l’attività (in caso di lavoratore autonomo). Pochi conoscono e utilizzano
le tutele previste dalle leggi per facilitare il mantenimento e il reinserimento: solo il
7,8% ha chiesto il passaggio al part-time, un diritto di cui è possibile avvalersi con
la Legge Biagi, poco meno del 12% ha beneficiato di permessi retribuiti (previsti
dalla Legge 104/1992), solamente il 7,5% ha utilizzato i giorni di assenza per terapia
salvavita e il 2,1% i congedi lavorativi.
Secondo il sondaggio Piepoli-AIMaC, il 91% delle persone malate vuole continuare a lavorare ed essere parte attiva della società. I dati dell’indagine sottolineano
però che le forme di gestione flessibile per conciliare lavoro e cure oncologiche sono
ancora poco note e non influiscono in modo significativo sulla vita dei molti pazienti
coinvolti. Ciò spiega la grande difficoltà di conformare le esigenze produttive con
quelle legate alla cura. Questa situazione interessa anche i cosiddetti “caregiver”, cioè
familiari o amici che assistono i malati in modo continuativo.
Per colmare questo vuoto, è nato Pro Job: lavorare durante e dopo il cancro – Una
risorsa per l’mpresa e per il lavoratore, un progetto dell’AIMaC in collaborazione
con l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione “Insieme contro il Cancro” e
l’Istituto Nazionale Tumori del capoluogo lombardo. Il progetto è stato presentato
nel maggio 2014 all’Università degli Studi di Milano in occasione del Convegno
“Lavorare durante e dopo il cancro”. Pro Job mira a promuovere l’inclusione dei pazienti oncologici nel mondo delle imprese, a sensibilizzare i dirigenti perché creino
57
I diritti del paziente oncologico
58
per i malati condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, ad agevolare i dipendenti che
hanno parenti colpiti da tumore a conservare l’impiego grazie alle tutele giuridiche
vigenti e a disincentivare il ricorso inadeguato a procedure per fronteggiare le difficoltà determinate dalla patologia.
“Oggi, con il progresso della ricerca e delle cure oncologiche, l’attenzione è rivolta
non solo agli aspetti medici, ma anche alla qualità della vita del malato e alla sua inclusione sociale, a partire dal diritto al lavoro – spiega Michele Tiraboschi, professore
di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia, membro del Comitato
Scientifico della Fondazione “Insieme contro il Cancro” –. La legge Biagi consente
al lavoratore e ai suoi familiari, che prestano assistenza, il diritto al part-time che,
assieme ai congedi e ai permessi, può favorire una migliore conciliazione tra lavoro e cure mediche. Eppure, dopo un congruo periodo di applicazione, risulta che
questo diritto sia utilizzato da pochi. Il problema va affrontato con determinazione
se è vero che, in futuro, una persona su due si ammalerà di tumore e che già oggi
in Italia sono ben 700.000 le persone con diagnosi di cancro in età lavorativa. Non
si tratta di scrivere nuove leggi, è urgente applicare quelle buone già esistenti. Per
questo appaiono preziose iniziative come Pro Job. L’azienda in grado di sviluppare il
progetto Pro Job potrà valorizzare il proprio capitale umano permettendo, da un lato,
ai dipendenti malati di cancro di recuperare parte del proprio benessere attraverso
il reinserimento occupazionale e di ritrovare velocemente motivazione, impegno e
capacità produttiva, dall’altro ai lavoratori familiari di un paziente di continuare il
proprio lavoro, senza rinunciare all’assistenza del malato, avvalendosi del part time.
Tutto ciò a beneficio sia del lavoratore che dell’azienda”.
AIMaC, FAVO e ECPC
L’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) è nata nel 1997 e dal 2010 è stata riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come “organizzazione che
svolge un’attività di evidente funzione sociale sul territorio nazionale”. È costituita da
malati, parenti, docenti universitari, ricercatori, medici, psicologi, psicoterapeuti, imprenditori e giornalisti. Il suo scopo è offrire informazioni sul cancro e sulle terapie ai
malati, alle loro famiglie e amici; assicurare sostegno psicologico ai malati; promuovere iniziative per diffondere il più capillarmente possibile le informazioni sul cancro.
L’AIMaC è una delle 500 associazioni che formano la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO). La Federazione raggruppa oltre 25.000 volontari
(nella maggior parte dei casi malati o ex malati) per un totale di 700.000 iscritti.
L’European Cancer Patient Coalition (ECPC) riunisce oltre 300 associazioni di malati di
cancro provenienti da 42 Paesi europei. Il Presidente di ECPC è l’italiano Francesco
De Lorenzo.
L’innovazione in oncologia
Dal 1990 a oggi il tasso di mortalità per tumori è sceso del 20%. Tra i motivi
di questo successo rientra anche l’innovazione prodotta dalla ricerca medica, che
ha permesso di raggiungere risultati straordinari nella lotta contro moltissime
neoplasie. Innovare in oncologia significa innanzitutto comprendere meglio la
malattia. Il cancro non è più un male incurabile perché oggi, rispetto al passato, gli
scienziati lo conoscono in modo più approfondito. Una volta, ad esempio, si parlava
di tumore del polmone: adesso gli oncologi possono distinguere almeno quattro o
cinque situazioni diverse, caratterizzate da altrettante alterazioni molecolari. Più
informazioni si possiedono su una neoplasia, maggiore è la possibilità di sviluppare
nuovi farmaci, sempre più mirati ed efficaci. Il cancro al seno è stato l’apripista di
questo rivoluzionario approccio. Oggi i clinici, accanto alle target therapy, hanno a
disposizione test genetici (in particolare nei tumori del seno, stomaco, colon-retto,
polmone e melanoma) che permettono di selezionare i pazienti e utilizzare al meglio
le terapie. E sempre di più la ricerca si indirizza verso l’individuazione di questi test,
fondamentali per somministrare le terapie solo a quei pazienti che possono davvero
beneficiarne e dove sono realmente necessarie.
L’innovazione in oncologia, quindi, ha portato al riconoscimento di “nuovi”
tumori. Si tratta in realtà di forme di neoplasie già conosciute (e studiate) da tempo,
per le quali, però, oggi esistono altre terapie. È il caso del melanoma. L’innovazione
può concentrarsi sul perfezionamento di trattamenti già esistenti: grazie alle nuove
tecnologie, è possibile migliorare vecchi farmaci sia dal punto di vista della risposta
terapeutica che della loro sicurezza. Questo vale soprattutto per gli effetti collaterali.
Nel corso degli anni, la ricerca ha portato a terapie efficaci, più tollerabili per l’organismo e in grado di ridurre la mortalità. La sfida per il futuro è contenere ulteriormente gli effetti collaterali e garantire una qualità di vita sempre migliore al malato.
I ricercatori stanno mettendo a punto nuovi trattamenti e terapie. Nei prossimi
anni i farmaci oncologici saranno in grado di superare con maggiore facilità le
barriere biologiche. Uno dei problemi che caratterizzavano le vecchie molecole
59
L’innovazione in oncologia
anti-cancro era, infatti, il loro difficile trasferimento dai vasi sanguigni al tessuto
tumorale. Migliorare questo trasporto è stato uno dei principali obiettivi dell’innovazione in oncologia. Il futuro della lotta alle neoplasie passerà anche attraverso
le nanoparticelle: entro pochi anni i nanofarmaci diventeranno terapie sempre più
importanti.
La sfida della sostenibilità
60
I risultati ottenuti in questi ultimi anni nella ricerca e nelle cure contro il cancro
sono “senza precedenti” ma, a fronte dei progressi della scienza, ci si pone sempre
di più il “nodo” dei costi e della sostenibilità economica delle nuove terapie. Un
problema mondiale, che coinvolge tutti i sistemi sanitari dei vari Paesi. È questo il
quadro in cui si è aperto a Chicago il 50° Congresso dell’American Society of Cli-
Breve storia dell’innovazione in oncologia
1970 Viene scoperto il primo oncogene. Si tratta di un gene in grado di indurre una
trasformazione neoplastica nelle cellule che lo contengono (o dove viene introdotto)
e quindi può provocare il cancro. La sua scoperta è da attribuire agli scienziati Peter
Duesberg e Hidesaburo Hanafusa, che riescono a isolare un oncogene che causava tumori
nei polli.
1973 Inizia la prima sperimentazione della quadrantectomia per il carcinoma della
mammella. Si tratta di una tecnica innovativa: l’asportazione di un ampio quadrante di tessuto mammario con un margine di tessuto circostante. Questo intervento
conservativo viene svolto per la prima volta nella scuola del prof. Umberto Veronesi.
La sperimentazione si concluderà con successo nel 1981 e nel 2002 riceverà il pieno
riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale.
Gli scienziati Frederick Sanger, Walter Gilbert e Allan Maxam creano due tecniche per sequenziare il DNA. Si tratta di una scoperta importantissima anche per la lotta contro
il cancro, poiché conoscere il DNA dei tumori può permettere di scegliere la cura più
adeguata in base alla mutazione (o alle mutazioni) che ha causato la neoplasia.
Seconda metà degli anni Settanta (e decennio successivo). L’informatica fa passi da
gigante e in ambito oncologico queste tecnologie permettono la messa a punto di
nuovi strumenti per la diagnosi del cancro. L’accertamento delle neoplasie diventa
via via sempre più precoce. Nel frattempo, anche in ambito farmacologico, vengono
messe a punto cure sempre più efficaci e meno invasive. I nuovi medicinali sono basati sul principio dei “bersagli terapeutici”: il farmaco è creato “su misura” ed quindi
in grado di distinguere tra tessuti sani e malati e colpire solo le cellule cancerogene.
Anni Ottanta Iniziano importanti ricerche, biologiche ed epidemiologiche, che dimostrano in modo inequivocabile il legame tra tumori e condizioni ambientali.
nical Oncology (ASCO). Al più importante appuntamento mondiale del settore nel
2014, è stato presentato un criterio di valutazione per “classificare” i nuovi farmaci
contro il cancro, innovativi ma dai costi sempre maggiori, sulla base di tre parametri
precisi: benefici, effetti collaterali e prezzo. L’obiettivo di questo algoritmo è ridurre e
tenere sotto controllo il costo complessivo delle terapie oncologiche, divenuto quasi
insostenibile per i sistemi sanitari. Tutto ciò attraverso un approccio più attento
alla prescrizione dei farmaci. L’introduzione dei test genetici non solo facilita l’appropriatezza terapeutica, ma, grazie alla migliore selezione dei pazienti, consente di
utilizzare queste terapie, spesso costose, solo nelle persone che possono beneficiarne.
Il messaggio lanciato dall’ASCO ai medici è quello di considerare non solo
l’impatto medico di un trattamento, ma anche quello finanziario, a fronte di una situazione complessiva mondiale di insostenibilità economica, che minaccia l’accesso
Fumo, alimentazione, abuso di alcol, inquinamento, diverse sostanze chimiche sono
tutti fattori che favoriscono l’insorgenza del cancro. Nasce quindi un nuovo strumento in grado di contrastare le neoplasie: la prevenzione. Vengono lanciate in tutto
il mondo campagne informative per sensibilizzare le popolazioni a sottoporsi a test
di screening e ad adottare stili di vita sani.
1986 I tre ricercatori Thaddeus Dryja, Stephen Friend e Robert Weinberg riescono ad isolare
il primo gene oncosoppressore umano. Si tratta di un particella cromosomica che
frena la proliferazione cellulare. La sua mutazione o inattivazione determina una
crescita sregolata delle cellule, che può portare alla trasformazione neoplastica.
1990 Prende il via il Progetto Genoma Umano (Human Genome Project): gli scienziati si
prefiggono l’obiettivo di determinare la sequenza completa di basi azotate (A, C, T e
G) che compongono il DNA, mappando i geni del genoma. Il progetto sarà completato
nel 2000.
1992 Ira Pastan lega un anticorpo monoclonale a una tossina. Il risultato è un vero
e proprio proiettile guidato, che mira al tessuto malato risparmiando quello sano.
2000-2010 Si moltiplicano i farmaci intelligenti, progettati sulla base delle nuove e continue conoscenze dell’oncologia molecolare, per colpire target precisi, presenti solo
nelle cellule malate. La concomitante rivoluzione genetica contribuisce anche a una
migliore determinazione della prognosi del singolo tumore, grazie alla caratterizzazione genetica di ogni paziente. Alla personalizzazione delle terapie biologiche, si accompagna la caratterizzazione bio-molecolare dei tumori grazie all’introduzione dei test
genetici, una reale innovazione che permette la selezione dei pazienti e il miglior uso
dei farmaci. La medicina si fa sempre più personalizzata e facilita le diagnosi precoci.
61
L’innovazione in oncologia
62
alle cure oncologiche per le più ampie fasce di pazienti. Una svolta, anche culturale,
che nasce da una considerazione pragmatica: nel 2013 la spesa globale per i farmaci
anticancro ha toccato quota 91 miliardi di dollari e cresce al ritmo del 5% annuo.
Dall’altro lato, va considerato che la storia naturale di alcune patologie oncologiche
è radicalmente cambiata, proprio grazie alle conoscenze biologiche acquisite nel
corso degli anni e ai nuovi trattamenti. Il rischio, però, è che i sistemi sanitari non
reggano. Inseguire miglioramenti che possono sembrare talvolta minimi, su larga
scala e a costi enormi, potrebbe privare alcuni pazienti di terapie davvero efficaci.
La Fondazione “Insieme contro il Cancro”, il 25 febbraio 2014, ha presentato al
Senato il Position Paper sul “Sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca
oncologica in Italia”. Uno dei punti centrali di questo documento ufficiale riguarda
proprio la sostenibilità. “I prossimi anni – si legge nel Position Paper – saranno
caratterizzati in tutto il mondo occidentale da un forte impulso verso la personalizzazione dei sistemi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie oncologiche sulla
base della costituzione genetica dei singoli individui. Sarà così possibile identificare
la suscettibilità alla malattia di ogni persona e misurare il rischio individuale di
ammalarsi. Sarà possibile, inoltre, personalizzare le terapie in base alla costituzione
genetica del paziente, offrire nuove opzioni di trattamento basate sull’interazione
dei farmaci con nuovi bersagli molecolari e, in ultima analisi, assicurare il miglior
esito possibile in termini di abbattimento della mortalità e durata della sopravvivenza, con interventi sempre più mirati e specifici nella singola persona. Questa rivoluzione è già in atto, si realizza con un ritmo frenetico e noi non potremo sottrarci.
È evidente, quindi, come l’assistenza continua ai malati di cancro comporti costi
economici sempre maggiori ed anche come il sistema ospedaliero debba subire una
sostanziale e radicale riorganizzazione nel campo dell’oncologia, che lo renda più
efficiente, contenendo anche i costi relativi a questi cambiamenti”.
Le campagne di prevenzione
Come evidenziato dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica),
grazie a campagne di prevenzione oncologica potrebbero essere realizzati ingenti
risparmi nel nostro Paese, pari a sei miliardi di euro in cinque anni. Una cifra che
raggiungerebbe 50 miliardi complessivamente in Europa, se queste iniziative fossero estese a tutti gli Stati membri. Il costo totale del cancro nel Vecchio Continente
è pari, ogni anno, a 126 miliardi di euro, in Italia a circa 16. Il tumore più costoso
in UE è quello al polmone (18,8 miliardi ogni anno), seguito dal seno (15 miliardi),
dal colon-retto (13,1 miliardi) e dalla prostata (8,43 miliardi). La sopravvivenza dei
pazienti oncologici in Italia è pari e, per alcuni tipi di tumore, superiore alla media
europea. Lo scenario è chiaro. Nei prossimi anni assisteremo a un incremento co-
stante della popolazione anziana, nel 2030 il 30% degli italiani sarà costituito da over
65. Ma le risorse a disposizione diminuiscono. E il carico dell’assistenza sanitaria e
sociale in campo oncologico diventerà più pesante: nel 2013 in Italia erano 2.800.000
i pazienti con storia di cancro, nel 2020 saranno circa 4.500.000. Per rispondere alle
loro richieste di salute, serve un patto sull’appropriatezza prescrittiva che riunisca
tutti gli attori coinvolti: l’accademia, i clinici, gli enti regolatori, l’industria farmaceutica e i pazienti.
Le reti oncologiche regionali
Un altro punto critico è rappresentato dalle reti oncologiche regionali. Finora
questi progetti hanno visto la luce solo in alcune Regioni. Questi network sono fondamentali, perché garantiscono equità di accesso ai farmaci e garanzia di ricevere
le cure migliori indipendentemente dalla residenza. Come sottolineato nel Position
Paper della Fondazione “Insieme contro il Cancro”, la realizzazione delle reti oncologiche regionali è “condizione essenziale per la presa in cura complessiva del malato
di cancro, la continuità di cura ed il sostegno psicologico. Al fine di assicurare l’omogeneità dell’assistenza oncologica su tutto il territorio nazionale dovrebbe essere
istituito a cura degli IRCCS oncologici un organismo tecnico di coordinamento
che vigili su questi aspetti (la Rete delle Reti), formato da professionisti clinici che
appartengono alle principali aree che insistono nel settore dell’oncologia clinica”. È
necessario definire i requisiti minimi che possano essere seguiti da tutte le Regioni,
cui spetta l’organizzazione sanitaria, al fine di dotarsi di network omogenei sul
territorio nazionale.
“È chiaro – afferma il prof. Stefano Cascinu, presidente nazionale AIOM – che
le realtà locali sono diverse, ma bisogna evitare discrepanze eccessive, altrimenti
rischiamo di aggiungere disparità e iniquità nell’accesso alle terapie. Ogni struttura,
all’interno della rete, deve essere in grado di garantire uno standard assistenziale
adeguato per la gestione della maggioranza dei casi. Solo i pazienti che presentano
particolari complessità vanno indirizzati all’ospedale di riferimento regionale per
patologia (tumore della mammella, del polmone ecc.): così si risparmiano risorse
e si offrono cure ottimali. Se non garantiamo un’assistenza omogenea su tutto il
territorio, i pazienti sono costretti a migrare e a cercare soluzioni altrove. E questo
rappresenta una sconfitta dell’intero sistema”.
63
64
Le testimonianze dei pazienti
Roberto Gervaso: “Il tumore? Mi ha reso più saggio!”
Roberto Gervaso è giornalista, storico e scrittore, commentatore politico e di costume. Laureato in Lettere Moderne,
ha studiato in Italia e negli Stati Uniti presso la Michigan University. È stato inviato speciale e articolista per il Corriere
della Sera, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno e altri quotidiani. Ha collaborato anche con L’Europeo, Oggi, Gente
e Panorama. Attualmente tiene una rubrica quotidiana su Il Messaggero (“A tu per tu”), una domenicale su Il Mattino
(“Fumo e arrosto”) e su Il Giornale di Sicilia (“Pensierini e Pensieracci”). Dal 1981 è inviato speciale e opinionista per
Mediaset, dove è stato a lungo titolare di una rubrica quotidiana di storia e costume, “Peste e corna”.
Convivo da quattordici anni con la mia diagnosi di tumore alla prostata.
Uno che vive per tutto questo tempo dopo un cancro, non può far altro
che smentire quelle affermazioni, frutto dell’ignoranza, che etichettano le
neoplasie come “male incurabile”. Conosco persone che sono incappate nella mia situazione anche
trent’anni fa, ma sono poi venute a mancare per
ben altre cause, come il diabete o un infarto. Mi
sono sempre sottoposto a controlli periodici, prostata compresa: ho iniziato quando avevo ventitré
anni, perché amo il mondo della medicina e sono
scrupoloso. Ho eseguito il famoso test del PSA
per circa un decennio. Nel 1999 il valore era 1,5,
quindi nella norma. Un anno dopo schizzò a 3,04,
su un massimo di 4. Al momento ovviamente mi
preoccupai, ma il medico mi rassicurò perché ben
tre ecografie erano negative, così come l’esplorazione rettale. Nei tre mesi seguenti mi sottoposi ad altri controlli e il PSA
non ne voleva sapere di stabilizzarsi: continuava a oscillare. Ai primi di
luglio, dopo l’ennesima ecografia, tagliai la testa al toro e decisi di fare una
biopsia. Risultò positiva. Non persi tempo, mi recai al San Raffaele di Mila-
65
Le testimonianze
66
no e fui operato. Fu così che dissi addio alla mia cara ma ormai malandata
ghiandola. Però non era finita qui. Passai attraverso 42 sedute di radioterapia in quattro mesi, oltre all’ormonoterapia. Come affrontai tutto questo?
Psicologicamente, meglio del matrimonio! Ho reagito come se avessi avuto
una polmonite o un altro malanno comune. Sapevo che mi sarei dovuto
sottoporre a certi trattamenti, alcuni impegnativi ma, senza scoraggiarmi,
ho indossato i panni del paziente. Anche perché il prezzo da pagare, in caso
contrario, sarebbe stato ben più alto. A una certa età si mettono nel conto
acciacchi e malattie di qualsiasi genere. Il cancro rientrava semplicemente
nella lista delle possibilità. Con un tocco di ironia direi che, dopo avere
“abusato” della prostata, Dio mi punì facendomi raggiungere “la pace dei
sensi”. Ne ho approfittato per intensificare la mia attività di scrittore, partecipando a trasmissioni televisive con i necessari ausili, come il catetere. Ma
rifarei tutto, dall’inizio alla fine. Posso dire, senza esagerare, che il tumore
mi ha reso più saggio e meno libertino. Non sono mai stato così prolifico da
quando mi hanno privato di quella “gloriosa e marziale ghiandola”.
Il consiglio principe che darei a una persona con una diagnosi di tumore
è “fare quello che viene indicato dal medico”. È l’unico modo per sopravvivere. Oltre a non piangersi mai addosso, perché altrimenti si contribuisce a
creare il clima di sfiducia anche in amici e parenti. Si deve scegliere sempre
la reazione più efficace, che fa meno soffrire. In una parola, affrontare il
cancro stoicamente, perché nella vita i guai capitano a tutti, in particolar
modo quelli di salute. Inoltre, sottolineo ancora una volta il valore della
prevenzione. Disponiamo di test efficaci, molti sono gratuiti: sarebbe da
sciocchi non effettuarli.
L’esperienza con la malattia mi ha fatto capire ancora meglio di quale
straordinario patrimonio disponiamo: il nostro Servizio Sanitario. Malgrado le difficoltà, si mantiene su livelli eccellenti. Certo, le storture e i problemi
esistono, inutile negarlo. Ma, per quanto riguarda il mio caso, l’operazione
al San Raffaele è andata benissimo. Oggi eseguo i controlli a Tor Vergata, un
altro fior di ospedale. E tutto è sempre perfetto. Non ho mai avuto nessun
turbamento. Probabilmente, in tutto questo la persona che si è spaventata
di più è stata mia moglie.
Elisabetta Iannelli: “Il cancro ha cambiato la mia vita,
io cambierò la vita con il cancro”
Elisabetta Iannelli, Avvocato civilista con esperienza prevalente nel diritto del lavoro e della previdenza sociale e
nella tutela dei diritti del malato. È Vice Presidente dell’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) e Segretario della
Fondazione “Insieme contro il Cancro”.
Avevo 24 anni e stavo completando i miei studi di giurisprudenza all’Università quando ho scoperto di avere il cancro. Un giorno, per caso, ho notato
un piccolo nodulo al seno ed il medico di famiglia mi ha subito consigliato di
fare un’ecografia di controllo. In meno di due settimane sono stata sottoposta
ad un intervento chirurgico per asportare il nodulo. Il successivo referto
dell’esame istologico non ha lasciato dubbi: si trattava di un carcinoma mammario. È bastato un solo
istante per vedere infranti i miei sogni, speranze e
progetti di giovane donna. Ma sono una persona
molto combattiva. Dopo un iniziale momento di
sconforto, dovevo reagire. Il motto è diventato “Il
cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita
con il cancro”. E su questo obiettivo ho deciso di
concentrare tutte le mie energie. La malattia ti fa
scoprire risorse che mai avresti creduto di avere.
Per sconfiggere il tumore ho dovuto effettuare
terapie che mi hanno provocato fastidiosi effetti
collaterali. Ma avevo vinto solo la prima battaglia,
purtroppo, non la guerra. Dopo sette anni, la malattia si è ripresentata più
violenta ed invasiva di prima. Ho dovuto quindi ricominciare con la radio
e la chemioterapia. Di nuovo, ho affrontato il peso delle cure, con le relative
conseguenze: nausea, vomito, febbre, difficoltà di concentrazione e problemi
neurologici, solo per ricordarne alcune. Tra tutti gli effetti collaterali, forse il
più pesante da sopportare per una donna è la perdita dei capelli. È un evento traumatico che colpisce nel profondo l’immagine corporea. L’alopecia
diventa il simbolo stesso della malattia e della sofferenza. È impossibile da
ignorare perché sempre ben visibile. Foulard, parrucca, trucco possono aiutare ma lo shock è difficile da gestire anche quando si è veterani dell’alopecia
da chemioterapia. Senza alcun dubbio, le terapie innovative e personalizzate
hanno cambiato la storia dell’oncologia. La ricerca ha reso disponibili trattamenti sempre più efficaci e mirati al bersaglio e nel mio caso, probabilmente,
sono stati gli anticorpi monoclonali a far la differenza. Il tumore deve incutere meno paura perché, anche quando non è possibile guarire definitivamente,
67
Le testimonianze
68
in molti casi la malattia può essere tenuta sotto controllo diventando una
patologia cronica. Da oltre venti anni vivo con questo scomodo “compagno di
viaggio”. Dopo la prima diagnosi, ho deciso di completare il mio percorso di
studi universitari. Nonostante cure, esami e ricoveri sono riuscita a laurearmi
e a superare l’esame di Stato per diventare avvocato.
Ho subito pensato che la mia esperienza personale e il mio ruolo professionale potessero essere utili per migliorare la qualità della vita degli altri
malati. Così mi sono così avvicinata, circa tre lustri or sono, all’Associazione
Italiana Malati di Cancro (AIMaC): un ente no profit che offre consulenza,
assistenza psicologica e informazioni, ai malati oncologici ed alle loro famiglie.
Da allora, il mio impegno nel volontariato oncologico è cresciuto sempre più.
Per un malato è importante non sentirsi solo e poter contare sul sostegno
morale e materiale dei volontari. Dopo la diagnosi shock, durante le faticose
cure antitumorali e nella fase di follow up, è di grande aiuto sapere di poter
essere indirizzati, affiancati o addirittura sollevati nell’individuare le giuste
informazioni e nel mettere in pratica le indicazioni di tipo sociale, previdenziale, lavorativo per gestire i tempi di cura conservando quelli della vita, che
continua nonostante il cancro. I volontari sono preparati e motivati ad accogliere le richieste di aiuto dei malati che vivono una condizione di fragilità e
di difficoltà. Con le giuste informazioni, oggi le persone che si ammalano di
cancro in Italia possono accedere ad un’assistenza sanitaria di alto livello, ad
una rete di centri di eccellenza. Ma al paziente tutto questo non basta. Vuole
trovare il conforto e la condivisione della sua esperienza con altri che l’abbiano
già vissuta. Le associazioni rispondono a questo bisogno. Sono formate in gran
parte da ex pazienti o loro familiari, persone che possono comprendere nel
profondo la complessità dei sentimenti di chi si trova ad affrontare il tumore.
L’AIMaC si pone come obiettivo il miglioramento della condizione dei malati
oncologici italiani.
Nella mia esperienza professionale, ho trovato grande solidarietà anche
da parte dei miei colleghi, ai quali non ho mai nascosto il mio passato. E ho
sempre avuto al mio fianco la mia famiglia, per primi i miei genitori e mio
fratello. In questi 20 anni, dopo la diagnosi, mi sono sposata e sono diventata
mamma e con la mia bellissima famiglia condividiamo gioie e preoccupazioni,
difficoltà e speranze. Credo di essere una veterana fra le malate oncologiche
croniche in Italia. Oggi questa categoria, purtroppo e per fortuna (aumentando la sopravvivenza), è sempre più numerosa. Ciò significa, da un lato, che
sempre più persone si ammalano di cancro; dall’altro, che le cure sono più
efficaci e permettono di sopravvivere al tumore. I pazienti oncologici italiani
vivono più a lungo rispetto alla media europea e tutte queste persone non
devono essere lasciate sole, hanno bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutti per
vincere insieme la vita, ogni giorno!
Sebino Nela: “Così ho vinto la mia partita più importante”
Sebastiano Nela, detto Sebino, è un ex calciatore. Dopo gli esordi con il Genoa, debutta in serie A con la Roma
nel 1981. Con i giallorossi vince lo scudetto del 1983 e nel periodo successivo colleziona anche cinque presenze in
Nazionale. Lascia la capitale nel 1992, dopo aver vinto anche tre Coppe Italia, per approdare al Napoli, con cui chiude
la carriera nel 1994. Il cantautore Antonello Venditti gli ha dedicato la canzone “Correndo correndo”. Oggi lavora come
commentatore tecnico in televisione.
Il tumore l’ho preso di petto, con grande coraggio, senza paura. Non mi
sono mai tirato indietro, come ho fatto in tutte le partite che ho giocato da
calciatore. Nessuna vergogna, la mia storia può servire a tanti che hanno
avuto la stessa malattia. A quelli che stanno lottando come ho fatto io.
Quando ho saputo il verdetto del male è stata una brutta botta, anzi
posso proprio dire una mazzata tremenda. Purtroppo è capitato a me.
Fu mia moglie a spingermi a farmi visitare. Feci
bene a darle retta. Era autunno, mi dissero che
dovevo essere operato al colon. Non c’era tempo
da perdere, perché gli esami avevano evidenziato
alcune metastasi. È stato necessario l’intervento
chirurgico e a novembre era già tutto fatto. A quel
punto ero pronto per iniziare la chemioterapia.
Giorni duri in cui devi convincerti che sei più forte
dell’avversario. Io, d’altronde, sono sempre sceso
in campo per vincere. Ma il calcio è un gioco, un
divertimento, la partita vera è stata questa e ora
posso dire che l’ho vinta io. Anche mettendo in
pratica qualche “tattica calcistica”. Prima di tutto
ho studiato l’avversario, come si fa prima degli incontri. Volevo capire i
suoi movimenti. Anche con il cancro si deve giocare d’anticipo. E poi mi
sono imposto di non mollare, ho utilizzato la forza che mi è sempre venuta
dal gruppo: ex compagni di squadra, amici, ma soprattutto la famiglia. E
il sostegno dei medici, con quell’immenso aiuto che ho trovato all’Istituto
Regina Elena e in particolare nel prof. Francesco Cognetti. Il sostegno, però,
che ho ricevuto da mia moglie e dalle mie due figlie è stato fondamentale.
Senza il loro aiuto, forse avrei chiesto il cambio alla fine del primo tempo.
Invece ho trovato la forza di reagire. Una feroce forza di reagire. Che cresceva giorno dopo giorno. Perché non accettavo l’idea di far soffrire le mie figlie
facendo vedere loro che stavo male. Quel pensiero mi ha spinto a mettercela
tutta, a cercare ogni energia dentro me stesso. A non mollare, a crederci.
Il fisico ha reagito bene. Ora voglio dirlo a tutte le persone che soffrono: la
famiglia è fondamentale. Non bisogna chiudersi in se stessi.
69
Le testimonianze
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Di paura ne ho avuta tanta, perché non dirlo? Ma poi, come ho imparato a
fare con la squadra, ho trasformato l’ansia in rabbia, tenacia, forza. Ho spinto
finché ho potuto. Le prove da superare sono molte. Ti serve tanta determinazione, soprattutto nel momento in cui ti comunicano che c’è qualcosa che
non va, che hai quel male lì…non riuscivo a crederci. Perché, come molti
sportivi, mi sentivo invincibile. Ho sempre evitato di farmi vedere troppo
giù da chi mi stava attorno. Ci ho provato ma, forse, non sempre ci sono
riuscito. Ho cercato di nascondere. Ho dovuto lavorare molto con la mente,
la concentrazione. E ho cercato di trascurare il meno possibile il lavoro. Le
telecronache, per esempio, cui ho continuato a dedicare tutta la mia passione.
E adesso ho tanta voglia di ricominciare. Ho fatto la Tac poco tempo fa:
i valori sono tutti tornati normali. Sono stato operato a novembre 2013 e lo
scorso aprile ho affrontato l’ultimo ciclo di chemioterapia. Questa è la vita,
ma non mi sono mai perso d’animo. Adesso posso dire che è andato tutto
bene. È stata la partita più importante, in gioco c’era la vita. Ora voglio riposare un po’, la sfida è stata lunga e faticosa.
Ho deciso di scendere in campo al fianco della Fondazione “Insieme contro il Cancro” perché chi è caduto nella trappola del tumore sa raccontarla
meglio, sa spiegare e far capire. Per questo ho voluto sostenere la campagna
“La lotta al cancro non ha colore” in favore delle fasce più deboli della popolazione. Ma tutti devono acquisire consapevolezza sull’importanza della
prevenzione, degli screening e delle visite, a cui bisogna sottoporsi regolarmente con coraggio, mettendo da parte la paura, pronti a fronteggiare, se
necessario, una dura realtà. Ma questa è la vita. E alla fine si può davvero
dire “ho vinto io!”.
Nicola Pietrangeli: “Ho affrontato la malattia senza nascondermi”
Nicola Pietrangeli è considerato il più forte tennista italiano di tutti i tempi. Ha vinto due Roland Garros e due
Internazionali d’Italia. Anche a Wimbledon i suoi risultati restano i migliori tra i giocatori del nostro Paese: in diciotto
partecipazioni ha raggiunto una semifinale nel 1960, quando fu sconfitto da Rod Laver in 5 set. È uno dei due italiani,
insieme a Gianni Clerici, a essere membro dell’International Tennis Hall of Fame.
La mia partita contro il cancro al colon è iniziata nel 1996. Ed è stata
vincente. Anche se non avrei mai pensato di poter soffrire di una malattia del
genere. Soprattutto dopo una vita passata sui campi da gioco, allenandomi
ogni giorno. Ero, in sostanza, “il ritratto della salute”.
Tutto iniziò in un pomeriggio di giugno, mentre sfidavo a carte un mio
amico fraterno: il prof. Renato De Angelis. Gli riferii semplicemente che dal
dicembre precedente notavo delle perdite di sangue. Mi portò senza indugi in
ospedale per una visita di controllo. Mi trovarono un polipo nell’intestino:
una parola che, nella mia ignoranza, avevo associato sempre e solo al regno
animale. Mi sottoposi poi a un ulteriore esame e mi dissero: operiamo. Non
avevo ancora capito bene la situazione e proposi di spostare tutto dopo l’estate. Ovviamente, non mi presero in considerazione
e due giorni dopo ero “sotto i ferri”. Sei ore di intervento e della malattia mi rimanevano addosso
soltanto i punti di sutura. Il mio segreto fu quello
di affrontare il tumore con il mio solito modo allegro di vivere, senza timore e senza nascondermi.
A partire dal nome: io dico ‘cancro’, perché non ho
paura a chiamarlo con il suo vero nome. Purtroppo, ancora oggi si tende a etichettarlo come “male
incurabile”: sono una delle tante testimonianze
che vanno proprio nella direzione opposta, così
come molte altre persone che conosco. Ovviamente, un’esperienza del genere non la auguro a
nessuno. Ma, se dovesse succedere, è importante affrontarla di petto. Se
dovessi consigliare qualcuno, direi di fare affidamento sulla forza di volontà
e sulla determinazione, perché sono aspetti fondamentali. Piangersi addosso è inutile, soprattutto nei momenti peggiori. Dopo l’operazione non ero
sicuramente al massimo delle forze, persi otto chili e sembravo invecchiato
di dieci anni, anche perché la mia degenza fu complicata da una bronchite.
Ma non ebbi mai paura di morire. Nemmeno per un istante. Utilizzando una
metafora, sapevo che dall’altra parte della rete c’era un avversario temibile,
ma non volevo perdere quella partita. Ho lottato con le unghie e con i denti,
fino all’ultimo set: e la volée vincente è stata la mia.
Sicuramente sono stato fortunato, perché soltanto in seguito compresi il
reale pericolo. Ma anche la vicinanza delle altre persone contò molto. La malattia fa capire quanto siamo piccoli, finiti e in che modo possiamo dipendere
da tutti quelli che conosciamo, compresi i medici. La mia grande amicizia
con il prof. De Angelis è stata fondamentale, sia nella scoperta del cancro sia
nel decorso post-operatorio. Mi colpì una sorta di “sindrome di Stoccolma”,
ma in senso positivo: ogni volta che vedevo i medici ero contento, perché
sapevo che erano lì per me.
Ormai sono passati quasi due decenni dalla diagnosi, ma io sono tornato
alla vita di tutti i giorni già da molto tempo. In qualche senso, è come rinascere. Dopo 5-6 anni che mi sottoponevo agli esami periodici di controllo,
il prof. De Angelis mi disse, ancora una volta scherzando: “Non ti voglio più
vedere!”. Ero completamente guarito.
Nell’ultimo periodo ho avuto poi altre esperienze con gli ospedali. Ad
71
Le testimonianze
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esempio, ho dovuto accompagnare un mio “ex collega” australiano in visita
a Roma: era incappato in un “infartino”, niente di così grave. Una volta
ritornato al suo Paese, mi telefonò per dirmi che i suoi medici erano impressionati dall’eccellenza dell’intervento effettuato in Italia. Ma anch’io sono
sempre rimasto piacevolmente stupito dall’assistenza sanitaria del nostro
Paese. Un sistema da difendere a tutti i costi, che assicura cure di altissimo livello senza guardare in faccia o nelle tasche a nessuno. Ovviamente
i problemi e gli incidenti possono capitare, ma come accadono in tutte le
parti del mondo. Per nostra fortuna, le persone che si ammalano in Italia
hanno una speranza in più: anche se incontrano il cancro sulla loro strada,
sappiano che troveranno professionisti competenti e pronti ad ascoltarli con
pazienza. Perché oggi il match contro la malattia si può e si deve vincere.
Marina Ripa di Meana: “La mia vanità mi ha salvata dal cancro”
Marina Ripa di Meana è scrittrice, stilista e personaggio televisivo. Autrice di numerosi libri biografici e autobiografici,
ha fondato negli anni Sessanta a Roma un atelier di alta moda. È impegnata da anni in battaglie contro l’uso delle
pellicce, il nucleare e per la prevenzione precoce dei tumori.
Due ‘v’ mi hanno salvato la vita: la volontà e la vanità. Quando nel
2001 mi diagnosticarono un cancro al rene era mancata da pochi giorni
mia sorella Paola, per un tumore al pancreas. Fu uno shock tremendo,
associato all’enorme dolore per la perdita familiare. Soprattutto perché ero nel pieno delle forze e
non avevo alcun sintomo. Uscita dall’ospedale mi
balenò immediatamente un’idea malsana: farla
finita. Ero su un ponte del lungotevere e guardai
l’acqua, quasi decisa a saltare. Ma l’immagine del
mio corpo gonfio che galleggiava sul fiume mi
parve insopportabile. L’amore che provo per me
stessa mi convinse a combattere, fu la mia àncora
di salvezza. Ovviamente, il percorso che affrontai
in seguito non fu tutto rose e fiori, anzi. Di momenti duri ce ne furono tanti, forse i peggiori di
tutta la mia vita. Soprattutto a causa dei numerosi
interventi chirurgici e delle terapie. Mi asportarono subito il rene malato,
presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Cinque anni dopo, nel 2009,
fui sottoposta ad altre quattro operazioni, di cui tre ai polmoni, a distanza di
un mese una dall’altra. Ma ho sempre pensato che ce l’avrei fatta, che questa
sfida l’avrei vinta io. Non ne ho dubitato neanche per un istante. La forza di
volontà mi ha fatto superare anche gli effetti collaterali della chemioterapia,
molto pesanti. Ancora oggi, quando la malinconia mi assale all’improvviso,
esco e gambe in spalla vado a camminare, perché ho sempre amato fare
lunghe passeggiate. Questo persino nei giorni più bui. Mi sento, come per
magia, subito meglio.
Non posso dire di essere guarita in senso tradizionale perché, ad esempio,
mi sono sottoposta all’ultimo ciclo di radioterapia tra pancreas e fegato nel
2013, a dodici anni dalla prima diagnosi. Credo sia stata questa la grande
trasformazione che ha investito la parola “cancro” negli ultimi anni. Oggi
posso dire a gran voce che non si tratta più di un “male incurabile”, ma
di una malattia curabile che nel tempo, come nel mio caso, può diventare
cronica. Io ne sono la testimonianza vivente. In più, sono fortunata perché
sono sempre stata molto attenta al cibo, all’esercizio fisico e a uno stile di
vita sano in generale. In poche parole, ho sempre amato tenermi in forma.
Questo ha sicuramente aiutato. Adesso effettuo TAC ed esami di controllo
ogni 4-5 mesi e i valori delle mie analisi sono talmente buoni che il medico
mi ha detto: “Lei la prossima volta la mandiamo dal pediatra!”.
Alle donne che ogni giorno si trovano a fare i conti con quello che ho
passato io, potrei dire: “Guardatemi, sono ancora qui a condurre le mie battaglie di sempre”. Con una battuta, sono una “tumorata di Dio”. Vivo con un
rene in meno e con i polmoni operati, venite a trovarmi e vi darò i consigli
necessari. Ma il segreto rimane la forza di volontà, e la ricerca, per quanto
possibile, di un po’ di buonumore: due elementi che non dovrebbero mai
mancare. Oltre a seguire le indicazioni dei medici. Ho conosciuto persone
che iniziavano con le terapie, si sentivano meglio e poi smettevano. Lancio
un appello: affidatevi ciecamente ai medici in cui avete fiducia e non mollate
mai. Non saltate gli appuntamenti di controllo e i test di screening. Abbiamo
la fortuna di vivere in un Paese con un Servizio Sanitario eccellente, gratuito, con grandi professionisti che ogni giorno lavorano sodo per curare i
pazienti. Ogni volta che mi recavo allo IEO quasi non mi rendevo conto di
essere in ospedale: è più cupa l’atmosfera della RAI!
Posso dire di avere lottato contro il cancro per vivere fino in fondo,
perché la vita è sicuramente il dono più bello di cui disponiamo. Come dice
Susan Sontag, noi malati abbiamo soltanto una “tassa in più da pagare”, ma
tutto il resto è uguale.
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I media:
come va affrontato oggi il tema cancro
La parola ai Direttori
La parola ai Direttori | Giulio Anselmi
76
Ligure, classe 1945, Giulio Anselmi
comincia ad interessarsi al giornalismo da
studente al Corriere Mercantile. Passa nel
1969 a Stampa Sera e poi a La Stampa.
Successivamente è inviato speciale per il
settimanale Panorama. Dal 1977 al 1984
ha lavorato a Il Secolo XIX. È stato direttore
del settimanale Il Mondo. Il 1987 è l’anno
del passaggio al Corriere della Sera come
vicedirettore dove diventa condirettore
nel 1992. Nel novembre 1993 prende la
guida del Il Messaggero, dove rimane fino
al giugno 1996. Dopo un breve periodo
in cui è editorialista del Corriere della Sera,
dal 1997 al 1999 è direttore responsabile
dell’ANSA. A capo de l’Espresso dal 1999
al 2002, dal 2005 al 2009 dirige La
Stampa di Torino. Subito dopo assume
la presidenza dell’ANSA, confermata nel
2012, ed infine assume la presidenza
della Fieg.
giulio Anselmi
Presidente dell’ANSA
“Diamo spazio ai progressi, ma denunciamo
anche i ritardi nella ricerca e nell’assistenza”
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
È un dato di fatto: la richiesta di informazioni sulla salute cresce, come è in
crescita tutta l’informazione “verticale”, quella di approfondimento. Non solo la
carta stampata ma soprattutto i siti on line offrono notizie ogni giorno su cosa
succede nei laboratori di ricerca e nelle corsie di tutto il mondo. Non c’è testata
che non abbia uno spazio dedicato a questi argomenti, con ampie sezioni a volte
settimanali. Ma i grandi temi di salute che hanno una ricaduta sulle coscienze
(dall’eutanasia all’aborto, dalla fecondazione a tutte le tematiche bioetiche)
tengono banco sulle prime pagine. E i lettori sono affamati anche di risposte a
problemi che gli esperti possono giudicare “banali”, chiedono più informazioni
attraverso la rete. Purtroppo il dolore dei pazienti è diventato anche spunto per
servizi “spettacolari” o “sensazionalici” (più frequentemente in televisione). E i
giornalisti che credono nei principi etici della professione condividono le stesse
preoccupazioni dei medici sugli effetti perversi di certi approcci.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
È colpa o merito dell’invecchiamento della popolazione ma anche degli ottimi
risultati della medicina. I media guardano ai temi della salute con attenzione ma
in realtà le notizie sui tumori, per riuscire a conquistare spazio sulle pagine dei
giornali (altro discorso è quello dell’informazione on line), debbono vincere la
diffidenza di quanti temono che certi argomenti appesantiscano troppo l’umore
dei lettori, facendo prediligere i cosiddetti alleggerimenti. Una preoccupazione
che sembra riguardare di meno la stampa internazionale. La stessa identica notizia sui tumori può avere sorti molto differenti sui giornali italiani e su quelli
stranieri, in particolare quelli anglosassoni, dove la parola “cancer” ricorre quasi
ogni giorno nei titoli delle grandi testate, dalla BBC al New York Times. Ma
bisogna ammettere che molti passi in avanti sono stati fatti: grazie anche alla
forza comunicativa di grandi scienziati, come Umberto Veronesi per citarne solo
77
La parola ai Direttori | Giulio Anselmi
uno, e alla volontà divulgativa di associazioni come l’AIOM, anno dopo anno
si è diffusa una cultura della salute e della prevenzione che si stima possa avere
salvato già milioni di vite solo nel nostro Paese.
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Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni.
Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la
“notiziabilità” di un fatto legato alla salute?
La notizia è tutto ciò che può avere un interesse e un impatto sul paziente, sulla
struttura che offre la cura ma anche sul sistema in generale. Il giornalismo sanitario è un complesso mix di cronaca, informazioni di servizio e divulgazione
scientifica. I media debbono essere liberi di raccontare i passi in avanti, denunciare i ritardi nella ricerca e nell’assistenza, puntare i riflettori sulle aree in ombra
che hanno bisogno di essere sostenute. Ma anche fare conoscere le storie dei
pazienti e dei protagonisti scientifici.
È difficile stabilire a priori come raggiungere il punto di equilibrio fra la correttezza, l’appeal narrativo ma allo stesso tempo il rigore scientifico. Si tratta
di un lavoro che non può essere realizzato con una formula fissa regolata da un
immaginario bilancino giornalistico. Ed ogni notizia è una storia unica, che deve
essere compresa, tradotta e offerta con sensibilità (perché il lettore può essere
un malato o un suo familiare). Il nostro lavoro è questo e comprende anche la
capacità di ascoltare e riconoscere le fonti più autorevoli e competenti.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Non vorrei appuntare sul petto dell’ANSA una medaglia per uno scoop. Il merito
maggiore è quello, meno visibile, del controllo e del rigore. L’ANSA può vantare
una squadra di giornalisti specializzati che da 25 anni cura un notiziario dedicato proprio alla salute e politica sanitaria con news che vengono dall’Italia e
dal mondo. Oggi le pagine web specializzate dentro ANSA.IT hanno completato
questo percorso e nell’ultimo anno si sono aggiunti due figli “nobili”: il sito Salute
e Benessere Bambini in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria e il sito
+65 dedicato alla Salute nelle terza età in collaborazione con la Società Italiana
di Geriatria, di prossimo avvio. Di tumori si parla, ovviamente, anche in queste
pagine, ma sono le stesse società scientifiche la garanzia ulteriore della più alta
attendibilità delle nostre fonti. Notizie con il bollino blu di cui i lettori hanno
sempre più bisogno, come dimostrano i numeri dei contatti.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
Ogni settore ha il proprio gergo. I giornalisti sono accusati spesso di semplificare,
ma questo è il loro merito se la “traduzione” dei tecnicismi medici e scientifici
non diventa un impoverimento dei concetti. Del resto non è un caso che i grandi
medici, quelli peraltro più amati dai propri pazienti, siano proprio coloro che
sono capaci di parlare con più chiarezza, in modo diretto e semplice. E la chiarezza è una parte della stessa cura perché solo così i malati possono “aderire alla
terapia”, favorendo la guarigione. Per rispondere alla domanda, il compromesso
non solo è possibile ma è anche indispensabile.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing,
rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è
il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Ha un grande valore. Ma la malattia è anche solitudine, c’è un momento (come
quando viene comunicata una diagnosi) nel quale ognuno è solo con se stesso,
e bisogna fare i conti con le proprie paure e con la propria forza di reagire. Gli
esempi positivi di chi è famoso aiutano ovviamente a sperare. Ora però sono
sempre di più gli esempi che possiamo trovare nel nostro vissuto, fra i tanti familiari e amici che non hanno avuto bisogno di andare nei templi internazionali
dell’oncologia per riuscire a guarire. In Italia, infatti, ci sono molte strutture
altamente qualificate e riconosciute come tali anche a livello internazionale.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
Ognuno deve fare il proprio lavoro: è solo compito del medico stabilire un percorso e proporlo al malato mentre l’informazione può rendere più consapevoli
le persone riguardo ai rischi e alle possibilità di cura. In questo caso sono state
molte le donne a chiedere informazioni ed è probabile che siano state molte
a farsi anche solo delle domande. Vedremo se c’è stato un effettivo rischio di
emulazione.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti
pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che
richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali
per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Ancora non a sufficienza. L’informazione predilige le notizie sulle scoperte
scientifiche o la cronaca. Ora siamo pronti a passare ad una “fase 2”: il passaggio
dallo “sdoganamento” del tema a quello della piena consapevolezza che la vita
continua. Ma questo comporta anche nuovi problemi organizzativi e di tutela dei
malati visto che sono in molti a perdere il lavoro a causa della malattia.
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La parola ai Direttori | Giulio Anselmi
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Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia,
al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal
sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può
impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Si muore ancora di tumore perché in alcuni casi non si riesce a curarlo. Ma è la
storia personale del paziente a dirlo, il termine male incurabile non può essere
certo usato come un generico sinonimo della parola tumore. L’espressione è nata
per garantire la privacy del malato perché non è affatto detto che la famiglia voglia far conoscere i dettagli della malattia di un proprio caro. È comunque certamente una espressione superata, nel linguaggio comune e anche in quello giornalistico. Oltre ad avere rappresentato uno stigma che molti giornalisti del settore
hanno combattuto al fianco dei medici.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
La ricostruzione del fatto può essere difficile anche per un giornalista che lavori
seriamente. Può dipendere da un problema di limiti culturali di chi scrive o da
una carenza deontologica che si traduce in mancanza di scrupoli e di attenzione.
Ma può anche capitare che un giornalista, o la sua testata, sposi una tesi, magari
per ragioni politiche o di audience. Questo è cattivo giornalismo e lo è ancora
di più quando si parla di salute perché i rischi sono anche maggiori e diretti. Ci
sono stati pazienti che hanno rifiutato le trasfusioni o le terapie mediche scientificamente provate a causa di notizie scorrette.
L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei,
è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Anche in questo caso la verità è piena di sfumature. Esistono strutture e medici
ad altissimo livello scientifico e capaci di offrire una eccellente assistenza. Ma
non è così in tutte le regioni, ed è giusto denunciarlo. Sono gli stessi dati di confronto dell’Agenas (l’agenzia per i servizi regionali) a dimostrarlo. La prova del
nove sulla qualità delle nostre cure potrà arrivare con l’apertura delle frontiere ai
pazienti europei, partita proprio in questi mesi. Saranno questi viaggi dei malati
a dimostrare se siamo veramente all’altezza della situazione.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette,
purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
La sanità italiana sta cominciando ad affrontare solo ora il percorso della vera
spending review. Il patto per la salute ha stabilito una serie di percorsi virtuosi
ma la crisi non fa sconti a nessuno e i pazienti sono i primi a sentire il disagio
della situazione. I tempi potrebbero essere ancora lunghi, troppo per chi sta male
e spera di avere sempre le cure e i farmaci migliori per salvarsi la vita.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci
una sua esperienza con la malattia?
Posso solo raccontare l’esperienza di una grande paura che è stata temperata con
la razionalità scattata per riuscire a fare le cose necessarie.
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La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer
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Bianca Berlinguer è nata a Roma
il 9 dicembre 1959. Le sue prime
collaborazioni sono con Il Messaggero,
poi nel 1985 l’incontro con Giovanni
Minoli che la chiama a lavorare a Mixer,
quattro anni in cui impara la tecnica
televisiva: riprese montaggio, video,
poi il passaggio al Radiocorriere TV
dove diventa giornalista professionista
e nel 1991 l’ingresso nel TG3 di Sandro
Curzi dove ha ricoperto molti ruoli,
prima inviata di cronaca, poi di politica,
conduttrice dell’edizione delle 19.00
e di Primo Piano approfondimento
notturno del telegiornale. “Sereno e
solido il suo rapporto con la diretta”, ha
scritto il Corriere della Sera. Negli stessi
anni collabora con Michele Santoro per
i programmi: Il Rosso e il Nero e Tempo
Reale. Il primo ottobre del 2009 viene
nominata all’unanimità dal Consiglio di
Amministrazione della Rai direttrice
del TG3.
bianca berlinguer
Direttore del TG3
“La salute dei cittadini non è il territorio
per inseguire gli scoop”
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi
medico-scientifici negli ultimi decenni?
Fino a pochi anni fa, soprattutto per malattie come il cancro, la comunicazione
praticamente non esisteva, forse perché l’argomento veniva considerato troppo
doloroso e perché c’era una concezione diversa della medicina e del rapporto
medico-paziente.
Negli ultimi anni, direi nell’ultimo decennio, grazie anche alla sensibilità dei
medici e al coraggio dei pazienti l’informazione è cresciuta per quantità ma
soprattutto per qualità.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei,
perché?
C’è sempre più necessità da parte dei pazienti, ma naturalmente anche dei
cittadini, di tutti noi, di avere il massimo possibile di informazioni.
E questo non solo perché è cresciuta l’attenzione alla propria salute, ma soprattutto perché è cresciuta la consapevolezza che il paziente deve partecipare in
maniera attiva alla cura e alla conoscenza della propria malattia.
In questi anni il quadro sta cambiando a beneficio di una migliore comunicazione che favorisce i malati e i loro familiari.
Non dimentichiamo che prima i medici a volte non parlavano nemmeno direttamente con i pazienti.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate” e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni.
Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la
“notiziabilità” di un fatto legato alla salute?
Questa è la questione più delicata e importante perché investe il difficile equilibrio su cui devono muoversi i media tra la necessità di dare informazioni che
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La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer
siano il più nuove possibile per tutti i lettori e la giusta valutazione dei fatti.
Per quanto riguarda l’importanza da dare alle notizie che riguardano la salute,
credo che si debbano tenere presenti diverse valutazioni. La prima è senz’altro l’impatto sociale: se – ad esempio – una certa cura è determinante nella
sconfitta di una malattia è ovvio che avrà il giusto spazio sulla stampa. Se
viene scoperto un vaccino contro una malattia rara, anche questo ha per noi
un grande interesse. Infatti, ogni volta che riceviamo queste notizie, una volta
verificate, le presentiamo ai telespettatori perché è giusto fornire un’informazione completa.
84
Ma quanto è forte il rischio di alimentare illusioni, soprattutto nei malati?
Bisogna stare molto attenti a come si dà la notizia. Il rischio di creare false
aspettative è molto alto e per questo bisogna essere prudenti e non enfatizzare le
informazioni. Riceviamo spesso telefonate di persone che denunciano il crollo
di speranze che avevano riposto in una data cura. La salute dei cittadini non è
il territorio per inseguire gli scoop.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Naturalmente, quando parliamo di questi argomenti cerchiamo anche di far
passare messaggi positivi, di speranza. Messaggi che possano testimoniare
come i progressi della ricerca possano produrre una ricaduta rilevante sulla
salute delle persone. Ma siamo anche attenti a descrivere esperienze di solidarietà, di vicinanza.
Qualche esempio: mi piace ricordare i servizi che facciamo ogni anno su quel
gruppo di donne malate di cancro al seno che si mettono in gioco, anche in
modo sereno, facendo un loro calendario.
Recentemente abbiamo fatto un servizio che riguardava ancora delle donne.
Una di loro per la chemioterapia aveva perso i capelli, così tutte le sue amiche
si sono rapate a zero anche loro, per solidarietà.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso
produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere.
È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere
necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
È necessario trovare un compromesso nel linguaggio che consenta di dare
informazioni scientificamente corrette ma allo stesso tempo comprensibili al
grande pubblico.
Diciamo che i medici e i giornalisti devono fare entrambi un passo avanti: i
giornalisti cercando di essere meno superficiali ma i medici cercando di farsi
capire meglio, perché a volte usano un linguaggio troppo tecnico e compren-
sibile solo agli addetti ai lavori. Anche qui registriamo piccoli progressi con
esperti che riescono a farsi capire da un pubblico sempre più vasto. Ma, lo
ripeto, tutti dobbiamo fare passi in avanti.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto
outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla
sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Penso che vadano apprezzati perché aiutano anche i cittadini non conosciuti a
non vergognarsi della propria malattia. A dichiararla in famiglia o tra gli amici.
In definitiva a sentirsi meno soli.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Non mi stupisce che alcuni giornali abbiano dato la notizia in modo incompleto e sbagliato, cogliendone solo gli aspetti di gossip. In realtà Angelina Jolie,
secondo me, era animata dalla volontà di far conoscere la sua storia e i rischi
che correva per la familiarità con il cancro.
La sua è stata una scelta radicale ed è ovvio che non deve produrre fenomeni
di imitazione. Ma io credo che, proprio per la popolarità dell’attrice, possa aver
fatto riflettere molte donne sulla necessità, ad esempio, di avere una maggiore
consapevolezza dell’importanza della prevenzione.
Di prevenzione, invece, si parla ancora troppo poco, mentre rappresenta la
prima vera arma vincente che va seguita a tutte le età adottando stili di vita
corretti.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti.
Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore
che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti,
fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Nel nostro telegiornale abbiamo raccontato molto volte storie di questo tipo. Il
singolo magari non fa notizia, ma se si creano delle associazioni, dei momenti
di socialità e di incontro è chiaro che i protagonisti possono trovare più spazio
sui media.
Proprio perché allora la malattia non è più una storia singola (che naturalmente
ha tutta la sua importanza) ma diventa l’occasione per un’informazione positiva che può essere di sostegno e di incoraggiamento per altri malati. E ben sap-
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La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer
piamo quanto ascoltare storie di persone che hanno superato la malattia possa
davvero contribuire a raggiungere risultati importanti e combattere i momenti
di depressione che colpiscono chi quotidianamente si trova a combattere con
un male così importante.
Ma, se mi è concesso, vorrei dire qualcosa in più su questo argomento. Nella
nostra redazione abbiamo avuto diversi colleghi – donne e uomini – colpiti
dalla malattia. E tutti, una volta sconfitto il cancro, hanno chiesto di tornare al
lavoro a pieno regime, come tutti gli altri. E sono tornati con ancora maggiore
determinazione.
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Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali.
Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa,
oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli
affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso
accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora
questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato,
dalla testata che dirige?
Ma noi onestamente non usiamo più già da molto tempo questo termine...
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il
caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false
speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i
media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente
medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Questo è un argomento delicatissimo, perché investe la tragedia che vivono
alcune famiglie che devono confrontarsi quotidianamente con malattie gravissime e rare che hanno colpito le persone che amano. È chiaro che queste
famiglie possono cadere vittime di false speranze. Detto questo, la testata che
dirigo ha sempre cercato di attenersi al massimo della sobrietà nell’informare
i suoi telespettatori.
Abbiamo riferito le risposte che ha dato la scienza, ma abbiamo sempre voluto
far parlare anche le famiglie, i genitori dei bambini affetti da queste patologie
così severe.
Perché il dolore di una famiglia colpita da una grave e incurabile malattia va
sempre rispettato e non va confuso, né con le parole di chi vende false speranze,
ma nemmeno con le risposte che danno le istituzioni e la scienza.
L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa.
Secondo lei, è condivisa questa opinione dagli italiani o questi dati trovano ancora troppo poco
spazio sui media?
Io non so se ci sia davvero una sottovalutazione dei risultati che ha ottenuto in
questi anni l’oncologia italiana. Ma non mi risulta che ci siano dei criteri, delle
classifiche ufficiali a cui attingere per valutare la qualità dell’offerta oncologica
di un Paese o dell’altro.
Se così fosse, comunque, penso che questo dipenda dalla generale e ingiusta
sottovalutazione di tutta la sanità italiana.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette,
purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Segnali positivi per ora non ci sono. Ma è troppo presto per dire se la fase negativa dell’economia italiana è davvero alle nostre spalle.
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La parola ai Direttori | Mario Calabresi
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Mario Calabresi, scrittore e giornalista, nato
nel 1970 a Milano, è direttore del quotidiano
La Stampa dal 2009. Ha lavorato come cronista
parlamentare all’Ansa e alla redazione
romana de La Stampa. È stato caporedattore
centrale de La Repubblica, e nel 2007-2008
come corrispondente da New York per lo stesso
quotidiano ha seguito tutta la campagna
presidenziale americana e l’elezione di Barack
Obama. Ha scritto Spingendo la notte più in là.
Storia della mia famiglia e di altre vittime del
terrorismo (2007); La fortuna non esiste. Storie
di uomini e donne che hanno avuto il coraggio
di rialzarsi (2009); Cosa tiene accese le stelle.
Storie di italiani che non hanno mai smesso
di credere nel futuro (2011), tutti pubblicati
con Mondadori. Il suo ultimo libro si intitola
A occhi aperti e contiene le interviste a dieci
grandi fotografi che raccontano i momenti
in cui la Storia si è fermata in una fotografia
(Contrasto, 2013). Nel 2011 ha condotto su Rai
3 il programma “Hotel Patria”.
mario calabresi
Direttore de La Stampa
“Le notizie che fanno troppo rumore possono
penalizzare sia i lettori che i giornali”
Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni?
È cambiato molto. I giornali di 30 anni fa non utilizzavano neppure il termine
“tumore”. Si usava un terribile eufemismo, “male incurabile”, che toglieva ogni
speranza di guarigione e seminava il panico. Chi si ammalava pensava di ricevere una sentenza di condanna a morte. In questi anni sono state realizzate
molte campagne di comunicazione e sensibilizzazione che hanno modificato
radicalmente le prospettive. E sui media oggi trovano spazio anche le possibilità di guarigione.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo
lei, perché?
I cittadini hanno sete di notizie, vogliono essere informati e capire. Oggi nessun paziente va dal medico e accetta una cura senza ulteriori spiegazioni. E,
fortunatamente, anche da parte dei clinici è cambiato il rapporto con i malati.
Nessun medico prescrive un farmaco senza fornire chiarimenti. I camici bianchi sentono il dovere di contestualizzare le terapie. Quindi, in una società con
un livello di condivisione e trasparenza molto alto, anche i media hanno capito
che è importante dedicare spazio ai temi legati alla salute.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Da parte dei media talvolta sono stati commessi errori, con eccessi di sensazionalismo. Basti pensare ad alcuni titoli, “Trovata la cura per …” oppure
“Entro 10 anni sconfiggeremo…”. Sono estremamente scettico su questo tipo
di annunci. Chiedo sempre alla mia redazione di verificare in profondità la
fonte di una notizia: ad esempio, chi ha condotto uno studio clinico, quando
e dove e con quali risultati. Un tempo si credeva che le notizie che facevano
rumore garantissero un maggior numero di vendite del giornale. Forse questo
89
La parola ai Direttori | Mario Calabresi
atteggiamento può funzionare nel breve periodo. Ma, a lungo termine, il sensazionalismo penalizza sia i lettori che i giornali.
È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente
divulgativo di quello giornalistico?
È un passaggio indispensabile. Il linguaggio strettamente scientifico sui giornali
non funziona. Rendere questi messaggi comprensibili da parte della maggioranza dei lettori non significa gonfiarli o stravolgerli. Si può cambiare il linguaggio,
rispettando però la sostanza.
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Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto
outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore e di averlo sconfitto. Qual è il valore di questi
esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
È fondamentale. I pazienti e, più in generale, i cittadini hanno bisogno di
esempi di persone che hanno vinto la malattia. In questo modo possono avere
più forza per affrontare il percorso di cura.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il
mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo.
Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di
emulazione in questi casi?
La notizia era di grande impatto, con un rischio reale di trasmettere un messaggio che arrivasse solo alla “pancia” dei lettori. Il giorno in cui l’attrice americana rivelò la sua esperienza, il nostro giornale fece un notevole sforzo per
inserire la notizia nel giusto contesto, con tutto quello che era necessario far
sapere ai lettori. Nello specifico, abbiamo approfondito vari aspetti: il ruolo del
fattore genetico nello sviluppo del tumore del seno, l’opportunità di un intervento così radicale, le modalità e i tempi in cui è possibile effettuarlo. Sempre
intervistando diversi esperti.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Secondo lei, a
questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Credo che a queste notizie sia dato il giusto peso. Però, probabilmente, possiamo impegnarci di più per dare maggior risalto a tutti gli aspetti legati al
ritorno alla normalità.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le
guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo
“male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine?
Nei grandi giornali non si usa più l’espressione “male incurabile”, è ormai su-
perata. È ancora utilizzata in ambienti caratterizzati da ignoranza scientifica,
ma è chiara la tendenza ad abbandonarla.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla
vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di
Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei,
ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende?
E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca,
addirittura con riflessi politici?
Non è un problema se una questione medico-scientifica diventa un caso di
cronaca, lo è se viene trattata in modo sbagliato. Il caso Stamina rappresenta
un esempio scandaloso di spettacolarizzazione e sfruttamento di una vicenda
medica. Trasmissioni televisive hanno cavalcato questa notizia per fare ascolti,
creando devastazione su storie personali drammatiche. In questo modo non è
stata data una speranza a pazienti colpiti da malattie gravi, ritenute non curabili. Si sono in realtà create false aspettative, sfruttando la disperazione delle
famiglie dei bambini malati. È emerso come il caso Stamina non avesse alcun
fondamento scientifico, per questo La Stampa si è impegnata in una campagna
di comunicazione dei retroscena del metodo Stamina, intervistando gli esperti
per offrire un panorama completo della vicenda. Abbiamo voluto allontanare i
lettori da una pericolosa deriva emozionale, mettendo a disposizione gli strumenti per capire i risvolti della notizia.
L’oncologia italiana e – più in generale – il sistema sanitario del nostro Paese, risulta tra i migliori
al mondo. Lo evidenziano i tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa
questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Purtroppo a questi dati non è dedicato sufficiente risalto. Dobbiamo impegnarci di più.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Finalmente assistiamo a segnali di ripresa e di miglioramento. La direzione
mi sembra quella giusta, difficile però capire i tempi. Rispetto alla mancanza
di speranza di due o tre anni fa, oggi assistiamo a piccoli cambiamenti incoraggianti.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Purtroppo, tra i miei parenti, ci sono stati più casi di tumore, alcuni risolti
positivamente. Queste guarigioni mi hanno insegnato che il cancro non è un
male incurabile. La prevenzione è fondamentale, così come la fiducia nei medici
e nelle terapie.
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La parola ai Direttori | Virman Cusenza
92
Virman Cusenza nasce a Palermo
nel 1964. Inizia la carriera giornalistica
nel 1984 collaborando con Il Giornale
di Sicilia. Nel 1987 entra al quotidiano
Il Giornale di Indro Montanelli (cinque
anni a Milano, poi il passaggio a Roma),
occupandosi di cronaca giudiziaria,
mafia e politica interna. Nel 1998, cura
per RaiUno il programma di inchieste
“Uno di notte” di Andrea Purgatori. Dal
1998 al 2007 è a Il Messaggero come
editorialista e capo del servizio politico.
Nel gennaio 2008 viene nominato vice
direttore de Il Mattino di Napoli di cui, dal
5 agosto 2009, assume la direzione. Nel
luglio 2011 viene insignito del Premio
Ischia Internazionale di giornalismo e del
Premio Capri, sezione direttori. È direttore
de Il Messaggero dal 10 dicembre 2012.
virman cusenza
Direttore de Il Messaggero
“La prevenzione è fondamentale: non può
essere ignorata dai media”
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
Negli ultimi decenni i temi medico scientifici, complice l’invecchiamento della
popolazione e l’aumento esponenziale dei big killer, escono dalla nicchia e dagli
spazi destinati agli addetti ai lavori ed entrano di diritto tra le notizie principali
ed irrinunciabili di qualsiasi testata. La comunicazione cambia perché è cambiato il target: si fa più diretta, comprensibile a tutti, cerca un linguaggio semplice,
preciso ma accattivante, punta sui messaggi di prevenzione e approfondisce
i “corollari” della salute come gli stili di vita, le buone abitudini, la medicina
alternativa, le strategie quotidiane per restare in forma.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
Non vorrei ripetermi ma credo, purtroppo, che l’aumento tra la popolazione
dell’incidenza di melanomi e tumori accresca l’interesse e la necessità di trattare
certi argomenti. A livello giornalistico, sociale ed etico. Oggi sappiamo che la
prevenzione, che non costa nulla, può giocare un ruolo fondamentale: un messaggio di utilità sociale che non può essere ignorato dai media.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
La notizia di salute e di sanità è tra le più delicate da trattare, si ha a che fare
con la vita delle persone e con una reazione X che la notizia può scatenare, dal
sollievo al terrore, dalla speranza alla depressione. Una responsabilità grandissima che vieta di gonfiare e di minimizzare storie. La notizia esiste soltanto se il
fatto è verificato, corredato di carte, dati o pareri autorevoli, la sensibilità guida
il movimento della penna e la serietà del giornalista gli impone toni cauti, al
riparo da titoli sensazionali.
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La parola ai Direttori | Virman Cusenza
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Tutte le settimane trattiamo il tema su Macro, l’allegato a Il Messaggero del
mercoledì dedicato alla medicina e da poche settimane abbiamo raddoppiato, al
sabato, con un approfondimento sulla bellezza e il benessere.
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Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre spesso emergono nuovi dubbi
e domande. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere
necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
Sì è necessario, e per questo è fondamentale che non ci si improvvisi giornalisti
scientifici. Il collega che tratta temi medici, in tv e sulla carta stampata, deve
vantare una formazione specifica ed aggiornarsi continuamente. L’autorevolezza
se la conquista ogni giorno e basta un errore per scalfirne la reputazione, sono
temi troppo sensibili che riguardano la vita delle persone.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto
outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta.
Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Il valore immenso è il messaggio positivo che parte da uno e arriva a tutti infondendo speranza, quello che “ce la si può fare”. La prima fu la campionessa di
tennis Lea Pericoli, scelse la tv per raccontare una verità che appartiene a tanti
e che a lungo era stata celata: la malattia. Fu la prima “testimonial” della storia,
campionessa sul campo e nella vita, tante donne si riconobbero in lei sentendosi
più forti perché meno sole. Nel 2005 invece, i riflettori puntati su Kylie Minogue,
l’icona del pop, si spensero per accendersi su un dramma personale: un tumore
al seno, maligno. La cantante, fino a quel momento icona di bellezza e successo,
si rivolse alle donne alle quali confidò di aver perso tutto, seno, capelli, peso e
vitalità, non si nascose, anzi di quel periodo restano dichiarazioni coraggiose e
foto con il foulard sul capo. Poi Kylie ha vinto ed è tornata sul palco, spendendosi
senza riserve per la prevenzione.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Certo, il rischio di emulazione è reale e cresce in maniera direttamente proporzionale ai titoloni che fanno gola a direttori e giornalisti.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare
che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
Abbiamo raggiunto importanti traguardi grazie agli screening e alle terapie biologiche mirate e ora stiamo assistendo a una vera e propria cronicizzazione della
malattia: con il cancro si vive meglio e più a lungo e dai dati emerge che proprio
l’Italia è tra i Paesi europei con il migliore tasso di guarigioni e sopravvivenza.
L’informazione al malato oncologico, quindi, deve essere a tutto tondo, rivolta
con uguale impegno sia agli aspetti di efficacia che a quelli di umanità e attenzione. Penso ad esempio alla sfera della sessualità, spesso arginata tra i bisogni
inespressi del malato, in quel “non detto” che il medico deve cercare di cogliere
e che proprio il giornalista può intuire e sviluppare.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al
reinserimento nel mondo del lavoro. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora il termine “male
incurabile”? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla
testata che dirige?
La speranza nasce dalla consapevolezza che dal male si può guarire. Nel 1990,
in Italia, morivano 40 donne ogni 100 mila colpite dal tumore alla mammella,
oggi sono la metà, circa 20, un risultato che fa ben sperare per il futuro. I farmaci molecolari e le terapie personalizzate oggi sono una possibilità, trent’anni
fa non esistevano. Come si può utilizzare ancora un termine così superato? Non
credo che Il Messaggero sia caduto nell’errore, se così non fosse mi impegno
personalmente.
Negli ultimi mesi i media hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina,
che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo
dell’informazione è centrale per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati
esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono
i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura
con riflessi politici?
Sul filone della sanità e della ricerca si muovono gli interessi più disparati, alcuni
affatto nobili, e il rischio di una commistione tra profitti sociali e privati è sempre
alto. Il ruolo dell’informazione è tanto quello di smascherare fatti di cronaca
vergognosi quanto quello di dar luce a nuove scoperte che faticano ad emergere,
magari perché non sostenute da gruppi di potere.
L’oncologia italiana e, più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur tra mille problemi, si
conferma uno dei migliori al mondo. Lo indicano i tassi di guarigione oncologica, tra i più alti d’Europa.
Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Dando per scontato che si può sempre fare di più, credo che il nostro Paese sia
95
La parola ai Direttori | Virman Cusenza
maturato sotto questo punto di vista, che si sia evoluto negli ultimi anni e che
oggi presti la giusta attenzione all’oncologia e ai successi dei nostri ricercatori
nel mondo.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
La prima a risentire della crisi è la dieta mediterranea, sacrificata in nome del
risparmio, e poi l’investimento in cure e prevenzione o nello sport. Mi auguro
che la ripresa arrivi e che segni un miglioramento delle condizioni di vita di tutti.
96
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Fortunata. Perché il cancro non è inguaribile.
ferruccio de bortoli
Direttore del Corriere della Sera
“I nostri lettori lo sanno: il cancro non è più
incurabile, per questo chiedono più notizie”
Ferruccio de Bortoli nasce a Milano
il 20 maggio 1953. Nel 1973 è redattore
all’Editoriale Corriere della Sera.
Cronista al Corriere d’informazione dal
1975, nel 1979 torna al Corriere della Sera,
prima come cronista per poi passare alle
pagine economiche. Caporedattore de
L’Europeo e de Il Sole 24 Ore, nell’aprile
1987 torna al Corriere con la qualifica
di caporedattore dell’economia e
commentatore economico. Nel dicembre
1993 viene nominato vice direttore del
Corriere della Sera, diventando poi direttore
nel maggio 1997. Lascia l’incarico nel
2003 e diventa Amministratore Delegato
di Rcs Libri. Nel gennaio 2005 diventa
direttore Responsabile de Il Sole 24 Ore
e Direttore Editoriale del Gruppo Sole
24-Ore. È direttore del Corriere della Sera
dall’aprile 2009.
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
È maturata la consapevolezza che nei confronti delle notizie scientifiche, e mediche in particolare, vanno adottati criteri di scelta precisi, per esempio nella
selezione delle fonti e nella modalità di presentazione, per rendere possibile
una corretta comprensione di argomenti a volte complessi, senza rinunciare al
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La parola ai Direttori | Ferruccio de Bortoli
rigore. Va detto tuttavia che, per contro, soprattutto attraverso la televisione e
i nuovi media stanno trovando sempre maggior spazio anche espressioni che,
al contrario, puntano soprattutto sull’effetto, sul clamore e su affermazioni non
di rado prive di solidità scientifica.
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I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
Una notizia di salute in prima pagina nel 1973 era una rarità, mentre oggi non
sorprende nessuno. I motivi sono diversi. Uno è rappresentato dall’aumento
dell’età media della popolazione. Con il trascorrere degli anni cresce in genere
l’attenzione alla propria salute, tanto più in un contesto socio-economico in cui
l’assistenza medica è meno gratuita e “scontata” rispetto ad anni anche recenti.
Se si vuole guardare all’oncologia in particolare si possono individuare due
ragioni molto precise che giustificano il maggior spazio sui media. La prima
è una maggior diffusione della patologia, legata proprio all’aumento dell’età
media (in passato era più facile non “avere il tempo” di sviluppare un tumore).
La seconda è che il cancro oggi non è più incurabile: può essere guarito, cronicizzato, prevenuto con comportamenti precisi. In questo contesto i lettori
si aspettano indicazioni su un problema che riguarda prima o poi quasi ogni
famiglia e vogliono sapere dove andare in caso di diagnosi ed essere informati
sulle novità nelle cure.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Come già detto bisogna fare una distinzione fra media dotati di maggiore o
minore responsabilità. Nel caso che riguarda il Corriere della Sera, in generale
le notizie di salute vengono selezionate prima di tutto in base alla fonte di provenienza. Si cerca soprattutto di attenersi alle indicazioni, dirette o indirette,
delle riviste scientifiche più accreditate che, essendo dotate di comitati di revisori, garantiscono già un filtro tecnico e operano una pre-selezione delle novità
scientifiche più attendibili e importanti. È chiaro però che si opera comunque un
vaglio critico di tipo giornalistico anche su queste fonti. Per il resto i giudizi sulla
“notiziabilità”, fatti salvi gli specifici criteri di verifica, non sono molto diversi da
quelli che valgono per altri settori: eventuali casi di tubercolosi in una scuola di
Milano o di Roma, per esempio, rappresentano ovviamente una notizia.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Ce ne potrebbero essere diversi. Preferisco citare un’iniziativa, Sportello Cancro su corriere.it. È stata la prima reale pagina di servizio su questo tema creata
da un grande giornale in Italia. Una scelta coraggiosa fatta nel 2003.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
La mediazione fra rigore e divulgazione è un obiettivo costante e si cerca di perseguirlo con lo studio, la preparazione e la prudenza. Ma dobbiamo avere anche
il coraggio di dire chiaramente ai lettori che oggi la medicina può dare sempre
meno spesso risposte chiare e certe, bensì, più spesso, opzioni, possibilità di
scelta. È il prezzo che si deve pagare per la tanto invocata “partecipazione responsabile alla cura” e per il superamento del ruolo paternalistico del medico.
Un ruolo che non si può, a maggior ragione, assumere nemmeno un giornale.
Che impatto ha sul cittadino colpito da cancro l’outing di artisti e personaggi famosi che hanno rivelato
di essere malati o di avere sconfitto la malattia?
Possono essere dei buoni veicoli per incoraggiare alla prevenzione e alla cura.
A patto che anche i loro casi vengano trattati, almeno in queste circostanze,
con taglio rigoroso, sacrificando gli aspetti tipici del gossip.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Il rischio di emulazione in questo caso mi sembra sia stato documentato. È il
risultato della mancanza di rigore. È chiaro che questa era una notizia. Proprio
per l’impatto che avrebbe potuto avere, andava trattata con senso di responsabilità, che non vuol dire censura né cesura, bensì esplorazione e documentazione di ogni aspetto del problema.
In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
La sensibilità dei media in questo senso è cresciuta molto rispetto al passato,
anche se magari non è ancora sufficiente.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla
vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di
Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei,
ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende?
E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca,
addirittura con riflessi politici?
Gli esempi positivi e negativi sono sotto gli occhi di tutti. L’insistenza nel di-
99
La parola ai Direttori | Ferruccio de Bortoli
fendere la validità di trattamenti privi di prove scientifiche, l’adozione di linee
editoriali chiaramente preconcette, la mancanza di contraddittorio, la ridicolizzazione sistematica di chi non è omogeneo alla tesi adottata, la cosciente
rinuncia a chiedere trasparenza ai protagonisti della vicenda, sono i criteri
fondamentali con cui si può identificare chi non fa, o non ha fatto, un buon
lavoro giornalistico in questi casi.
100
L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa.
Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Questa opinione credo sia condivisa fra i giornalisti che si occupano del settore
e anche in generale. E questi dati credo trovino spazio sui media. Certamente
vale sempre l’adagio “fa più rumore un albero che cade di una foresta che
cresce”, quindi non c’è da sorprendersi se un caso di malasanità fa più rumore
degli ottimi risultati complessivi di un intero settore. Ma sarebbe peggio se
fosse il contrario: un mondo in cui il bene, e non il male, fosse la notizia, l’eccezione, sarebbe poco desiderabile.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Io credo che vedremo nei prossimi mesi segnali crescenti di fiducia e di ripresa dell’economia. Ma una nuova fase di sviluppo non sarà possibile senza un
ripristino di una maggiore legalità e fedeltà fiscale nel rispetto dell’equità e del
merito.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Preferirei non farlo perché avrebbe un valore riduttivo, riaprirebbe antiche ferite e non aggiungerebbe nulla di utile al lettore. Quando Tiziano Terzani scrisse
Un ultimo giro di giostra, il libro in cui racconta la sua esperienza di malato
di cancro e anche le delusioni verso la medicina orientale e una rivalutazione
dell’eccellenza medico-scientifica occidentale, disse una frase che mi porto
in mente: “ricordati che dentro di te c’è anche un grande medico e il paziente
lo deve aiutare a vincere una battaglia comune”. Belle parole di speranza e di
determinazione, senza le quali la vita perde sostanza e colore.
roberto iadicicCo
Direttore dell’AGI
“I lettori sono ‘affamati’ di notizie, ma non
dobbiamo cedere al sensazionalismo”
Nato a Roma il 18 ottobre 1961, nei
primi anni ’90 Roberto Iadicicco è
responsabile del settore medicina e sanità
dell’AdnKronos, diventando poi nel 1997
direttore di AdnKronos Salute. Dal 2000
è responsabile della comunicazione della
ricerca scientifica dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore, mentre dal 2002 al 2005
è Capo ufficio stampa e portavoce del
Ministro della Salute Girolamo Sirchia e
direttore generale della comunicazione e
relazioni istituzionali del dicastero.
Il 1° marzo 2007 viene nominato vice
direttore dell’AGI (Agenzia Giornalistica
Italia) con delega per le nuove iniziative
editoriali. Nel 2009 riceve il premio
“Giovanni Maria Pace” per la divulgazione
medico-scientifica promosso dall’AIOM.
È direttore dell’AGI dal novembre 2010.
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi
medico-scientifici negli ultimi decenni?
Certo che è cambiato. Potremmo dire che c’è stata una vera rivoluzione copernicana. I temi medico-scientifici erano, fino a una ventina di anni fa, confinati
nelle riviste specialistiche, nelle pagine di salute (se c’erano) dei quotidiani,
nelle rubriche specializzate della Rai. Erano temi per definizione di nicchia: si
pensava che parlare di malattie fosse poco “accattivante”, che allontanasse il
101
La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco
102
grande pubblico ansioso, piuttosto, di conoscere le ultime notizie di politica, di
cronaca, nera e rosa, e ovviamente di sport. Poi qualcosa è cambiato. E i manuali
di giornalismo hanno dovuto aggiungere alle proverbiali tre “S” considerate i
capisaldi dell’informazione, cioè sangue, sesso e soldi, una quarta “S”, forse la
più importante: Salute. La vita media si allunga, gli italiani sono un popolo di
malati cronici: 25 milioni, oltre il 45% della popolazione. Artrosi, ipertensione,
allergie, cefalee. Ogni giorno riceviamo telefonate alla redazione salute. Sono
persone di tutte le età e tutti i ceti sociali, cercano risposte per il Parkinson della
nonna, l’influenza della bambina, ma anche tentano di districarsi nel ginepraio
di informazioni confuse che ricevono soprattutto via web, per capire se fidarsi
o no della scienza ufficiale. C’è un’enorme “sete” di notizie sulla salute. Secondo
una recente rilevazione, addirittura il 32% degli articoli pubblicati nei principali quotidiani toccano, in qualche modo, temi medico-scientifici. Una quota
impensabile fino a venti anni fa. Non per niente, stando a un’indagine Censis,
la salute è schizzata al primo posto tra gli argomenti più interessanti scelti dai
lettori dei settimanali (con il 26,8% delle preferenze contro il 20 di 5 anni prima),
seguita a distanza da “argomenti femminili” (22%) e dall’immancabile cucina/
gastronomia (21%). E in questo senso il tumore è uno dei temi di cui più si scrive,
in un modo o nell’altro: il 45,3% degli articoli di salute nel 2010, secondo l’Eco
della Stampa, riguardava il cancro, contro il 20% circa dedicato alle malattie
cardiocircolatorie, sebbene queste ultime siano il vero “big killer”, la principale
causa di morte in Italia e in genere nel mondo industrializzato. Questo scossone
ha inevitabilmente cambiato l’approccio dei mass media: anche il giornalista
“generalista” ormai è chiamato a confrontarsi con questi temi. Il che presenta ovviamente due facce di una medaglia: da un lato una maggiore chiarezza
espositiva, un maggior “brio” stilistico, articoli in definitiva più accattivanti,
più snelli, fruibili perfettamente dal lettore medio, che aborre termini tecnici e
spiegazioni astruse. Dall’altro, una inevitabile semplificazione che scivola spesso
nella banalizzazione, o peggio nel travisamento del messaggio originale che si
intende dare, che sia una ricerca scientifica, lo studio su un farmaco, nuovi dati
epidemiologici e quant’altro. Scienza e medicina sono uscite dal ghetto, ma
rischiano di trovarsi spaesate in un’enorme piazza globale dove i messaggi si
rincorrono rapidi e superficiali, due aggettivi che poco hanno a che fare con una
corretta informazione medico-scientifica.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
Difficile dirlo in sintesi, anche perché la questione è ancora relativamente recente
per essere pienamente compresa. Di certo, come accennato sopra, c’è il fatto
che gli italiani sono invecchiati, che quattro su dieci hanno una o più malattie
croniche, e che quindi tutti, i malati e i loro familiari, hanno letteralmente bisogno di informazioni. Quanto al cancro, è evidente che il termine stesso è uscito
dal novero dei tabù, si è imposto nel pubblico dibattito anche a causa della sua
diffusione, che fa sì che ognuno di noi inevitabilmente sia stato nel corso della
vita a contatto con questa malattia. In definitiva, non credo sia una direzione
imboccata volontariamente e ponderatamente dai media: piuttosto si tratta
della conseguenza di un mero meccanismo di domanda/offerta. D’altra parte
in questo senso l’esplosione del web ha letteralmente capovolto il sistema: siamo
noi mezzi di informazione chiamati ad adeguarci continuamente alle richieste
del lettore, ai “topic” di volta in volta più in vista. Il lettore vuole saperne sempre
di più su questioni medico-scientifiche, e noi cerchiamo di assolvere a questo
compito improbo, cercando di ripetere a noi stessi che non siamo medici, che
il nostro mestiere prevede l’informazione, non la diagnosi o peggio la dispensazione di una terapia. Ma il fenomeno c’è, ed è inutile nascondersi: 15 milioni
di persone cercano aiuto online, e solo uno su tre si rivolge al medico quando
accusa un malessere. Da un sondaggio Codacons del 2010 emerge per esempio
che il 48% delle persone con problemi sessuali cerca di risolvere o almeno capire
la cosa via internet, e solo il 18% chiede consiglio al medico. I media, soprattutto
online, sono diventati anche i “confessori” di dubbi e questioni che non sempre si
è disponibili a rivelare o a chiedere a un medico in carne e ossa. I dati di accesso
sul nostro sito AGI dicono chiaramente quali sono le parole più ricercate: insieme
agli argomenti trend del giorno, compare in inverno inevitabilmente la parola
“influenza”, insieme a “raffreddore”, “febbre”, d’estate “caldo”, “punture”, “zanzare”, e tutto l’anno le fatidiche parole “sesso”, “problemi erettili”, e via di questo
passo. Ma non è solo una questione meramente utilitaristica: il lettore vuole
sapere, anche se il tema non lo riguarda personalmente. È il caso di Stamina, che
trovo emblematico al di là delle considerazioni specifiche che faremo più avanti.
Stamina promette di curare patologie rare, rarissime. Eppure gli articoli che
pubblichiamo sull’argomento sono i più letti. Perché il tema interessa così tanto
lettori che non hanno niente a che fare con la Sma, la Sla, la sclerosi multipla?
Credo che sia un discorso che dovrebbe scavare nel profondo di questo momento
storico, in cui la fiducia nelle istituzioni è crollata, trascinando con sé anche la
fiducia nella scienza e nella medicina “ufficiali”. Per questo anche i temi di salute,
una volta così asettici e ipertecnici, finiscono per essere arruolati nella contesa tra
“conservatori” e “innovatori”, termini che non a caso metto tra mille virgolette,
per essere branditi da una fazione o dall’altra a seconda delle circostanze.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni.
Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la
“notiziabilità” di un fatto legato alla salute?
Questa credo sia la questione cruciale. I principali quotidiani sportivi, soprattutto d’estate, aprono con titoli a nove colonne, che più o meno recitano sempre
“Colpo della Juve, arriva Tizio”, o “La Roma vicina a Caio”. Sparano indiscrezioni
di calciomercato che poi al 90% non si concretizzano, perché così il lettore ac-
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La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco
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quista il giornale in edicola. Il giornalista che si occupa di salute si trova in una
posizione radicalmente diversa. Noi sul sito salute.agi.it diamo conto degli studi
clinici più interessanti pubblicati nel mondo, e sono davvero centinaia al giorno.
Si va dalle amenità, dal te verde che fa bene contro il cancro a dormire otto ore
per notte evita l’obesità, a cose più serie, tipo nuove scoperte contro il diabete,
o il cancro. Ora, sarebbe facile titolare “più vicina la cura contro il cancro”, o
una malattia x, ma bisogna sempre pensare che là fuori c’è gente malata che ci
legge, a cui dobbiamo dire onestamente che quegli studi, quei progressi, sono
quasi sempre sperimentazioni sui topi, che ci vorranno anni prima di passare
alla sperimentazione umana, e da allora almeno dieci anni per trovare, se ci si
riesce (solo un farmaco su 1.000 sperimentati vede la luce) il farmaco. A volte
dobbiamo scegliere tra un bel titolo forte e uno più debole, ma che si avvicina
alla realtà. L’ottimismo esagerato ha conseguenze se possibile ancora peggiori
dell’allarmismo. Molti nostri lettori ci scrivono chiedendo chiarimenti, e noi
cerchiamo sempre di dire come stanno le cose in realtà. Un ruolo di servizio
che deve conciliare notiziabilità e interesse dei lettori-pazienti, due cose spesso
in contraddizione. La “notiziabilità” è il sacro Graal del nostro mestiere: è un
obiettivo, un obbligo, un ideale, ma nessuno sa esattamente dov’è, e come raggiungerla. L’influenza A, scoppiata (si fa per dire) nel 2009, era “notizia”? Certo
che sì. Alcuni esperti, anche celebri, avevano profetizzato fino a 95.000 morti
solo in Italia. Ne sono morti 259, mentre ogni anno l’influenza stagionale fa circa
8.000 vittime. Si è scoperto solo dopo che la “suina” è stata una grande fortuna:
ha un tasso di mortalità 10 volte inferiore alla stagionale. Tutta l’informazione
ha cominciato a dare un bollettino di guerra, un morto, due morti, tre morti,
sempre con titoloni. Il cittadino in buona fede pensa: oddio, stavolta ci siamo,
verrà da me prima o poi. Noi AGI abbiamo cercato sempre di dare “i numeri” in
senso buono, perché a volte è l’unica cosa che conta: ossia: è vero, ci sono stati già
dieci morti per il nuovo virus, ma con l’influenza stagionale ce ne sarebbero stati
50, 70, 100. Di cui nessuno ha mai scritto sui giornali. Molti media fanno finta di
niente: dicono “io ho solo detto che c’è un morto, non ho mica mentito”. Certo,
il morto c’è. Come muoiono centinaia di persone al giorno. Ma se su quel morto,
e solo su quello, i media danno notizie, automaticamente quella morte diventa
messaggio di qualcos’altro, qualcosa di allarmante, l’inizio di un’epidemia che
toccherà me, i miei cari, mio figlio, mio nonno. Perché, come diceva Mac Luhan,
il mezzo “fa” il messaggio. Se un giornale titola “100 morti per l’influenza A”,
diventa nella percezione comune una strage, un numero enorme. Se dicessimo
“900 morti in meno della stagionale” sarebbe forse più corretto, ma è la classica
“non notizia”. Un caso come l’influenza A è il delitto perfetto: il lettore è affamato
di notizie perché è spaventato, e un po’ gli piace anche spaventarsi, noi le scriviamo con dovizia di particolari truculenti, e spesso non sono estranei neanche gli
interessi delle case farmaceutiche. Ma il risultato finale è persino più grave del
semplice allarmismo, che poi si rivela una bolla di sapone. Si rischia di saturare
il tema, finendo per banalizzarlo, svilirlo, e in definitiva di espellerlo dal pubblico
dibattito. Ora, finita la “febbre”, è il caso di dire, dell’influenza A, sembra che il
problema sia precipitato a zero. Zero interesse, zero percezione del rischio. Invece
migliaia di italiani continuano a morire di influenza, e chi sono? Malati cronici,
anziani, bambini piccoli. Forse di questo, e noi cerchiamo di farlo, bisognerebbe
parlare, mantenere l’attenzione tutto l’anno.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Di episodi ce ne sono tanti: consultando il nostro notiziario storico, alla ricerca
per titolo con la parola “tumori” escono 7.880 notizie. Molte sono nuove scoperte
farmacologiche o terapeutiche in genere, spesso sono la voce dei pazienti, o degli
oncologi. Ma per restare al tema del rapporto tra malattia e informazione, da
un punto di vista sociologico, ricordo un’intervista a un esperto dell’Airc, che
fu molto istruttiva per noi e spero anche per i lettori. Elencava i luoghi comuni
legati al cancro e li sfatava uno a uno. Emerse che una persona su quattro pensa
che non è necessario modificare il proprio stile di vita per prevenire la malattia,
e che molti sono convinti che operarsi non faccia altro che disseminare le cellule maligne, che il forno a microonde sia cancerogeno, così come la carne alla
griglia, i traumi sportivi, e via di questo passo. Senza contare le varie “teorie del
complotto”: da chi pensa che una cura definitiva c’è, ma per qualche ragione
viene tenuta nascosta, a chi è convinto che le case farmaceutiche speculino sui
pazienti con farmaci inutili e dannosi. Ecco, credo che nell’epoca attuale ci sia
non tanto e non più una carenza di informazione ma paradossalmente un sovraffollamento, che ingenera solo confusione e dubbi. Per questo sfatare i “falsi
miti”, sul cancro come su tutto il resto dello scibile umano, dovrebbe essere oggi
una delle principali preoccupazioni della nostra professione.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
È difficile, ma possibile. È una sfida quotidiana. Quando interpelliamo una fonte,
che sia scritta (uno studio clinico, un articolo in una rivista scientifica) o “umana” (un medico, un ricercatore, l’esponente di un’associazione di medici o di
pazienti) instauriamo subito, inconsapevolmente, un benevolo braccio di ferro.
La fonte, quasi sempre, cerca di relativizzare, sminuire, riportare dati e nozioni
in modo concreto e razionale. Noi abbiamo bisogno dell’opposto, cerchiamo la
“notizia”, e quando uno scienziato ci parla di “farmaco che ha ottenuto in fase III
un indice di sopravvivenza libera da malattia di X rispetto a Y” noi abbiamo già
elaborato mentalmente il fatidico titolo “funziona il farmaco contro la malattia
X”. Credo che la soluzione di questo braccio di ferro sia di incontrarsi a metà
strada: il giornalista scientifico non può sbracare verso una comunicazione facile
e ad effetto, perché, è bene ribadirlo, non si occupa di sport o di cinema, con tutto
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La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco
il rispetto per questi argomenti. Si occupa della vita delle persone. Ma anche la
medicina, nel momento in cui vuole divulgare i propri progressi, dovrebbe sforzarsi di chiarire e semplificare il messaggio, non per banalizzarlo ma per evitare
pericolosi fraintendimenti. In definitiva, dovrebbe rafforzarsi la consapevolezza
che medicina e informazione sono due facce della stessa medaglia, e con un
comune obiettivo: l’interesse del paziente/lettore.
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Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing,
rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è
il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Chiaramente un grande valore. Soprattutto perché questi personaggi hanno vinto
la battaglia, e sono tornati al loro lavoro con successo. In questo caso la stampa
ha un ruolo positivo, amplificando queste vicende personali per trasformarle in
modelli collettivi. Il messaggio è che dal cancro si può guarire, ci si deve provare,
si deve lottare. Ma il successo di questi modelli è anche un altro: il tumore è definitivamente sdoganato, anzi: fino a pochi anni fa ammettere di avere il cancro
(in questo senso trovo corretto il termine “outing”, la rivelazione di qualcosa che
si riteneva inconfessabile) avrebbe probabilmente significato la fine della carriera
per un uomo di spettacolo, che anche se fosse riuscito a guarire avrebbe subito
una ripercussione negativa, lugubre, cupa sulla sua immagine pubblica. Oggi
anzi questo dà forza alla sua immagine, lo rende un “vincente”. Anche questo è
comunicazione: avere il cancro, combatterlo, possibilmente batterlo, non è più
uno stigma, ma un elemento di orgoglio, di rivendicazione della propria debolezza
di essere umano ma anche della propria forza. E questo è importantissimo per le
persone comuni con il cancro: anche loro possono ora dirlo a testa alta, affrontare
l’immane battaglia con orgoglio e non con vergogna. Tanto da diventare a volte,
complice la rete, loro stessi “eroi” di questa lotta alla malattia. Si moltiplicano i
blog di malati di cancro, alcuni davvero ben scritti. È il caso del blog di Anna
Lisa Russo, pubblicato per mesi sul sito della Stampa, dove una ragazza toscana
colpita dal cancro al seno ha raccontato le paure, il dolore, la speranza, la gioia
delle piccole conquiste quotidiane, in definitiva l’orgoglio di ingaggiare giorno
per giorno una battaglia senza mai darsi per vinta. Anche lei, che purtroppo non
ce l’ha fatta, come Michael Douglas o Kylie Minogue è diventata per migliaia di
lettori un faro, una voce nella notte per ripetersi che non si è soli.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
Il caso di Angelina Jolie indica chiaramente come non sempre l’outing di un
personaggio pubblico sia un fatto positivo. Perché anche il personaggio pubblico
è un essere umano, può sbagliare. Ora, non so se lei personalmente ha fatto bene
a prendere una decisione, d’intesa con i medici, così radicale. Ma prendiamo
un altro esempio, quello di Steve Jobs. Convinto, come purtroppo tantissimi
ormai, che chemioterapia, radioterapia, farmaci, la stessa chirurgia siano inutili
o dannose per la cura del cancro, che può guarire per vie naturali. Secondo me
è simbolico, e anche un po’ inquietante, che proprio il “guru” del nuovo mondo
hi-tech e iperconnesso, il creatore di questo villaggio globale dove le informazioni viaggiano senza verifiche e senza approfondimenti, sia morto di tumore al
pancreas proprio perché non curato per un lungo, fatale anno passato a nutrirsi
di mele e arance. Simbolico del fatto che nell’oceano delle informazioni che
viaggiano in rete non si distingue più il buono dal cattivo esempio, lo scienziato
dal ciarlatano, le scoperte scientifiche frutto di decenni o di secoli di studi e di
fatica dagli elisir improvvisati. Ed è un fenomeno pericolosissimo. Tornando
alla bella attrice americana, il pericolo anche qui c’è stato e c’è: farsi operare per
asportare gli organi non vitali che potrebbero essere a rischio cancro non è uno
scherzo. Specialmente per una donna ancora in età fertile. Il rischio emulazione
c’è, e i mass media avrebbero dovuto, e non l’hanno fatto anche perché, come
dicevo prima, non tutti i giornalisti che ne hanno scritto hanno le nozioni adeguate, chiarire che è una decisione che va assolutamente presa caso per caso, che
ognuno è diverso, e che comunque la comunità scientifica, almeno la grande
maggioranza, è fortemente perplessa su questo tipo di scelte. Per fortuna in
questo però ci soccorre la liquidità ormai esasperata delle notizie, e la loro vita
brevissima. Dopo la notizia della Jolie ci affannammo tutti a sentire gli oncologi
per capire se in effetti c’era stato un boom di richieste di mastectomia o isterectomia totali. E in effetti qualcosa si era mosso: secondo una organizzazione no
profit inglese, nei giorni immediatamente successivi a quell’annuncio choc le
richieste di informazioni sulle mastectomie preventive si erano quadruplicate.
Ma dal telefonare al farsi asportare il seno il passo è lungo, e oggi che la notizia
è stata soppiantata da mille altre (e che la stessa Jolie è tornata al cinema senza
più accennare alla cosa) dubito che si registrerebbero significative variazioni nel
numero di interventi di questo tipo.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti
pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che
richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali
per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Lo spazio riservato non è molto. Indubbiamente il tema non “tira”. È vero che,
nell’ambito di una generale amplificazione dell’attenzione sul tema cancro anche
la questione del “dopo” viene trattata, ma in proporzioni molto minori rispetto
ad altre questioni. Secondo un’indagine del Cipomo, gli argomenti più trattati
nei media quando si parla di cancro sono le nuove scoperte scientifiche (25,5%),
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la sperimentazione clinica (19,5) e la prevenzione (16,8). Di quello che viene dopo
il cancro si parla poco: effetti positivi delle terapie (9,2) e guarigione (8,8) sono
ancora argomenti di nicchia. Le cattive notizie, si sa, sono più stimolanti di quelle
buone. E una persona che è guarita dal cancro, anche se durante la sua battaglia
per qualche motivo ha avuto una visibilità mediatica, scivola subito nuovamente
nell’anonimato. E con lei le problematiche enormi che la sua nuova situazione
pone, che sono per l’appunto il tornare al lavoro, a una vita sessuale e affettiva,
alla maternità o paternità. Un bel manuale elaborato dal Centro di riferimento
oncologico di Aviano, intitolato “Dopo il cancro, aspetti psicosociali e qualità
di vita”, tratta nel dettaglio diverse questioni che devono affrontare i “lungo sopravviventi”, da quelle cliniche (le visite di controllo, il dolore, i farmaci) a quelle
psicologiche (il senso di colpa, la depressione, l’ansia e la paura di un ritorno della
malattia, e così via). Tutte questioni che ancora non hanno “sfondato” nei mass
media generalisti, sulle quali tutti dovremmo impegnarci di più.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia,
al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal
sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può
impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Francamente il termine “male incurabile” non è più così diffuso come fino a
pochi anni fa. È vero, allora si diceva “male incurabile” per dire cancro, erano sostanzialmente sinonimi. Oggi si usano altri eufemismi: “è morto dopo una lunga
malattia”, ad esempio, o “da lungo tempo malato”. Quando si leggono frasi del
genere, tutti capiscono al volo che, al 99% dei casi, la persona in questione aveva
un cancro. “Male incurabile” è superato, e trovo personalmente che sia anche
una formula polverosa e antiquata, che dà un immediato sentore di “vecchio”
all’articolo. Se ancora compare in qualche occasione, certo che ci impegneremo
ad eliminarlo, per tutte le buone ragioni di cui sopra. Quanto alle altre perifrasi
che si usano per non dire esplicitamente la parola “cancro”, va riconosciuto che
entra in gioco anche una questione di privacy. In linea di massima i mass media
non hanno più paura a pronunciare quella parola, ma non è detto che l’individuo
di cui si sta scrivendo abbia piacere a che le sue esatte condizioni cliniche siano
rese di pubblico dominio, e ancora, malgrado i progressi culturali e sociali su
cui ci siamo soffermati in precedenza, c’è una sacca di resistenza sulla questione
cancro che lo rende radicalmente diverso da altre patologie. È difficile che si
legga, di uno colpito da infarto, che è stato colpito da “un male al cuore”, tanto
per fare un esempio. Un infarto è un infarto. Per il tumore c’è ancora un pezzo
di strada da fare, ma credo che sia la dirittura finale verso un giusto approccio
anche lessicale al problema.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
I casi Di Bella e Stamina sono simili e diversissimi allo stesso tempo. Simili,
è inutile dirlo, perché entrambi hanno fatto leva sulla credulità e sulla disperazione dei malati o dei loro parenti. E anche, purtroppo, per il ruolo dell’informazione, che li ha amplificati, cadendo nel vizio tutto italiano di dividersi
immediatamente in guelfi e ghibellini, e ingaggiare una battaglia a suon di
trasmissioni televisive e articoli di stampa a difesa o contro le due sedicenti
terapie. Ma sono diversissimi, perché dal 1998 a oggi il mondo è cambiato. È
quella rivoluzione copernicana cui accennavo prima, che si manifesta nel boom
della medicina nell’interesse dell’opinione pubblica e, contemporaneamente
e con un enorme effetto-eco, nella diffusione di Internet. Stamina è “figlia”
di Internet, indubbiamente. Anche se il fenomeno nasce da una trasmissione
televisiva di grande successo, che a più riprese ha intervistato Vannoni e i genitori dei piccoli pazienti, creando un’immediata empatia nel pubblico meno
smaliziato, si è amplificato e riverberato attraverso migliaia di pagine internet,
i social network, i forum e i blog.
Credo che Stamina soprattutto abbia poi tratto profitto, volutamente e consapevolmente, dalla strategia mediatica del “guru” Vannoni – che non per niente
non è affatto un medico ma un professore associato in psicologia generale – e
dalla generale sfiducia nelle istituzioni, comprese quelle scientifiche. I nuovi
media soprattutto, ma anche la trattazione superficiale di questi temi, quando,
per l’appunto, fuoriescono dall’ambito medico-scientifico e diventano casi di
cronaca e questioni politiche, ingenerano in milioni di persone la convinzione che le aziende farmaceutiche costringano la politica a negare a Stamina di
operare solo per interesse, o che la chemioterapia è solo un bluff, mentre dal
cancro si guarisce con le vitamine, naturalmente osteggiate dalla solita “mafia”
del farmaco. Lo schema del messaggio così veicolato è semplice: “finora vi hanno detto che le cose stanno così, ora che l’informazione (almeno su Internet) è
libera, noi vi diciamo che le cose invece stanno in un altro modo. La bambina
Tizia infatti è guarita facendo questo, il bambino Caio ha avuto netti miglioramenti facendo quest’altro”. Il tutto senza controlli, senza verifiche di nessun
tipo, senza contraddittorio. Un fenomeno di una gravità ancora sottovalutata,
che porta migliaia di italiani a non fidarsi più dei vaccini, o a credere che l’Aids
sia un’invenzione del Pentagono americano, o che per sconfiggere il cancro,
appunto, basti mangiare frutta.
L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
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indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei,
è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Penso che ci siano due livelli: quello dell’opinione pubblica più informata, che è la
punta dell’iceberg e in cui questo messaggio è passato. E quello della massa meno
informata, su cui indubbiamente il messaggio fatica a passare. D’altra parte, anche in questo la responsabilità dell’informazione è enorme, così come enorme è
lo spazio che negli ultimi anni viene dato al tema della malasanità. Un dato su
tutti: dal 2001 al 2010, lo spazio dedicato dai tg alla malasanità è aumentato di
oltre 20 volte. Perché? Accadono più casi? Può darsi, ma evidentemente c’è una
scelta editoriale di fondo. Che porta poi a ingenerare un clima di sfiducia verso
un sistema sanitario, per l’appunto, che è all’avanguardia nel mondo. La buona
sanità, siamo costretti a ripeterci, fa molto meno notizia della cattiva sanità. E
ormai siamo così abituati a sentirci dire che tutto va male, che nulla funziona
nel nostro Paese, che chi si ostina a dire che abbiamo dati di mortalità generale
e di sopravvivenza oncologica che ci pongono al top in Europa viene visto con
sospetto. Su questo indubbiamente bisognerebbe investire di più in campagne
di comunicazione, anche da parte del Ministero della Salute. Tenendo conto
della grande vetrina che ci offre la presidenza del semestre europeo, e che oggi
finalmente esiste una “Schengen della salute”, per cui i cittadini europei possono
spostarsi liberamente per le cure: se non riusciamo a dircelo da soli, forse domani
saranno i concittadini europei a riconoscerci i nostri primati in materia di salute,
e rendercene finalmente consapevoli.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette,
purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Qui ci vorrebbe ben più di qualche riga. È vero, intanto, che la crisi ha colpito
anche la salute: basta vedere quanti italiani hanno rinunciato alle cure perché
troppo costose, a partire da quelle dentarie. La luce in fondo al tunnel si vede, è
lì. Si vede nei dati macroeconomici di altri paesi, degli Stati Uniti in primis ma
anche di alcuni Paesi europei che iniziano a rialzare la testa. La luce è lì, e l’Italia
è ancora nel tunnel: per stabilire quando ne uscirà bisognerebbe capire se si sta
muovendo nella direzione giusta, a che velocità, con quali mezzi. Diciamo solo
che rimaniamo un grande Paese, con un grande risparmio privato, grandi risorse, grande appeal internazionale. Certo, l’industria, soprattutto quella pesante,
è in grandissima difficoltà, ma credo che, anche grazie al traino del resto del
Continente, seppure con tempi forse più lunghi rispetto a quanto viene troppo
spesso annunciato, usciremo dal tunnel.
bruno manfellotto
Direttore de l’Espresso
“Raccontiamo gli uomini e le donne
che fanno ricerca e sfidano la malattia”
Bruno Manfellotto nasce a Napoli il 22
marzo 1949. Muove i primi passi nel quotidiano
romano Paese Sera. Chiamato a Panorama, s’è
diviso negli anni Ottanta tra i temi dell’economia
e della politica per poi assumere la guida della
Redazione romana e, più tardi, trasferirsi a Milano
come capo redattore centrale.
A l’Espresso è arrivato una prima volta nel 1992,
dal 1995 al 2000 ne è stato vice direttore per poi
diventare direttore della Gazzetta di Mantova,
il più antico quotidiano italiano. Dal 4 maggio
2003 al giugno 2009 ha diretto Il Tirreno per
poi assumere la Direzione editoriale dei sedici
quotidiani locali del Gruppo Espresso. Dal 15
luglio del 2010 è direttore de l’Espresso.
Ha collaborato con Il Mattino di Napoli e con
la Rai; nel maggio 2003 ha dato alle stampe
S-Profondo Nord – Viaggio nella Padania che non
ti aspetti. Nel luglio 2007 gli è stato assegnato il
Premio Ischia di giornalismo. Nel 2011 ha ricevuto
il Premio Arrigo Benedetti e il Premio Casalegno.
Com’è cambiato il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni?
C’è molta più attenzione per i temi legati all’individuo in genere e, in particolare,
a quelli che riguardano la salute e le patologie più gravi. E c’è una maggiore
preparazione dei giornalisti che se ne occupano. Alla maggiore completezza
dell’informazione hanno contribuito inoltre l’accesso a molti database e a fonti
attendibili e certificate messe a disposizione rapidissimamente da Internet.
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La parola ai Direttori | Bruno Manfellotto
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
La salute – lo abbiamo appena detto – è uno dei temi di maggiore interesse per i
lettori. Inoltre le sempre più raffinate capacità diagnostiche; la più diffusa abitudine ad analisi periodiche; la consapevolezza del nesso inscindibile tra malattia e
stili di vita; l’enorme e tragica diffusione delle patologie oncologiche alimentano
una richiesta di informazione attendibile su una materia che, comunque, colpisce la gran parte delle famiglie italiane.
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Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, per troppo ottimismo o allarmismo, con
il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri
seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto
legato alla salute?
L’importanza di una notizia è direttamente proporzionale alla diffusione della
patologia cui si riferiscono le informazioni raccolte e alle preoccupazioni dei
lettori. Ma non è l’unico criterio. Il mondo della ricerca medica è ricco di personaggi di altissimo livello protagonisti di avventure scientifiche appassionanti.
A differenza di un quotidiano o di un tg, un moderno settimanale non può limitarsi a dare le notizie che giudica interessanti per la vita dei lettori oggi e in
prospettiva; il suo dovere è anche quello di raccontare il mondo della scienza e
della medicina. Quindi, sì alle notizie e ai fatti che cambiano o cambieranno nel
concreto le nostre abitudini sanitarie e la nostra vita, ma anche massimo spazio
al racconto degli uomini e delle donne che fanno ricerca, che coraggiosamente
sfidano la malattia.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Ricordo bene la posizione ferma, il rigore e la sobrietà con la quale abbiamo
analizzato e raccontato, ormai molti anni fa, la dolorosa vicenda Di Bella: un
esempio di buon giornalismo, come ci fu riconosciuto da più parti. Ma siamo
stati anche i primi a dare conto della grande rivoluzione della terapia personalizzata in oncologia. Una costante attenzione diamo inoltre ai temi bioetici e sanitari relativi a pazienti oncologici: l’Espresso, per esempio, ha trattato il dilemma bioetico del prezzo dei farmaci oncologici, e denunciato le discriminazioni
legate al ritardo col quale in Italia le medicine anticancro vengono approvate e
autorizzate.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, ma spesso la scienza produce altri
dubbi e domande. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il
carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
È la nostra sfida costante, l’essenza del nostro mestiere.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato
di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di
questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
È molto importante che grandi protagonisti della scena pubblica raccontino la
verità sul loro cancro e diventino così testimonial della battaglia contro la malattia. La loro testimonianza aiuta a vincere le ultime omertà, a cancellare lo stigma
che ancora circonda i tumori, a dare un esempio concreto delle possibilità di
vivere con e oltre il cancro.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
Generalmente i media più accreditati non vanno alla ricerca di notizie di questo
genere che appartengono ai cosiddetti “dati sensibili”, cioè alla sfera intima e
privata di una persona. Ma in questo caso è stata la stessa Jolie a svelare la sua
scelta, a farsi testimonial di una singolarissima quanto assurda forma di prevenzione: in questo caso i media non possono fare finta di niente. L’emulazione?
Certamente un rischio c’è, ma il problema riguarda più i medici, chiamati a
informare correttamente i loro pazienti e a non piegarsi a pratiche inspiegabili,
che non i giornalisti.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore”: sono titoli di alcuni articoli recenti.
Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Forse lo spazio per queste belle notizie non è mai abbastanza ma, specie negli ultimi anni, storie come queste sono emerse e si sono imposte, anche perché sono
state raccontate da molti giornali con attenzione e sensibilità.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali, ma parallelamente
crescono anche le guarigioni. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male
incurabile”. Perché si usa ancora questo termine? La testata che dirige continua a usarla?
Da molti anni abbiamo cancellato quella stanca definizione dal nostro vocabolario professionale e dalle nostre pagine, in piena coerenza con il nostro modo di
fare informazione medica e scientifica.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla
vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di
Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei,
ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende?
E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca,
addirittura con riflessi politici?
Forse in alcuni casi i media hanno commesso errori, o forse no. Non sta a me
giudicarlo. Ma rischi che certe malattie tragiche, dagli esiti il più delle volte in-
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La parola ai Direttori | Bruno Manfellotto
fausti, abbiano delle code politiche e diventino “casi” sono inevitabili. Le persone
si trovano a fare i conti con diagnosi senza speranza e urlano il loro dolore. Noi
possiamo solo render loro giustizia sul piano umano senza con questo alimentare speranze che la scienza – l’unica a cui possiamo credere – non dà. La politica
spesso strumentalizza il dolore dei malati, noi dobbiamo cercare di non farlo e
di mettere in guardia i lettori da questi rischi.
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L’oncologia italiana e, più in generale, il nostro sistema sanitario, pur tra mille difficoltà, si conferma
uno dei migliori al mondo con tassi di guarigione oncologica tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è
condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Purtroppo in Italia persiste il miraggio dei viaggi della speranza. E molti non
credono – o addirittura non sanno – che ci siano nel nostro Paese medici e
centri del tutto adeguati a curare i malati. Forse per questo dobbiamo parlarne
ancora di più.
Il Paese sta cercando di uscire da una pesante crisi economica, che si riflette, purtroppo, anche sulla
gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Il rischio che il servizio sanitario nazionale imploda, che non riesca a sopravvivere come l’abbiamo tutti voluto e vissuto, c’è. Dobbiamo impegnarci a eliminare sprechi e malagestione, che certamente ancora persistono qua e là, e a
salvarne gli aspetti migliori, che comunque ne costituiscono la cifra più consistente. Facendo sì che il sistema tuteli la salute di tutti, soprattutto dei più
deboli. Nel rispetto della Costituzione.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Ho avuto finora la fortuna di non dovermi misurare direttamente con la vicinanza del male. Ma quando mi è successo di doverne parlare con amici o
conoscenti, mi sono speso perché in loro la speranza fosse più forte del dolore.
GIUSEPPE MARRA
Direttore dell’AdnKronos
“I cittadini che lottano contro il tumore
hanno bisogno di storie positive”
Giuseppe Pasquale Marra nasce a Castelsilano
(Crotone) il 21 novembre 1936. Tra il 1967 e il 1968
realizza documentari giornalistici sulle grandi
questioni interne e internazionali. Dopo una breve
esperienza all’estero, nel 1970 viene nominato
direttore amministrativo ed editoriale dell’agenzia
stampa AdnKronos. Nel 1978, acquista il 50%
del pacchetto azionario dell’agenzia. Agli inizi
degli anni ‘80 stringe forti partnership con grandi
gruppi internazionali di informazione. Nel 1982
fonda la AdnKronos Libri che inizia a pubblicare
instant-book sui principali temi di politica interna
e internazionale, arrivando poi a produrre una
trentina di volumi l’anno e il best seller Il Libro dei
Fatti, diretto dallo stesso Marra. Nel 1986 fonda
la AdnKronos Comunicazione per le strategie di
comunicazione d’impresa e da quel momento
in poi nascono a pioggia le altre società del
Gruppo AdnKronos. Nel 1995 fonda la AdnKronos
Salute Srl, agenzia quotidiana specializzata
nell’informazione medico-scientifica sanitaria e
della salute di genere. Nel 1999 il Presidente della
Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferisce il
titolo di Cavaliere del Lavoro.
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
È cambiato, e molto. Trent’anni fa i temi medico-scientifici erano confinati nelle
riviste di settore, per la gran parte rivolte ai medici, e in trasmissioni televisive
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La parola ai Direttori | Giuseppe Marra
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specializzate. Oggi la salute fa notizia, come lo sport, la politica e la cronaca.
Lo spazio che i media vi dedicano è aumentato progressivamente e ormai non
di rado queste notizie finiscono in prima pagina o in apertura dei Tg. Il modo
di comunicare la scienza e la medicina è diventato, giocoforza, più didascalico
e d’appeal, per interessare un pubblico non specialistico. Poi c’è stato l’avvento
di Internet, che ha rivoluzionato la comunicazione e anche il giornalismo.
Negli ultimi anni la Rete ha dato voce anche ai malati, che attraverso i blog e i
principali social network hanno deciso di rompere il silenzio sulla malattia che
gli ha sconvolto la vita e raccontare la propria storia. I cancer-blog sono i più
numerosi. Parlano in prima persona, e in presa diretta, del cancro, pubblicano
diagnosi e risultati degli esami, e non nascondono alla loro comunity di lettori
virtuali nemmeno gli aspetti più intimi della patologia, come la perdita dei
capelli dopo la chemio. Scrivere di sé e della convivenza forzata con la malattia
aiuta ad affrontarla meglio, tanto che si parla di ‘Blog terapia’. Il web ‘2.0’ sta
dunque cambiando la comunicazione, ma anche la vita dei pazienti, il lavoro dei
medici e il rapporto fra i due. Ovviamente, l’informazione medico-scientifica
non può non tenerne conto.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei,
perché?
Fino a qualche decennio fa si pensava che parlare di malattie allontanasse il
grande pubblico. L’intuizione che invece la salute sarebbe diventata un tema di
grande interesse mi ha portato nel ’95 a fondare l’AdnKronos Salute, la prima
agenzia di stampa esclusivamente dedicata a temi medico-scientifici e di benessere. Oggi il pubblico ha fame di notizie di salute e, d’altra parte, i servizi sanitari
e la medicina hanno bisogno di comunicare per rendere i cittadini i principali
protagonisti della propria salute, in un sistema in cui l’assistenzialismo non regge più. Per questi motivi lo spazio dedicato dai media a questi temi è andato
aumentando. Anche scrivere di cancro non è più un tabù, sicuramente per la
crescente diffusione della patologia, per l’outing di personaggi pubblici, per l’importanza di diffondere la cultura della prevenzione e sostenere la ricerca.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
L’alchimia di elementi che fanno di un evento o di una dichiarazione una
notizia è difficile da spiegare. Un giornalista la riconosce “a naso”. I criteri
di notiziabilità per il giornalismo scientifico non sono diversi da quelli che
valgono per altri settori. Un focolaio di tubercolosi in una scuola o in un
ospedale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità che dichiara una pandemia,
un farmaco particolarmente innovativo, uno scambio di embrioni durante
una procedura di fecondazione assistita, sono tutte notizie. E gli esempi
potrebbero continuare. Altrettanto, se non più importante che in altri campi
del giornalismo, è la verifica delle fonti e la selezione delle notizie in base
all’autorevolezza, affidabilità e trasparenza delle fonti, come la pubblicazione su
riviste scientifiche accreditate nel caso di ricerche o della scoperta di sedicenti
nuove terapie.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
A ottobre del 2013 l’AdnKronos Salute racconta, per prima, la storia di Federica
Cardia, appena 30 anni, malata di un tumore al colon al quarto stadio, e del
suo blog, che la ragazza ha battezzato “Tanto vinco io”. Dalla rete la ragazza,
di origine sarda, lancia la sua sfida alla malattia e una richiesta d’aiuto per
trovare una cura. La notizia viene molto ripresa, online e non solo. Federica
viene invitata a partecipare a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche per
portare la sua testimonianza, le viene affidato un blog sulla versione italiana
di un famoso sito americano. Non è stato uno scoop, ma Federica scrisse alla
redazione per dire che averle dedicato del tempo per ascoltare la sua storia
e raccontarla era stata per lei un’iniezione di fiducia, che aveva rafforzato il
coraggio e la determinazione ad andare avanti nella sua battaglia.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
Questa è una domanda da un milione di dollari. L’agenzia che dirigo è specializzata nel trattare temi di carattere medico-scientifico. Si lavora quotidianamente con l’obiettivo di conciliare un linguaggio rigoroso e corretto con la
necessità di rendere queste notizie digeribili a un pubblico che non mastica di
medicina. Senza intaccare la fiducia nella scienza o nella medicina, ma facendo
capire ai lettori che non sempre esistono certezze o risposte chiare. “Spingere”
il giusto sulla notizia, senza perdere in correttezza e credibilità è una sfida difficile, ma possibile. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto
outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta.
Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Senz’altro positivo. I tanti personaggi pubblici che, in questi anni, hanno
deciso di fare outing, hanno contribuito a rendere il cancro un argomento
meno tabù per i media. I cittadini che a loro volta lottano con un tumore,
hanno bisogno di storie positive. Vogliono l’happy end. E questi personaggi,
con le loro storie pubbliche spesso a lieto fine, diffondono il messaggio che
la malattia si può vincere, che non bisogna nascondersi né arrendersi. I Vip
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La parola ai Direttori | Giuseppe Marra
che rivelano di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia
o di averla sconfitta, possono anche essere buoni testimonial dell’importanza
della prevenzione e della ricerca. A patto che il racconto delle loro esperienze
non sia solo gossip.
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Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Il rischio di emulazione può essere alto. E in effetti, secondo genetisti e chirurghi, la richiesta di test genetici da parte delle donne preoccupate di aver ereditato i ‘geni del cancro’ come la Jolie, sarebbe aumentata dopo la confessione
dell’attrice. Così come la domanda di informazioni sull’intervento chirurgico
in questione. Detto questo, il simbolo sexy e trasgressivo di Hollywood che
racconta al mondo di essersi sottoposta a una mastectomia per evitare il rischio
di ammalarsi di tumore del seno, come era accaduto alla madre, è senza dubbio
una notizia. E non è censurandola che si risolve il problema dell’emulazione,
ma trattandola con serietà e senso di responsabilità, interpellando i medici e
dando uguale spazio ai pro e ai contro. Così il lettore, attraverso i diversi punti
di vista, può formarsi la sua idea. Se aver raccontato la storia della Jolie, senza
indulgere nel gossip o banalizzare un tema così delicato, ha acceso l’attenzione
dell’opinione pubblica, ha alimentato il dibattito e ha spinto le donne con casi
di tumori femminili in famiglia a non nascondere la testa sotto la sabbia e a
parlarne con il medico, allora i media hanno reso un buon servizio.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare
che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
La sensibilità nei confronti di questi temi è molto cresciuta, ma lo spazio riservato è ancora insufficiente. Le tante persone che hanno giocato la loro partita
con il cancro, e ne sono uscite vincitrici, rinascono a nuova vita, ma sono anche
piene di domande e di paure nel ritorno alla quotidianità, al lavoro, a una vita
affettiva e sessuale piena. Tutti questi aspetti del ‘dopo la malattia’ sono ancora
poco presenti sui media, che dedicano più spazio alla ricerca, alle terapie anticancro, alla prevenzione.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al
reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo
“male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a
far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Nei pezzi di AdnKronos Salute che si occupano di oncologia, il sinonimo “male
incurabile” non viene più usato da molto tempo, se mai lo è stato. È vero però
che si ricorre oggi ad altre espressioni, soprattutto nel dare notizia di decessi,
come “era malato da molto tempo” oppure “è morto dopo una lunga malattia”:
la parola cancro non viene pronunciata, ma immediatamente tutti capiscono
qual è la malattia. Non è soltanto di una questione di privacy. La parola cancro
pesa ancora come un macigno, è la patologia che fa più paura, evoca sofferenza
e lutto. Oggi però si può guarire, tante storie lo dimostrano, e i medici sono
più attenti alla qualità di vita dei pazienti. Mi impegno, a nome della testa
che dirigo, a contribuire a cancellare l’alone negativo che ancora circonda il
termine cancro.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Il rischio di strumentalizzazioni, confusione e false speranze, in poche parole
di cattiva informazione, è insito in tutti e due i casi e nel modo in cui sono stati
trattati dai media. L’affaire Stamina e, quasi vent’anni fa, il caso Di Bella – simili, eppure così diversi – sono entrambi l’espressione di un conflitto strisciante
tra scienza e società italiana, destinato probabilmente a crescere ancora. In entrambi ci sono tutti gli elementi per una miscela esplosiva: la disperazione dei
malati o dei familiari di malati con patologie molto gravi, come i piccoli protagonisti loro malgrado della vicenda Stamina; l’uso di terapie non riconosciute
dalla scienza, non sottoposte ad alcuna sperimentazione e somministrate a dosi
variabili scarsamente verificabili; l’ingerenza della magistratura che ordina le
cure sostituendosi al medico; la strumentalizzazione della politica. Elementi
perfetti per far diventare entrambi dei fenomeni mediatici.
Il caso Di Bella resta una delle pagine buie della medicina contemporanea, eppure alla fine degli anni ’90 spinse gli oncologi a un profondo, e scomodo, esame di coscienza, portandoli a essere più umani con i loro malati. Più difficile
ipotizzare un’eredità – se vogliamo – positiva della vicenda Stamina, per certi
versi più inquietante, visto che il metodo è riuscito a entrare in un ospedale
pubblico, dove per lungo tempo è stato somministrato. L’agenzia che dirigo ha
trattato questa vicenda verificando sempre le storie e le notizie, cercando i documenti e facendo parlare le carte, assicurando una pluralità di voci e di punti
di vista, cercando di non farsi tirare da una parte o dall’altra.
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La parola ai Direttori | Giuseppe Marra
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L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è
condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Al di là del clamore mediatico dei casi cosiddetti di malasanità, la percezione del buon livello dell’oncologia italiana, e del Ssn seppur tra mille difficoltà, credo sia condivisa fra i giornalisti, soprattutto del settore. Diversa, però,
è spesso la percezione dei cittadini, che dipende dal luogo di residenza. Non si
va più all’estero a farsi curare dopo la diagnosi di un tumore, è vero, ma ancora in troppi casi si fa la spola da una regione all’altra, da una città all’altra, da
un medico all’altro. Le informazioni sono spesso troppo frammentate, come i
percorsi di diagnosi e cura, e in questo i media potrebbero rendere un miglior
servizio ai cittadini.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Forse, proprio come nel caso dell’espressione “male incurabile”, anche riguardo
ai problemi di natura economica che il nostro Paese (e non solo) soffre, sarebbe
utile iniziare a guardare avanti, al futuro, senza più trasmettere un senso di
paura e instabilità con parole come “tunnel”. Non è mia intenzione minimizzare: disoccupazione e stagnazione sono dati di fatto. La mia cultura, però, mi
porta ad avere fiducia nelle Istituzioni e sono certo che presto, complice il necessario cambio culturale di cui noi italiani necessitiamo, torneremo ad essere
il “Belpaese”.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
È qualcosa che ancora, a distanza di molti anni, mi tocca molto da vicino. Preferirei davvero non parlarne.
ezio mauro
Direttore de La Repubblica
“La parola ‘cancro’ va messa nel titolo,
non è giusto mimetizzare la realtà”
Ezio Mauro, nato a Dronero (CN) il 24 ottobre
1948, ha iniziato la professione di giornalista
nel 1972 alla Gazzetta del Popolo di Torino,
seguendo, tra l’altro, le vicende legate al
terrorismo politico. È poi passato a La Stampa,
a Roma, come inviato di politica interna.
Sempre per La Stampa ha svolto servizi ed
inchieste all’estero, in particolare negli Stati
Uniti. Nel 1988 ha iniziato la sua collaborazione
con La Repubblica, come corrispondente
dall’Urss, con base a Mosca. Per tre anni ha
seguito la grande trasformazione di quel Paese
nel periodo della Perestrojka, viaggiando nelle
Repubbliche dell’Unione Sovietica. Il 26 giugno
1990 è tornato a La Stampa come condirettore,
per poi assumere la carica di direttore il 6
settembre 1992. Nel 1994 ha ricevuto il Premio
Internazionale Ischia per il giornalismo. Dal 6
maggio 1996 è direttore de La Repubblica. Nel
1997 ha ricevuto il Premio Internazionale Alfio
Russo per il suo contributo al giornalismo.
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
è cambiato completamente il rapporto tra il giornalismo e la medicina, tra il
giornalismo e la scienza. Nello stesso tempo, il mondo della medicina e della
scienza ha imparato a comunicare se stesso, al di là dei rapporti annuali, dei dati,
dei risultati numerici. La medicina è diventata oggetto d’informazione e di conoscenza, e addirittura di narrazione. Dunque, è cambiato tutto.
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La parola ai Direttori | Ezio Mauro
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
Perché contemporaneamente è cambiato il rapporto delle persone col loro corpo,
degli uomini e delle donne con l’informazione scientifica e medica, del cittadino
con i suoi diritti. Fondamentalmente, la salute è diventata un diritto, prima veniva affrontata al contrario, con notizie sulle patologie. Direi che è una presa di
coscienza collettiva, di massa, che ha determinato un cambio radicale nei giornali.
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Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Le notizie nascono sempre da fonti. Se sono gonfiate, la fonte non era attendibile,
e il giornalismo non era attento. Il criterio di selezione che raccomando alla mia
redazione è di incrociare la notiziabilità con la responsabilità. Soprattutto quando
le notizie, o supposte tali, parlano di “rimedi” o “scoperte”. In questi casi, bisogna
pensare alle famiglie dei malati, alle false speranze che si possono indurre, alle
scelte spettacolari che la disperazione può portare a compiere. Dunque, responsabilità prima di tutto.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Me lo ha ricordato in un convegno il professor Veronesi: tutte le volte che mettiamo la parola “cancro” nel titolo, senza nascondere la realtà o edulcorarla mimetizzandola.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
Il giornalismo dei quotidiani è per definizione generalista, non specialistico. Ma
sempre più ha sviluppato al suo interno competenze e vocazioni che portano a
una valutazione accurata, a un vocabolario proprio, a una comprensione compiuta. Lo stesso lettore è molto più acculturato e pretende precisione.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing,
rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è
il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Diventano notizia da prima pagina, trend-setter, rompighiaccio. Creano un costume, fanno cadere barriere mentali e comportamentali. E aiutano anche noi a
dismettere le nostre barriere create da falsi pudori e vecchie consuetudini.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Nel caso specifico, la notizia ha avuto sul nostro giornale un grande spazio, unito
però ai contrappesi necessari, nei commenti e nelle opinioni raccolte. Il giornale
cioè usa il personaggio come veicolo per rompere un muro e dare una notizia.
Poi la completa e l’approfondisce con altri servizi, confidando nella capacità del
lettore di combinare i vari pezzi, usando pesi e contrappesi, fino a formarsi un’opinione propria che è il risultato di un’informazione articolata e non gregaria o
spettacolare.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare
che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
Sempre più persone, intervistate dai giornali per il loro specifico ruolo professionale o artistico o sportivo o letterario, fanno riferimento ad una malattia
affrontata, vinta, combattuta, come ad un punto decisivo della loro esperienza
di vita, capace di segnare un prima e un dopo, e di trasmettere un insegnamento
che va oltre l’aspetto clinico. Cosa che fino a qualche tempo fa non accadeva. Sta
accadendo, invece, in modo naturale, senza che ci poniamo il problema artificiale
di quanto spazio sia opportuno dare al tema.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al
reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo
“male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a
far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Non lo usiamo più, almeno non come riflesso automatico. Non è nel linguaggio
comune giornalistico, o lo è sempre meno. Questo non significa che la parola non
faccia ancora paura. Ma la speranza la accompagna sempre più.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Si possono confrontare le due vicende per coglierne le differenze, è il segno di
123
La parola ai Direttori | Ezio Mauro
un’evoluzione della società, perché i giornali sono parte della vita di un Paese,
non della sua rappresentazione. Il caso Di Bella turbò l’opinione pubblica e parte
della stampa dette credito al miracolo. Nel caso Stamina le riserve sono state
immediate, e generali. I rischi sono comunque alti, legati al contagio che queste
notizie miracolistiche possono allargare nel Paese. I media hanno una forte responsabilità. Ma la comunità medica e scientifica ancor più, e ancor prima. È la
scienza che deve dare ai media giudizi, criteri, analisi e valutazioni che aiutino a
gestire questi casi, tra l’emotività e la responsabilità.
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L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è
condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
È condivisa per le eccellenze, che ci sono, ma non sul sistema generale. E io credo
che sia una giusta valutazione.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
La crisi non è mai neutrale. Quando salta il lavoro, saltano ancor di più i diritti
cosiddetti post-materialistici. Si comprime il welfare, come se non facesse parte
della cifra complessiva della nostra società, o addirittura della nostra democrazia. La tutela pubblica della salute viene compressa nei costi e negli investimenti,
la ricerca è ridimensionata, tutto il sistema dei diritti soffre. Non usciremo dalla
crisi come ci siamo entrati, ma diversi. Bisognerà ricostruire le condizioni complessive di “civiltà” a cui eravamo abituati. Ce la faremo, ma ci vorrà tempo e
condivisione dell’obiettivo.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Colleghi, anno dopo anno. Sandro, che era appena arrivato da noi e se n’è andato
prima di mostrarci quant’era bravo. Giorgio, che mi assicurava di aver detto al
chirurgo prima dell’intervento che lui voleva vivere, perché aveva molto ancora
da fare. Alfredo, che ha disposto ogni cosa, come faceva sempre, anche riguardo
al modo di ricordarlo. Paolo, che sedeva accanto a me ogni mattina in riunione,
parlava di lavoro e di politica con la passione di sempre mentre il corpo cedeva,
e ringraziava per quell’amicizia che sentiva crescergli intorno. Ho sentito l’ingiustizia, poi il vuoto, la mancanza. E nei mesi della malattia, ho condiviso quel che
potevo. Ecco, per me è una malattia che apre dei vuoti, porta via i compagni. Anche quelli che vogliono combattere. Ma qualcuno ha combattuto, e ce l’ha fatta.
mauro mazza
Direttore di Rai Sport
“Per comunicare bene è necessario
sporcarsi un po’ le mani”
Mauro Mazza è nato a Roma nel 1955.
In Rai dal 1990. Ha lavorato al Gr1 e al
Tg1 (vice direttore fino al 2002). Per
sette anni ha diretto il Tg2 (2002-2009)
prima di assumere la direzione di RaiUno
(2009-2012).
Dal giugno 2013 è direttore di Rai Sport.
Ricordiamo alcuni suoi saggi: Giovanni
Papini, l’inquietudine di un secolo (Volpe
1981); I ragazzi di via Milano. Cronache
e ricordi di un secolo fa ( Fergen 2006);
con Biagio Agnes, Tv. Moglie, amante,
compagna (Rai-Eri 2004); con Adolfo
Urso; Vent’anni e una notte (Castelvecchi
2013). Nel 2012, con il suo romanzo
L’Albero del Mondo (Fazi) ha vinto il
premio Acqui Storia.
Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni?
La comunicazione evolve continuamente. È specchio dei mutamenti sempre più
veloci del nostro tempo. È figlia dei media – vecchi e nuovi – che sono divenuti
compagni quotidiani di viaggio e di vita. Anche la comunicazione sui temi medici e scientifici muta continuamente – cresciuta, decisamente migliorata – con
il medesimo passo.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
Lo spazio aumenta a fronte dell’interesse diffuso per queste tematiche, che han-
125
La parola ai Direttori | Mauro Mazza
no a che fare con la vita dei singoli. La chiave di volta, storicamente, è stata
l’affermazione della conoscenza come valore. Il diritto-dovere di conoscere consente la prevenzione o l’immediato accertamento. La cura di sé e la ricerca di
una migliore qualità della vita (ai primi posti della scala valoriale del nostro
tempo) hanno contribuito certamente alla crescita d’interesse per la medicina.
Prioritaria, ovviamente, è la speranza di scongiurare il rischio di malattie gravi,
il cancro su tutte. E proprio su questo si sono compiuti i passi più significativi
col contributo di tutti.
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Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Notiziabile è una parola bruttissima. Ma rende benissimo l’idea. È notiziabile
qualcosa che susciti interesse, attenzione o semplice curiosità. Vicende di cronaca, scoperte scientifiche, storie emblematiche diventano notizie quando ci sembrano esemplari – meglio se in positivo – di una battaglia vinta o di una nuova
speranza da trasmettere. Certo, quando questa scelta si traduce in facile sensazionalismo, ecco, la medaglia è rovesciata: si alimentano illusioni o ingiustificati
allarmi. Si tratta di pessimo giornalismo, talvolta spalleggiato da medici a caccia
di facile pubblicità.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
La domanda mi riporta alla mente un episodio del 2006, quando dirigevo il
Tg2. Luciano Onder aveva intervistato un oncologo su una innovativa terapia.
Nel pomeriggio mi telefonò il grande Giacinto Facchetti, che conoscevo bene e
stimavo molto. Mi chiese un contatto col professore. Lo richiamai poco dopo
e, con discrezione, gli chiesi chi avesse quel problema. “è un amico”, mi rispose
ringraziandomi. Come seppi pochi giorni dopo da un amico comune, che mi
chiamò allarmato, quel contatto serviva a lui. Ma il cancro si era manifestato
troppo tardi. E in pochissimo tempo, Giacinto ci lasciò.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
Scienza e giornalismo si sposano necessariamente. E devono integrarsi per raggiungere il comune obiettivo: informare, divulgare, comunicare. L’incontro tra il
rigore della scienza e il linguaggio giornalistico è una strada obbligata. Purismo
concettuale e precisione terminologica sono riservati agli esami universitari. Per
comunicare bene, e a tutti, è necessario sporcarsi un po’ le mani o, almeno, togliersi i guanti da chirurgo.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato
di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di
questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Anche qui, bene la testimonianza, che può essere di monito su “cosa fare” e su
cosa “non fare”. Meno bene il sensazionalismo di chi – forse senza volerlo davvero – cerca di spettacolarizzare anche la propria malattia, come se tutta la vita
fosse una commedia da recitare.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
Ecco, questo è un altro caso-tipo di spettacolarizzazione. Colpa della protagonista, che conquista facilmente titoloni sui giornali di tutto il mondo col suo
annuncio-choc. Ma non sono esenti da colpa quei chirurghi che accontentano
pazienti capricciose, più o meno famose, per avidità o per altre ragioni comunque estranee al giuramento di Ippocrate.
In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società, riprendere a lavorare, diventare genitori. Secondo lei, a
questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Si può fare di più e meglio. Ma a me pare che lo spazio e il rilievo dato dai media
a simili esperienze e testimonianze sia adeguato alla lezione di vita che quelle
vicende raccontano.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali e, parallelamente,
cresce anche il numero delle guarigioni. Però il cancro è ancora troppo spesso unito al concetto di
“male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a
far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Impegno preso! Ma ricordiamo anche la fatica fatta per imporre l’uso del termine “cancro” anche nell’informazione, tra mille timori e inconcepibili, piccole
scaramanzie. E ricordiamo anche i risultati eccellenti di molte campagne di informazione e di sensibilizzazione che ci accompagnano per tutto l’arco dell’anno.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla
vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di
Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei,
ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende?
E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca,
addirittura con riflessi politici?
È colpa di una relazione, non sempre corretta, tra le diverse componenti. Quelle
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La parola ai Direttori | Mauro Mazza
“illusioni” si sono alimentate della miopia di taluni politici, della spregiudicatezza di certi medici e, soprattutto, della “disperata speranza” dei malati. Il ruolo
dell’informazione ci ha messo del suo, ma com’era possibile prendere posizione
immediatamente, senza avere i necessari elementi in quel caos generale, con tanto di manifestazioni drammatiche davanti al Parlamento?
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L’oncologia italiana e, più in generale, il sistema sanitario del nostro Paese, pur tra mille problemi e
continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano i tassi di guarigione oncologica,
tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui
media?
È ormai un dato consolidato che la sanità pubblica italiana sia di livello medioalto, con diffuse punte di eccellenza. Sarebbe ancora più bello vivere in un Paese che, dopo aver superato la triste stagione dei viaggi della speranza all’estero,
consenta assistenza e cure in tutte le regioni italiane.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Magari avessi una risposta, e positiva. Speriamo che sia così e che ci si metta alle
spalle la crisi economica più lunga e peggiore degli ultimi cento anni.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Nel 1980 mia madre si ammalò di tumore al colon. Al primo segnale, fece subito un esame, il medico di famiglia le mise le ali ai piedi. Fu operata d’urgenza e
andò bene. Mi ricordo che, per mesi, l’accompagnavo in ospedale per la terapia
(allora sperimentale) e l’aspettavo in auto, studiando i testi universitari. Mia
madre è rimasta con noi altri trent’anni, con molti acciacchi, ma felice di vivere
e di darci ancora a lungo il suo amore.
clemente mimun
Direttore del TG5
“L’informazione sia chiara: facciamo parlare
anche i malati”
Clemente Mimun nasce a Roma nel 1953,
da genitori di religione ebraica: madre italiana e
padre libico. Emigrati in Tunisia, tornano in Italia
per sfuggire alle persecuzioni anti-ebraiche
quando Clemente ha cinque anni. Comincia la
sua carriera giornalistica come fattorino presso
l’agenzia Asca di Roma, per poi iscriversi
all’Albo nel 1976. Viene assunto dalla Rai
nel dicembre del 1983. Al Tg1 da redattore
ordinario, passa alla qualifica di giornalista
parlamentare, quindi caposervizio interni e
successivamente capo della redazione degli
speciali. Nel 1991 è tra i fondatori del Tg5, del
quale diviene vice direttore. Nel 1994 torna alla
Rai come direttore del Tg2. L’11 ottobre 2006
viene nominato direttore della Testata Servizi
Parlamentari della RAI. È membro del comitato
scientifico della Fondazione Italia USA. Il 3
luglio 2007 torna al Tg5 nelle vesti di direttore,
diventando così l’unico giornalista italiano ad
aver diretto 4 diverse testate televisive: Tg2, Tg1,
Raiparlamento e Tg5.
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni?
La comunicazione medico-scientifica è sicuramente cambiata, soprattutto
nell’ultimo decennio: lo si deve agli enormi progressi che la medicina ha conseguito; ai traguardi raggiunti, soprattutto in alcuni settori, inimmaginabili nel
secolo scorso. Di conseguenza l’attenzione e lo spazio che vengono dedicati a
129
La parola ai Direttori | Clemente Mimun
questo settore sono considerevolmente aumentati; in particolare la televisione
ha la peculiarità di documentare, e rispondere, attraverso le immagini, anche in
breve tempo, alle tante domande che ognuno di noi pone, o si pone, sulla nostra
salute.
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I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
La salute, in particolare il tema “cancro” nelle sue diverse forme, interessa ognuno di noi. Non a caso è stato soprannominato, da sempre, “il male del secolo”.
Nello spazio dedicato alla salute parlare di diagnosi precoce, di terapie sempre
più mirate rispetto ad un passato anche recente, di centri di riferimento, dell’opinione di specialisti del settore, è certamente un’informazione utile a tutti ma
soprattutto a chi ne ha bisogno.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Il rischio di diffondere notizie che possano alimentare, specie per alcune patologie, false speranze, e illudere il malato con aspettative infondate va tassativamente evitato. Così come va altrettanto evitato un allarmismo inutile e dannoso.
Le notizie vanno date secondo precisi criteri: con la verifica, attraverso fonti
“autorevoli”, con l’aiuto di professionisti esperti in materia ritenuti seri e dunque
affidabili; la notizia va poi data se interessa un numero rilevante di persone.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
A chi si occupa di informazione non raccomando di essere virtuoso: un professionista deve svolgere sempre al meglio il proprio lavoro; pretendo chiarezza e
correttezza nell’informazione. Sull’oncologia il Tg5 cerca di dare un’informazione completa in tutti i suoi aspetti: facendo parlare anche i malati. Sono purtroppo
loro i protagonisti: non certo noi.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
In medicina non esistono certezze: inutile cercarle ed altrettanto inutile fare una
mediazione. Per questo il linguaggio deve essere appropriato: sentiamo ancora
dire “è morto di un male incurabile” e questo è inaccettabile! Il cancro è una
malattia sicuramente curabile ed anche a volte guaribile. Oppure “è morto di un
brutto male” come se esistessero belle malattie, per di più mortali…
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing,
rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è
il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
La spettacolarizzazione della malattia ritengo sia non sempre appropriata; spesso
utile solo a chi è sotto i riflettori dello spettacolo, della politica, dello sport. Tra
l’altro ogni caso è a sé: ed ogni malato sa benissimo che è solo a lottare contro il
cancro, che può essere vinto o rivelarsi fatale.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in
questi casi?
Il Tg5 ha dato la notizia correttamente riportando le parole della stessa Angelina
Jolie; poi abbiamo sentito alcuni specialisti per un parere su questa scelta. Nessuna enfasi e nessuna presa di posizione.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare
che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
Sono storie drammatiche a lieto fine di chi ha perso qualche battaglia ma vinto
la guerra. Parlarne non è solo un fatto di cronaca: è una conquista della moderna
medicina e, indirettamente, una solidarietà verso chi ancora non può conseguire
questi traguardi.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al
reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato
dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può
impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Parlare di cancro come “male incurabile” o “brutto male” è anzitutto un fenomeno di ignoranza, di non cultura e, nel nostro settore, di pessima informazione.
Nel mio telegiornale queste espressioni non devono esistere. Punto.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla
vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato
il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false
speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi
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La parola ai Direttori | Clemente Mimun
in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente
medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Il caso Di Bella prima e recentemente la vicenda Stamina hanno messo in evidenza come di fronte alla disperazione per una malattia il malato, i suoi cari, si
aggrappano a tutto; finendo per dare retta a ciarlatani, imbonitori, imbroglioni
che lucrano su questi sentimenti. Non vedo alcun aspetto positivo nelle due vicende se non quello di aver riportato le dichiarazioni di un mondo politico che
è intervenuto con appositi decreti a far finire la vicenda e quelle di un mondo
scientifico che ha da sempre stroncato queste iniziative. Lo abbiamo fatto per il
rispetto che dobbiamo ai malati.
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L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è
condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Il Servizio Sanitario Nazionale pur tra mille difficoltà ritengo sia uno dei migliori
al mondo, anche se, tra continui tagli di spesa, mi chiedo quanto ancora potrà
conservare questa caratteristica. L’oncologia italiana è ai vertici nel panorama
internazionale: lo dimostrano gli studi e le scoperte dei nostri ricercatori; le
comunicazioni effettuate nei Congressi internazionali; ma soprattutto la fine,
ormai da anni, dei mortificanti “viaggi della speranza” dove un malato doveva
andare all’estero per curarsi. Oggi assistiamo a molti malati provenienti da tanti
Paesi che vengono in Italia a curarsi. Di questo ne diamo regolarmente conto.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
Con il passare degli anni ognuno di noi chiede sempre maggiori risposte in
termini di salute. Nuovi farmaci, nuovi strumenti diagnostici, nuove strutture
ospedaliere richiedono un impegno di spesa non indifferente. E la gestione della
salute è sicuramente una delle sfide più importanti dei prossimi anni. L’uscita
dal tunnel è ovviamente auspicabile: per il nostro futuro.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Un mio parente: è stata un’esperienza devastante, che mi ha segnato profondamente.
andrea monti
Direttore de La Gazzetta dello Sport
“ ‘Male incurabile’? Un ritardo culturale:
l’outing degli sportivi aiuta…”
Andrea Monti è nato a Milano nel 1955.
Inizia la sua carriera di giornalista a Epoca
nel 1975. Si trasferisce negli Stati Uniti per
una lunga esperienza di studio e di lavoro e
al ritorno in Italia approda all’Europeo come
vice direttore. Nel 1990 gli viene affidata
la direzione di Panorama che tiene per
quasi sette anni. Passato al Corriere della
Sera nel 1997 come inviato editorialista,
viene destinato alla direzione di Sette di cui
rinnova la formula giornalistica e grafica.
Nel 1999 fonda una società di consulenza
e progettazione editoriale che contribuisce
alla nascita di SportWeek. Per la Condé
Nast lancia GQ, il primo magazine maschile
italiano che dirige fino al dicembre 2002.
Negli anni 2003/2005 conduce per La7 la
trasmissione televisiva di attualità e cultura
scientifica Sfera. Nel 2007 rientra in Rcs
come direttore di Max. Nel novembre 2008
diventa direttore di Oggi. Dal febbraio 2010
dirige La Gazzetta dello Sport.
L’Associazione Italiana di Oncologia Medica nasce nel 1973: com’è cambiato, se è cambiato, il modo di
comunicare i temi medico-scientifici in questi quarant’anni?
La scienza e la medicina sono diventate materie di comunicazione sempre più
popolari. Un tempo queste notizie riguardavano solo gli addetti ai lavori e trovavano spazio esclusivamente sulle riviste specializzate. Erano quindi destinate a
un pubblico ristretto, selezionato, di lettori. Oggi tutte le testate giornalistiche si
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La parola ai Direttori | Andrea Monti
occupano quotidianamente di temi legati alla medicina, alla salute e al benessere.
Anche su un quotidiano come La Gazzetta dello Sport è possibile trovare articoli
dedicati a questi argomenti. Possiamo dire che il cambiamento è stato radicale.
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I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
I motivi sono molteplici. La lotta ai tumori interessa, direttamente o indirettamente, milioni di persone, con profondi riflessi sulla vita quotidiana e sugli
interessi di ognuno. Può quindi essere affrontato da vari punti di vista. Ad
esempio il problema del costo dei farmaci si lega alla crisi economica e non può
non essere approfondito, ad esempio, da una testata che si occupa di economia.
La Gazzetta dello Sport spesso riserva spazio al tema cancro, perché lo sport è
legato a doppio filo con la prevenzione e, quindi, con l’importanza dell’attività
fisica. Inoltre diversi sportivi, più o meno famosi, hanno dovuto affrontare la
malattia.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Novità, singolarità e verificabilità sono i principali criteri che presiedono alla
selezione delle notizie. Dedichiamo sempre spazio a uno sportivo che rivela la
sua difficile battaglia contro la malattia oppure si impegna in un’iniziativa di
sensibilizzazione. Un esempio recente riguarda Cristiano Ronaldo. Durante i
Mondiali di Brasile 2014 il campione ha sfoggiato uno strano taglio di capelli per
ricordare le cicatrici di un suo piccolo fan malato di cancro al cervello. Quella del
fuoriclasse portoghese è stata un’iniziativa sicuramente lodevole.
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
La Gazzetta dello Sport ogni anno organizza il Premio intitolato a Giacinto
Facchetti. Il riconoscimento va a un personaggio del mondo del calcio che si è
distinto per correttezza e lealtà. Nel 2013 è stato vinto dal giocatore francese Eric
Abidal, che è stato colpito da un tumore al fegato da cui è riuscito a guarire. Dopo
la malattia il terzino è tornato a giocare ai massimi livelli e ha pure ritrovato la
maglia della Nazionale. La giura ha deciso di premiarlo, oltre che per la passione e fair play che ha sempre mostrato in campo, anche per la sua straordinaria
vicenda umana. Durante la cerimonia Abidal ha infatti parlato della sua malattia dicendo chiaramente “non ho paura”. È stato un momento molto intenso e
commovente. Le sue parole e il suo esempio possono diventare uno stimolo per
tutti coloro che stanno soffrendo e lottando contro il cancro.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre spesso la scienza produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
La vera sfida della comunicazione medico-scientifica è proprio questa: riuscire a
coniugare semplicità divulgativa e rigore scientifico. Questo principio vale ancora
di più quando una testata sportiva deve affrontare un argomento delicato come
il cancro. Penso che comunque non sia una sfida impossibile, si può parlare di
questi temi anche su un quotidiano non letto solo da esperti. Uno dei criteri per
mediare i due aspetti si può trovare proprio nella carta dei doveri del giornalista,
che è tenuto a “non diffondere notizie sanitarie che non possano essere controllate
con autorevoli fonti scientifiche”.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato
di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di
questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
I loro esempi hanno un grandissimo valore ed è nostro compito raccontare le loro
storie. Uno sportivo che combatte la sua battaglia contro il cancro o che raccomanda ad un giovane di non fumare sono armi efficaci contro i tumori. Soprattutto per
i teenager che spesso hanno come idoli calciatori o campioni di altri sport. Pato o
Acerbi, per esempio, sono due giovani calciatori che sono riusciti a combattere il
cancro e non hanno avuto paura di rendere pubblica la loro esperienza.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
L’esempio fornito dai personaggi famosi può rappresentare un’arma a doppio
taglio. Da un lato l’esperienza, resa pubblica, di sportivi che hanno vinto la loro
battaglia contro il cancro è sicuramente positiva per tutti, compresi coloro che
stanno combattendo la stessa battaglia. Dall’altro lato, talvolta, atleti famosi
sono stati immortalati in fotografie con la sigaretta in bocca o alla guida in stato
d’ebbrezza, in questi casi il rischio di emulazione è alto e le conseguenze possono essere negative. Il caso che ha interessato Angelina Jolie è diverso. L’attrice
ha fatto una scelta personale, magari discutibile, ma che deve comunque essere
rispettata. Successivamente, forte della sua notorietà internazionale, ha deciso di
fare outing. Il rischio di emulazione da parte di altre donne è sicuramente reale
e concreto. Credo che la notizia dovesse essere trattata con maggiore sensibilità
e cautela da parte di tutti, non solo dei media.
Grazie ai progressi dell’oncologia, oggi in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente
diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi
aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
I media riservano abbastanza spazio su questi aspetti legati ai tumori. Bisogna
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La parola ai Direttori | Andrea Monti
cercare il più possibile di lanciare messaggi positivi, senza però illudere i lettori. Se
sempre più persone riescono a sconfiggere il proprio male è giusto darne notizia.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali, ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora percepito come “male incurabile”. Si può
impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
L’impegno, in realtà, c’è già. Da tempo, nei giornali che dirigo il termine “male
incurabile” è bandito. E se talvolta scivola negli articoli, più che una distrazione,
è un ritardo culturale.
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Si è molto parlato negli ultimi mesi della vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le
polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione ancora una volta si è
rivelato centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Che rischi corre il paziente quando
situazioni medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Il caso Stamina ha trovato spazio anche sulla testata che dirigo, per cui l’impatto
della notizia è stato forte e trasversale. La vicenda sta alimentando opinioni discordanti, polemiche e preoccupanti retroscena, così come a fine anni Novanta la
cura Di Bella. Come cittadino, prima ancora che giornalista, vorrei che decisioni
delicate, come quelle che riguardano i trattamenti medici, fossero adottate solo
in seguito a rigorosi studi scientifici. Mi pare che nel caso Stamina le risultanze
negative siano univoche. Resta da chiedersi perché una cura poi risultata inefficace sia stata somministrata talvolta a caro prezzo e per tanto tempo.
L’oncologia italiana e – più in generale – il sistema sanitario del nostro Paese, pur con mille difficoltà,
si conferma uno dei migliori al mondo, con tassi di guarigione oncologica tra i più alti d’Europa.
Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Nella mia carriera professionale non mi sono occupato solo di sport. La sanità
è un tema che riscuote maggiore interesse da parte dei cittadini. I dati relativi
alle eccellenze dovrebbero avere maggiore spazio sui media: è quanto ho cercato
di fare per anni con Sfera, una trasmissione scientifica che conducevo su La7.
Troppo spesso invece si parla solo delle inefficienze o degli episodi di malasanità.
Intendiamoci, questi aspetti negativi sono reali, influiscono sulla nostra vita, è
doveroso parlarne. Ma c’è anche un’altra faccia della sanità italiana che andrebbe
maggiormente illuminata.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
La crisi dura ormai da molti anni e si riflette pesantemente anche nella sanità.
Non so dire quando finirà la recessione, anche se qualche spiraglio mi pare di
vederlo, ma una cosa è certa: se vogliamo ricominciare a crescere servono misure
concrete e il coraggio di adottarle rapidamente. Dobbiamo investire di più sui
giovani, una risorsa poco utilizzata nel nostro Paese. E puntare dritto alle rifor-
me. Il settore della sanità è uno dei primi a cui bisogna metter mano. Non tanto
per tagliare, quanto per razionalizzare gli investimenti e preparare un futuro di
servizi migliori.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Purtroppo la mia esperienza, come quella di tanti, è quotidiana… Certo è dura,
ma ti insegna che alle persone care devi trasparenza e verità. Sono armi potenti
contro la disperazione che non porta a nulla. Grazie ai progressi della medicina,
anche quando non si può guarire, il tumore si può combattere. Al tempo non si
devono chiedere certezze. Ma speranze sì. Ogni giorno trascorso con una buona
qualità di vita è un giorno che vale la pena di essere vissuto.
137
La parola ai Direttori | Roberto Napoletano
138
Roberto Napoletano è direttore de Il Sole
24 Ore (dal 24 marzo 2011), dell’agenzia
di stampa Radiocor, dell’emittente Radio24
e di tutte le testate professionali (dal 19
giugno 2013). È inoltre Direttore Editoriale
del Gruppo 24 ORE (dal 1° marzo 2012).
La sua scommessa editoriale è valorizzare
l’identità storica del quotidiano come
strumento di servizio per offrire un
orientamento autorevole a famiglie, imprese
e professionisti sui fatti dell’economia,
della finanza e delle norme. Una formula
premiata dal mercato anche nella nuova era
dell’informazione multimediale: Il Sole 24
Ore è oggi il primo quotidiano digitale in
Italia con oltre 170mila copie vendute ogni
giorno e, per la prima volta nella sua storia,
terzo quotidiano nazionale per diffusione
media carta+digital con oltre 362mila
copie (dati Ads marzo 2014). Saggista,
scrittore e autore di bestseller dell’economia
(Padroni d’Italia – Può il nostro capitalismo
salvare se stesso e il Paese?, Fardelli d’Italia
– Storie inedite e retroscena: uomini e fatti
di un racconto amaro) e di longseller della
saggistica (Promemoria Italiano), ha appena
pubblicato per Rizzoli Viaggio in Italia.
Roberto Napoletano è stato anche direttore
de Il Messaggero dal 2006 al 2011.
ROBERTO NAPOLETANO
Direttore de Il Sole 24 Ore
“È indispensabile parlare al malato
con rispetto e cognizione scientifica”
L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi
medico-scientifici negli ultimi decenni?
La comunicazione dei temi medico-scientifici è cambiata in modo molto significativo sotto la spinta di quattro grandi fattori di innovazione. In primo luogo,
il rapporto medico-paziente si è evoluto su basi nuove: consapevolezza, partecipazione alle decisioni, necessità di essere informati e sapere diffuso sono oggi
imprescindibili valori di riferimento. In secondo luogo, le nuove tecnologie, da
Internet alla informatizzazione dei servizi sanitari, favoriscono l’accesso alle informazioni da parte del pubblico. Inoltre, i risultati raggiunti dalla ricerca scientifica hanno superato l’accezione di “inguaribile” che gravava su molte malattie.
Infine, si è acquisita la coscienza che le malattie e il benessere sono in relazione
agli stili di vita e alla qualità dell’ambiente. Di fronte a queste trasformazioni la
natura stessa della ricerca e il modo di fare scienza hanno iniziato a confrontarsi
con esigenze e sensibilità inedite. E, di conseguenza, anche l’informazione scientifica ha assunto un ruolo diverso.
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei,
perché?
Oggi gli scienziati sono molto più aperti verso la comunicazione perché consapevoli della necessità di coinvolgere i cittadini. Le loro ricerche devono essere
conosciute sia in funzione del supporto finanziario indispensabile per poter andare avanti, sia perché la società deve sapere quanto possano essere importanti
la ricerca, la scienza e soprattutto le applicazioni tecnologiche.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con
quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità”
di un fatto legato alla salute?
Autorevolezza scientifica e interesse pubblico sono i criteri guida. Il rigore
139
La parola ai Direttori | Roberto Napoletano
professionale è lo stesso con cui si seleziona una qualunque “notizia”, tenendo
presente, tuttavia, che la salute ha una notevole importanza sociale, economica
e per la vita delle persone. Le scoperte e le ricerche, rigorose, validate e pubblicate che vanno nella direzione del progresso scientifico, con ricadute sulla
società e l’individuo sono “notiziabili”. Per le notizie medico-scientifiche, è
fondamentale la verifica della fonte. Un compito su cui i miei redattori sono
impegnati in prima linea.
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Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Nelle pagine e nel sito del nostro supplemento Nòva 24 dedichiamo un’attenzione
costante all’innovazione anche in tema di salute. Più che di casi singoli vorrei
parlare di temi di frontiera: dalla medicina personalizzata alle biotecnologie e
nanotecnologie vengono disegnate le future strategie per combattere il cancro.
Questi temi aiutano a far capire al pubblico l’importanza di investire nella ricerca. È importante utilizzare sempre un linguaggio accessibile, per farci capire
da un pubblico più ampio.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
L’approccio è: acquisire i contenuti da parte degli scienziati qualificati e trasferirli
con un linguaggio comprensibile, e quindi divulgativo, al pubblico. La mediazione non può prescindere dalla correttezza e dalla trasparenza. Non si tratta solo
di spiegare o informare, ma di rendere partecipi i lettori su quelli che sono gli
obiettivi e le implicazioni della ricerca scientifica.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing,
rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è
il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Il cancro non è più un tabù, il medico stesso ne discute apertamente con i
pazienti, che oggi sono informati e consapevoli. Il fatto che i personaggi famosi parlino delle loro malattie – purché non avvenga in una pura dinamica
da star system – è una conferma che la salute e le malattie sono una materia
di interesse collettivo. Talvolta può risultare addirittura positivo perché sono
casi di persone guarite che possono aiutare i pazienti nella lotta quotidiana
contro la malattia.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per
il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo,
ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità
dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi?
La premessa è che la scienza non deve fare spettacolo. La divulgazione seria si
basa sulla competenza, cioè capire le cose, e sull’onestà in quello che si riferisce.
Se si rispettano queste qualità non c’è il rischio di passare un messaggio fuorviante. Certo, ogni rischio di malattia fa i conti con la paura ad essa legata. Il
cancro è la malattia per eccellenza, in cui il rapporto tra rischio, probabilità di
ammalare e il senso del pericolo è molto personale e, talvolta, sproporzionato.
La risonanza mediatica non deve far paura: l’importante è essere rispettosi della
sensibilità personale e, allo stesso tempo, non accreditare una visione prometeica
della medicina. Ad esempio, è fondamentale essere tutti più consapevoli non solo
delle potenzialità ma anche dei limiti delle biotecnologie.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare
che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
Diamo spazio alle associazioni di malati (nel nostro Paese stanno per fortuna
acquistando una capacità di interlocuzione sempre più forte e costruttiva), non
solo agli addetti ai lavori, e a tutto quello che favorisce una rete di relazioni solidali e di sostegno post-malattia. Questo è in linea con il coinvolgimento della
società sul tema salute e cure e stili di vita.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna,
le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte
a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al
reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo
“male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a
far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Per quanto riguarda Il Sole 24 Ore, il termine “incurabile” è già scomparso.
Quando parliamo di cancro non usiamo il termine male incurabile, ma lo
affrontiamo come le altre malattie da cui è anche possibile guarire o con cui
convivere, chiamando a raccolta le risorse della comunità medico-scientifica e
dei progressi della ricerca.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
I mezzi di comunicazione, ma talvolta gli stessi medici, cadono nell’errore di
141
La parola ai Direttori | Roberto Napoletano
alimentare su basi miracolistiche la speranza e il desiderio di guarigione, ma
poco discutono delle conseguenze negative legate a pratiche mediche tutte da verificare. Invece che curare la sofferenza, si corre il rischio di generare l’inganno.
Un giornalista o un programma televisivo hanno certo il dovere di raccontare le
storie, ma avrebbero anche quello di documentarsi, informarsi, indagare, approfondire, a maggior ragione su temi delicati e seri, chiedendo a chi ci lavora. Noi
abbiamo dato voce in più occasioni alla comunità scientifica proprio per evitare
annunci sensazionalistici.
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L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è
condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Il nostro sistema sanitario presenta una diffusa rete di eccellenze, ed è stato citato
anche da altri Paesi, tra cui gli Usa. Ma abbiamo una casistica pesante anche di
malasanità. Contraddizioni che il pubblico conosce.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo,
anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
L’ottimismo su una svolta economica nel corso del 2014 si è ormai rivelato una
fragile aspettativa, duramente smentita dalla realtà dei fatti: l’ulteriore frenata
della produzione industriale, il ristagno dei consumi interni, il tasso di disoccupazione giovanile che ha superato da tempo la soglia della sostenibilità e il
divario tra le due Italie che ha assunto dimensioni strutturali mai raggiunte in
passato. Il peso della tassazione su imprese e banche, frutto di un’eredità abnorme, e il peso, altrettanto abnorme, di una burocrazia ossessiva, chiudono spazi
vitali di crescita, in casa, sia per le forze sane della produzione (ci sono e lottano
nel mondo) sia per quelle giovanili di talento (ci sono e si affermano nel mondo).
Questa è la realtà italiana, figlia di colpe nostre, evidenti, e di colpe europee, che
hanno la loro origine in un eccesso di rigore. In un contesto sempre più restrittivo per i conti dello Stato e delle autonomie locali, la gestione della salute e l’investimento in ricerca sono priorità assolute per l’Italia e per il bene dei cittadini:
proprio per questo, non dovranno essere più tollerati compromessi con i vizi di
una spesa pubblica improduttiva che corrode alle radici le fondamenta di una
comunità e ci ha caricato sulle spalle un debito pubblico abnorme.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una
sua esperienza con la malattia?
Dall’esperienza di persone care colpite da un tumore ho imparato che la “giusta
conoscenza” diventa un fattore essenziale per combattere con equilibrio queste
patologie. Una nuova cultura della malattia che non sia segnata dalla rimozione e
dalla sola paura del “male incurabile” coinvolge due aspetti chiave. Innanzitutto,
è decisiva la dimensione della prevenzione: consente di intervenire quando c’è
ancora tempo, prima che il quadro risulti compromesso, salvando la vita delle
persone ed evitando una spirale di terapie, interventi chirurgici e sofferenze. Da
questo punto di vista, abbiamo compiuto negli ultimi decenni straordinari passi
in avanti, con risultati importanti, ma molto resta ancora da fare. In secondo
luogo, è fondamentale la capacità di saper parlare al malato, con rispetto umano
e anche con cognizione scientifica, di argomenti che toccano la vita stessa delle
persone e delle famiglie: poiché la prima leva della cura è la stessa persona malata, è indispensabile una sapiente combinazione di delicatezza umana e rigore
medico.
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La parola ai Direttori | Luciano Onder
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Luciano Onder nasce a Roma l’11 luglio
1943. Insegna per anni all’Università La
Sapienza e inizia a lavorare in RAI per
realizzare, con Sergio Zavoli, la serie di
trasmissioni Nascita di una dittatura sulle
origini del fascismo. Il 1° marzo 1981 va
in onda la prima puntata di Tg2 Medicina
Trentatrè, il programma di approfondimento
che ha registrato i migliori giudizi da
parte dei telespettatori in tema di qualità
e valore pubblico. Trentatré, inoltre, è la
trasmissione più longeva della RAI. Dal
2002 al 2008 è responsabile del canale di
divulgazione scientifica Explora, realizzato
da Rai Educazione in collaborazione con il
CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche)
e il MIUR (Ministero Università Ricerca).
Il 31 marzo 2014 l’Università di Parma gli
conferisce la Laurea ad honorem in Medicina
e Chirurgia. Vice direttore del TG2, si occupa
di divulgazione medico-scientifica in Rai da
più di 30 anni.
luciano onder
Vice direttore del TG2
“L’informazione corretta fa guadagnare
salute ai cittadini”
Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni?
Io mi occupo di informazione medico-scientifica da più di trent’anni. Sono
convinto che questo tipo di informazione non sia solo una specializzazione del
giornalismo, ma un settore vero e proprio della medicina, perché anche da questa
informazione dipendono i comportamenti, lo stile di vita, le scelte di ciascuno di
noi. Prima di tutto la prevenzione e la diagnosi precoce, poi il nostro benessere,
spesso il modo di curare per la buona riuscita della terapia. Gli effetti positivi di
questo modo di fare televisione sono grandissimi, entrano nella medicina; posso
forse dire che tocchino aspetti etici e sociali come nessun’altra specializzazione
del giornalismo. La buona informazione contribuisce, nel suo piccolo, a fare
della buona medicina. Cattiva informazione aggrava i problemi e danneggia chi
ci ascolta. Ciò che il pubblico comprende e sa, spesso, è conseguenza di quanto
viene scritto sui giornali e ascoltato in televisione. L’informazione medico–scientifica può servire alla salute oppure danneggiarla. I medici e i giornalisti che si
occupano di medicina lo sanno bene. Nel 1985 ad Atlanta, nel primo congresso
sull’AIDS, Robert Gallo, che parlava un abruzzese antico e confuso, e che allora
era il punto di riferimento nella ricerca, disse a noi giornalisti che per frenare
quella che già allora si delineava come un’epidemia virale, per tenerla sotto controllo, sarebbero stati necessari metodi non soltanto medici e clinici, non solo la
ricerca, ma informazioni corrette date dai media. “Dipenderà da voi, – disse – il
risultato ci sarà se farete un’informazione corretta, utile e non scandalistica”.
Robert Gallo aveva ragione: l’epidemia è stata frenata grazie a tanta ricerca, ma
anche grazie a un’informazione che ha svolto un ruolo educativo e di prevenzione. “Se lo conosci lo eviti”, “Non morire per ignoranza” sono stati gli slogan
delle campagne di prevenzione, risultato di una alleanza tra mondo scientifico e
media. L’ignoranza e la non conoscenza come fattori di rischio, causa di malattia. In sostanza più il cittadino è informato, più è in grado di controllare ciò che
influenza la sua salute. “Se siete informatori responsabili, siete anche educatori”
aveva detto Karl Popper dei giornalisti, sottolineando che l’informazione deve
sempre diventare uno strumento di educazione e produrre effetti pedagogici. E
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La parola ai Direttori | Luciano Onder
146
questo perché i cittadini non cadano vittime di false speranze per ignoranza e per
colpa di quella “cattiva televisione” di cui tanto Popper ha scritto. È un diritto del
cittadino essere informato sui problemi che riguardano la salute, ed è un dovere
di me giornalista trasmettere, far conoscere in modo documentato, serio tutto
ciò che serve a far guadagnare salute alle persone che ci ascoltano. Guadagnare
salute attraverso l’informazione corretta. È questo l’obiettivo che ogni giornalista deve porsi quando scrive di medicina. È questo lo scopo del mio lavoro: FAR
CAPIRE, fare divulgazione corretta. E che l’informazione medico scientifica
debba avere una dimensione etica e un ruolo pedagogico è un’esigenza sentita in
tutto il mondo. In Francia il Comitato di Bioetica nel 1996 ha inviato una “Raccomandazione” ai giornalisti, una sorta di decalogo sul modo di comportarsi.
Tutti i punti sottolineano la dimensione etica della formazione professionale e la
competenza e il ruolo pedagogico del giornalista scientifico. Inizia con un dato,
con una frase, che può essere riportata, riferita pari pari in Italia. “Il numero
limitato di giornalisti scientifici – dice il Comitato Bioetico Francese – preoccupa
circa l’efficacia dell’informazione stessa: in Francia ci sono 28.000 giornalisti,
3000 sono sportivi, solo 180 sono medico-scientifici. E queste cifre spiegano la
superficialità e la confusione delle notizie biomediche – dice ancora il Comitato
di Bioetica Francese”. Non è solo il comitato di Bioetica Francese a occuparsi
di questo problema. Il Codice della Stampa Tedesco dice: “è opportuno evitare
quanto potrebbe suscitare nei malati speranze non fondate, non corrispondenti
allo stato della ricerca medica, e la stampa non ha il diritto di provocare incertezze nei malati e di farli dubitare delle terapie consolidate”. Anche in Italia la Carta
di Perugia, siglata da medici, giornalisti e psicologi nel 1995, fissa alcune regole
dell’informazione medico scientifica. «Spesso i giornalisti presi dall’ansia della
notizia – dice la Carta di Perugia – dimenticano ad esempio che la parola “imminente” in medicina può significare anche 5 o 10 anni. Una notizia di scoperte
di cure, “forse” efficaci, potrebbe produrre speranze prive di fondamento, false
e spingere a spese irrazionali per i cosiddetti “viaggi della speranza”».
I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché?
La salute è un argomento che “tira”, usando un termine giornalistico, ma dovrebbe essere utilizzato al meglio. È indispensabile che le notizie non vengano manipolate o distorte suscitando speranze e illusioni, oppure allarmismi pericolosi.
Troppo spesso scienziati serissimi, per l’ansia di comunicare una nuova linea di
ricerca che (forse) darà frutti solo nell’arco di uno o più decenni, enfatizzano le
loro scoperte. E spesso i giornalisti, presi dall’ansia della notizia, dimenticano le
loro lacune in campo medico e scientifico, ad esempio che la parola “imminente”
in medicina può significare dieci o venti o più anni. Il lettore o l’ascoltatore hanno la certezza che ci sia il risultato subito pronto in farmacia sotto casa. In questo
teatrino in cui il medico si fa bello di sé e il giornalista cerca di portare in redazione un articolo da prima pagina c’è purtroppo una sola vittima: è la persona
malata, o parente di un malato, disposta a credere tutto, perché ha un figlio pieno
di metastasi che sta morendo di cancro, o di AIDS, o di qualsiasi altra malattia.
Pensando a queste persone medici e giornalisti dovrebbero seguire una regola
“sacra, assoluta, inderogabile”: il rispetto della sofferenza. Lo dice già la Carta
di Perugia firmata nel 1995 da medici, giornalisti e psicologi. In sostanza una
corretta informazione deve essere nelle mani di giornalisti con una competenza
specifica nel settore biomedico, per evitare articoli illusori o terrorizzanti. È poi
frequente la non corrispondenza tra titolo e contenuto della notizia: leggendo il
testo ci si rende conto che è diverso dal titolo, scelto per attirare l’attenzione e aumentare la tiratura del giornale. È proprio sulle notizie che riguardano scoperte
“forse” efficaci nei tumori che si hanno reazioni nei pazienti e nei loro familiari
che vengono spinti a spese irrazionali per quelli che chiamiamo “viaggi della
speranza”. Compito del giornalista che si occupa di medicina non è la ricerca
della notizia-bomba, della ricerca più avanzata, che si pratica solo in un luogo
lontano, costoso, irraggiungibile. Compito del giornalista, e mio in particolare
che lavoro nella RAI Servizio Pubblico, è spingere i cittadini verso la prevenzione
per tante malattie, con la diminuzione dei fattori di rischio. Ricordo che negli
anni ’80 cardiologi finlandesi fecero uno studio epidemiologico sulle malattie
di cuore tra i finlandesi e gli abitanti dell’isola di Creta. Il numero di infarti era
in Finlandia tre volte superiore a quello dell’isola greca. Lo studio mise sotto
accusa l’alimentazione finlandese basata allora sul burro e lodava l’alimentazione
mediterranea greca che aveva come alimento fondamentale l’olio di oliva. Da
quello studio è partita una campagna di educazione alimentare in Finlandia che
ha modificato i consumi e portato il numero di infarti tra i finlandesi a ridursi e
ad essere inferiore a quelli greci.
Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o
allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni.
Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la
“notiziabilità” di un fatto legato alla salute?
L’informazione nel settore medico, nonostante la sua importanza, alcune volte è
portata a fare sensazionalismo, scoop. È un po’ la vocazione di tutti noi giornalisti: è nella nostra natura. La notizia, purtroppo, spesso viene presentata con titoli
a sensazione e rischia in questo modo di creare illusioni o false speranze. Finisce
in prima pagina soprattutto quando promette o descrive un miracolo. Spesso ha
successo se è sensazionale, se promette una cura istantanea che scavalca tutto ciò
che la medicina ha riconosciuto come valido fino a quel momento. Il giornalista,
per fretta, perché non ha tempo, perché non preparato su quell’argomento specifico, non è in grado di capire le origini e le ragioni di quella notizia e prende
per buono ciò che gli viene raccontato, non ha tempo di verificare. In questi casi
la notizia viene trasformata, distorta al punto di fare spettacolo. La realtà viene
così dimenticata e viene fuori un talk-show. Gli esempi sono innumerevoli e non
147
La parola ai Direttori | Luciano Onder
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solo da noi. Lo scorso 23 giugno la copertina di Times ha suscitato meraviglia,
una noce di burro arricciata ed il titolo: “Mangiate il burro. Gli scienziati hanno
bollato i grassi come nemici. Ecco perché si sbagliano”. E l’articolo sostiene che
assumere i grassi contenuti nei formaggi, nel latte, nel burro, nella carne, ha un
effetto benefico sulle arterie, contrariamente a ciò che si è sostenuto fino ad oggi.
È inutile dire che la copertina e l’articolo sono eccessivi, ignorano tutti i dati
delle ricerche precedenti che spingono a consumare più frutta, verdura, cereali
integrali e a contenere i grassi. In poche parole la copertina e l’articolo sono
pericolosi e diseducativi. Quanti articoli, commenti sono stati scritti sulla gravidanza e sulla nascita di un bel bambino di una famosa donna dello spettacolo
di 54 anni? Tante le lodi, le interviste, pagine e pagine, ma non un articolo ha
avanzato la possibilità che la gravidanza fosse dovuta alla donazione dei gameti,
ad una fecondazione medicalmente assistita eterologa. Questa è un’informazione
che disinforma, che non aiuta il cittadino a farsi una cultura, a capire realmente
i problemi, non è al servizio del cittadino, non gli fa guadagnare salute, ma lo
spinge a cercare comunque, a qualunque costo, soluzioni non possibili, a seguire
illusioni. Nella Raccomandazione del Comitato di Bioetica Francese ai giornalisti
si legge: “è importante considerare che il pubblico destinatario dell’informazione
scientifica non è una massa indistinta e amorfa. Si tratta dei malati, delle loro
famiglie, delle loro associazioni, dei loro medici curanti; ancora tutti i giovani in
età scolare, di fronte ai pericoli dell’AIDS o della droga, con i loro genitori e i loro
insegnanti; infine, gli animatori della grande solidarietà sociale, come le associazioni di volontariato o i donatori di sangue e di organi. Si tratta, in definitiva, di
tutti coloro che vivono lo sviluppo impetuoso del sapere e del potere biomedico.
Ed è a tutti costoro che deve pensare chi crea o diffonde l’informazione.”
Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista / testimonianza sull’argomento cancro
in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia?
Nella mia scrivania conservo la lettera di una telespettatrice che anni fa mi diceva
di essere stata dal dermatologo dopo aver visto un servizio di “Medicina Trentatré” sui nei a rischio. La signora ringraziava perché era stato in questo modo
possibile fare diagnosi molto precoce di melanoma. “Grazie a ciò che avete detto
ho evitato tanti problemi, magari un intervento chirurgico più drammatico e,
perché no?, ho avuto salva anche la vita.” La lettera di questa telespettatrice è
un grande riconoscimento per la mia rubrica, che ha il merito di non aver mai
seguito la tendenza di molta stampa a presentare la nostra sanità sempre come
malasanità. Al contrario vuole essere un servizio utile per chi ascolta, vuole dare
cioè delle informazioni che contribuiscono a fare cultura. È un diritto del cittadino essere informato sui problemi che riguardano la salute, ed è un dovere di
me giornalista trasmettere, far conoscere in modo documentato, serio, tutto ciò
che serve a far guadagnare salute. Guadagnare salute attraverso l’informazione
corretta, in poche parole. Nel nostro Paese troppo spesso questo non avviene:
noi giornalisti parliamo di malasanità in continuazione e spesso esageriamo;
ne parliamo a sproposito. Certo le cose che non vanno in sanità sono tante, ma
noi giornalisti tutto ciò che non va bene in sanità, che non ottiene il risultato
sperato, lo inquadriamo, lo presentiamo come cattiva medicina. Un po’ per tutti
noi giornalisti, l’insuccesso non può esistere, se le cose vanno male è un errore,
la colpa è del medico. L’informazione, in questi casi, crea una frattura tra una
medicina descritta spesso come onnipotente, e una sanità non in grado di mettere queste possibilità al servizio del cittadino. Questo messaggio si traduce in un
clima di accusa, di caccia all’untore di fronte a ogni insuccesso. Noi giornalisti
dobbiamo uscire da questa logica colpevolista, dobbiamo creare nuova cultura.
Certo dobbiamo denunciare i casi di inefficienza e di errore, ma anche capire
come e perché si è creata una complicanza, se c’è stato un evento improvviso,
oppure se, come accade spesso purtroppo, le strutture sono inadeguate, o se c’è
una componente umana di ignoranza, di disattenzione, di disorganizzazione.
Solo così è possibile capire l’origine dell’evento avverso, della complicanza, e
organizzarsi perché non si ripeta.
Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce
dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del
linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
È importante che i medici, le strutture sanitarie, la medicina in generale siano
in grado di comunicare con i pazienti, oltre che con noi giornalisti. Qual è il livello della comunicazione in medicina? La comunicazione viene utilizzata bene
per agevolare il cittadino, per stimolare il dialogo tra pazienti, medici e servizi
sanitari? Forse no! Una buona informazione è fondamentale per una sanità che
funzioni. La comunicazione è strategica per la precocità della diagnosi e la terapia. Il malato ha bisogno di informazioni ben fatte. Attraverso la comunicazione
si costruisce il rapporto tra medico e malato. Nella comunicazione tutti devono
fare la loro parte: non solo il singolo medico, ma anche gli ospedali, i centri di
ricerca, le Università, in pratica l’intero Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Tra
le competenze richieste al medico c’è dunque anche il saper comunicare, il medico deve essere un buon comunicatore e questo vale nei confronti del paziente e
di tutti i cittadini. È necessario dare ai medici gli strumenti affinché apprendano
alcune regole base della comunicazione, per esempio su come scrivere un referto,
su come comunicare ai pazienti e ai familiari con il loro stesso linguaggio. E
anche, perché no, su come comunicare con i media. Un medico non deve temere
di essere considerato poco professionale se parla alla gente con un linguaggio
semplice e chiaro, semplificando le informazioni affinché possano venire comprese meglio dal pubblico. Se ci si nasconde dietro il “latinorum” non si svolge un
buon servizio. Tanto più che oggi tutti ripetono che una buona comunicazione
potrebbe evitare parte del contenzioso. Del resto, rispetto al passato, a quando
ho iniziato a occuparmi di medicina e sanità, sono stati fatti grandi passi avanti
in questo senso, ma si può migliorare.
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La parola ai Direttori | Luciano Onder
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Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio
l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minougue) hanno fatto
outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla
sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Incontro spesso persone con tumore: tutte chiedono un medico competente,
che lavori in un centro specializzato, che sia aggiornato, in grado di fare le cure
più efficaci. Le richieste sono sempre: “Questo professore che mi consigli lavora
abitualmente sul mio problema?”, “è in grado di seguirmi, o mi lascerà nelle
mani di un assistente?”, “è preparato? Si aggiorna in continuazione?”, “Il centro
in cui lavora ha i macchinari moderni a disposizione?”, “I farmaci di nuova generazione, efficaci e costosi, vengono usati in questo centro?”. Ma prima di tutto
queste persone chiedono se quel medico è in grado di prendersi cura del malato,
di gestirlo, di accompagnarlo nei vari momenti e nelle varie fasi della malattia,
in parole povere chiedono un medico che sappia instaurare un rapporto vero,
professionale, ma anche umano. Al malato sapere che un personaggio famoso
ha avuto un tumore non interessa. “Quel personaggio – mi sento dire – grazie
ai soldi, al potere, alle conoscenze ha avuto tutto a disposizione”. Il Segretariato
Sociale della RAI ha confrontato i risultati delle Campagne di Sensibilizzazione
e di Raccolte Fondi messe in onda sui canali RAI. Quelle che si basano su spot e
presenze televisive di uomini di spettacolo o di sportivi non hanno successo: le
raccolte fondi sono irrisorie. Diversa è la situazione quando gli spot e le presenze
televisive sono di professionisti medici e ricercatori che si “prendono cura” del
malato, che vivono passo passo la malattia a fianco del malato. In parole povere la
faccia di un grande attore o di un grande calciatore non serve. Serve invece un’azione continua di educazione, ripetuta ogni giorno, con semplici concetti. In un
recente congresso a Parigi sull’Educazione Sanitaria i giornalisti francesi hanno
presentato i risultati positivi della campagna contro l’obesità promossa dal loro
Ministero della Salute. Durante la pubblicità di prodotti alimentari che invade
le televisioni anche francesi scorre sul televisore in basso una scritta educativa:
“Per la tua salute mangia frutta e verdura 5 volte al giorno”, “Per la tua salute fai
attività fisica 20 minuti tutti i giorni”, “Per la tua salute non mangiucchiare in
continuazione durante tutta la giornata”, ecc.
Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni
per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto
il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche non è stata data in modo completo. Qual è
la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione di
questi casi?
L’attrice Angelina Jolie ha raccontato, in un articolo scritto di suo pugno sul New
York Times, di aver scelto la forma più estrema di prevenzione: l’asportazione
totale di entrambe le mammelle prima che il tumore si sviluppasse. Era l’unica
scelta? No di certo. La situazione poteva essere affrontata, come lei ha fatto, sotto-
ponendosi all’intervento, ma l’altra possibilità era di tenere il seno sotto controllo
per individuare un tumore impalpabile precocemente. Certo, una volta saputo
di avere una predisposizione ogni donna è libera e quindi la decisione della Jolie
è comprensibile, ma testimonianze come quella della Jolie riprese dalla stampa
possono scatenare paure e reazioni anormali. Personaggi noti non dovrebbero
cedere alla tentazione di raccontare la loro esperienza se c’è il rischio che venga
mal recepita e possa dare origine a reazioni ingiustificate. “Centinaia di donne
italiane – ha scritto Margherita De Bac sul Corriere della Sera il 16 maggio 2013 –
hanno tempestato di telefonate i centralini di laboratori specializzati in genetica
per chiedere di effettuare il test che permette di identificare la predisposizione a
sviluppare il tumore al seno. Hanno chiamato anche donne che in famiglia non
hanno nessun precedente di malattia e quindi non dovrebbero avere nessuna
ragione per allarmarsi.” Quella dell’errata percezione dei messaggi riguardanti
la salute è un pericolo reale quando personaggi noti come Angelina Jolie decidono di fare outing. In pratica l’attrice americana non ha fatto un buon servizio
ai cittadini. Proporre una mastectomia preventiva con troppa leggerezza, come
se fosse facile, è un errore, si tratta in realtà di una scelta delicatissima da prendere con grande attenzione. Il rischio è di esagerare con test genetici che hanno
sempre una grande percentuale di errore e con mastectomie, cioè con interventi
chirurgici inutili. Il rischio è un boom di autodiagnosi, o peggio di autocure
che la gente fa da sola, dopo aver letto i giornali o Internet, che nella stragrande
maggioranza dei casi è pieno di informazioni sballate, se non pericolose, vere e
proprie trappole di ciarlatani in cui è facile cadere. Internet sta diventando un
vero pericolo per la salute e anche i siti “seri”, per esempio quelli istituzionali
di strutture sanitarie pubbliche o di società scientifiche, non possono essere
strumento di consultazione per chi non è attrezzato per farlo, perché le informazioni in essi contenute non trovano la mediazione del medico o del giornalista
preparato. Quello di Internet è un altro pericolo dal quale guardarsi e che rende
ancora più importante il ruolo dell’informazione corretta.
“Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli
recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti
pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che
richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali
per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media?
Perché le notizie positive della nostra sanità, del nostro Servizio Sanitario Nazionale non trovano giusto spazio sui giornali e in televisione? Perché finiscono in
prima pagina solo casi di malasanità che poi nella stragrande maggioranza dei
casi non risultano tali? Sono domande che mi sono sempre posto. La responsabilità è dei giornalisti, dei mass-media, oppure della stessa sanità che non sa e
non riesce a comunicare? La comunicazione è usata dalla sanità per presentare
se stessa? Qual è il suo livello? Come comunicano i servizi sanitari con i propri
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La parola ai Direttori | Luciano Onder
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utenti oltre che con i giornalisti? La comunicazione, per quanto riguarda la salute, è molto scadente tranne alcune eccezioni. Eppure una buona comunicazione è
fondamentale per una sanità che funzioni. Solo negli ultimi anni questo concetto
è stato capito. E la comunicazione serve non solo per la prevenzione, ma anche
per la precocità della diagnosi e per la terapia. Attraverso la comunicazione si
crea il rapporto tra il medico e il malato. Purtroppo, nella nostra sanità, non tutti
sono attenti alla comunicazione. Quanti sono gli ospedali, le Università, gli Istituti di ricerca che hanno un ufficio stampa degno di questo nome? Quante sono
le regioni che hanno un piano di comunicazione in sanità? Perché le informazioni sono frammentarie, spesso discontinue e magari non utili per i cittadini?
Perché molti risultati dei centri di eccellenza vengono scoperti casualmente dai
giornalisti? Un buon medico deve essere un buon comunicatore.
Il numero delle persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per
fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di
fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia,
al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal
sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può
impegnare a far scomparire questo termine scientificamente superato, dalla testata che dirige?
Nei mesi scorsi gli oncologi del National Cancer Institute americano hanno
aperto un dibattito: “Le parole sono importanti, – hanno scritto – allora aboliamo la parola cancro”. Questa in sintesi la loro provocazione. Per un giornalista
come me è stato un vero shock. Quando ho iniziato a occuparmi di medicina,
35 anni fa, ricordo che uno dei primi impegni è stato proprio il contrario. Avevo
deciso, nella mia rubrica, di usare la parola “cancro” che nessuno aveva il coraggio di pronunciare o di scrivere e di non dire più “male incurabile”, “brutto
male”, “male del secolo”, “lunga malattia”. Ricordo che Umberto Veronesi mi
fece i complimenti per questo e allora perché oggi gli oncologi riflettono sulla
parola cancro e la sostituiscono con altre espressioni? Cosa è accaduto? La parola
cancro oggi nell’opinione pubblica e sui media è ancora il male per antonomasia,
incute timore, è la rappresentazione della maledizione di un male inspiegabile;
è usata anche fuori dalla medicina come degenerazione sociale, come spettro,
come entità simbolica di fronte alla quale siamo tutti impotenti. In medicina, al
contrario, il cancro non ha più il significato di spettro, e il suo volto è cambiato.
Oggi si può guarire, le cure sono rispettose della qualità di vita. Insomma il
cancro non ha più quel significato negativo totale, non è più dolore e morte. Per
questo gli oncologi americani propongono di cambiare nome a molti casi della
malattia per non trasmettere ai malati quel significato di morte che la parola
cancro ha in sé e mantiene. Insomma il mondo scientifico, gli oncologi vedono
la malattia cancro, il più delle volte, senza paura, con razionalità. Al contrario
l’opinione pubblica è ancora indietro, ha un timore senza speranza quando
sente la diagnosi. Nell’opinione pubblica c’è ancora l’idea che ogni cancro sia
inattaccabile, sia la morte. Ricordo il grande spazio dato alla dichiarazione di
Vasco Rossi su tutti i giornali che nel 2011 disse su Vanity Fair che in caso di
tumore non solo non si sarebbe curato, ma sarebbe andato dritto ai Caraibi. La
sua opinione riflette un’idea vecchia, del passato, diffusa, che non risponde ai
fatti. L’impegno di giornalisti, e mio in particolare, è far capire che di cancro
si guarisce, forse quanto e più di altre malattie. Abolire la parola cancro non è
come ha scritto Marcello Veneziani sul Giornale un’ipocrisia del “clinicamente
corretto”, come quando si dice “non vedente” al posto di cieco, o “diversamente
abile” al posto di invalido. È, al contrario, un aiuto al malato per evitargli uno
shock che drammatizza e scoraggia. È far capire che di cancro si guarisce. Vedi
quanto accade per la tiroide, la mammella, la prostata. I progressi della medicina
permettono di non usare più la parola e di restituire al malato il diritto alla speranza. È responsabilità dei media, non solo dei medici, far passare nella cultura
dei cittadini ciò che la scienza ha ormai conquistato: di molti tumori si guarisce.
Ed è responsabilità dei giornalisti prendere l’impegno di abolire la parola cancro
con la prevenzione e la diagnosi precoce, in pratica far capire che la malattia
può essere abolita con uno stile di vita salutare, con la diagnosi precoce, vedi il
tumore della cervice uterina che sparirebbe con il Pap-test e il vaccino HPV. La
responsabilità della salute è certo dei medici, della classe medica, ma deve essere
condivisa dai media. L’evoluzione culturale di fare diagnosi e di adottare stili di
vita non può avvenire senza la partecipazione dei media.
Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative
alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso
Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze
nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno
affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche
diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Rispondere a questa domanda è difficile per un giornalista che ha vissuto in
primissima linea gli anni della terapia Di Bella. Ricordo i titoli dei giornali: “Una
vita per la ricerca. Ecco la mia strada contro il cancro”, “Vinco il cancro, ma non
mi credono”. Articoli di sopportazione e di astio contro la medicina ufficiale
che si ostinava a non riconoscere gli straordinari risultati della terapia Di Bella.
Quello che colpiva era la totale non conoscenza, da parte dei giornalisti, di una
realtà: i tumori anche nel ’96-’97 erano curati e vinti dalla medicina in centinaia
di ospedali e laboratori in Italia. I malati non erano condannati a morte senza
appello. Perché tutto questo era ignorato? Perché in tutta l’opinione pubblica
si era affermata l’idea che senza un mago non si poteva guarire dal tumore e
che i casi guariti dalla medicina ufficiale non esistevano? Ricordo la conferenza
stampa del Prof. Di Bella al Senato di fronte a giornalisti, deputati e senatori. Di
Bella era osannato e, tra le tante cose, disse che la sua terapia guariva non solo
tutti i tumori, ma anche l’alzheimer e la sclerosi multipla. Mi rivolsi a un depu-
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tato medico che mi rispose secco: “Loro hanno Di Pietro, noi abbiamo Di Bella”.
La responsabilità della stampa è stata enorme in quegli anni, è arrivata a creare
una vera e propria emergenza sanitaria con danni per i malati. In quei giorni la
rivista scientifica Lancet fece uno studio in Italia e scrisse in un articolo che tutte
le informazioni sulla cura Di Bella erano arrivate al pubblico esclusivamente
attraverso la televisione. Non da altri mezzi, non dal medico di famiglia, non da
ricerche scientifiche documentate. Tra i pochi esempi positivi che conosco con
cui i media hanno affrontato la vicenda Di Bella ricordo la lettera che il Prof.
Giuseppe Leone, ematologo dell’Università Cattolica, inviò al quotidiano romano Il Tempo e che venne pubblicata il 17 agosto 1997: “Per affidarsi alle terapie del
Prof. Di Bella ho visto pazienti rinunciare a terapie sicuramente valide. Malati
che potevano essere curati e guariti sono morti o stanno per morire, perché
influenzati da cattivi consiglieri, cattivi medici e da cattiva stampa. A queste
persone vorrei che lei e i suoi giornalisti pensassero quando scrivono del Prof.
Di Bella. Della sorte di queste persone vorrei che il Prof. Di Bella e i colleghi che
gli danno una mano fossero chiamati a rispondere”.
L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che
indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più lati d’Europa. Secondo lei,
è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media?
Lo spazio per parlare della nostra sanità e del nostro Servizio Sanitario Nazionale si trova sempre e subito quando si tratta di malasanità (vera o presunta che
sia). Ricordo gli articoli pubblicati il 19 maggio 2010, il giorno dopo la morte di
Sanguineti in un ospedale di Genova. Una serie di accuse contro i medici e di
dichiarazioni virgolettate di accusa: “Lo hanno lasciato morire”, “Ore e ore per
fare una tac”, “Omicidio colposo”. Il giorno dopo i giornali modificavano gli
articoli. Sanguineti era stato portato in ospedale dal suo medico curante, era
già presente la rottura della aorta addominale, i medici avevano tentato il tutto
e per tutto. Tantissimi sono gli articoli sulla malasanità che non rispondono
ai fatti. La nostra sanità è ottima: una delle migliori al mondo. Guarigioni per
tumori maggiori che in altri Paesi. Siamo, dopo il Giappone, il Paese al mondo
con maggiore speranza di vita. La mortalità infantile più bassa o una tra le più
basse. Consultiamo l’Atlante De Agostini pubblicato ogni anno e confrontiamo
i nostri dati con quelli del Nord Europa. 10 milioni di ricoveri l’anno, 4 milioni
di interventi, 600 milioni di ricette rosse, cioè di visite dai medici di famiglia.
Medici di famiglia e pediatri di famiglia a disposizione di ogni singolo cittadino.
Il quotidiano Le Monde ha dedicato una pagina alla pediatria francese. Il titolo
poneva una domanda: “Perché in Italia il Servizio Sanitario mette a disposizione
un pediatra ogni 800 bambini e in Francia uno ogni 2000?”. Certo le carenze,
i buchi ci sono in questa sanità. Ci sono grandi diversità, diseguaglianze. Le
file d’attesa sono un problema, ma non ci sono per i grandi interventi, vedi la
cardiochirurgia. E le fila di attesa dipendono spesso da cattiva organizzazione,
da cattiva comunicazione: il paziente spesso gira e fa file lunghe perché non ha
strumenti per conoscere la strada giusta, la porta giusta cui rivolgersi. Non è solo
una questione etica, ma anche di cultura scientifica. Spesso il mondo dell’informazione non conosce i limiti della medicina e le possibilità reali che ha per
curare certe malattie. È un problema più vasto che tocca anche altri settori della
vita civile, visto che oggi anche un giudice ha la facoltà di decidere se eseguire
certe sperimentazioni di terapie che scientificamente non hanno alcuna validazione. È la conseguenza di una carenza di conoscenze scientifiche che a partire
dalla scuola si registra nel nostro Paese. E noi giornalisti dobbiamo rispondere a
questo, al diritto all’informazione dei cittadini. Dobbiamo lavorare secondo una
logica di servizio e tanto più lo dobbiamo fare noi giornalisti RAI.
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette,
purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
I cittadini italiani sono frastornati per quello che sta accadendo nella nostra sanità. Prima di tutto per il contenimento delle spese, per i tagli che comportano una
ristrutturazione con limiti e regole difficili da capire. Continua insomma una
serie di trasformazioni che presenta la sanità come un cantiere a cielo aperto, in
cui non si fa in tempo a stare dietro ai cambiamenti, alle trasformazioni: spese da
frenare, nuovi LEA, farmaci generici, fondi integrativi, spese da razionalizzare,
ticket messi e tolti, regionalizzazione, ospedali da chiudere, farmaci troppo costosi, ecc, ecc. Ma i cittadini sono frastornati soprattutto per la regionalizzazione
che ha fatto vestire via via abiti a colori diversi alle varie regioni, tanto che noi
giornalisti abbiamo coniato l’espressione di una sanità in Italia con il vestito da
Arlecchino, a colori diversi tra una regione e l’altra. Il cittadino da una parte si
sente dire che la nostra sanità è una delle migliori al mondo, dall’altra, sui giornali, ogni giorno vengono presentati episodi di malasanità. Poi in televisione, sulle
reti RAI, il cittadino ascolta la pubblicità di avvocati che invitano a denunciare
i medici per la non guarigione o per risultati insoddisfacenti nelle cure, anche
dopo anni, e senza spese. Ma soprattutto la sanità è certo sempre più costosa:
oggi dobbiamo porci il problema dei rapporti tra etica ed economia in sanità.
È il problema principale sul futuro e sul presente del nostro Servizio Sanitario
Nazionale, anzi di ogni Servizio Sanitario, in ogni Paese. Stiamo già vivendo e
sempre più vivremo in futuro lo squilibrio tra una domanda di salute sempre più
ampia e costosa e la disponibilità di risorse economiche inevitabilmente limitate
ed insufficienti. È un tema questo che deve essere affrontato oggi per permettere
al sistema sanitario di non rischiare la sostenibilità e di curare al meglio, con i
mezzi migliori, con etica. Pensiamo a quello che accadrà tra poche settimane
quando verrà introdotto il nuovo farmaco contro l’Epatite C. Per quali pazienti
dovrà essere prescritto? Cosa dire ai malati che non lo avranno? Dove trovare i
soldi per pagarlo? È possibile conciliare, far in modo che vadano d’accordo una
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La parola ai Direttori | Luciano Onder
gestione sempre più manageriale delle strutture sanitarie e il diritto alla salute
di ogni paziente? Come coniugare la domanda di salute dei cittadini da una
parte, e la limitatezza delle risorse economiche dall’altra? Qual è il rapporto tra
etica ed economia nella sanità nei progetti di salute? In poche parole riusciremo
a fare scelte difficili, impopolari? Possiamo continuare a dire che la sanità deve
dare tutto a tutti anche se sappiamo che questo non sarà possibile? Di cosa si
deve caricare la sanità? Cosa lasciare ai servizi sociali? Cosa dire agli anziani? E
ai malati cronici?
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Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci la
sua esperienza con la malattia?
Conosco tantissime persone che hanno affrontato un tumore. Le ho seguite dalla
prima diagnosi, alle discussioni sulla cura, alle terapie, all’intervento chirurgico.
Per molte di loro non mi sembra possibile avere usato la parola “cancro”, che suscita tanto terrore. La guarigione è stata completa, le cure sopportabili, il ritorno
alla vita normale sereno. È giusto parlare di carcinoma alla tiroide o di cancro
alla mammella o di carcinoma alla prostata quando l’intervento chirurgico risolve completamente il problema? Oppure quando la terapia medica non ha effetti
collaterali e la guarigione è totale? In tutti questi casi compito del medico e (perché no?) dell’amico che consiglia è di rassicurare, guidare la persona malata per
farle superare lo smarrimento, il panico, l’ansia. Molto diversa è la situazione per
tumori contro i quali poco può fare la medicina. Ricordo il giovane corrispondente RAI, 36 anni, che viene da me per dire di avere perso improvvisamente la
sensibilità in una parte delle mani. L’ho visto per anni sfidare come un gigante
una malattia sempre più drammatica. Ricordo il mio collega dell’agenzia ANSA,
con un tumore inesorabile, affrontato con equilibrio e serenità: un esempio per
ciascuno di noi. Fra tutti ricordo un giovane militare, 30 anni, di ritorno da una
missione di pace. I genitori, contadini, mi dicono che fa sangue dalla bocca e
che prende tanti antibiotici per un’infiammazione e un gonfiore in basso, tra
i testicoli. Penso subito al tumore al testicolo con metastasi polmonare. Vedo
questo giovane seguire una cura faticosa tra Livorno, Bologna, Treviso, Milano,
Roma. Fino alla guarigione. Un ragazzo timido e incerto a prima vista, ma capace di affrontare le terapie, grazie all’aiuto della sua famiglia, della fidanzata, dei
commilitoni, ma soprattutto alla professionalità dei medici che dei suoi problemi
si sono fatti carico, e che fanno della cura del malato la ragione delle loro vite.
alessandro sallusti
Direttore de Il Giornale
“Parlare di cancro significa sfidarlo: la verità
non va mascherata”
Alessandro Sallusti nasce a Como il 2
febbraio 1957. Nel 1982 si trasferisce a
Milano come caporedattore de L’Avvenire
e nel 1985 passa a Il Giornale diretto da
Indro Montanelli. Successivamente è
responsabile delle cronache italiane de Il
Messaggero di Roma. Nel 1991 diventa
capocronista del Corriere della Sera.
Sotto la direzione di Paolo Mieli diventa
caporedattore centrale fino al 1996. Nel
2000 assume la condirezione al fianco di
Vittorio Feltri di Giorno, Carlino e Nazione.
Nel 2001 viene nominato direttore
responsabile di Libero. Dall’agosto 2009
affianca Feltri a Il Giornale con la qualifica
di condirettore. Da dicembre 2010 è il
direttore de Il Giornale.
Com’è cambiato il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni?
Direi che l’informazione medico scientifica ha fatto passi da gigante. È nata una
generazione di giornalisti specializzati che ha saputo fondere la competenza
con la tecnica di divulgazione classica dei mezzi di informazione generalisti. Il
che ha incontrato il grande favore di un pubblico sempre più attento alla qualità
della vita e alla prevenzione di malattie.
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La parola ai Direttori | Alessandro Sallusti
Perché, secondo Lei, gli organi di stampa riservano sempre più spazio a temi legati al cancro?
Rompere il tabù della parola “cancro” non è stato facile e ancora oggi c’è un certo timore, tanto che spesso viene usata la frase “morto di un male incurabile”.
Penso che si debba e possa fare ancora di più, anche per incoraggiare il lavoro di
una categoria di eroi del nostro tempo quali sono i medici oncologi.
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Capita a volte di leggere o ascoltare notizie “eccessive” sull’argomento salute, sia per ottimismo
che per allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate
preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa
dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute?
L’informazione generalista necessita di due caratteristiche: la semplificazione
dei problemi che tratta e l’attrazione sui lettori. Salvo casi particolarmente gravi
di scarsa professionalità, credo che il mondo scientifico tragga comunque più
vantaggio da una informazione un po’ gonfiata che da una appiattita o eccessivamente tecnica.
Tutti, compresi i giornalisti, si aspettano dalla medicina risposte chiare e certezze, ma a volte la
scienza produce dubbi e domande a cui vanno date risposte. È possibile trovare una mediazione tra il
rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico?
La storia recente dice che sì, è possibile. Il difficile è districarsi tra le mille offerte che le lobby scientifiche offrono in pasto all’informazione. Ci sono ricerche
che dicono una cosa e altre l’opposto. Fare sport fa bene, no fa male. Mangiare
formaggio fa male, no fa bene e cose simili. Sarebbe più onesto dire: vivere fa
male e porta inevitabilmente alla morte, ecco qualche consiglio su come fare
per tirare la vita più a lungo possibile.
Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno
fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla
sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro?
Molto positivi, sicuramente. Per prima cosa la gente comune si sente meno sola,
nel personaggio famoso ci si tende a identificare sia nel bene che nel male. Il
senso di solitudine e di abbandono credo sia un male nel male. Sconfiggere il
primo è sicuramente propedeutico a battere il secondo.
Lo scorso anno Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il
rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il
mondo, con differenze notevoli, per completezza di informazione, tra le testate giornalistiche.
C’è una responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di
emulazione in questi casi?
Sì, esiste un rischio emulazione, ma sarebbe sbagliato addossare le colpe ai mezzi di informazione. Non è certo un giornalista che autorizza ed esegue un in-
tervento chirurgico. Non assecondare iniziative dannose è compito dei medici,
non dell’informazione.
In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di
tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è
riservato spazio sufficiente nei media?
Forse non abbastanza, ma l’informazione generalista risponde a logiche di
mercato a volte ciniche. Fa notizia il caso clamoroso, non un generico percorso
post operatorio.
Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per
fortuna, anche le guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora troppo spesso
accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora
questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato,
dalla testata che dirige?
Per quello che ci riguarda, già fatto. Siamo contro le ipocrisie e un “politicamente corretto” che salva la coscienza di chi scrive ma non aiuta il soggetto
dello scritto. Chiamare il cancro con il suo nome è un atto di sfida al male: ti
riconosco, voglio vincerti. Come su questo giornale non si parla di “diversamente abili” ma di “handicappati”. Mascherare la verità non serve a nessuno.
Negli ultimi mesi si è molto parlato della vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le
polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale per non
alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o
positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più
strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici?
Separiamo i problemi. Un malato, o un suo famigliare, ha il diritto ad aggrapparsi a qualsiasi speranza, anche agli stregoni se questo gli provoca sensazioni
positive. Così come la medicina tradizionale dovrebbe avere meno pregiudizi
su tutto ciò che esula dal suo controllo (molte scoperte rivelatesi efficaci sono
nate casualmente fuori dalle sedi ufficiali). Detto questo, lo Stato e la politica
hanno un unico compito: tutelare i cittadini da truffatori o medici che mettono
a rischio la vita della gente. E questo è anche il compito dell’informazione: rispettare il dolore, non uccidere la speranza, smascherare i truffatori.
L’oncologia italiana, più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille
difficoltà, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano tassi
di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati
trovano poco spazio sui media?
Noi italiani siamo specialisti nell’amplificare ciò che non va e non vedere le nostre eccellenze. L’immagine della sanità italiana che esce dai giornali è pessima:
scandali, tangenti, costi fuori dalla norma, malasanità. C’è del vero, ovviamen-
159
La parola ai Direttori | Alessandro Sallusti
te, ma sono convinto che si tratti di una parte non rilevante di quel mondo. E
ci mancherebbe altro, visto che la sanità assorbe fino al 70 per cento dei bilanci
delle regioni. Probabilmente noi non evidenziamo abbastanza le nostre eccellenze, ma non vedo perché solo in Italia dovrebbe fare notizia una cosa che
funziona. Semmai manca una informazione di servizio, cioè aiutare la gente a
capire dove bussare per essere meglio ascoltata e curata.
160
Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette,
purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel?
I tunnel prima o poi finiscono, ma dubito che all’uscita di questo la luce e il
panorama siano gli stessi dell’entrata. Troppo lunga è stata questa crisi, troppi
sconquassi ha creato per pensare che un giorno o l’altro tutto possa tornare
come prima. Il che non è necessariamente un male assoluto. Mischiare le carte
è anche ripulire la società e il Paese da incrostazioni che lo avevano portato alla
paralisi.
Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci
una sua esperienza con la malattia?
Ne ho avute, ma non penso siano diverse da quelle di altri milioni di persone.
Ho imparato che il dolore unisce e cambia le persone, non solo quelle direttamente colpite. Guarire è un po’ purificarsi, risorgere a nuova e diversa vita.
Non guarire è lasciare a chi ti è vicino il compito di andare avanti più forte e
determinato di prima.
Glossario
Adiuvante, terapia: chemioterapia, radioterapia,
ormonoterapia o terapia biologica abbinata alla
chirurgia e/o alla radioterapia per il trattamento
del tumore primario, che mira a ridurre il rischio di
recidiva e a prolungare la sopravvivenza del malato.
Biopsia: rimozione di un campione di tessuto che
viene poi esaminato al microscopio per controllare
la presenza o meno di cellule cancerose.
Cancro: termine generico che raggruppa oltre
duecento malattie diverse caratterizzate da una
crescita anomala, incontrollabile di cellule.
Cellula: costituente fondamentale dei tessuti
dell’organismo. Il corpo umano ne ha più di 200 tipi
diversi.
Chemioterapia: tecnica che prevede l’utilizzo
di farmaci per distruggere le cellule tumorali,
interferire con la loro crescita e/o impedire la loro
riproduzione.
Effetti collaterali: effetti o azioni di un farmaco
diversi da quelli desiderati, inclusi gli effetti avversi
o tossicità come nausea, diarrea, perdita dei capelli.
Epidemiologia: studio dell’incidenza e della
distribuzione di una malattia nella popolazione e
del rapporto tra la malattia e fattori come l’età, lo
stile di vita, l’ambiente, ecc.
Ereditarietà: caratteristiche genetiche trasferite
da un genitore alla sua discendenza.
Fattore di crescita: sostanza che influenza la
crescita regolando la divisione cellulare.
Fattore di rischio: attività, condizione o agente
ambientale che aumenta le probabilità di sviluppo
di cancro. Ad esempio: fumo, obesità, età,
mutazione genetica.
Fumo passivo: esposizione a fumo di tabacco
nell’ambiente. Può essere di seconda o terza mano.
Incidenza: la proporzione di popolazione affetta
da una patologia in un preciso periodo di tempo.
Leucemia: cancro dei globuli bianchi del sangue
che origina nel midollo. Si divide in 2 tipi: acuta
(a crescita veloce), che include la leucemia acuta
linfoblastica e la leucemia acuta non linfoblastica, e
cronica, che comprende la leucemia linfatica cronica
e la leucemia mieloide cronica.
Linfoma: termine generale per un gruppo di
tumori dei linfociti che origina nel sistema linfatico,
composto da linfonodi, milza e timo. Se ne
distinguono due tipi principali: linfoma di Hodgkin,
caratterizzato dalla presenza di globuli bianchi
anomali, e linfoma non-Hodgkin, in cui la malattia è
data da linfociti maligni. I due tipi di linfoma hanno
modelli distinti di crescita, diffusione e risposta alla
cura.
Marker tumorali: proteine, ormoni o altre
sostanze chimiche riscontrate nel sangue di alcuni
malati di cancro. La misurazione dei marker
161
Glossario
tumorali può essere utilizzata come strumento
prognostico o come metodo di monitoraggio
progressivo del trattamento.
Metastasi: diffusione del cancro da una parte
dell’organismo ad un’altra. Le cellule tumorali
possono staccarsi dal tumore originario e, attraverso
il sangue o il sistema linfatico, arrivare ad altre
zone del corpo, in particolare a linfonodi, cervello,
polmoni, fegato, ossa.
162
Micrometastasi: agglomerati microscopici di
cellule tumorali diffuse dal tumore originario ad
un linfonodo o ad altre aree dell’organismo. Si
sviluppano e crescono fino a diventare tumori
metastatici.
Oncogene: un gene normale che quando muta
svolge un ruolo significativo nel causare il cancro.
Oncologia: studio dei tumori.
Ormone: sostanza prodotta da un organo o
ghiandola e condotta dal sangue che produce effetti
specifici su altri organi e ghiandole.
Prevalenza: indica il numero di persone che, nella
popolazione generale, ha ricevuto una precedente
diagnosi di tumore. È condizionata sia dalla
frequenza con cui ci si ammala che dalla durata
della patologia (sopravvivenza).
Prevenzione: può essere primaria, secondaria
o terziaria. La prevenzione primaria comprende
le misure di ridotta esposizione ad elementi
che causano il cancro. La secondaria riguarda
l’individuazione precoce del tumore. La terziaria
si riferisce al trattamento medico della malattia
operata e al follow up.
Radioterapia: trattamento con raggi X ad
energia elevata che uccidono o danneggiano le
cellule tumorali. La radioterapia esterna utilizza
una macchina per indirizzare precisamente i
raggi al tumore. La radioterapia interna (detta
brachiterapia) utilizza materiale radioattivo inserito
nell’organismo il più possibile vicino al cancro e poi
rimosso dopo un determinato periodo di tempo.
Recidiva: ricomparsa del cancro dopo il
miglioramento o la remissione.
Screening: controllo in assenza di sintomi o
manifestazioni di malattia. Esempi di screening
sono la mammografia (per il cancro della
mammella), il Pap-test (cancro della cervice) e il
sangue occulto nelle feci (cancro del colon-retto).
Test genetico: utilizzo di diverse tecniche di
laboratorio per verificare se una persona ha
qualche mutazione genetica portatrice di rischio
o predisposizione al cancro. Esistono test che
identificano alcuni geni associati al cancro della
mammella, dell’ovaio, della tiroide e altre patologie
neoplastiche maligne.
Tumore: massa distinta di cellule che crescono
più rapidamente rispetto alla norma e mostrano
parziale o completa mancanza di organizzazione
strutturale. Può essere benigno o maligno.
Vaccini: agenti terapeutici che stimolano il sistema
immunitario a riconoscere e attaccare le cellule
tumorali. Soluzione che contiene virus o batteri
indeboliti o morti – o parti di essi – che inducono il
sistema immunitario a riconoscere e combattere le
cellule di una determinata patologia.
Link e fonti
AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)
www.agenziafarmaco.gov.it
AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro,
parenti e amici)
www.aimac.it
AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica)
www.aiom.it
AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori)
www.registri-tumori.it
ANT (Associazione Nazionale Tumori)
www.ant.it
ASCO (American Society of Clinical Oncology)
www.asco.org
BIODRUGS www.biodrugsnews.net
EMA (European Medicines Agency)
www.ema.europa.eu
ESMO (European Society for Medical Oncology)
www.esmo.org
FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di
Volontariato in Oncologia)
www.favo.it
FONDAZIONE AIOM www.fondazioneaiom.it
FONDAZIONE INSIEME CONTRO IL CANCRO
www.insiemecontroilcancro.net
FONDAZIONE MELANOMA
www.fondazionemelanoma.org
FONDAZIONE VERONESI www.fondazioneveronesi.it
HEALTHY FOUNDATION www.healthyfoundation.org
IL RITRATTO DELLA SALUTE
www.ilritrattodellasalute.org
ISTAT www.istat.it
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ www.iss.it
LA LOTTA AL CANCRO NON HA COLORE
www.lalottaalcancrononhacolore.org
LILT (Lega Italiana Lotta Tumori) www.lilt.it
MINISTERO DELLA SALUTE www.salute.gov.it
NON FARE AUTOGOL www.nonfareautogol.it
Fonti
VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati
oncologici (Osservatorio sulla condizione assistenziale dei
malati oncologici)
Health at a Glance: Europe 2012, OECD www.oecd.org/
health/healthataglanceeurope.htm
I numeri del cancro in Italia 2013, AIOM-AIRTUM
Il sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca
oncologica in Italia (Position Paper della Fondazione
“Insieme contro il Cancro”)
www.aimac.it
www.aiom.it
www.iss.it
www.airc.it
www.fondazioneveronesi.it
www.info.asl2abruzzo.it/tumorifegato/attivit%C3%A0clinica.html
http://progettooncologia.cnr.it/strategici/polmone/05po.html
www.salute.gov.it
www.who.int/en/
163
Indice
5Prefazione
7Introduzione
11Nota degli Autori
13 La Fondazione “Insieme contro il Cancro”
15 Il cancro
19 I numeri del cancro in Italia
21 Le cure contro il cancro
31 I big killer
39 Le altre forme di tumore
47 L’importanza della prevenzione
55 La riabilitazione e il reinserimento
57 I diritti del paziente oncologico
59 L’innovazione in oncologia
65 Le testimonianze dei pazienti
65
67
69
70
72
Roberto Gervaso
Elisabetta Iannelli
Sebino Nela
Nicola Pietrangeli
Marina Ripa di Meana
165
75 I media: come va affrontato oggi il tema cancro
La parola ai Direttori
76 82 88 92 97 101 111 115 121 125 129 133 138 144 157 Giulio Anselmi
Bianca Berlinguer
Mario Calabresi
Virman Cusenza
Ferruccio de Bortoli
Roberto Iadicicco
Bruno Manfellotto
Giuseppe Marra
Ezio Mauro
Mauro Mazza
Clemente Mimun
Andrea Monti
Roberto Napoletano
Luciano Onder
Alessandro Sallusti
161Glossario
163 Link e fonti
Finito di stampare nel luglio 2014 da Colorart, Rodengo Saiano (Bs)
insieme
contro il cancro
Roma, via Domenico Cimarosa 18
Tel 06 8553259 - Fax 06 8553221
www.insiemecontroilcancro.net
[email protected]
Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati 366.000 nuovi casi di tumore (1.000 al
giorno). Il cancro diventa una malattia sempre più frequente, ma la sopravvivenza è
aumentata notevolmente nell’ultimo quarantennio. Alla fine degli anni ’70 era del 33%,
è salita al 47% nei primi anni ’90. Ed ora oltre un paziente su due riesce a guarire.
La Fondazione “Insieme contro il Cancro” con questo libro vuole fotografare la guerra al tumore oggi in Italia. Le conquiste della ricerca, l’importanza della prevenzione
e della diagnosi precoce, con numeri e dati ma anche attraverso le storie di personaggi famosi che ce l’hanno fatta, da Nicola Pietrangeli, a Roberto Gervaso, da Elisabetta
Iannelli, a Marina Ripa di Meana, a Sebino Nela. Testimonianze forti che ci obbligano
ad un ripensamento perché oggi è ancora troppo diffuso l’utilizzo del termine “male
incurabile”.
Ma come deve essere oggi una corretta comunicazione al pubblico su questo tema?
Quali messaggi vanno dati? Quali rischi si corrono nel trattare queste notizie? E quale
ruolo devono svolgere i media per offrire la giusta lettura e contribuire a sconfiggere il
cancro? Parlano quindici direttori delle principali testate giornalistiche italiane: Giulio Anselmi (ANSA), Bianca Berlinguer (Tg3), Mario Calabresi (La Stampa), Virman
Cusenza (Il Messaggero), Ferruccio de Bortoli (Corriere della Sera), Roberto Iadicicco
(AGI), Bruno Manfellotto (L’Espresso), Pippo Marra (AdnKronos), Ezio Mauro (La Repubblica), Mauro Mazza (Rai Sport), Clemente Mimun (Tg5), Andrea Monti (La Gazzetta dello Sport), Roberto Napoletano (Il Sole 24 Ore), Luciano Onder (Tg2), Alessandro Sallusti (Il Giornale).
Un progetto di
via Malta 12/b, 25124 Brescia
[email protected]
www.medinews.it
www.intermedianews.it