INTUIZIONI ALLO SPECCHIO: IL CONTENUTO NON CONCETTUALE ALL’AZIONE NELLA NAIVE OPTICS di Stefano Vaselli1 Da circa venti anni una delle tesi più discusse e controverse all’interno della filosofia della mente è quella detta del contenuto non concettuale (CNC) degli stati mentali, in particolar modo degli stati percettivi. Da quando G. Evans ha esposto la sua classica tesi in merito (1982), il dibattito è letteralmente decollato all’interno di ricche e affascinanti analisi concettuali, venendo, però, corroborato in sede empirica solo all’interno di alcuni controlli sperimentali, condotti su soggetti non adulti, da autori come E. Spelke e R. Baillargeon. Un altro interessante e diverso tipo di esperienza percettiva è quello della waterfall illusion descritta da Tim Crane come un esempio paradigmatico di non concettualità di un fenomeno percettivo (osservabile anche in adulti) veicolante delle proprietà logicamente contraddittorie, ergo non concettuali. Tuttavia il banco di prova definitivo di tale tesi resta, a parere di chi scrive, fondamentalmente uno: dimostrare l’impermeabilità cognitiva di esperienze percettive di “alto profilo fenomenologico” alle strutture concettuali di cui è costituito un paradigma teorico indispensabile per poter situare questo tipo di processi. Si tratta, in sostanza, di mostrare la possibilità che il CNC sia dipendente da processi percettivi non basati su inferenze inconsce, sia a livello meramente sensomotorio che a livello euristico. Tali processi fornirebbero l’accesso all’informazione disponibile nell’ambiente, in scenari appartenenti alla fenomenologia della percezione che siano riscontrabili anche in esseri umani adulti e nei contesti più tipici della nostra vita cognitiva, quella che potremmo chiamare il nostro ümwelt. Questo si traduce nell’analisi delle strutture preteoriche, pre – inferenziali e, quindi, in base ad un argomento di J. L. Bermudez, non concettuali, che governano a livello intuitivo la statica e la dinamica di quella che è stata definita la nostra fisica intuitiva o “naïve phisycs”. Non a caso, uno dei modi di definire l’oggetto di studio della fisica intuitiva è quello di parlare di un’analisi sperimentale di ciò che vi è di pre - paradigmatico (nel senso kuhniano del termine) nelle nostre strutture di sfondo dell’articolazione della conoscenza. In questo senso possono essere interpretati i risultati di un numeroso gruppo di esperimenti condotti dall’equipe di Heiko Hecht (MIT) e collaboratori, tra il 2001 e il 2002 2.i quali hanno somministrato nel 2002 una serie di compiti cognitivi paper and pencil consistenti nella riproduzione a matita di contesti immaginari ad un campione composta da studenti universitari. I soggetti dovevano illustrare, in modo grafico e non dichiarativo, lo svolgersi di una serie di scenari sia egocentrici che allocentrici, come descrivere il riflesso della propria o di un’altra immagine in uno specchio posto ad una certa distanza. Questi task dimostrano che la gran parte dei soggetti, quando approcciano lateralmente uno specchio, credono di poter vedere un fenomeno di riflessione al suo interno molto tempo prima che esso sia fisicamente possibile. Questo, pur essendo il campione ben a conoscenza della Legge di Fermat sulla riflessione della luce e quindi dotato di un repertorio concettuale altamente vincolante per un tipo di risposta corretta. Nel mio paper intendo sostenere che le discrasie tra l’esecuzione attesa come corretta dei task cognitivi di cui sopra e i risultati raccolti dall’equipe di Hecht e collaboratori non può essere spiegata se non facendo ricorso all’esistenza di processi intuitivi, veicolanti contenuti non concettuali, capaci di orientare il compito cognitivo anche ad un livello fenomenologicamente Dottorato di Ricerca in Logica ed Epistemologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Doctorante libre all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris. E – mail : [email protected] 2 Cfr. Hecht H., Croucher C J.., Bertamini M., «Naïve Optics: Understanding the Geometry of Mirror Reflections» in Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance. American Psychological Association, Vol. 28, N. 3, Giugno 2002, pp.546 - 562. 1 “alto”, come quelli in cui si è costretti a ragionare euristicamente sul da farsi a fronte di una situazione da problem solving percettivo. Tali processi sarebbero istanziati da meccanismi incorporati della nostra fisica ingenua, che in certi casi, intuitivamente, non può che indurci in (ingenui) errori pre – categoriali, mostrandoci così l’esistenza di un’intuizione di sfondo della nostra corporeità percettiva impermeabile ai concetti anche nei soggetti adulti. Ma analizzare tali processi significa occuparsi anche di un altro problema della gnoseologia ovvero cosa sia una cognizione intuitiva, stante proprio la definizione (confutativa) datane da C.S. Peirce nel 1868: una premessa che non è la conclusione di un’inferenza pregressa (in base ad un concetto disponibile)3. Il termine “intuizione” o “cognizione intuitiva” da questo punto di vista, risulta essere tra i “grandi assenti” dalle voci dei migliori companion alle scienze cognitive o alla filosofia della mente attualmente disponibili, non ostante che Jaakko Intikka nel 1999 abbia, provocatoriamente, sfidato la comunità filosofica a interrogarsi sull’origine e la validità dell’origine intuitiva della conoscenza e della cognizione4. 3 Cfr. Peirce Ch. S. «Questions Concerning Certain Faculties Claimed for Man» in Journal of Speculative Philosophy, Vol. 2, pp. 103 – 114, in Collected Papers, Vol. V. § 264 – 317. 4 Cfr. Hintikka J. «The Emperor’s New Intuitions» in The Journal of Philosophy, X, 1999, pp. 127 – 147.