355 Editoriale Recenti Prog Med 2010; 101: 355-358 La sindrome di Kawasaki: recenti progressi nella diagnosi e nella terapia Emilio Palumbo Riassunto. La sindrome di Kawasaki è una malattia ad eziopatogenesi autoimmune caratterizzata da una necrosi multi-sistemica della parete dei vasi di calibro medio, che compare prevalentemente al di sotto dei 5 anni di vita e che può interessare organi come cute, linfonodi, vasi sanguigni. La complicanza più grave è rappresentata dalla insorgenza di aneurismi a carico delle coronarie. L’obiettivo di questo articolo è quello di analizzare i recenti progressi nella diagnosi e nel trattamento di questa patologia. Summary. Kawasaki’ s syndrome: recent advances in diagnosis and therapy. Kawasaki disease is an autoimmune disease that manifests as a multisystemic necrotizing medium vessel vasculitis that is largely seen in children under 5 years of age. It affects many organs, including the skin, lymph nodes, and blood vessel walls, but the most serious effect is on the heart where it can cause severe aneurysmal dilations in untreated children. The aim of this paper is to evidence the recent advances in the diagnosis and therapy of this disease. Parole chiave. Immunoglobuline endovenose, sindrome di Kawasaki. Key words. Endovenous immunoglobulins, Kawasaki disease. Introduzione sospettati sono lo stafilococcco aureo, lo streptococco beta-emolitico di gruppo A, le rickettsie e, secondo recenti lavori, anche il propioni bacterium acnes. La possibile eziologia infettiva potrebbe essere avvalorata dal decorso acuto della malattia, dalla elevata frequenza di virosi respiratorie nelle 2-3 settimane precedenti l’esordio, dal frequente riscontro di epidemie e dalla loro diffusione ad ondata. Contro l’ipotesi infettiva vi è l’assenza di risposta della febbre alla terapia antibiotica, che escluderebbe almeno forme batteriche, e il fatto che sino ad oggi non è stato identificato alcun agente infettivo certamente responsabile della malattia. L’ipotesi eziopatogenetica più accreditata fa comunque riferimento ad un possibile agente infettivo altamente trasmissibile, ma scarsamente virulento (non sono stati mai descritti casi secondari in seguito a contatto con pazienti infetti) che, in soggetti geneticamente predisposti, provocherebbe l’innesco di un complesso meccanismo autoimmunitario. Il primum movens potrebbe essere rappresentato da una enterotossina, ad esempio stafilococcica o streptococcica, che lega una specifica regione del recettore delle cellule T, in coniugazione del complesso maggiore di istocompatibilità di classe II, agendo come un superantigene nell’indurre la moltiplicazione delle cellule T e la liberazione di citochine pro-infiammatorie, come le interleuchine tipo 1 e 6, l’interferone, in particolare quello di tipo gamma, o il fattore di necrosi tumorale (TNF)6,7. La sindrome di Kawasaki (MK) viene definita come una vasculite multisistemica ad eziologia sconosciuta, ma a patogenesi probabilmente autoimmunitaria, che interessa soprattutto le arterie di calibro medio, con particolare predilezione per le coronarie. Descritta per la prima volta nel 1967 dal medico giapponese Tomisaku Kawasaki, si caratterizza per la assoluta prevalenza nell’età infantile, con oltre l’85% dei casi che insorgono sotto i cinque anni di vita ed un picco di incidenza fra 1 e 2 anni. Colpisce entrambi i sessi con lieve prevalenza per quello maschile1-3. Ha diffusione in tutto il mondo, ma particolare prevalenza nella popolazione asiatica, in particolare giapponese e coreana. I casi si possono verificare durante tutto l’anno, ma la maggiore incidenza si osserva nelle stagioni invernali e primaverili e spesso si assiste ad epidemie. In Asia l’incidenza è pari a 100 casi ogni 100.000 bambini con età inferiore ai 5 anni, negli USA a 8-10 casi/ 100.000, in Inghilterra a 4 casi/100.000, in Italia a 14 casi/100.0004,5. Etiologia L’eziologia è ancora sconosciuta, ma nel corso degli anni sono stati proposti numerosi agenti infettivi come possibili cause iniziali della malattia. Tra i diversi possibili agenti quelli maggiormente Reparto di Pediatria, Ospedale Civile, Sondrio. Pervenuto il 10 marzo 2010. 356 Recenti Progressi in Medicina, 101 (9), settembre 2010 Diagnosi La diagnosi della malattia è esclusivamente clinica e secondo quanto riportato dal Centers for Diseases Control and Prevention si basa, nella sua forma classica, sulla presenza di almeno cinque dei seguenti sei segni e/o sintomi: 1) iperpiressia elevata, persistente per almeno 5 giorni, resistente ad antibiotici ed antipiretici, ed a carattere remittente; 2) eritema polimorfo, prevalentemente al tronco e alle estremità, ad aspetto variabile (orticarioide, morbilliforme, scarlattiniforme) e che si manifesta entro 5 giorni dall’inizio della febbre; 3) congestione congiuntivale bilaterale, senza presenza di secrezione purulenta; 4) linfadenopatia cervicale acuta non purulenta, mono o bilaterale, con linfonodi di consistenza dura, spesso lievemente dolenti alla palpazione; 5) alterazioni delle labbra e della cavità orale caratterizzate da diffusa iperemia della mucosa orale e faringea, arrossamento e fessurazione delle labbra, disepitelizzazione della lingua che può assumere un aspetto a “fragola”; 6) alterazioni delle estremità periferiche con arrossamento (nella fase iniziale) delle palme delle mani e delle piante dei piedi ed edema in durativo palmare e plantare e, nella fase più tardiva di malattia, desquamazione non dolente membranosa delle estremità delle dita e fessurazioni ungueali, definite come linee di Bows. Altri sintomi spesso presenti sono quelli gastrointestinali, come vomito, diarrea, dolori addominali crampiformi, disfunzione epatica con incremento delle transaminasi sieriche, idrope della colecisti; a livello oculare comparsa di uveite; a livello articolare artralgie poliarticolari a carico soprattutto di ginocchia, caviglie e mani; a livello renale microematuria, proteinuria e leucocituria, uretriti e disuria. Molto rara, ma possibile, è la meningite asettica8. Non infrequentemente, però, si possono avere delle forme atipiche, più frequenti nei lattanti, caratterizzate dalle presenza oltre la febbre solo di alcuni di questi segni. In queste forme incomplete le manifestazioni più frequentemente assenti sono il rash cutaneo e, soprattutto, le linfoadenomegalie, mentre il segno clinico più frequente è rappresentato dalle alterazioni delle mucose delle labbra e del cavo orale. In realtà la diagnosi va posta anche in un bambino febbrile, senza altri segni, in cui si riscontrino all’ecocardiogramma delle alterazioni coronariche9. Complicanze La complicazione più temibile è rappresentata dal possibile coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare, che rappresenta la principale causa di morte. Le più comuni alterazioni riguardano le coronarie, con formazione di aneurismi (si riscontrano nel 25% dei pazienti non trattati). Dal punto di vista anatomo-patologico, si sviluppano inizialmente edema ed infiltrazione linfocitaria e successivamente fibrosi ed inspessimento della tonaca intima con formazione di aneurismi, dilatazioni, stenosi ed occlusioni. Gli aneurismi vengono classificati in piccoli se di diametro interno inferiore ai 5 mm, medi se di diametro compreso tra 5 ed 8 mm, e giganti se di diametro superiore ad 8 mm. Si possono sviluppare entro tre giorni dall’esordio della malattia, ma nella maggior parte dei casi si riscontrano dopo 2-4 settimane, raramente dopo sei settimane. Sono più frequenti nei bambini più piccoli, particolarmente al di sotto dei 6 mesi di vita: nei casi con febbre superiore ai dieci giorni e nei casi non trattati con immunoglobuline per via endovenosa. In circa la metà dei casi gli aneurismi si risolvono completamente nel giro di 1-2 anni dall’esordio della malattia, ma anche in caso di risoluzione è comunque possibile che si sviluppino ostruzioni o stenosi coronariche che possono determinare ischemia del miocardio (una cardiopatia ischemica si sviluppa in circa il 2% dei soggetti con pregressa MK). Circa ¾ dei decessi per ischemia cardiaca comunque si verificano entro sei settimane dall’esordio della malattia, ma – seppur più raramente – anche a distanza di mesi o addirittura di anni. Altra possibili complicanze cardiache sono rappresentate da miocardite, pericardite con versamento pericardico, aritmie e lesioni valvolari, in particolare insufficienza aortica e mitralica, che si riscontrano, spesso associate, nell’1-2% dei pazienti non trattati. Per la diagnosi degli aneurismi e delle stenosi si ricorre all’ecocardiogramma, tecnica molto sensibile e specifica per la diagnosi degli aneurismi coronarici localizzati in posizione prossimale; tuttavia, la sensibilità si riduce del 50% per quelli localizzati in posizione distale e non è di alcun ausilio per la diagnosi delle stenosi. La tecnica migliore per la diagnosi sia degli aneurismi che delle stenosi coronariche è rappresentata dal cateterismo cardiaco con angiografia: esso, però, non è utilizzato di routine a causa dei rischi connessi all’invasività e alla esposizione alle radiazioni. L’impiego ne viene riservato al caso di pazienti che presentino sintomi suggestivi di cardiopatia ischemica10-13. Decorso Il decorso è caratterizzato da tre fasi: fase acuta (primi 10 giorni) con la presenza di tutti i segni, spesso in assenza della linfadenopatia, fase in cui può insorgere insufficienza cardiaca o disaritmia da mio-pericardite; la fase sub-acuta (11-30 giorni) con riduzione della febbre, comparsa di linfoadenopatie, manifestazioni artritiche e desquamazioni alle estremità, caratterizzata da un maggior rischio di trombocitosi ed aneurismi delle coronarie; fase della convalescenza (31-40 giorni) con progressiva risoluzione del quadro clinico, ma con persistenza degli aneurismi precedentemente insorti. E. Palumbo: La sindrome di Kawasaki: recenti progressi nella diagnosi e nella terapia La MK dell’adulto è, invece, molto meno frequente (circa il 10% dei casi totali) ed ha una maggior incidenza in giovani adulti (20-30 anni); la prognosi è generalmente molto buona poiché le complicanze cardiache sono rare, mentre le artralgie, i disturbi gastrointestinali e le alterazioni epatiche sono più frequenti che nei bambini. Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio mostrano un aumento, spesso marcato, degli indici di flogosi, in particolare della velocità di eritrosedimentazione, una moderata leucocitosi neutrofila, un aumento del numero delle piastrine, che però si riscontra solitamente durante la fase sub-acuta, ed alterazioni dell’equilibrio immunologico con aumento dei fattori del complemento C3 e C4, aumento delle IgE, aumento dei linfociti CD4 helper e riduzione dei CD8 suppressor ed incremento della concentrazione di citochine ad azione pro-infiammatoria, in particolare IL1, IL6, TNF, IFN-gamma. La diagnosi differenziale più ricorrente per la MK è quella con scarlattina; quest’ultima, tuttavia, si caratterizza per l’interessamento del volto, che invece nella MK non è coinvolto dalle lesioni cutanee; per l’assenza di tumefazioni linfo-ghiandolari, tipiche della fase sub-acuta nella MK; per le piastrine nella norma ed il titolo antistreptolisinico (TAS) elevato mentre, invece, è normale nella MK; la desquamazione a tronco, volto ed arti, mentre nella MK è tipica solo delle estremità, e soprattutto per la febbre che risponde al trattamento antibiotico. Altre patologie da considerare nella diagnosi differenziale con la MK sono la sindrome dello shock tossico da stafilococchi, le infezioni esantematiche da enterovirus ed adenovirus, l’artrite reumatoide giovanile nella sua forma sistemica, la sindrome di Steven-Johnson13. Prognosi È generalmente buona, in quanto si osserva la risoluzione spontanea, senza esiti cardiaci, in oltre l’80% dei casi. Nel 15-20% dei casi possono svilupparsi complicanze cardiache (miocardite, pericardite, aritmie, coronaropatia con formazione di aneurismi). La letalità si riscontra nell’1-2% dei casi ed è legata ad infarto acuto del miocardio, emopericardio con conseguente tamponamento cardiaco, rottura di aneurisma, in particolare se con diametro superiore a 8 mm. Trattamento Si basa attualmente sulla somministrazione combinata di immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa ed aspirina per via orale. Le immunoglobuline per via endovenosa vengono dispensate in unica somministrazione (durata di 10-12 ore) alla dose di 2g/kg, ripetibile dopo 48 ore se persiste la febbre (come accade in circa il 15-20% dei casi) ed ancora dopo ulteriori 24 ore in assenza di defervescenza. Rappresentano il cardine della terapia poiché se somministrate entro 10 giorni dalla comparsa dei primi sintomi riducono l’incidenza delle alterazioni coronariche al 2-4% dopo un mese dall’esordio della malattia, contro il 15-20% dei casi non trattati o trattati con solo aspirina. Superata la fase acuta di malattia, invece, non appaiono in grado di prevenire il danno coronarico, per cui dopo il decimo giorno di vita vanno comunque somministrate se il paziente continua ad essere febbrile, poiché la febbre è un fattore di rischio per la complicanza coronarica; se il paziente è sfebbrato da alcuni giorni e presenta desquamazioni cutanee alle estremità non vanno somministrate. Raramente, le immunoglobuline possono determinare effetti collaterali, rappresentati da cefalea, febbre, brividi, rush cutaneo (10-15% dei casi). Il loro meccanismo di azione è sconosciuto. In vitro, comunque, sono stati dimostrati alcuni effetti immunomodulatori, come l’effetto bloccante o modulante sui recettori Fc, una attività anti-idiotipo, la soppressione della funzione anticorpale, la capacità di rendere insolubili complessi immuni solubili presenti in circolo, in modo tale da renderli facilmente rimovibili da parte dei macrofagi, la capacità di inibire la proliferazione delle cellule T e il rilascio di citochine indotte dalla tossina superantigene, grazie alla presenza di anticorpi specifici neutralizzanti che riflettono l’immunità acquisita naturale della popolazione dalla quale sono preparate15,16.L’aspirina, invece, viene somministrata per os inizialmente ad alte dosi (80-100 mg/kg/die secondo la scuola americana, 30-50 mg/kg/die secondo quella giapponese, in quattro somministrazione giornaliere) per la sua azione antinfiammatoria, e successivamente, dopo almeno 24 ore di defervescenza, alla dose di 3-5 mg/kg/die in monosomministrazione, per sfruttare la sua azione antiaggregante. La monosomministrazione viene continuata per 8 settimane, a meno che non persistano lesioni coronariche. L’aspirina da sola non è in grado di prevenire il danno coronarico e per tale motivo va combinata con le immunoglobuline per via endovenosa17,18. Prima dell’utilizzo delle immunoglobuline per via endovenosa, il trattamento si basava sulla somministrazione di cortisonici ed il razionale era legato al fatto che tale malattia è una vasculite conseguente ad una anomala risposta immune e, quindi, come tutte le vasculiti, potenzialmente sensibile al trattamento steroideo. In realtà, diversi studi hanno evidenziato come un gruppo nutrito di soggetti sia resistente al trattamento, avanzando anche il sospetto di un maggior rischio di aneurismi delle coronarie, con percentuale sino al 65% nei pazienti trattati con prednisolone. Altri studi hanno, invece, riportato il successo del trattamento con steroidi ad alte dosi (ad esempio metilprednisolone al dosaggio di 30 mg/kg per 3 giorni) in pazienti con malattia non responsiva al trattamento con immunoglobuline ed aspirina. 357 358 Recenti Progressi in Medicina, 101 (9), settembre 2010 Attualmente, la maggior parte degli autori consiglia di riservare il trattamento steroideo alla esigua minoranza di pazienti che presenta una malattia non responsiva al trattamento convenzionale (aspirina ed immunoglobuline endovena) o che presenta gravi complicanze come miocardite, pericardite ed insufficienza cardiaca congestizia19- 23. Conclusioni La malattia di Kawasaki è una vasculite che richiede una diagnosi precoce, in quanto se tempestivamente trattata ha una prognosi favorevole nella stragrande maggioranza dei casi. Nei rari casi che non rispondono a somministrazione ripetute di immunoglobuline per via endovenosa in associazione con aspirina, buone prospettive sembrano aprirsi con il trattamento cortisonico ad alte dosi. L’obiettivo principale della ricerca sarà quello di definire il processo ezio-patogenetico della malattia, per mettere in atto presidî terapeutici ed eventualmente misure preventive più idonee. Bibliografia 1. Takahashi M. Kawasaki disease. Curr Opin Pediatr 1997; 9: 523-9. 2. Pinna GS, Kafetzis DA, Tselkas OI, Skevaki CL. Kawasaki disease: an overview. Curr Opin Infect Dis 2008; 21: 263-70. 3. Burns JC, Glodé MP. Kawasaki syndrome. Lancet 2004; 364: 533-44. 4. Hirata S, Nakamura Y, Yanagawa H. Incidence rate of recurrent Kawasaki disease and related risk factors; from the result of nationwide surveys of Kawasaki disease in Japan. Acta Pediatr 2001; 90: 40-4. 5. Newburger JW, Fulton DR. Kawasaki disease. Curr Opin Pediatr 2004; 16: 508-14. 6. 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