PROFESSIONE E PUBBLICITÀ PROFESSIONALE “La pubblicità è l

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“La pubblicità è l’anima del commercio”, dovrebbe quindi sembrare
naturale l’utilizzo degli strumenti pubblicitari da parte di un libero
professionista.
Tuttavia:
>> tanto il legislatore nazionale, quanto gli Ordini professionali
(questi ultimi mediante disposizioni deontologiche e codici di
autodisciplina) hanno limitato e talvolta vietato la pubblicizzazione
dell’attività dei professionisti, in linea con un tradizionale atteggiamento di
chiusura che per lungo tempo ha caratterizzato la disciplina delle
professioni nell’ordinamento italiano.
La diffidenza verso l’utilizzo degli strumenti pubblicitari è validata dall’atteggiamento dei
professionisti specie nel settore forense – vedi anche la giurisprudenza del Consiglio
nazionale Forense, laddove si enfatizza che “il ripudio di mezzi pubblicitari di ogni
genere costituisce tradizione e vanto dell’Avvocatura italiana che nel corso di
decenni ha sempre confermato il rifiuto di forme di emulazione diverse da una
dignitosa gara di meriti dimostrati attraverso le opere e lo studio” (CNF, 23 aprile
1991 n. 56).
Le ragioni di questo sfavor rimandano:
- alla tutela del decoro delle professioni liberali
- al mantenimento della fiducia verso il professionista e necessità
di evitare forme di “decadimento morale della professione”
- alla necessità di evitare la concentrazione del mercato nelle mani
dei professionisti in grado di realizzare i maggiori investimenti
pubblicitari
- alla tutela dei consumatori che, a causa delle asimmetrie esistenti
si troverebbero in difficoltà nel valutare le informazioni sui servizi
professionali
e
“necessiterebbero
di
essere
protetti
maggiormente rispetto a pubblicità ingannevoli e manipolatorie”.
Oggi assistiamo al superamento delle argomentazioni che giustificano le
restrizioni in materia pubblicitaria. Molti Stati europei, compresa l’Italia,
allentano progressivamente i vincoli che limitano la possibilità per i
professionisti di farsi pubblicità. Le cause sono molteplici:
(i) le spinte concorrenziali del mercato europeo e la necessità per gli
ordinamenti più conservatori di allinearsi alle discipline più
liberali di altri ordinamenti [rischio di discriminazioni alla
rovescia]
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(ii) l’applicazione delle regole e dei principi comunitari in materia di
antitrust e libera circolazione dei servizi
(iii)l’obbligo di fornire maggiori informazioni ai clienti [normativa a
tutela dei consumatori]
(iv)l’equiparazione
d’impresa.
dell’attività
libero
professionale
all’attività
In Europa la svolta ‘pro pubblicità’ nel settore delle professioni intellettuali
avviene tra gli anni ’80 e ’90 quando, per impulso principalmente della
Commissione europea, della Corte di giustizia e delle Autorità indipendenti
nazionali, si diffonde il convincimento che la PUBBLICITÀ SIA UTILE per:
(a) accrescere l’informazione dei clienti,
(b) favorire l’ingresso di nuovi operatori sul mercato,
(c) fornire un generale stimolo all’innovazione e al miglioramento
qualitativo delle prestazioni.
Le restrizioni all’utilizzo degli strumenti pubblicitari non risponderebbero
quindi alla tutela di interessi generali, ma avrebbero effetti negativi: infatti,
riducendo la concorrenza, esse finiscono col rendere più costosa
l’acquisizione di informazioni e più difficile ricercare prestazioni
qualitativamente migliori e al prezzo più adeguato.
In Italia il cambiamento risulta tanto intenso quanto numerose sono
le restrizioni da abolire e le resistenze che si oppongono.
In questo contesto si colloca la decisione del legislatore nazionale
(DECRETO BERSANI) di abrogare le disposizioni (legislative,
regolamentari e dei codici deontologici) che, con riferimento alle attività
libero professionali, stabiliscono
(1) “il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa
circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche
del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle
prestazioni” (art. 2, co. 1, lett. b, l. 4 agosto 2006 n. 248).
(2) demanda agli Ordini professionali il controllo sull’attività
pubblicitaria, più precisamente sul rispetto dei “criteri di
trasparenza e veridicità del messaggio” (art. 2, co. 1, lett. b, l. 4
agosto 2006 n. 248).
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A due anni dall’entrata in vigore del decreto Bersani (1° gennaio 2007) le
restrizioni in tema di pubblicità nel settore delle libere professioni sono
ancora numerose a causa soprattutto delle limitazioni presenti negli
ordinamenti professionali.
Le limitazioni riscontrate dall’Autorità, ad esempio, fanno riferimento al
divieto di svolgere pubblicità comparativa o pubblicità mediante strumenti
mediatici (televisione, radio, giornali, internet etc.).
La scelta del legislatore italiano (decreto Bersani) anticipa soluzioni già
adottate in sede comunitaria con la direttiva servizi (2006/123), che l’Italia
ha recepito con d.lgs. 26 marzo 2010 n. 59 (vd. nella pagina web del
laboratorio).
Considerando 100 della direttiva 2006/123/CE:
>> soppressione dei divieti totali
>> armonizzazione a livello comunitario dei codici deontologici /
regole di comportamento con ruolo propositivo delle categorie
professionali
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Articolo 24 della direttiva 2006/123/CE:
>> impone ai legislatori nazionali di sopprimere “i divieti totali in
materia di comunicazioni commerciali per le professioni
regolamentate” (art. 24)
>>
precisa che l’attività pubblicitaria deve in ogni caso ottemperare
alle limitazioni poste dagli ordinamenti professionali riguardanti
“l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il
segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna
professione” (art. 24, co. 2).
>> ribadisce che tali vincoli sono leciti se conformi al diritto
comunitario e dunque (art. 24, co. 2):
(a) non discriminatori,
(b) giustificati da motivi imperativi di interesse generale (fra i quali
rientra, ad esempio, l’interesse del consumatore ad ottenere un
servizio di qualità; non sembra rientrarvi, invece, la tutela del
decoro professionale)
(c) proporzionati agli obiettivi.
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IL LEGISLATORE COMUNITARIO CONFERMA L’IMPOSSIBILITÀ DI
MANTENERE DIVIETI ASSOLUTI IN MATERIA DI PUBBLICITÀ MA, AL
CONTEMPO, STABILISCE CHE L’ATTIVITÀ PUBBLICITARIA PUÒ
ESSERE VINCOLATA DALLE REGOLE PROFESSIONALI.
Ciò significa, ad esempio, che i liberi professionisti possono attivare siti
web attraverso i quali farsi pubblicità (né tale attività può essere vietata
dalla legge o da disposizioni deontologiche), ma i contenuti dei siti
(rectius: i messaggi pubblicitari) possono essere sottoposti ad una
serie di vincoli e cautele precisate dagli ordinamenti professionali.
Il legislatore comunitario sembra così conferire alla deontologia
professionale e agli ordini che la emanano la funzione di limitare
ulteriormente l’esercizio della pubblicità professionale.
>>>
LE
FORME
DELLA
PUBBLICITÀ:
INFORMATIVA,
COMMERCIALE, DIRETTA, INDIRETTA, COMPARATIVA ETC.
(CENNI).
Dal punto di vista funzionale la pubblicità può essere distinta facendo
riferimento:
- all’identità del soggetto comunicante,
- alle finalità,
- al contenuto della comunicazione.
I criteri più significativi ai fini dell’identificazione della tipologia pubblicitaria
sono ritenuti generalmente le finalità e il contenuto della
comunicazione.
>> UN PRIMO GRUPPO DI COMUNICAZIONI È CLASSIFICABILE
COME PUBBLICITÀ ISTITUZIONALE.
Vi rientra l’attività resa dagli ORGANI DI CATEGORIA CON
RIFERIMENTO AI SERVIZI PROFESSIONALI OFFERTI DAGLI
ISCRITTI.
Si tratta di una forma di pubblicità non individuale ma collettiva, non
direttamente finalizzata all’acquisizione di clientela ma diretta a
promuovere la categoria.
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Per queste forme di pubblicità non sussistono solitamente problemi di
limitazioni etc.1
>> UN SECONDO GRUPPO DI COMUNICAZIONI RINVIA ALLA
PUBBLICITÀ DIRETTA
È la pubblicità con la quale i professionisti si rivolgono solitamente al
pubblico per acquisire nuova clientela. Tipicamente si tratta degli annunci
sui giornali e sulle pagine gialle, ma sempre più spesso su internet,
alla televisione etc.
OBIETTIVO quello di informare i clienti delle capacità del
professionista e delle possibilità offerte. Si tratta di forme pubblicitarie
solo da poco a disposizione dei professionisti per effetto del processo di
liberalizzazione, a lungo rimaste sottratte alla discrezionalità dei
professionisti e per lo più vietate, si riteneva infatti che potessero gettare
discredito sull’attività professionale.
Una forma specifica di pubblicità diretta è quella della solicitation,
mediante la quale sono promossi servizi professionali specifici verso
singoli potenziali clienti, solitamente utilizzando modalità di
marketing aggressive, (ad esempio mediante comunicazioni telefoniche,
cd. cold calling).
Al riguardo v’è chi ritiene che la forma pubblicitaria della solicitation sia da
evitare nel settore delle libere professioni, soprattutto a fronte di servizi
che tutelano interessi generali (ad esempio in tema di giustizia, salute e
sicurezza).
L’obiettivo delle solicitation infatti non è quello di informare il cliente
sull’esperienza e le capacità del professionista, quanto piuttosto di
sollecitare il sorgere nel consumatore di bisogni non reali, incentivando ad
esempio la litigiosità o il ricorso a cure mediche non necessarie etc..
1 L’AGCM, nell’indagine conoscitiva nel settore degli ordini e dei collegi professionali,
1997, cit., 241 e ss., rileva come “la pubblicità di carattere generale, quella che torna a
beneficio dell’intera categoria è generalmente ammessa poiché fa aumentare la
domanda aggregata per l’intera professione. Al contrario, la pubblicità del singolo o di un
ristretto gruppo di professionisti è suscettibile di produrre effetti di redistribuzione della
domanda di servizi all’interno della professione, mettendo in discussione l’equilibrio
all’interno della categoria professionale”.
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Sul punto il silenzio della Commissione europea è stato interpretato come
una sostanziale non ammissibilità del solicitation fra le forme
pubblicitarie. Invero l’orientamento diretto ad escludere tout court
l’ammissibilità delle attività pubblicitarie rese mediante solicitation non
sembra condivisibile. In ciò è di conforto non solo la Commissione
europea, la quale sottolinea i vantaggi derivanti dall’azione pubblicitaria
(accrescere l’informazione dei clienti, favorire l’ingresso di nuovi operatori,
agevolare l’innovazione e il miglioramento qualitativo dei servizi) e,
conformemente alle indicazioni della Corte di giustizia e del Parlamento
europeo, ammette le restrizioni alla pubblicità soltanto se funzionali
alla tutela di interessi pubblici, non discrimatorie e proporzionate agli
obiettivi.
V. anche l’orientamento dell’AGCM, secondo la quale l’attività
pubblicitaria nella forma della sollecitazione non produce una
stimolazione artificiosa della domanda. L’Autorità segnala, a sostegno
delle proprie tesi, alcune esperienze europee soprattutto nel settore
sanitario rilevando che “la pubblicità molto difficilmente può indurre il
consumatore ad acquistare il servizio in misura maggiore di quanto
farebbe in assenza di pubblicità”.
UN TERZO GRUPPO DI COMUNICAZIONI È ASCRIVIBILE ALLA
TIPOLOGIA DELLA PUBBLICITÀ INDIRETTA
La casistica è vastissima, vi rientra l’utilizzo:
- di targhe e manifesti, marchi e loghi;
In tema di targhe si segnala la sentenza della Cassazione civ., sez.
III, del 15 gennaio 2007, n. 652 che dichiara come per effetto delle
modifiche introdotte dal decreto Bersani risultano abrogate le
disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con
riferimento alle attività libero professionali e intellettuali “il divieto di
svolgere pubblicità informativa e, di conseguenza, anche le norme
che limitano il diritto di apporre targhe aventi, appunto, scopo
pubblicitario” (la fattispecie riguardava il rilascio dell’autorizzazione
ad apporre la targa da parte dell’Ordine professionale, competente a
verificare la veridicità delle qualità professionali, la loro non
equivocità sulla natura dell’attività svolta dal richiedente e la
corrispondenza delle caratteristiche estetiche della targa a quelle
stabilite dal regolamento ministeriale; il nulla - osta non era stato
rilasciato adducendo illegittimamente la necessità di accertare se il
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richiedente agevolasse l’esercizio abusivo da parte di soggetti non
abilitati, operanti nello stesso stabile).
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di fotografie, dichiarazioni alla stampa, interviste nelle quali si fa
menzione dei propri clienti, dei successi, delle proprie
capacità….;
di opuscoli, scritti, etc.
Difficile fornire un’elencazione esaustiva delle fattispecie esistenti, oggi
moltiplicatesi con l’utilizzo di massa delle tecnologie informatiche.
Si tratta di forme di pubblicità che non vanno contrastate, ma
piuttosto accompagnate da più rigorosi controlli circa gli obblighi di
correttezza e trasparenza delle informazioni trasmesse.
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