LE VIRTU` Storia del termine I GRECI: `areté` = indica la persona

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LE VIRTU’ Storia del termine
I GRECI: ‘areté’
= indica la persona coltivata rettamente: coraggio, valore militare, merito,
titolo onorifico, gloria, be4ne a cui tendere.
Platone (V secolo):
la considera la prerogativa dello spirito umano.
Aristotele (IV secolo): ‘ attitudine permanente a compiere bene il lbene’.
Egli considera areté una specifica forma di ‘habitus’: propensione pronta e stabile a operare.
È l’’habitus’ del ‘giusto mezzo’: in medio stat virtus.
I LATINI: ‘virtus’. Per Cicerone di maturità e forza. Unisce infatti vir (uomo) e ‘vis’ (forza).
Virtuosa è la persona matura e forte, cioè quella che è pienamente se stessa ed è capace di attuare i
propri compiti civili e umani, nonostante le difficoltà.
Nei secoli l’evoluzione del concetto di ‘virtù’ evidenzia il cammino percorso dall’uomo per
giungere a capire ‘come’ l’uomo tende alla sua perfezione, nonostante le difficoltà.
LA BIBBIA: Vi troviamo tutti quegli elementi che compongono il concetto di virtù. Ma il termine
‘areté’, per sé, è quasi assente. Lo troviamo solo 3 volte nel NT (3 lettere di Paolo).
Al suo posto troviamo ‘dynamis’ (forza, potenza), tradotto in latino ‘virtus’.
I PADRI DELLA CHIESA: usano la parola con significati diversi.
Chiamano virtù i doni dello Spirito Santo, le opere buone dei credenti, le abilità piantate nell’anima
dalla potenza di Dio. Non distinguono quindi tra virtù morali e virtù teologali.
Vi insistono molto, specie Agostino, Ambrogio, Gregorio.
LA TEOLOGIA MEDIEVALE:
stranamente il termine ‘virtus’ vi entra molto lentamente, con
significati diversi.
Teologia agostiniana: ‘virtù è una buona qualità della mente per cui si vive rettamente, di cui
nessuno usa male, che Dio opera in noi senza di noi’ (Vedi le virtù teologali).
Teologia aristotelica: ‘virtù è ciò che rende buono colui che la possiede e buona l’opera che egli
compie’. Il concetto è approfondito in particolare da
SAN TOMMASO: Ogni virtù è un habitus, ma non ogni habitus è virtù.
La grazia è un habitus entitativo, distinto da quelli operativi. Non è quindi una virtù.
I vizi sono habitus che corrompono e rovinano la persona.
IN ITALIANO i termini che la esprimono sono: abitudine, abito, virtù.
‘Abitudine’ ne limita la ricchezza di contenuti. ‘Virtù è tutt’altro che un’abitudine’.
L’unico riferimento tra ‘abitudine’ e ‘habitus’ è che dicono costanza e stabilità.
Però l’abitudine si situa nella linea dell’istinto, della non volontarietà, della ripetitività.
‘Habitus’ invece connota:
padronanza di sé,
capacità di azione responsabile,
libertà liberata nell’orientamento al bene,
nel desiderarlo e nel volerlo,
nell’aversi in mano per attuarne con fedeltà le esigenze.
VALUTAZIONI CONTEMPORANEE DELLA VIRTU’
DAL DOPOGUERRA IN POI
In quei decenni molti si sono convinti che ‘la virtù è morta, o sta morendo. Non si pronunzia quasi
più’ . P. Valéry: Le parole virtù, virtuoso vanno a scomparire dal linguaggio morale contemporaneo’
(Dizionario di filosofia 1971).
In molti recenti ‘Dizionari di teologia’ manca la voce ‘virtù’. Come pure in molti ‘Trattati di morale
cattolica’.
Il Nuovo Catechismo degli adulti della CEI vi dedica 5 par.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica all’indice analitico non ha la voce ‘virtù’ né la voce ‘vizi’.
Perché questo declino? I motivi sono vari.
La si è irrisa come patrimonio riservato dei devoti o dei bigotti.
La si è vista come sinonimo di rinuncia, controllo, perbenismo, regolazione esterna di atti.
È stata catalogata tra i doveri scomodi, e legati alla cultura contadina, pre-industriale, ormai
sorpassata.
Se ne sono valutati solo gli effetti non sempre gratificanti, dimenticando il suo valore per la
formazione della persona, e il suo scopo, che è un rapporto sereno con se stessi e con il prossimo, e
l’unione con Dio.
Se ne sono sottolineati gli aspetti psicologici (= fonte di equilibrio psichico), spesso discutibili o
ottenibili per altra via, dimenticando che essa è anzitutto consenso intelligente al bene…
NEGLI ULTIMI ANNI
La tendenza da qualche anno si sta invertendo. In Italia causa non ultima è il degrado sempre
crescente nel tessuto sociale e la corruzione sempre più dilagante.
Tangentopoli (e i tanti scandali successivi) ne ha messo a nudo in modo brutale l’esigenza.
Da parte di tutti si invoca un ritorno ai valori morali, di un’etica della persona, del sociale, del
politico.
Purtroppo l’impressione è che i più la invochino negli altri, mentre quasi nessuno ha smantellato le
abitudini o gli ingranaggi della corruzione (La virtù non passa per le manette dei giudici…).
Alcuni esempi:
Si invoca l’onestà nel socio-politico, ma si rendono gli adempimenti burocratici più capillari e
cavillosi.
Si vuole una gioventù sobria, ma si rivendica la liberalizzazione della droga.
Ci si lamenta della microcriminalità, del vandalismo e del bullismo, ma nessuno accetta di
osservare anche le regole più elementari di una convivenza civile. Si fa della ‘voglia’ e del ‘mi
piace’ l’unico criterio morale.
Si lamentano le stragi del sabato sera (grazie a Dio recentemente più in calo), ma si rifiuta ogni
regolamentazione degli orari e dell’impostazionme delle discoteche come altrettanti attentati alle
libertà individuali.
Si strombetta contro gli abusi e gli eccessi, ma la macchina produttiva spinge verso consumi
sempre più massicci, inutili e massificanti.
Si denuncia la violenza sempre più diffusa, ma insieme si rivendica il diritto di avere un
comportamento provocante e spudorato…
Riassumendo:
La Virtù è qualcosa di fondamentale per una vita veramente ‘umana’.
Ne sentiamo fortemente il bisogno, tuttavia la disprezziamo nei fatti mentre la pretendiamo negli
altri.
Stiamo tuttavia rendendoci conto che non possiamo farne a meno, perché senza virtù la convivenza
diventa un inferno e una babele.
Le riflessioni di questa pagina le ho stese negli anni ’90.
Siamo nel 2015, e purtroppo ho l’impressione che siano ancora del tutto attuali…
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