Tannhauser - Liceo Classico Manzoni

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Il “Tannhäuser”: la redenzione tramite il sacrificio.
EVA E MARIA: DONNA “SIRENA” CONTRO DONNA “ANGELO”.
Wagner cominciò a lavorare alla sua seconda opera importante nella primavera del 1842; dopo circa
un anno aveva terminato la stesura del testo. La composizione della musica gli richiese quasi due
anni: nel maggio del 1845 l’opera era terminata. Fu rappresentata per la prima volta a Dresda nel
1845, e molti anni dopo, nel 1861, a Parigi, in una versione ampiamente rimaneggiata per adattarla
ai gusti teatrali francesi: lo spettacolo rimase famoso per le intemperanze del pubblico, del tutto
impreparato di fronte allo stile innovativo del musicista tedesco. Le fonti della vicenda sono varie e
piuttosto eterogenee: alcuni poemi medievali sulle figure di Heinrich von Ofterdingen e del
Minnesänger Tannhäuser (che Wagner fonde in un personaggio unico), un racconto dello scrittore
romantico E.T.A. Hoffmann e vari saggi storici sull’arte tedesca del Medioevo, fatti conoscere a
Wagner da amici e conoscenti, che sapevano dei suoi interesse “onnivori”. Come sempre, Wagner
non si adattò passivamente ad un testo preesistente, ma rielaborò minuziosamente i vari spunti che
incontrava secondo le proprie esigenze poetiche e musicali. Ad esempio, modificò profondamente
la figura della protagonista femminile per poterne fare l’amata dell’“eroe” (nei poemi medievali
Elisabeth era già sposata), e prestandole alcuni evidenti tratti di santa Elisabetta di Turingia (tra
l’altro molto venerata nella Germania centro-settentrionale, patria del musicista). Rielaborò quasi
completamente la figura di Venere, rendendola l’“antagonista” di Elizabeth, non priva di una sua
dignità e di rilevante spessore psicologico. Il dramma infatti, più che sui personaggi maschili, è
incentrato su quelli femminili, polarizzati secondo l’asse Eva-Maria, tipico della teorizzazione
medievale sulle virtù e sui difetti del sesso femminile. Ovviamente Eva simboleggia tutto ciò che di
negativo e diabolico contempla l’immaginario medievale sulla donna: la vanità, la superficialità, la
sfrenata sensualità, l’assoluta mancanza di autocontrollo morale, la pericolosità che riveste per
l’uomo in quanto seduzione, tentazione, insormontabile ostacolo sulla via della salvezza spirituale.
La donna è una sirena lasciva e ammaliante, che conduce fatalmente alla perdizione gli incauti che
le danno ascolto; potremmo citare la visione dantesca di Purg. XIX, 16-33, ma gli esempi possibili
sono numerosissimi, anche nelle arti figurative (portali e capitelli delle cattedrali romaniche e
gotiche). Il contraltare di questa tipologia negativa è ovviamente Maria, la purissima, la Tuttasanta,
da cui discendono tutte le virtù e i pregi della donna. A questa tipologia si rifà gran parte della
teorizzazione dell’amor cortese, ma soprattutto quella dello Stil Novo, con la tematica fondamentale
della donna-angelo che dona “salute” e perfezionamento morale all’amato. Il “Tannhäuser” è stato
definito un dramma gotico (mentre il “Lohengrin” appare più consono allo spirito alto-medievale,
romanico): il protagonista è infatti lacerato tra questi due poli opposti, incarnanti due aspetti
contraddittori e conflittuali della femminilità. A lungo incapace di scegliere, egli rischierebbe di
perdersi, dantescamente, nella sua personale selva oscura, se non intervenisse ad aiutarlo la donnamediatrice, la donna canale privilegiato di intercessione presso Dio. Da notare che la redenzione
giunge al peccatore, secondo la più genuina dottrina protestante, indipendentemente da qualsiasi
mediazione ecclesiastica, anzi contro di essa: infatti il Papa nega a Tannhäuser l’assoluzione,
affermando che non può esserci perdono per il suo gravissimo peccato (e commettendo un evidente
errore dottrinale, perché nel messaggio evangelico non sono contemplati peccati “imperdonabili”).
Il protagonista si salva perché si pente, commosso dal sacrificio di Elizabeth; esso ha senso solo in
quest’ottica. Se Tannhäuser non si pentisse, anche il sacrificio dell’amata sarebbe del tutto inutile1:
non si può infatti sostituire se stessi ad un altro essere umano nell’espiazione, dal momento che la
responsabilità morale è strettamente personale. Elizabeth non offre la sua vita al posto di quella
dell’amato, ma per acquistare meriti eroici presso Dio e poter così intercedere più efficacemente per
il peccatore, ottenendogli la grazia del pentimento personale. [Notare la profonda differenza con il
sacrificio-suicidio di Senta, che è invece un’immolazione “sostitutiva” (non cristiana, ma piuttosto
barbarica e pagana), perché l’Olandese non è più in grado di pentirsi, in quanto già morto].
nemmeno Dio in persona può salvare un peccatore, senza la sua “collaborazione”, come dice sant’Agostino: “Colui
che ti ha creato senza di te non può salvarti senza di te”. Cfr. anche Inf. XXVII, 118.
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MITOLOGIA CLASSICA E SPUNTI FREUDIANI NELLA RIELABORAZIONE DI UN TARDO ROMANTICO.
Come già accennato, gli anni ’40 furono per Wagner un periodo di frenetiche letture a tutto campo,
con cui si interessò fra l’altro anche di mitologia e di tragedia classica. Da questi approfondimenti
di largo respiro, trasse una visione del personaggio di Venere piuttosto originale, che perfezionò
ulteriormente nella versione parigina dell’opera, più tarda e matura. Il personaggio della versione
del ’61 riveste infatti già alcune caratteristiche che compariranno poi nel personaggio ancora più
sfaccettato e complesso di Kundry nel “Parsifal”. Venere non è solamente una seduttrice sensuale e
lasciva, ma una donna sinceramente affezionata al protagonista, che vuole davvero il suo bene e la
sua felicità, essendo profondamente convinta di offrirgli una situazione emotiva ed esistenziale
ideale. Ricorda da vicino la Calipso omerica, che si stupisce del desiderio del suo amato umano di
novità, cambiamento, progettualità, azione: l’unica situazione soddisfacente e rasserenante che lei
concepisce è la dolce apatia, la cullante inerzia del grembo materno. Ritroviamo in Venere tutte o
quasi le caratteristiche delle Grandi Madri della mitologia classica e rinascimentale: figure ctonie e
matriarcali, più o meno consapevolmente fagocitanti e “castranti”, persuase nell’intimo dell’inutilità
e pericolosità dell’azione (attributo prettamente maschile) e tendenti ad avvolgere l’amato in
un’atmosfera sognante ed “isolante” di assoluta passività, decisamente simile alla morte (grembo
materno = pace, serenità, ma anche inattività, incapacità di scelte autonome e di azione incisiva
sulla realtà esterna = morte). Solo per fare qualche nome potremmo citare Calipso, Circe, Didone,
Alcina, Armida, oltre ai miti di Ishtar e Cibele-Attis. Freud diede un’interessante interpretazione di
questi miti nei suoi studi sulle dinamiche psicologiche madre-figlio. Nell’ultima rielaborazione di
questo concetto caro a Wagner, nel personaggio di Kundry, non a caso la maga cercherà di sedurre
Parsifal parlandogli della madre morta, quasi sovrapponendosi a lei e dando vita ad un pericoloso
mix di eros edipico. Interessante notare che sia Tannhäuser che Parsifal, come del resto tutti gli altri
eroi letterari o mitologici, dopo un breve momento di traviamento ipnotico, riescono a reagire e a
riprendere il ruolo attivo, dinamico e propositivo, caratteristica propria del sesso maschile secondo
le convinzioni socio-morali tradizionali.
L’AMBIGUITA’ DELLA MUSICA TRA SEDUZIONE DIABOLICA E MEZZO DI REDENZIONE.
In tutta l’opera la musica gioca un ruolo dominante in questa lotta polarizzata di concetti opposti.
L’esempio più evidente è la grande scena del “baccanale”, all’inizio del primo atto: la musica
raggiunge un climax di sfrenatezza veramente orgiastica, che fu considerata all’epoca scandalosa
per un teatro “perbene”, subito dopo le vette estatiche e mistiche, quasi disincarnate, del Preludio,
che richiamano strettamente le atmosfere “graaliane” del “Lohengrin” e del “Parsifal”. Il contrasto è
nettissimo e causa un effetto abbastanza straniante nell’ascoltatore, come di due mondi paralleli in
netto conflitto tra di loro e irriducibili l’uno all’altro. Nella scena finale lo scontro si ripropone,
accostando per contrasto le due Weltanschauungen, con la vittoria finale però del motivo misticoreligioso (notare la composizione ad anello: il coro conclusivo intona in fortissimo lo stesso tema
del Preludio). Anche i “Lieder” intonati dai vari cantori rispecchiano la diversità delle loro
concezioni filosofiche e poetiche: Tannhäuser usa uno stile vivace e piuttosto anticonvenzionale,
Wolfram e gli altri Minnesänger uno stile manierato e composto, anche se sinceramente sentito.
STORIA DELL’INTERPRETAZIONE; LE PRINCIPALI EDIZIONI.
Il “Tannhäuser” ha avuto numerose incisioni discografiche, tutte interessanti e valide. Il ruolo del
protagonista richiede già una voce da “tenore eroico”; a volte il soprano interpreta sia il ruolo di
Elizabeth che quello di Venere, ma è meglio che le due parti rimangano separate, perché prevedono
una vocalità differente (Venere deve essere seduttiva, affascinante, ammaliante, quasi avvolgente
nella sua femminilità materna; Elizabeth deve avere invece una voce chiara, fresca, cristallina,
“verginale”, anche se capace di profonda emotività e drammaticità).
Dovendo scegliere tra le molte edizioni, suggerirei queste due:
1) André Cluytens; Windgassen, Rysanek, Dvoráková, Prey, Greindl (1965);
2) Georg Solti; Kollo, Dernesch, Ludwig, Braun, Sotin (1970): di gran lunga la migliore.
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