CLT di TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO C.I. di Fisiologia

CLT di TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO
C.I. di Fisiologia Umana
Modulo di Fisica Strumentale
P. Calvini
Potere risolutivo di uno strumento ottico
Con potere risolutivo di uno strumento ottico s’intende la capacità dello
strumento di produrre immagini distinte di due oggetti (punti) molto vicini tra
loro. Tutti i fenomeni che riducono la qualità dell’immagine (aberrazioni,
distorsioni, effetti dello scatter, ecc.) concorrono ad abbassare il potere
risolutivo di uno strumento ottico. Tuttavia, anche nella situazione ottimale di
una sostanziale riduzione di tutti gli effetti parassiti, il potere risolutivo trova
un limite invalicabile. Questo limite ultimo è rappresentato dal fenomeno della
diffrazione, conseguenza della natura ondulatoria della luce.
Considerazioni sulla figura di diffrazione di singola fenditura
La diffrazione è un fenomeno che si manifesta quando un’onda incontra un
ostacolo che abbia dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda. L’onda
si propaga nello spazio oltre l’ostacolo in direzioni diverse da quelle dell’onda
incidente. Si può concludere che i raggi vengano deviati dall’ostacolo,
manifestando un comportamento non previsto dall’ottica geometrica. I raggi
deviati possono sovrapporsi dopo aver percorso diversi cammini ottici, dando
così origine a fenomeni di interferenza con conseguente ridistribuzione
dell’energia e creazione di figure di interferenza. Gli effetti diventano tanto più
rilevanti e osservabili quanto più le dimensioni dell’ostacolo o dell’apertura
sono confrontabili con la lunghezza d’onda dell’onda incidente. Nella figura è
riportata la figura di diffrazione prodotta da una fenditura orizzontale, lunga e
sottile, illuminata da una sorgente puntiforme (punto giallo) posta a grande
distanza dalla fenditura in modo che l’onda incidente sulla fenditura sia
assimilabile a un’onda piana. Anche lo schermo dove si forma l’immagine è
distante dalla fenditura in modo che l’angolo θ sia piccolo. L’immagine in
bianco e nero è l’immagine che si osserva sullo schermo. Le righe chiare, che
corrispondono ai massimi relativi di intensità, sono parallele alla fenditura. La
curva in rosso rappresenta l’intensità (energia per unità di tempo e di
superficie) della figura di diffrazione.
Nel caso in cui la fenditura sia circolare (foro circolare in schermo opaco) la
figura di diffrazione diventa una macchia circolare circondata da cerchi
concentrici. Si veda la figura successiva. In questo caso la distanza angolare
θ1 tra il centro della figura e il primo minimo è data da
Fig.θ3
1
= 1 . 22
λ
D
dove D è il diametro del foro circolare. Il fattore numerico tiene conto della
geometria circolare della fenditura. Si osservi che queste immagini di figure di
diffrazione sono state ottenute con esposizioni particolarmente lunghe per
rendere visibili i massimi secondari fino al quarto ordine. Senza queste
tecniche risulta ben visibile solo il primo massimo, mentre il secondo appare
come un debole alone.
Risoluzione e criterio di b)
Rayleigh
Se si hanno due sorgenti puntiformi vicine, le loro figure di diffrazione si
sovrapporranno generando una figura complessa in cui può risultare difficile il
riconoscimento delle immagini delle due sorgenti.
Nelle figure seguenti sono mostrate le immagini di diffrazione di due sorgenti
puntiformi prodotte da una fenditura circolare. Nella figura a le sorgenti sono
poste a distanza sufficiente affinché i massimi centrali delle figure di diffrazione siano ben separati – c’è sovrapposizione del secondo massimo,
tuttavia le immagini delle sorgenti appaiono ben distinguibili. Nella figura b le
sorgenti sono state avvicinate, i massimi centrali si sovrappongono e un
osservatore può incontrare difficoltà a riconoscere nell’immagine due sorgenti
puntiformi distinte.
a
b
Nella figura seguente sono riportate le distribuzioni delle intensità (linee rosse
e blu) delle figure di diffrazione delle due sorgenti puntiformi per diverse
separazioni angolari. Come si vede, al diminuire della separazione angolare, i
massimi delle due figure si sovrappongono sempre più, e la somma delle
distribuzioni delle intensità (linea gialla), che è ciò che l’occhio percepisce,
diventa sempre più simile alla distribuzione dell’intensità di un’unica sorgente.
Il percepire la presenza di due distinte sorgenti può diventare un fatto
α = 2θ1
α = θ1
α = θ1/2
soggettivo.
E’ stato introdotto da Rayleigh il criterio di considerare risolte le due sorgenti
quando il massimo della figura di diffrazione dell’una dista dal massimo
dell’altra almeno quanto il primo minimo. Nella situazione considerata nella
precedente figura, le due sorgenti sono considerate risolte quando vale la
condizione α ≥ θ1 = 1.22 λ / D. Nel caso limite α= θ1 il massimo della figura
di diffrazione di una sorgente cade nel primo minimo della figura di diffrazione
dell’altra.
Potere risolutivo del microscopio
Ogni strumento ottico è assimilabile ad una apertura, in genere circolare, per
cui il suo potere risolutivo è limitato dagli effetti di diffrazione da foro circolare.
Le condizioni geometriche descritte prima, dove sorgente e piano immagine
sono entrambi distanti dalla fenditura, sono analoghe a quelle delle condizioni
di lavoro di un telescopio. Pertanto per un telescopio due sorgenti puntiformi
sono considerate risolte se la loro distanza angolare α soddisfa la seguente
relazione
α ≥ θ 1 = 1 .22
λ
D
Nel caso del microscopio l’oggetto (sorgente) è posto vicino all’obiettivo e la
precedente relazione rappresenta solo il punto di partenza di un calcolo
alquanto elaborato nel quale si tiene conto anche di raggi fortemente inclinati
rispetto all’asse ottico (raggi non parassiali). Inoltre si preferisce esprimere il
potere risolutivo non in termini angolari, ma in termini di distanza. Si definisce
come potere risolutivo di un microscopio la minima distanza s tra due
sorgenti puntiformi che il microscopio è in grado di presentare come distinte.
Il calcolo mostra che un microscopio usato appropriatamente è in grado di
risolvere (= presentare come distinte) due sorgenti puntiformi la cui distanza
s soddisfi la condizione
s≥
λ
2n ⋅ sen (i)
dove n è l’indice di rifrazione del mezzo in cui è posto l’oggetto O, λ è la
lunghezza d’onda (valore nel vuoto) della luce utilizzata per illuminare
l’oggetto O e i è l’angolo definito nella figura seguente. Nella figura la lente
convergente è l’obiettivo del microscopio, D è il diametro utile dell’obiettivo e
d è la distanza del punto oggetto O dall’obiettivo. Nelle normali condizioni
operative di un microscopio d coincide praticamente con la distanza focale f
dell’obiettivo.
La relazione
s≥
λ
2n ⋅ sen (i)
rappresenta per il potere risolutivo di un microscopio il limite ultimo imposto
dalla diffrazione della luce. Naturalmente un microscopio in cui i vari fenomeni parassiti (aberrazioni, distorsioni, ecc.) non siano adeguatamente
compensati o corretti presenterà un potere risolutivo più scadente di quanto
indicato dalla relazione precedente. Ciò significa che riuscirà a risolvere due
punti sorgente solo se la loro distanza s sarà ben maggiore di quanto
imposto dal limite della diffrazione. Già la precedente relazione contiene al
denominatore un’indicazione della qualità del(l’obiettivo del) microscopio
attraverso l’apertura numerica
N.A. = n sen(i)
data dal prodotto tra l’indice di rifrazione n del mezzo (in cui si trova il campione ed in cui l’obiettivo lavora) ed il seno della semiapertura i del cono di
luce che entra nell’obiettivo. L’angolo i è detto apertura angolare ed è
ricavabile, in base alla figura precedente, da
i = atan (D/ (2 d))
Per obiettivi (... costosi !) che lavorino in un mezzo ad alto n e che accettino
ampi coni di luce ( i ∼ 60°) l’apertura numerica può arrivare a N.A. = 1.3 ÷ 1.4
Si è definito il potere risolutivo come la minima distanza tra due sorgenti
puntiformi che un microscopio possa risolvere. Pertanto quanto più piccolo è
il valore del potere risolutivo (in metri o in µm o in nm) tanto meglio, ma tanto
più lo strumento costa. Nell’interfacciarsi con ambienti tecnicamente meno
acculturati si è sentita l’esigenza di una diversa definizione del potere
risolutivo, che accompagnasse alti valori di questa grandezza con alte
prestazioni e, presumibilmente, alti costi. Esiste una definizione di potere
risolutivo data come l’inverso di quanto qui è stato definito. Questa
definizione dà alti valori di potere risolutivo in corrispondenza di alte
prestazioni. La distinzione tra le due definizioni di potere risolutivo può essere
fatta sulla base dell’unità di misura impiegata, in quanto il potere risolutivo
-1
-1
dato secondo quest’ultima definizione va espresso in m (oppure in µm o
-1
in nm ).
Ingrandimento utile
Usando luce di lunghezza d’onda λ = 0.55 µm, la definizione di potere
risolutivo precedentemente presentata dà sm = 0.275 µm / N.A., che per il
valore N.A. = 1.4 dà sm ≅ 0.20 µm. Questo significa che in queste condizioni
un microscopio può dare immagini con dettagli distanti sm ≅ 0.20 µm. L’acuità
visiva dell’occhio umano in condizioni pressoché ottimali risolve dettagli
distanti su ≅ 75 µm = 375 sm. Affinché l’occhio umano possa utilizzare in
pieno il potere risolutivo del microscopio, risulta necessario fare lavorare il
microscopio con ingrandimenti dell’ordine di grandezza di Iv = 400 X. Un
calcolo più elaborato e flessibile, tale da tenere conto del parametro N.A., può
essere impostato portando il potere risolutivo sm = 0.275 µm / N.A. a valori “a
misura d’uomo” 100 µm < su < 200 µm. Si ottengono in corrispondenza valori
di Iv compresi nell’intervallo
364 N.A. < Iv < 727 N.A.
Valori di ingrandimento visuale compresi in questo intervallo sono detti valori
di ingrandimento utile. Con valori troppo piccoli le potenzialità di risoluzione
del microscopio non sono sfruttate adeguatamente in confronto ai limiti
dell’acuità visiva umana mentre per valori troppo grandi si ha sì un’immagine
più grande, ma “sgranata” e senza i dettagli che l’ingrandimento ci farebbe
aspettare. Inoltre un eccessivo ingrandimento (ingrandimento vuoto) finisce
per aumentare l’impatto dei fenomeni parassiti (aberrazioni, ecc.) e quindi
anziché migliorare la qualità dell’immagine, finisce addirittura per peggiorarla.