Saufi Sara 5° A Liceo Scientifico Tecnologico “Giulio Natta” A.S. 2013/2014 INDICE o Introduzione ……………………………………………………………………………………………………3 o Breve storia della lotta al dolore……………………………………………………………………..4 o Il sistema nervoso…………………………………………………………………………………………..…9 o o Considerazioni generali…………….………………………………………………………………..9 Anatomia e fisiologia del tessuto nervoso……………………………………………………9 Genesi dell’impulso nervoso……………………………………………………………………….11 Trasmissione dell’impulso nervoso……………………………………………………………..13 Segnali elettrici nei neuroni…………………………………………………………………………..14 Circuiti elettrici………………………………………………………………………………………..14 Circuito equivalente della membrana cellulare……………………………………………17 Il dolore……………………………………………………………………………………………………………..22 Corpo e mente: Dalla psicoanalisi freudiana alla psicoterapia corporea reichana……….23 Un elemento imprescindibile ed esistenziale: C.I.P.A. ……………………………………………………………………………………………25 Il tormento della vita-Arthur Schopenhauer………………………………………25 Il tormento della vita-Giacomo Leopardi…………………………………………..26 “A sé stesso”……………………………………………………………………………………..27 Un passo avanti: l’accettazione……………………………………………………………………28 o Conclusions…………………………………………………………………………………………………………30 o Bibliografia e fonti……………………………………………………………………………………………..31 2 INTRODUZIONE Il dolore, sensazione da tutti provata più volte nel corso della vita, è nemico secolare dell’uomo, che fin dall’inizio della sua esistenza ha tentato di combattere con ogni mezzo a sua disposizione. Da un altro lato però, esso è considerato da molte culture un elemento naturale della vita dell’uomo, e da affrontare con coraggio: molte tradizioni prevedono che l’uomo si sottoponga a vere e proprie torture per dimostrare la propria forza, per la purificazione dello spirito, o più semplicemente, per conoscere i propri limiti. Basti pensare ai temerari fachiri, che corrono sui carboni ardenti e sembrano non provare alcun dolore, anche se la pelle è stata concretamente bruciata; o alla circoncisione che, in alcuni paesi, viene praticata senza anestesia: questa sensazione è dunque soggettiva, ed è influenzata da molti fattori psichici, oltre che culturali. Un’ulteriore conferma di questo fatto si può ritrovare in avvenimenti altrettanto “strani” ed inusuali, come la falsa gravidanza avvertita da alcuni uomini che, sono emotivamente coinvolti nella gestazione della partner a tal punto da avvertire in prima persona i dolori del parto, vivendo a loro modo l’esperienza di mettere al mondo un figlio. Il dolore gioca un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo, permettendogli la sopravvivenza: è proprio l’importanza di un elemento tanto fastidioso che mi ha portato ad approfondire questo tema, che va necessariamente spiegato sotto un punto di vista biologico e fisico. Leggendo l’evoluzione della lotta contro il dolore nella storia si può capire come scienze diverse si sviluppino parallelamente nel tempo: i grandi momenti storici di svolta per la comunità scientifica sono infatti gli stessi per quanto riguarda la medicina, la filosofia, l’astronomia e la fisica (Rinascimento, Illuminismo, Rivoluzione industriale, Novecento). Ho accennato qualche nozione generale sul sistema nervoso, in modo da poter spiegare più approfonditamente il meccanismo di nascita e conduzione dell’impulso nervoso, responsabile della percezione del dolore. La natura elettrica degli impulsi nervosi mi ha portato poi ad analizzare la membrana cellulare dei neuroni, considerandoli veri e propri circuiti elettrici dotati di resistenza (o conduttanza) e capacità elettrica. Si può parlare di dolore solo dopo aver chiarito queste nozioni biologiche: le scoperte di anatomisti e fisiologi confermano che esso consta di una parte fisica e di una emotiva. Quest’ultima è oggetto di studi da molto tempo, ed è quella che rende più difficoltosa la ricerca in questo ambito. La soggettività dell’esperienza del dolore è infatti protagonista delle osservazioni di molti studiosi, tra i quali ho citato Sigmund Freud e Wilhelm Reich, che fecero un collegamento tra sofferenza psicologico-esistenziale e dolore fisico manifestato sottoforma di morbi nevrotici. Per questo, se la percezione dolorosa è fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo (e a tal proposito ho trattato della sindrome di C.I.P.A.), essa è una sensazione propria della vita, e provoca necessariamente una tormentosa sofferenza esistenziale che l’essere umano fatica ad accettare. Il filosofo Arthur Schopenhauer ed il poeta Giacomo Leopardi erano ossessionati da questa concezione pessimistica, tanto che entrambi consideravano la vita intera come un evento doloroso, interrotto da piccoli piaceri fugaci che non danno la vera felicità. Bisogna però fare un passo avanti: Friedrich Nietzsche spiegò che la vita può essere vissuta con maggiore serenità quando è caratterizzata dalla consapevolezza e dall’accettazione di tale sofferenza. 3 BREVE STORIA DELLA LOTTA AL DOLORE Il dolore ha assunto diversi significati nel corso della storia, e sono state formulate numerose teorie per spiegare in maniera completa ed efficace il meccanismo che permette all’uomo di avvertire tale percezione. L’ uomo, nei primi periodi storici, non avendo conoscenze sufficienti di anatomia e fisiologia, attribuiva la causa del dolore a divinità e demoni sui quali egli non riusciva a prendere il controllo autonomamente: perciò, si applicavano metodi curativi spirituali, che prevedevano esorcismi e rituali a cui sottoporsi, spesso accompagnati dall’ assunzione di erbe medicinali e piccoli interventi chirurgici. L’uomo del Paleolitico inferiore apprese vari metodi con cui trattare le sue lesioni osservando il comportamento degli animali che lui stesso attaccava: essi leccavano e mordicchiavano le proprie ferite, ed egli imparò in breve tempo a fermare piccole emorragie, grazie anche all’apposizione di ciuffi d’erba, cenere o ragnatele su di esse. Capì che il ghiaccio poteva alleviare il dolore, così come i massaggi e le frizioni. L’ elemento demoniaco (il cosiddetto Malum) era la causa di qualunque dolore, e per questo era necessario rivolgersi ai sacerdoti per scacciare i demoni del dolore dal corpo e stare meglio. Siamo a conoscenza di queste informazioni grazie agli affreschi che ritraevano demoni e spiriti da combattere, come nell’immagine a fianco. Qualche secolo più tardi, in Mesopotamia, si attribuì al sacerdote il ruolo di medico ufficiale, che ricercava le erbe migliori per alleviare il dolore, prediligendo in particolare piante come la valeriana, il papavero o la cannabis, che vennero utilizzate per tutti i secoli a venire (basti pensare che dal papavero si estrae l’ oppio, e che i farmaci oppiacei sono efficaci analgesici, utilizzati ai giorni nostri nella terapia del dolore). Il suo ruolo però, era soprattutto quello di esorcizzare il paziente, che doveva espiare le proprie colpe con specifici rituali. Col tempo, il ruolo di medico iniziò a distaccarsi da quello del sacerdote: già nell’ Antico Egitto, i due compiti erano separati, e si impose un’ impostazione metodologica precisa ed efficace, che comprendeva l’ analisi delle feci e delle urine. In questa cultura, l’ idea di “principio tossico” portatore di dolore era molto diffusa, ed il medico consigliava l’ espulsione fisica di questo elemento, tramite l’assunzione di purghe molto forti, come l’olio di ricino. Era inoltre sviluppata la chirurgia, che prevedeva piccoli interventi, come la circoncisione. Le religioni monoteiste, e in particolare, l’ ebraismo, attribuirono una differente interpretazione dell’ intervento divino come causa del dolore: innanzitutto lo spiegarono come conseguenza del 4 peccato originale di Adamo ed Eva, e in un secondo momento, lo ritennero necessario perché l’uomo potesse dimostrare la sua umiltà e il suo attaccamento a Dio. Una diversa attribuzione di significato del dolore, invece, fu data dalle culture orientali: i cinesi, ad esempio, individuarono la causa del male nella rottura degli equilibri tra Yin e Yang, i costituenti del flusso energetico dell’uomo. A questa popolazione dobbiamo l’ utilizzo di pratiche anestetizzanti, come l’ agopuntura (terapia che consiste nel conficcare aghi sotto la cute del paziente) e la moxibustione (terapia che viene affiancata all’ago puntura, nella quale una pianta viene bruciata sulla pelle). La teoria degli squilibri venne ripresa anche nella cultura indiana, in cui acqua, aria e fuoco dovrebbero trovarsi in quantità proporzionate corrette per permettere il benessere dell’individuo. Con l’avvento del buddismo poi, si diffuse l’ idea dell’ ascesi, con la quale l’ uomo distrugge la propria volontà di vivere (e dunque il dolore che ne deriva), per elevarsi ad uno stato di Nirvana. Un contributo significativo negli studi di medicina venne dato dall’ Antica Grecia, la cui cultura privilegiava un’ alimentazione sana ed equilibrata, accompagnata da un regolare esercizio fisico. Essa non era strettamente subordinata alla componente divina, pur ricorrendo spesso a rituali sacerdotali e alla preparazione di pozioni magiche curative. La novità del tempo fu la teoria umorale di Ippocrate: l’uomo è formato da quattro umori (bile gialla, bile atra, flemma e sangue), determinati dalla combinazione dei quattro elementi fondamentali, ovvero aria, acqua, terra e fuoco. Gli studiosi greci furono inoltre i primi ad operare una distinzione tra nervi di senso e nervi di moto. Essi influenzarono molto anche altre culture, come quella romana, che vide come figura di particolare rilievo Galeno: egli, grazie ai suoi approfonditi studi di anatomia e fisiologia, individuò nel cervello la causa della percezione del dolore, ed ipotizzò che anche gli organi interni fossero innervati. Conseguentemente, si diffuse presto l’idea che il dolore non fosse una malattia a sé stante, ma che fosse la causa di una disfunzione fisica. La rinascita della ricerca sul dolore si verificò nel Medioevo con la fondazione della Scuola Salernitana, perché si appose una regolamentazione degli studi di medicina, che divennero più specifici ed approfonditi: infatti, in questo periodo, si fecero i primi tentativi di applicazione di un’ anestesia topica, ovvero localizzata nell’area dolorante, tramite l’apposizione di anestetici esterni. Visto il successo di questa Scuola, vennero fondate qualche decennio più avanti, le Università: le conoscenze si ampliarono, e vennero integrate con quelle di 5 altre culture (ad esempio, si diffusero i metodi di estrazione dei principi attivi dalle erbe, ideati ed applicati dai medici arabi). La concezione del dolore iniziava a distaccarsi dall’ idea religiosa che le era stata attribuita, anche se ci vorranno ancora secoli prima che se ne liberi completamente. Gli studiosi idearono nuovi trattamenti, come la fangoterapia o l’idroterapia, e fecero una distinzione tra nervi volontari e involontari. La scoperta dell’ America, inoltre, permise ai ricercatori di venire a conoscenza della coca, pianta che veniva masticata dalla popolazione in questa zona del mondo per attenuare dolori di vario tipo: essa sarà, più tardi, la base per la composizione di alcuni anestetici locali. Nel periodo rinascimentale, dunque, la medicina divenne un sapere sempre più razionale e metodologico; evoluzione della quale bisogna essere in buona parte grati al genio Leonardo Da Vinci, che scoprì nuove nozioni di anatomia tramite il sezionamento di cadaveri. I miglioramenti nel campo dell’ analgesia portarono l’ uomo ad usufruire delle proprie conoscenze anche per rendere meno dolorose le amputazioni punitive agli arti dei criminali. Inoltre vennero compiuti, a questo proposito, i primi studi sulla cosiddetta sindrome dell’arto fantasma, in cui un uomo che ha perduto un arto, lo sente dolere pur non essendo più parte del suo corpo. Con le rivoluzioni scientifiche del XVI secolo, si fecero altri passi avanti. Le scienze vennero viste sotto un nuovo punto di vista: si iniziarono a rifiutare teorie non scientifiche o non provate sperimentalmente, e a tal proposito si costruì il primo microscopio ottico. La filosofia si avvicinò alla medicina, tant’è che Cartesio, uno dei più grandi esponenti della corrente filosofica empirista, fu il primo studioso ad ipotizzare un meccanismo di trasmissione del dolore. Per chiarire questo processo, egli portò l’ esempio di un ragazzo che con il piede si avvicina ad una fiamma. In che modo egli prova dolore? La spiegazione, secondo il filosofo, è che le particelle della fiamma, avvicinandosi al piede, provocano la trazione del filamento attaccato a questa zona di cute, nella quale si viene a creare un foro in cui termina la parte del filamento che si diparte dal cervello, sede della percezione dolorosa. 6 In seguito alla formulazione di questa teoria avanzarono varie ipotesi riguardo alla trasmissione dell’ impulso: il secolo successivo, quello dell’Illuminismo, fu caratterizzato dall’ idea generale che il dolore fosse provocato dall’intensità con cui i nervi, stimolati da fattori esterni, vibrano. La differenza sostanziale tra una carezza ed uno schiaffo, consiste perciò nella forza con cui la percezione viene avvertita: il dolore è un tipo di piacere che ha valicato il limite. Un’ altra interpretazione, invece, attribuì la differenziazione delle sensazioni allo stimolo stesso: se esso è anormale, ovvero in eccesso o in difetto rispetto a quello a cui è abituato il corpo, si prova dolore. Gli studi portarono inoltre a scoprire l’ esistenza di nervi simpatici (la cui funzione non era ben chiara), e le osservazioni al microscopio permisero di osservare la struttura dell’ assone e del nucleo dei neuroni. La ricerca scientifica progrediva portando a scoperte essenziali nell’ ambito della lotta contro il dolore, e la filosofia si distaccava sempre più dalla medicina. In particolare, uno dei più grandi dubbi affrontati a partire dal XIX secolo, fu quello del withdrawal reflex (conosciuto oggi come riflesso spinale), ovvero la contrazione muscolare prodotta da un impulso sensoriale doloroso. I numerosi esperimenti compiuti sulle rane permisero agli studiosi di comprendere che questo riflesso non è affatto dettato dalla parte conscia dell’ uomo. Infatti nelle rane che venivano decapitate, e dunque private del cervello, indispensabile perché il dolore venga percepito, il riflesso era più ampio e più potente: il cervello, perciò, non solo non è responsabile di tale fenomeno, ma lo inibisce. Charles Bell, un chirurgo, anatomista e neurologo scozzese operante in questo periodo storico, definì questo fenomeno come una “risposta naturale al dolore”, e insieme al collega François Magendie, chiarì la fisiologia del midollo spinale: le radici posteriori portano l’impulso dalla periferia al sistema nervoso centrale, quelle anteriori si occupano dell’ aspetto motorio. Innovazioni tecnologiche come il chimografo o l’elettrostimolatore a slitta furono di grande aiuto per visualizzare l’ andamento di fenomeni fisiologici, quali la respirazione, il battito cardiaco o la contrazione muscolare. In questo periodo, inoltre, si sintetizzò in laboratorio per la prima volta un medicinale analgesico, che viene utilizzato ancora oggi: l’aspirina. Dopo molti dibattiti ed esperimenti, si arrivò finalmente a spiegare il meccanismo del tanto studiato riflesso spinale: esso entra in comunicazione con altri stimoli provenienti dal cervello e da ciò ne deriva la sua inibizione. Ha inoltre origine nel mesencefalo. Grazie alle scoperte sul midollo spinale e sul sistema nervoso, si tentò di applicare per le prime volte anestesie spinali e locoregionali (anestesie locali con durata e intensità maggiore). 7 Importantissimo nel XX secolo fu il contributo di Golgi, che inventò la reazione nera, un composto che colora le cellule nervose di nero, rendendoli ben visibili al microscopio ottico: da questo si notò, oltre alla struttura del neurone, la presenza di sinapsi, che vennero divise in eccitatorie ed inibitorie, e si chiarì la funzione dei neurotrasmettitori. Finalmente si spiegò cosa fosse veramente il dolore e si suddivise in tre fasi: ricezione, conduzione, percezione. Venne inoltre ripreso un dubbio nato nel secolo precedente: la percezione del dolore dipende da vie specifiche che l’impulso nervoso prende o dall’intensità degli stimoli ricevuti? La risposta fu data da Livingston, che confermò la specificità della trasmissione, introducendo il concetto di recettori del dolore (nocicettori). L’algologia diventò una branca molto importante della medicina, e venne fondato in questo secolo il primo Ospedale per la terapia del dolore. Oggi esistono migliaia di centri di questo tipo, che offrono servizi di anestesia e di diagnosi del dolore: c’è infatti da distinguere quando esso è sintomo e quando è malattia. Questi ospedali si occupano di curare dolori cronici (come cefalee, nevralgie o dolori reumatici), acuti (dolori post-operatori o da parto) e da cancro. L’obiettivo dei medici è quello di creare un servizio di terapia al dolore in ogni ospedale, sia per migliorare la vita del paziente, sia per diminuire le complicanze e i tempi di ricovero. Inoltre la persona che deve essere ricoverata o per intervento o per partorire lo farebbe con molta più serenità e tranquillità sapendo che gli è garantita la protezione integrale dal dolore. Oggi il dolore non è più un semplice stimolo: esso è anche l’integrazione di fattori culturali, sociali, affettivi; l’aspetto più difficile nella terapia del dolore è infatti quello di individuare quali siano le vere cause di tale disturbo, ed agire di conseguenza. 8 IL SISTEMA NERVOSO Considerazioni generali Il sistema nervoso svolge tre funzioni principali: ricevere, elaborare, e trasmettere stimoli interni o esterni al corpo, per permettere all’essere umano di relazionarsi con il proprio ambiente. Esso è suddiviso, secondo un criterio anatomico, in sistema nervoso centrale (SNC) e sistema nervoso periferico (SNP). Il sistema nervoso centrale è la parte del sistema nervoso che si occupa del controllo e dell’elaborazione delle informazioni trasmesse. Esso è composto dall’ encefalo, completamente contenuto nella scatola cranica, e dal midollo spinale, collocato all’interno del canale vertebrale. Quest’ ultimo permette la comunicazione tra l’encefalo e il sistema nervoso periferico, atto alla trasmissione di stimoli e risposte. Il sistema nervoso periferico è formato da gangli (raggruppamenti di neuroni) e nervi, che possono essere distinti in sensoriali o motori. La componente motoria del SNP presenta un’ ulteriore differenziazione: nel caso in cui vengano innervati muscoli scheletrici (volontari), si parla di sistema nervoso somatico, quando invece ad essere innervati sono organi costituiti da muscolatura liscia (involontaria), si tratta di sistema nervoso autonomo (o vegetativo), che viene detto simpatico se interviene in situazioni di allerta, o parasimpatico se è coinvolto nelle attività di riposo del corpo. Anatomia e fisiologia del tessuto nervoso Il sistema nervoso è costituito da tessuto nervoso, che presenta due caratteristiche fondamentali: eccitabilità, ovvero capacità delle cellule nervose di reagire alla sollecitazione da parte stimoli esterni, convertendoli in impulsi nervosi; e conducibilità, cioè la capacità di trasmettere questi impulsi ad altre cellule nervose, trasformando segnali chimici in corrente elettrica. Questa peculiarità del tessuto nervoso è garantita dai neuroni, cellule eccitabili, altamente differenziate e perenni (essi smettono di moltiplicarsi, ed è per questo che ogni danno a loro carico è irreversibile). 9 Ogni neurone è circondato dalle cellule gliali o nevroglie, cellule con funzioni strutturale, protettiva e nutritiva del neurone, che non partecipano alla trasmissione dell’impulso, non essendo eccitabili. Il neurone è formato da un corpo cellulare (detto anche soma o pirenoforo), che contiene il nucleo del neurone; uno o più assoni: lunghi prolungamenti, all’interno dei quali si trasmette l’ impulso nervoso in direzione centrifuga rispetto al soma. Nel sistema nervoso periferico, essi sono spesso rivestiti di guaina mielinica, un rivestimento lipidico non continuo con funzione isolante: esso si interrompe ad intervalli regolari in corrispondenza di punti, detti nodi di Ranvier, che permettono all’impulso di viaggiare più velocemente, in quanto la conduzione elettrica risulta essere saltatoria. Le interruzioni della guaina mielinica danno luogo alle cellule di Schwann. Nel sistema nervoso centrale, invece, viene svolta una funzione analoga dagli oligodendrociti; numerosi dendriti: fibre ramificate, in cui l’impulso viaggia in direzione centripeta rispetto al soma. Ci sono tre tipi principali di neuroni: i neuroni sensoriali, che ricevono le informazioni sensoriali e le trasmettono al SNC, gli interneuroni, che trasmettono i segnali all’ interno dell’ encefalo e del midollo spinale, e i neuroni motori, che mandano impulsi dal SNC ad organi, come i muscoli o le ghiandole, detti “effettori”. 10 Genesi dell’impulso nervoso Tra la superficie interna e quella esterna della membrana cellulare del neurone esiste, in condizioni di riposo, una differenza di potenziale, che viene detta potenziale di riposo, di circa -70mV, causata dalla differente concentrazione ionica ai due lati della membrana (si dice che essa è polarizzata). Infatti, la concentrazione di ioni all’interno di un assone è circa 30 volte maggiore rispetto al liquido extracellulare, in cui la concentrazione di ioni è circa 10 volte maggiore rispetto allo spazio intracellulare: questo è possibile grazie al doppio strato fosfolipidico impermeabile di cui è fatta la membrana. Il passaggio delle particelle attraverso di essa, infatti, dipende dalla presenza di proteine integrali di membrana, che costituiscono i canali per il passaggio di ioni specifici, in questo caso e . L’informazione nervosa si basa sulla capacità dei neuroni di generare correnti elettriche, in seguito a modificazioni della permeabilità della membrana, causate dall’apertura o chiusura dei canali ionici. I segnali elettrici generati sono di due tipi: Potenziale graduato: può essere modulato in ampiezza, ma agisce a breve distanza, perché subisce decremento man mano che si allontana dal punto in cui è stato generato, si crea nei dendriti o nel soma e viene trasportato fino a una zona detta trigger, in cui, se raggiunge un certo valore, si trasforma in potenziale d’azione, dipende dal numero di canali ionici aperti (è sommabile!); Potenziale d’azione: fenomeno non modulabile in ampiezza, ma in frequenza, che si propaga a distanza senza che si abbassi la sua intensità, la sua propagazione corrisponde alla trasmissione di un impulso nervoso. È un evento del tipo tutto o nulla: o avviene oppure no Quando la membrana dell’assone è a riposo, i canali del sono chiusi. L’arrivo di uno stimolo permette l’apertura di questi canali, facendo entrare nella membrana dell’assone gli ioni ,che si muovono secondo gradiente di concentrazione, siccome l’interno dell’assone ha carica più negativa rispetto allo spazio extracellulare. Questo spostamento provoca un fenomeno di depolarizzazione, ovvero di variazione della differenza potenziale elettrico e della permeabilità della membrana cellulare. Dal momento in cui si avvia la depolarizzazione, inizia il periodo refrattario assoluto, in cui la cellula non risponde ad alcuno stimolo che la raggiunge. 11 Se la depolarizzazione raggiunge un determinato valore-soglia, essa dà luogo al potenziale d’azione, che provoca un più massiccio spostamento di ioni all’interno della membrana: essa subisce un’inversione della polarità (il potenziale passa da una carica negativa a positiva). I canali del si chiudono immediatamente, e vengono aperti quelli del , che fuoriesce dall’ assone per bilanciare il flusso precedente di cariche: questo fenomeno è detto ripolarizzazione, e comprende una fase transitoria, l’iperpolarizzazione, in cui il potenziale elettrico diventa più negativo del potenziale di riposo. Nella fase di ripolarizzazione si ha un passaggio da periodo refrattario assoluto a relativo: la cellula può rispondere a degli stimoli, se essi sono oltre il valore-soglia iniziale. Per permettere il ripristino della situazione iniziale, si ha bisogno di una proteina di membrana, la pompa sodio-potassio ( / ). Questa riporta gli ioni fuori dall’assone e i all’interno con una forma di trasporto attivo (richiede infatti ATP). Nel caso in cui, invece, la depolarizzazione non raggiunga il valore soglia, il potenziale graduale non innesca un potenziale d’azione, e provoca una risposta passiva da parte della cellula: questo dipende da diversi fattori, che verranno trattati successivamente. Una caratteristica fondamentale dell’ impulso nervoso è che il meccanismo appena spiegato continua a propagarsi spontaneamente lungo l’assone: questo avviene perché il potenziale di azione formatosi in una zona della membrana innesca la produzione di un altro potenziale di azione nella zona limitrofa e così via per tutta la lunghezza dell’assone, senza che l’intensità dell’impulso ne risenta. 12 Trasmissione dell’ impulso nervoso Quando l’impulso giunge alla fine dell’assone, deve essere trasferito al neurone successivo. Questo avviene grazie alla presenza di giunzioni neuronali, le sinapsi, che consentono la comunicazione delle cellule nervose tra loro o con altre cellule. L’assone della cellula pre-sinaptica (che trasmette gli stimoli) può comunicare con uno dei tre elementi costituenti del neurone post-sinaptico (che riceve l’impulso): si possono distinguere infatti sinapsi assoassoniche (l’assone è collegato all’assone di un altro neurone), asso-dendritiche (l’assone è collegato ai dendriti di un altro neurone) o asso-somatiche (l’assone è collegato al corpo cellulare di un altro neurone). Le sinapsi, inoltre si differenziano in elettriche: il neurone e la cellula stimolabile sono uniti da una gap juction (una giunzione tra cellule che permette il passaggio di ioni tramite specifici canali proteici), che rende la comunicazione bidirezionale e rapida. Infatti, questo tipo di sinapsi è caratterizzata dalla formazione di corrente elettrica tramite il passaggio diretto di ioni da una cellula all’altra, ed è adatta per i riflessi, che richiedono molta velocità; chimiche: le due cellule non sono in diretto contatto tra di loro, ma sono separate dallo spazio sinaptico. L’assone del neurone pre-sinaptico termina in un rigonfiamento, il bottone sinaptico, contenente sostanze chimiche, i neurotrasmettitori, che sono contenuti nelle vescicole sinaptiche. Il potenziale di azione raggiunge il bottone sinaptico,e provoca l’apertura dei canali degli ioni Ca2+, che entrano nell’assone, favorendo la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana cellulare e lo svuotamento dei neurotrasmettitori nello spazio sinaptico. Questi, combinandosi poi con specifici recettori che si trovano sulla membrana della cellula post-sinaptica, consentono l’apertura dei canali di Na+ e la depolarizzazione della membrana post-sinaptica, permettendo la trasmissione dell’impulso nervoso 13 SEGNALI ELETTRICI NEI NEURONI Circuiti elettrici Per comprendere in che modo la corrente elettrica agisca sulle cellule nervose occorre spiegare il funzionamento generale di un circuito elettrico e chiarire le componenti che ne fanno solitamente parte. La corrente elettrica è definita come un flusso di cariche elettriche tra due punti: se il percorso che le cariche compiono è chiuso, si origina un circuito elettrico. Questo fenomeno è causato dal fatto che tra i due punti (poli) esiste una differenza di potenziale, chiamata forza elettromotrice (f.e.m.): essa è uguale al lavoro, per unità di carica, che compie la forza del campo elettrico nello spostare le cariche, dal potenziale più alto a quello più basso (se la carica spostata è positiva e viceversa se negativa). L’intensità della corrente elettrica è dunque definita come la quantità di cariche trasportate nell’unità di tempo : Il filo sul quale si spostano le cariche oppone sempre una determinata resistenza, che abbassa l’intensità della corrente elettrica circolante. La prima legge di Ohm afferma infatti che per un filo con resistenza R, la differenza di potenziale V necessaria per ottenere una corrente I è data dalla formula: La resistenza del filo dipende da caratteristiche del filo stesso, e in particolare dall’ area della sua sezione, dalla lunghezza e dalla resistività, che è una grandezza che varia a seconda del materiale con cui è fatto il filo. Ne segue la seconda legge di Ohm: Un circuito elettrico può inoltre presentare più resistenze. In questo caso, per conoscere le caratteristiche del circuito, lo si può considerare come se fosse dotato di una sola resistenza, detta resistenza equivalente. Per calcolarne il valore, bisogna considerare il modo con cui le resistenze sono collegate; si distinguono: Resistenze in serie: ai capi delle resistenze si ha un’uguale intensità di corrente e una diversa differenza di potenziale. Perciò, per la prima legge di Ohm: ; ; Da cui si può dedurre che la resistenza equivalente è: 14 Resistenze in parallelo: ai capi delle resistenze si ha diversa intensità di corrente e la stessa differenza di potenziale. Perciò: Un componente che ha un funzionamento contrario di una resistenza è una conduttanza, ovvero la misura quantitativa dell’attitudine di un conduttore di farsi attraversare da corrente elettrica. Essa è il reciproco della resistenza: Un altro componente dei circuiti elettrici è il condensatore, elemento in grado di immagazzinare delle cariche sulle proprie armature. La quantità di cariche che esso può contenere dipende dalla sua capacità, ed è proporzionale al potenziale elettrico applicato: Anche i condensatori possono essere inseriti in serie o in parallelo all’interno di un circuito. Condensatori in serie: si collegano come le resistenze in serie. Ai capi di ogni condensatore la differenza di potenziale è diversa, ma si ha la stessa quantità di carica sulle armature. Per cui: ; ; 15 Condensatori in parallelo: sono collegati come le resistenze in parallelo. La differenza di potenziale che c’è ai capi di ogni condensatore è uguale, ma è diversa la carica accumulata sulle armature di ciascun condensatore. Perciò: ; ; I circuiti RC sono particolari circuiti dotati di resistenze e condensatori: in essi, le cariche vengono immagazzinate nei condensatori gradualmente, poiché le resistenze limitano la velocità di accumulo. Quando l’interruttore è aperto, al tempo t<0 (Figura 1), non circola corrente nel circuito e non è presente alcuna carica sulle armature del condensatore. L’interruttore viene chiuso (Figura 2): la corrente inizia a scorrere e la carica si deposita sulle armature del condensatore in un tempo finito. La carica sul condensatore cresce gradualmente, secondo la legge: ⁄ Figura 1 ) Con la costante di tempo = Per la carica corrisponde a Figura 2 16 Per quanto riguarda invece il processo di scarica del condensatore, è anch’esso graduale: si inizia da un’intensità di corrente massima, che diminuisce sempre di più, tendendo a zero: ⁄ Circuito equivalente della membrana cellulare Per spiegare l’andamento temporale e l’ampiezza delle variazioni di potenziale innescate da correnti elettriche iniettate in una cellula nervosa, si può far riferimento ad un modello di circuito elettrico semplificato, detto circuito equivalente, che non contiene componenti o collegamenti reali ma solo componenti e collegamenti ideali. Precedentemente abbiamo detto che la generazione o meno di un impulso elettrico dipende da diversi fattori, le proprietà passive della membrana. In una cellula a riposo, il gradiente di concentrazione degli ioni è orientato in modo tale da agevolare il passaggio di questi all’interno della membrana assonica, ma, fintanto che i canali ionici sono chiusi, non avviene il passaggio. Dunque, si può considerare questa struttura come un circuito elettrico aperto orientato verso lo spazio intracellulare, in cui non c’è movimento di cariche. Il gradiente di concentrazione, invece, corrisponde alla forza elettromotrice del circuito che mette in moto le cariche elettriche: essa è data dalla differenza tra il potenziale di membrana e il potenziale di equilibrio dello ione (potenziale in cui non avviene più flusso di ioni): - 17 Vediamo ora quali sono le proprietà passive del neurone: La peculiarità della membrana plasmatica di isolare due strati di ioni (conduttori), conduttore fungendo da isolante, la dota di una capacità elettrica analoga a quella di un condensatore. isolante L’entità della capacità di membrana è legata dunque alla possibilità di accumulare una certa carica sulle sue superfici. La capacità in ingresso di un neurone dipende dalle dimensioni del neurone e dalla capacità specifica della membrana: Maggiore è l’area del neurone, maggiore è la sua capacità. All’apertura dei canali di si associa la chiusura del circuito equivalente, con il verificarsi di un flusso di corrente causato dal gradiente di concentrazione. I canali ionici, dunque, agevolano il passaggio degli ioni Na+, e danno alla membrana le caratteristiche di una conduttanza. Quanto più è minore la conduttanza della membrana, tanto più è maggiore la sua resistenza: ne consegue che la conduttanza è una misura della permeabilità degli ioni e che la resistenza misuri invece l’impermeabilità. La conduttanza totale di membrana dipende dal numero di canali ionici aperti e dalla conduttanza di ognuno di essi: La resistenza specifica di membrana, inoltre è il reciproco della conduttanza: La resistenza in ingresso di un neurone (ovvero la resistenza che esso oppone al passaggio di corrente entrante) dipende dalla resistenza specifica di membrana e dalla sua area: tanto più è grande il neurone, quanto minore è la sua resistenza in ingresso, e viceversa. Infatti, considerando un neurone ideale di forma sferica: 18 Viste la capacità e la conduttanza della membrana, essa è facilmente rappresentabile con un circuito elettrico RC dotato di una resistenza e un condensatore collegati in parallelo. La variazione della differenza di potenziale di membrana determinata dall’iniziezione di correnti elettriche segue abbastanza fedelmente la prima legge di Ohm, e possiamo affermare che essa, a causa della resistenza opposta dalla membrana, cresce lentamente sino a raggiungere il valore: e discenda altrettanto lentamente alla fine dello stimolo. La fase crescente della variazione di potenziale può essere descritta dalla formula dei circuiti RC: ⁄ Con = Le proprietà capacitive e resistive della membrana determinano il tipico andamento della variazione di Vm in risposta ad un impulso di corrente rettangolare (c). Se la membrana avesse solo proprietà resistive, le variazioni di Vm sarebbero istantanee (a). Se la membrana avesse solo proprietà capacitive, le variazioni di Vm sarebbero lente ma progressive (b). 19 La fase decrescente del potenziale è invece descritta dalla formula: ⁄ La costante di tempo rappresenta il tempo necessario perché il potenziale di membrana aumenti o diminuisca fino a raggiungere o perdere il 63% del suo valore stazionario finale. In molte cellule nervose questo valore è intorno a 10ms. Perciò, l’eccitabilità neuronale dipende da τ: tanto minore è il valore di t, tanto più velocemente si può generare il segnale elettrico. La terza proprietà passiva è la resistenza assiale. L’ampiezza di un potenziale trasportato lungo un assone o nei dendriti di un neurone descresce man mano che si allontana dal punto di origine (si tratta infatti di un potenziale graduato): per questo si parla di corrente elettrotonica. Si può assimilare l’assone ad un cavo elettrico, in quanto due conduttori (assoplasma, ovvero liquido intracellulare e liquido extracellulare) sono separati da un tubo isolante (membrana), che è però imperfetto, a causa delle perdite di corrente che si verificano lungo il percorso. 20 La diminuzione di corrente lungo il percorso dell’assone dipende da (vedere la figura): : la resistenza dell’assone dipende dalla resistività o di 1 o (resistenza specifica di assoplasma) ed è inversamente proporzionale all’area di una sezione : la resistenza della membrana dipende dalla sua resistenza specifica ed è inversamente proporzionale all’estensione laterale della membrana La variazione di potenziale decresce esponenzialmente con l’aumentare della distanza dal punto di origine. Essa è calcolabile tramite la formula: ⁄ Con la costante di lunghezza √ da cui dipende la velocità di propogazione del segnale. In conclusione, una corrente elettrica iniettata in un neurone ha diversi comportamenti a seconda delle caratteristiche passive della cellula, ovvero resistenza o conduttanza della membrana, capacità elettrica della membrana e resistenza assiale. In particolare, si può affermare che la membrana cellulare si comporta come un circuito RC, aumentando gradualmente nel tempo la differenza di potenziale, e permettendo la depolarizzazione. Se essa raggiunge il valore soglia, si ha l’innesco di un potenziale d’azione e la creazione di un impulso nervoso, se no, essa torna al potenziale di riposo. Per quanto riguarda invece la trasmissione dell’impulso lungo l’assone, si può considerare questo elemento come un filo conduttore, che, a causa della sua resistenza intrinseca, della lunghezza e del diametro, fa diminuire esponenzialmente il valore del potenziale, che essendo un potenziale graduato, è dotato della proprietà di sommazione: può essere sommato a potenziali che corrispondono ad impulsi in altri punti, per raggiungere il valore-soglia e creare il potenziale d’azione. 21 IL DOLORE Secondo l’ Associazione Nazionale per lo Studio del Dolore (IASP): <<II dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno>> Esso si compone di due parti fondamentali: Nocicezione: comprende la modalità sensoriale che permette la ricezione e la trasmissione al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente dannosi per l’organismo. Essa viene garantita grazie alla presenza dei nocicettori, che sono terminazioni periferiche libere di neuroni sensitivi, i cui corpi cellulari sono localizzati nei gangli delle radici posteriori del midollo spinale: essi vengono eccitati da vari stimoli, che possono essere meccanici, termici o chimici. Questi stimoli devono essere trasportati dalla periferia dell’ organismo verso il midollo spinale tramite i dendriti. A livello del midollo spinale si individuano dei meccanismi di modulazione del dolore, che consistono nell’abbassamento della soglia della percezione dolorosa tramite il rilascio di specifici neurotrasmettitori (come la serotonina o le endorfine). Dal midollo spinale, gli stimoli si dirigono poi verso il cervello, in cui avviene l’elaborazione cerebrale del dolore: in particolare, nella corteccia cerebrale si verifica la percezione vera e propria della sensazione. Esperienza del dolore: è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole, sulla quale incidono la dimensione affettiva e cognitiva, le esperienze passate, ma anche fattori di tipo socio-culturale. Si pensi, ad esempio, all’esperienza del parto: la nostra cultura insegna che questa è dolorosissima, e tale la fa diventare. Donne di altre culture, invece, smettono di lavorare nei campi per dare alla luce il figlio, e dopo poco tempo tornano al lavoro. Un altro esempio è dato dal fatto che molto calciatori si accorgono di essere gravemente infortunati solo durante l’intervallo o a fine partita, perché mentre giocano, la sensazione del dolore è inibita dalla concentrazione nel gioco. Questa fase è quella più complessa e misteriosa, ed è stata oggetto di studio di molti medici, psicologi e filosofi. 22 Corpo e mente Dalla psicoanalisi freudiana… Sigmund Freud fu un neurologo e psicoanalista vissuto tra il XIX e il XX secolo, che compì ricerche e scoperte importanti per quanto riguarda l’influenza della psiche in fenomeni fisici di malattie nervose. In particolare, egli concentrò la sua attenzione sull’ isteria, una malattia che provocava sintomi inusuali, quali afasia, amnesie, paralisi degli arti, insensibilità di parti del corpo, fobie, ossessioni. Si pensava che essa fosse dovuta a disfunzioni o malformazioni dell’ utero, vista la sua incidenza prevalente su soggetti femminili. Freud imparò la tecnica dell’ ipnosi dal maestro Jean-Martin Charcot per curare questa malattia: egli osservò che i sintomi di essa spesso scomparivano quando il paziente si trovava in stato di trance ipnotica. Da questo, ne derivò che l’inconscio poteva avere effetti sullo stato di salute dell’uomo, e che dunque l’ isteria, come altre nevrosi, era causata da fattori psichici, e in particolare, da esperienze passate che erano state dimenticate perché troppo dolorose. Infatti, l’uomo, quando subisce un trauma, deve necessariamente scaricare la componente affettiva legata a questo (tramite il pianto, la confessione o altri comportamenti compensativi) per non turbare l’equilibrio psichico. Quando questo non succede, l’evento traumatico viene nascosto, e l’energia affettiva trova una via di sfogo nella componente fisica dell’individuo: egli inizia a sentire sintomi di una malattia le cui cause organiche sono introvabili. Quando Freud capì il meccanismo della rimozione dei ricordi, abbandonò il metodo dell’ipnosi per sperimentare (con successo) quello dell’ associazione libera, in cui il paziente viene sollecitato dal medico a parlare di tutti i suoi ricordi, per dare sfogo agli eventi più nascosti. ..alla psicoterapia corporea reichiana Wilhelm Reich fu uno psichiatra austriaco nato nella fine del XIX secolo che, seguendo le teorie freudiane, fece molti studi sul malessere fisico che il turbamento psichico poteva provocare. Freud aveva focalizzato la sua attenzione sulla psiche, mettendo in secondo piano il corpo, tant’è che le sedute psicoanalitiche consistono in una comunicazione verbale, e non viene data importanza alla componente sintomatica della nevrosi. Reich fu il primo a restituire valore al corpo: esso, secondo lo psichiatra, non è distaccato dalla psiche, ma è parte di un’unità funzionale mente-corpo. Egli decise di studiare più approfonditamente ciò che derivava dai traumi psichici, e dunque il carattere somatico: tensione 23 muscolare, deformazione posturale, tensione del diaframma, irregolarità respiratoria, ed altri. La sua idea era quella di dare sfogo alla carica affettiva dei traumi con specifici massaggi: alleviando le contrazioni muscolari si poteva liberare l’energia portata dallo stress emotivo, facilitando la scarica affettiva. Oltre a rendere la cura più semplice ed immediata, Reich notò nei pazienti che, ogni qualvolta veniva sciolta una “corazza muscolare”, riafforavano le cause psicologiche della malattia: il massaggio agiva come una vera e propria psicoanalisi. Questa terapia prende il nome di vegetoterapia carattero-analitica, in quanto le correnti energetiche che fluiscono nell’uomo sono dette vegetative, in riferimento al sistema nervoso vegetativo. Il grande merito di Wilhelm Reich fu dunque quello di fornire un modello completo di psicoterapia, in modo da vedere l’uomo nella sua integrità biopsichica. 24 Un elemento imprescindibile ed esistenziale C.I.P.A. Come spiegato in precedenza, il dolore è il “campanello d’allarme” dell’uomo: se egli prova dolore, c’è qualche lesione o disfunzione del suo corpo o della sua psiche. C.I.P.A. è l’acronimo per Congenital Insensitivity to Pain with Anhidrosis, ed è una patologia congenita molto rara del sistema nervoso. Essa consiste nell’insensibilità tattile accompagnato da anidrosi (assenza di sudorazione), ed è causata da una mutazione genetica che impedisce la normale formazione dei neuroni responsabili della trasmissione di dolore, caldo e freddo. Questa malattia viene generalmente diagnostica in età infantile (se il bambino non muore prima per ipertermia), ed è rischiosissima: non avvertendo dolore, il malato non si accorge delle lesioni che il corpo subisce, tant’è che egli, raramente supera i 25 anni di età. Il tormento della vita – Arthur Schopenhauer Arthur Schopenhauer, fu un filosofo tedesco e uno dei maggior pensatori del XIX secolo. La sua filosofia pone le sue basi nel concetto kantiano del mondo: esso è costituito da un fenomeno, ovvero ciò che l’uomo conosce e con cui entra in relazione; e da un noumeno, elemento che corrisponde alla realtà delle cose, e che non verrà mai conosciuto dall’essere umano. Schopenhauer elimina l’elemento noumenico per l’assenza di prove della sua esistenza, ed afferma perciò che la realtà conoscibile all’uomo è mera rappresentazione, ed è garantita esclusivamente dalle forme di spazio, tempo e causalità. La conoscenza di un oggetto, dunque, per non essere illusoria, non deve essere mediata da strumenti conoscitivi che ne deformino la realtà: l’unico elemento con questa caratteristica è il corpo. Questo, infatti, viene conosciuto con immediatezza, ed esplica la sua esistenza tramite la percezione della volontà, che, nella filosofia schopenhaueriana, assume un ruolo centrale: essa è l’essenza irrazionale di ogni fenomeno, è la spinta vitale dell’individuo ed è fine a sé stessa. La volontà di vivere coincide però con un dolore di cui non ci si può liberare: essa è privazione, è mancanza di un oggetto desiderato che spinge una persona a cercare di ottenerlo con tutte le sue forze. Quando però, il desiderio viene appagato, la vita non può che sprofondare nella noia causata dall’ eliminazione di quel desiderio, e così, l’uomo deve necessariamente assecondare la sua dolorosa volontà di vivere, andando alla ricerca di un nuovo obiettivo. In questa ottica, la vita dell’uomo, completamente irrazionale e priva di senso, è <<un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia>>, e l’unico modo per smettere di soffrire è liberarsi totalmente della volontà di vivere, tramite la cessazione dell’appagamento di ogni bisogno. 25 Il tormento della vita – Giacomo Leopardi Giacomo Leopardi è stato uno dei poeti di maggior rilievo della cultura italiana: egli visse all’inizio del XIX secolo ma ebbe una forte influenza su numerosi poeti, tant’è che il suo pensiero verrà ripreso anche nel secolo successivo. Egli visse una vita tormentata, tra malesseri fisici e sofferenze sentimentali, e le sue opere sono accomunate da un pessimismo costante nei confronti della vita. I critici contemporanei, infatti, pensano che sia stata proprio la sua triste condizione, fisica e psicologica, a fornirgli lo stimolo per formulare le riflessioni che troviamo nella sua poesia. Queste derivarono essenzialmente dalla concezione che il poeta aveva della vita, che va sotto il nome di “Teoria del piacere”, secondo la quale ogni essere umano vive andando alla ricerca di un piacere che sia eterno, per estensione e durata. Questo però, non è possibile, perché l’uomo è in grado di soddisfare solo piaceri che siano limitati, vista la finitezza della propria vita: egli cade perciò in uno stato di frustrazione ed infelicità costante, che coincide con il rifiuto totale della morte. Il vuoto incolmabile che l’essere umano porta dentro di sé non può che farlo soffrire in continuazione, ed i piccoli piaceri terreni di cui egli può godere (l’immaginazione e la rimembranza) sono solo interruzioni del grande dolore della vita. Il pessimismo leopardiano prese forma come pessimismo storico: il poeta ammise che nel passato l’uomo era felice in quanto più ignorante, e perché credeva sinceramente in alcuni valori che, nel tempo, erano stati sostituiti da corruzione e disonestà. In seguito però, Leopardi si accorse del fatto che la natura era la vera responsabile della sofferenza dell’uomo, perché essa è una potenza enorme di fronte ai limiti biologici che l’essere umano ha: il suo pessimismo si estende a tutto l’universo, divenendo pessimismo cosmico. La decisione da prendere, quindi, è quella di ribellarsi alla natura maligna, unendo le forze di tutti quanti, ma questo è inutile ed impossibile: resta il suicidio come unica soluzione (pessimismo agonistico). La poesia che segue è “A sé stesso”, una delle poesie più significative del poeta nell’ambito della sofferenza. 26 “A sé stesso” Or poserai per sempre, stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, in noi di cari inganni, non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai palpitasti. Non val cosa nessuna i moti tuoi, né di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la vita, altro mai nulla; fango è il mondo. T’acqueta omai. Dispera l’ultima volta. Al gener nostro il fato non donò che il morire. Omai disprezza te, la natura, il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera, e l’infinita vanità del tutto. Questo componimento poetico appartiene al “ciclo di Aspasia”, ovvero del gruppo delle cinque poesie dedicate all’amore per Fanny Targioni Tozzetti. Non è suddivisa in strofe, ed è composta da endecasillabi e settenari con rime libere. Questa poesia rappresenta il periodo dell’autore del pessimismo cosmico, in quanto la natura viene considerata come causa di sofferenza, che non è applicata all’autore singolo, ma all’intera umanità. Caratteristica di questa poesia è la totale assenza di metrica precisa e della teoria del vago e dell’indefinito (unico elemento positivo nella poesia leopardiana): si nota anzi una sintassi molto spezzata, caratterizzata da frasi brevissime, anche solo di una parola (“perì”). Egli rinuncia alla metrica allo stesso modo con cui rinuncia all’ illusione di continuare ad amare. L’autore utilizza parole che indicano un punto di non ritorno (“per sempre”, “omai”, “perì”, “eterno”). L’intera poesia è un’anafora del poeta riferita al suo cuore: egli dice infatti che ha bisogno di riposo, e che non sente più il bisogno di speranza o di illusione alcuna, in quanto il suo cuore ha palpitato troppo nella sua vita per continuare a farlo. In seguito, si arriva ad un’estensione del pessimismo all’intero genere umano (“Al gener nostro il fato non donò che il morire”). L’autore, per rendere ancor più drammatica la situazione descritta, utilizza molto le parole “non”,”nessuno”,”nulla”: la sua ultima (“estrema”) illusione è caduta insieme a tutte le altre, e lui 27 non ha intenzione di provare ancora quei sentimenti scaturiti dalla sofferenza del cuore. Il pessimismo cosmico si nota anche nella definizione della vita come “amaro e noia” e in quella del mondo che è “fango”. Nel suo monologo con il cuore, egli gli ordina di riposare, e gli ordina di disprezzare la natura. Si nota la presenza di chiasmi, utilizzati per dare maggiore significato a determinate parole (es: “stanco mio cuor”). L’autore passa dunque dal tema del riposo eterno ad acquisire un tono di disprezzo nei confronti della natura stessa e del fato, e a costringere il cuore al sentimento dispregiativo. La poesia si conclude con la frase “l’infinita vanità del tutto”, che include il tema centrale del componimento: la disillusione della vita. “Infinita” è l’unica parola di tipo vago, ma assume una connotazione negativa. In questo componimento si ha dunque il crollo di molte certezze di Leopardi: il vago e l’indefinito non vengono più considerati elementi portatori di piacere, così come l’illusione e l’immaginazione, a cui egli rinuncia a causa del dolore provato dall’amore non corrisposto. Differentemente da altre poesie che rendono evidente il pessimismo dell’autore, qui non si trova una via d’uscita, non c’è speranza nè soluzione al dolore, e l’unica possibilità è quella di soffrire in silenzio (in “A Silvia” egli vedeva nella rimembranza un forte elemento di piacere, che porta speranza nell’animo di chi soffre). La noia è uno dei più grossi mali della vita (concetto chiaramente espresso in “Nulla, noia, male”), e viene ripreso in questo componimento, affiancato ad una sensazione di amarezza. Il pessimismo di questa opera è dunque irrisolvibile. Un passo più avanti: l’accettazione Friedrich Nietzsche fu uno dei più grandi filosofi e critici della cultura occidentale del XIX secolo. Il suo pensiero affonda le radici nel pessimismo schopenhaueriano, ma offre una visione nuova del concetto di sofferenza. La vita è per Nietzsche irrazionalità, caos, disordine e insensatezza, e la sua vera natura nasconde uno spirito dionisiaco (da Dioniso, il dio greco dell’ebbrezza e della vitalità che non conosce limiti); essa viene però contrastata dalla razionalità dell’uomo, dall’equilibrio, che viene individuato nello spirito apollineo dell’esistenza (Apollo è simbolo di misura e perfezione formale). Il filosofo riconosce nella tragedia greca la perfetta sintesi dei due elementi vitali: essa è <<incarnazione apollinea di conoscenze e impressioni dionisiache>>, è una rappresentazione dell’ insensatezza dell’esistenza dell’uomo, ma soprattutto, è in grado di trasformare il mistero del dolore universale in arte. L’atteggiamento corretto nei confronti della vita è proprio questo : accettare il dolore come elemento esistenziale e superarlo, sfruttando la sua conoscenza come spinta vitale. Il superuomo non è dunque colui che ricerca il piacere, ma è una persona che accetta la vita in ogni suo aspetto, rimanendo allo stesso tempo fedele alla terra (non si affida a valori universali come la religione). La filosofia socratica segnò l’inizio della decadenza occidentale: come può un uomo affrontare la vita nella sua irrazionalità se vede il mondo nell’ottica del mito del progresso e della realtà conoscibile? Una delle accuse più grandi alla cultura occidentale del filosofo è appunto quella di 28 aver tentato di spiegare il flusso disordinato della vita con la razionalità o con l’affermazione di valori assoluti, rendendo praticamente impossibile la sua accettazione. Analizzando la storia della lotta al dolore, si nota infatti che, la sofferenza (fisica e psicologica) era in passato un elemento che l’uomo era più propenso a subire. Con lo sviluppo scientifico egli ha imparato a dominarlo con l’utilizzo di medicinali, e conseguentemente a ciò, ha iniziato a vederlo come aspetto terribile della realtà, da eliminare a tutti i costi, per quanto questo sia possibile. 29 CONCLUSIONS I’ve decided to deal with this topic for different reasons: first of all, I’m very interested in biological processes which allow us to survive. In fact, even if everyone feels pain, only few people know what it really is like and are able to explain it with exact words. Further to this some try to hide their pain even due to external circumstances. Discoveries and researches about pain are fascinating because we can understand that the human body is a complex combination of intelligent mechanisms. The awareness of this fact can make us appreciate more what we are, and the analogy between the cell membrane and electric circuits is one of the several links bonding our body to artificial objects. The subjectivity of this element makes me think that pain is the emblem of differences between people: if two human beings are subjected to the same stimulus, why one of them suffers more than the other? This is also connected to ethical questions: which punishments can be accepted? If people have different reactions to pain, physical or psychological tortures are symbols of inequality. Furthermore, these pages show that the natural human thirst for knowledge makes man going over the simple fact; it is the element which distinguishes him from animals, and it is the incentive to try and dominate natural processes, in this case, by searching insensitivity to pain. This has led scientists to speculate and men to think that suffering can be easily eliminated from our life. If I have headache, I can take and aspirin or any other painkiller suitable to reach the aim, that is to eliminate pain but not without consequences for our body and state of mind. What happens, instead, when I love someone who doesn’t reciprocate me? We have no cures, no treatments for sorrow: this is one of the biggest problem of the modern man. In the past, people were used to suffer physically and psychologically, and had only few ways to feel better. Sorrow, pain and death were more accepted than now. The more we try to cancel pain from our lives, the more we feel sorrow: it’s inevitable to wonder why we can get rid of a simple headache but not of any emotional suffering. The main problem is that we will never find an answer to the question “why human beings are destined to suffer?”. We can try to accept it as an existential element as Nietzsche claimed, but it’s difficult because of the continuous development of science, and the hope that, someday, someone will succeed in creating an emotional anesthetic. 30 BIBLIOGRAFIA E FONTI La storia del dolore ; G. Bellucci, M. Tiengo (2004) Storia naturale dei sensi; Diane Ackerman (1992) Tra psiche e soma- introduzione alla psicologia biodinamica ; Gerda Boyesen (1999) Corso di fisica 3 – Elettromagnetismo, fisica atomica e subatomica ; Walker (2010) Invito alla biologia –Fisiologia umana ; Helena Curtis, N. Sue Barnes (2011) Filosofia e cultura 3 a – L’Ottocento ; Antonello La Vergata, Franco Trabattoni (2011) Filosofia e cultura 3 b – Il Novecento ; Antonello La Vergata, Franco Trabattoni (2011) I volti della letteratura 4 – L’età napoleonica e il Romanticismo ; Lucilla Sergiacomo, Costantino Cea, Gino Ruozzi, Mara De Meo (2012) Wikipedia “The free encyclopedia” Treccani, L’ Enciclopedia italiana 31