NOTA TECNICA N° 07 L’ENDOTERAPIA SU ACTINIDIA: PRIMO APPROCCIO SU UNA SUA POSSIBILE APPLICAZIONE NEL CONTENIMENTO DI PSEUDOMONAS SYRINGAE ACTINIDIAE La batteriosi dell’actinidia spinge ad una costante ricerca di nuove tecniche e strategie di difesa per limitarne la diffusione e consentire la continuità della coltivazione di questa specie nel nostro areale. Nella presente nota viene presa in considerazione la tecnica dell’endoterapia quale possibile metodo di controllo. 02 agosto 2012 1 Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese Introduzione Fra le numerose e fantasiose proposte che in questi anni vengono presentate con l’intento di debellare la batteriosi dell’actinidia, spicca, non fosse altro per la sua originalità, l’endoterapia. Intanto che cos’è? E’ una tecnica che consiste nell’introdurre direttamente nel sistema vascolare della pianta soluzioni atte a controllare avversità di carattere patologico o entomologico. Come si applica? Si può attuare o sfruttando la capacità assorbente dell’apparato radicale, in particolare nel caso la pianta sia ancora in vaso o comunque nel primo periodo dopo l’impianto, oppure, attraverso l’iniezione corticale di una sostanza. Per meglio definire la corretta modalità applicativa si è proceduto ad effettuare delle prove “in bianco” per valutare l’effettiva funzionalità del metodo. Il trasporto dei liquidi all’interno della pianta:cenni di fisiologia Il sistema dei tessuti vascolari è costituito dallo xilema (fig.1) e dal floema (fig.1). Il primo, detto comunemente legno, è il tessuto preposto alla conduzione dell'acqua e dei soluti dalle radici alle foglie. Il floema o libro, è il tessuto di conduzione della linfa elaborata che, prodotta mediante la fotosintesi nella foglia matura, viene poi trasportata in tessuti che in quel momento richiedono zuccheri e altri metaboliti o per accumularli come sostanze di riserva nelle radici. temperature. L’eccesso di evapotraspirazione, unita alla mancanza d’acqua nel terreno, condurrebbe in breve tempo ad uno stress idrico irreversibile. Diversamente, nelle ore più fresche (durante la notte), la pianta riapre gli stomi e il flusso xilematico riprende nuovamente il suo corso. La conoscenza di questi meccanismi è importante nel caso si intenda praticare l’endoterapia nel controllo di avversità, sempre che sussistano le condizioni per giustificarne l’applicazione. Allo scopo dunque di definire, nell’ambito della endoterapia, quale metodologia applicativa risulti efficace, si è provveduto preventivamente ad utilizzare una soluzione acquosa contenente un semplice colorante (bleu di metilene) quale indicatore del flusso seguito all’interno della pianta. Si sono applicate due diverse metodologie per l’introduzione del liquido, una per semplice caduta (gravità) l’altra esercitando una certa pressione utilizzando una siringa. Metodo per caduta mediante sacche di plastica Similmente a quanto avviene nel campo medico, si è utilizzata la tecnica della fleboclisi, con sacche contenenti il liquido tracciante e 3 tubicini inseriti all’interno del tronco della pianta. Si inizia con il praticare un foro del diametro di mm 3 all’interno del tronco per una profondità di mm 15 - 20. Il foro non dev’essere troppo profondo in quanto i vasi linfatici della pianta sono posti all’esterno del tronco, poco sotto la corteccia, per cui un foro troppo profondo riverserebbe la soluzione nel midollo, zona priva di tessuto linfatico. Bisogna inoltre cercare di indirizzare il foro il più laterale possibile (senso tangenziale) e non verso il centro del tronco (senso radiale) in modo da mantenersi il più vicino possibile alla zona dei vasi linfatici. A questo punto va inserito nel foro il tubicino collegato alla sacca. Si sono testati due diverse modalità di inserimento del tubicino nel foro: la prima servendosi di un puntale in plastica, la seconda inserendo direttamente il tubo nel foro (fig. 2). fig. 1 Il trasporto dell’acqua contenuta nella linfa grezza dal terreno attorno alle radici fino alle foglie (trasporto xilematico) necessita di energia in quanto il movimento da fuori a dentro la radice è contro gradiente di pressione osmotica (maggiore nella radice rispetto al terreno) e inoltre, procedendo dal basso verso l’alto, deve contrastare l’energia gravitazionale. La richiesta di acqua all’interno della foglia è indotta dall’evapotraspirazione degli stomi aperti. Nel periodo estivo la pianta chiude gli stomi per ridurre l’evapotraspirazione eccessiva indotta dalle alte fig. 2 2 Tubicino con puntale plastico non funzionante fig. 3 Risultati Applicando il prodotto con la sacca nel tardo pomeriggio (fig. 3), già al mattino successivo, questa appariva svuotata (fig. 4) e così pure i tubicini senza puntale, a significare che il liquido era penetrato tutto all’interno della pianta, mentre i tubicini con il puntale apparivano ancora pieni di liquido probabilmente perché proprio questa appendice ostruisce il flusso del liquido riempendo la camera d’aria creata dal foro (fig. 5). fig. 4 fig. 5 Allo scopo di verificare il reale avvenuto passaggio del liquido attraverso i vasi si è proceduto a sezionare il tronco (fig. 6) e successivamente entrambi i cordoni a diversi livelli: il primo taglio è stato eseguito a circa 1 m al di sopra del foro di somministrazione del liquido direttamente sul cordone constatando la presenza del bleu di metilene al suo interno a circa 15 h dall’applicazione (fig. 7). Va notato come la presenza del tracciante interessi solo il cordone corrispondente al lato del tronco interessato dall’applicazione, infatti all’interno dell’altro cordone non si è riscontrata alcuna colorazione, ciò a dimostrare l’assoluta specificità della conduzione dei vasi. fig. 6 3 fig. 7 Per il secondo taglio si è scesi a 60 cm al di sopra del foro, e qui le tracce di colorante sono nettamente più visibili (fig. 8). fig. 9 Metodologia a pressione (con siringa) Si è anche testato il metodo caldeggiato da alcuni che prevede, molto più sbrigativamente, l’introduzione del liquido sotto pressione attraverso cioè l’uso di una siringa (fig. 11). In questo caso, praticando, un foro con diametro di 8 mm per una profondità di 4 - 5 cm si è proceduto ad una differente tipologia di esecuzione e cioè in un caso in direzione centripeta (fig. 10, foro radiale), mentre nell’altro procedendo lateralmente (fig. 10, foro tangenziale), iniettando 30 ml di liquido. fig. 8 Si è anche osservata la presenza del tracciante al di sotto del foro eseguendo diversi tagli sino al colletto; il risultato è che anche a quei livelli vi era presenza del tracciante e questo dimostrerebbe anche una traslocazione controcorrente rispetto alla linfa grezza. (fig. 9) tronco foro radiale foro tangenziale fig. 10 4 fig. 11 Risultati Sezionando anche in questo caso il tronco, a seguito delle osservazioni effettuate in 3 tempi diversi precisamente a 30 minuti, a 24 h e a 48 h dall’iniezione del liquido si è osservato che: a 30 minuti dal trattamento la tesi con immissione del liquido con foro radiale non mostrava tracce del colorante (fig. 12) mentre era presente in quella con immissione tangenziale. solo a 48 h dal trattamento è avvenuto un trasferimento significativo nei vasi del liquido iniettato ma solo ad una distanza di non oltre 3540 cm dal foro (foto 13) mentre in quella a foro radiale non vi era traccia del colorante. fig. 13 Conclusioni L’endoterapia realizzata con la metodologia per caduta (sacche per flebo) è risultata funzionale ed ha permesso al liquido test (bleu dimetilene) di essere completamente assorbito dalla pianta trasportandolo sino ai cordoni. Questa modalità d’applicazione risulta ben sopportata dalla pianta la quale risponde in modo ottimale al trattamento. Gli unici accorgimenti da tenere in considerazione sono: innanzitutto vanno inseriti più tubicini per pianta (almeno 3) solo nelle ore notturne avviene l’assorbimento del liquido dalle sacche il tubicino va inserto direttamente nei primi strati (primi vasi legnosi) senza alcuna protezione ulteriore la realizzazione di piccoli fori nella pianta è essenziale al fine di evitare perdite di liquido L’endoterapia eseguita con la tecnica a pressione, a parità di tempo esaminato, non ha fornito risultati che ne dimostrassero l’avvenuto trasporto del liquido iniettato in quanto evidentemente arreca lesioni allo stesso sistema di conduzione. fig. 12 Ciò premesso resta ancora da dimostrare l’ipotesi più importante: cioè che esista una sostanza in grado di contrastare il batterio presente nei vasi della pianta. A tale proposito il CReSO sta operando anche in questo senso e, non appena scaturiranno dei risultati, verranno comunicati. Da una prima indagine 5 preliminare, raccolta dall’esperienza neozelandese emerge comunque che tale pratica deve essere assunta con estrema cautela in quanto risulta che tale sistema determina un significativo livello residuale del liquido iniettato nei frutti e alcuni prodotti , come i rameici, causerebbero comunque gravi fenomeni di fitotossicità. La presente nota è stata realizzata da : Graziano Vittone (CReSO) Luca Nari (CReSO) Michele Giraudo (CReSO) Chiara Morone (Settore Fitosanitario della Regione Piemonte) e si ringrazia inoltre per la preziosa collaborazione Davide Mondino (Soc. L’Agrotecnico) 6