La chimica organica, la chimica della vita

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La chimica organica, la chimica della vita
1 - Introduzione....................................................................................................................................2
1.1
Diffusione nell’ambiente......................................................................................................2
1.2
Stabilità dei legami del carbonio..........................................................................................3
1.3
Formule di rappresentazione dei composti organici ............................................................3
2 - Tipi di isomeria...............................................................................................................................4
2.1
Isomeria di struttura (o di posizione) ...................................................................................4
2.2
Isomeria di configurazione...................................................................................................4
2.2.1
Isomeria cis-trans .........................................................................................................4
2.2.2
Enantiomeria (isomeria ottica).....................................................................................5
3 - Gruppi funzionali e cenni di nomenclatura ....................................................................................6
3.1
Tabella dei principali gruppi funzionali...............................................................................6
4 – Gli idrocarburi................................................................................................................................8
4.1
Alcani ...................................................................................................................................8
4.1.1
Il petrolio e la produzione di combustibili ...................................................................8
4.1.2
Prodotti di base della chimica ottenuti da alcani........................................................11
4.2
Alcheni ...............................................................................................................................11
5 – Composti organici contenenti ossigeno .......................................................................................14
5.1 Alcoli........................................................................................................................................15
5.1.1
Caratteristiche fisiche.................................................................................................15
5.1.2
Reazioni di ossidazione..............................................................................................15
5.2
Acidi carbossilici................................................................................................................16
5.2.1
Caratteristiche fisiche.................................................................................................16
5.2.1
Caratteristiche chimiche.............................................................................................16
5.2.3
Acidi carbossilici in natura, acidi grassi saturi e insaturi...........................................16
6- Ammine, amminoacidi e proteine..............................................................................................17
6.1
Caratteristiche fisiche e chimiche delle ammine................................................................17
6.2
Esempi di particolari composti azotati...............................................................................18
6.3
Amminoacidi e proteine.....................................................................................................18
7– Lipidi.............................................................................................................................................20
7.1
Glicerolo e formazione di trigliceridi.................................................................................21
7.2
Saponi e saponificazione....................................................................................................22
7.2.1
Saponi e detergenti: funzionamento e aspetti di problemi ambientali .......................22
7.2.2
Esperienza pratica di laboratorio: produzione di un sapone ......................................23
8
Membrane cellulari e trasporto sostanze....................................................................................24
8.1
Introduzione .......................................................................................................................24
8.2
Componenti delle membrane .............................................................................................25
8.2.1
Fosfolipidi ..................................................................................................................25
8.2.2
I glicolipidi.................................................................................................................25
8.2.3
Colesterolo .................................................................................................................25
8.2.4
Proteine di membrana ................................................................................................26
8.3
Struttura delle membrane ...................................................................................................26
8.4
Trasporto attraverso la membrana......................................................................................28
8.4.1
Osomosi .....................................................................................................................28
8.4.2
Diffusione...................................................................................................................28
8.4.3
Trasporto di sostanze attraverso le membrane...........................................................28
8.4.3.1 Trasporto passivo ...................................................................................................29
8.4.3.2 Trasporto attivo ......................................................................................................29
-2-
1 - Introduzione
1.1 Diffusione nell’ambiente
Il carbonio è un elemento non molto presente sulla crosta terrestre (costituisce meno dello 0,1%
della massa), ma è però molto diffuso. Si potrebbe quasi dire che ovunque attorno a noi possiamo
trovare del carbonio, ad esempio nel carbon fossile, nei carbonati, nei diamanti e negli organismi
viventi.
Il carbonio è infatti l’elemento base di tutti gli organismi viventi, esso è
presente nella maggior parte delle sostanze che compongono una cellula.
carbone
carbonato di calcio (marmo)
diamanti
Bradypus variegatus
Questo è il motivo per cui la chimica del carbonio era chiamata chimica organica. Fin verso la fine
dell’ottocento i chimici ritenevano che solo organismi vivi fossero capaci di produrre composti
contenenti carbonio.
Oggi invece la produzione di sostanze organiche di sintesi serve per mettere a disposizione una
vasta gamma di materiali vari, come, ad esempio, fibre tessili, materie plastiche, farmaci, coloranti.
COOH
O
O
Kevlar
Nylon 6 e Nylon 6,6
aspirina
La chimica del carbonio non è però una chimica diversa da quella degli altri elementi, tutte le leggi
della chimica generale valgono anche per questo elemento così speciale.
Si sono fatte molte ipotesi per spiegare perché il carbonio è necessario nella
chimica della vita.
Una potrebbe essere la centralità della posizione che esso occupa nella
tavola periodica, è infatti un elemento del quarto gruppo principale, e ha
quindi quattro elettroni di valenza. Ha perciò la capacità di formare quattro
legami covalenti nello spazio e, di conseguenza, anche molecole ramificate
e complesse. La figura accanto rappresenta, come esempio, l’amminoacido
alanina.
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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-3-
1.2 Stabilità dei legami del carbonio
Un’altra ragione è la stabilità dei legami che il carbonio forma sia con altri atomi dello stesso
elemento, sia con altri elementi non metallici meno elettronegativi (es. l’idrogeno)
o più elettronegativi (es. azoto, ossigeno, alogeni). Le energie di legame sono H3C
CH3
nell’ordine di alcune centinaia di kJ/mol.
Il carbonio forma solidi legami semplici (una coppia di elettroni condivisa), doppi
(due coppie di elettroni condivisi) e tripli (tre coppie di elettroni condivisi) con
altri atomi di carbonio e/o con altri non metalli, purché abbiano un sufficiente
numero di elettroni da condividere.
H2C
HC
CH2
CH
Il carbonio è in grado perciò di formare una straordinaria varietà di sostanze diverse, da molecole
semplici, cioè fatte da pochi atomi, fino a molecole molto complesse, chiamate anche
macromolecole, cioè molecole fatte da un enorme numero di atomi tutti legati tra di loro da legami
covalenti (a condivisione di elettroni in coppie).
La grande varietà di combinazioni fra atomi porta alla presenza di un fenomeno molto diffuso nei
composti organici che viene chiamato isomeria, cioè sostanze con caratteristiche fisiche e chimiche
diverse ma che hanno la stessa formula molecolare.
Esempio C2H6O
H
H
H
C
H
C
O
H
H
H
H
alcool etilico (etanolo)
Teb = + 78 °C
miscibile con acqua
densità = 0,785 kg/dm3
C
H
O
C
H
H
H
dimetiletere (etere dimetilico)
Teb = - 24 °C
poco solubile (quando allo stato liquido) in acqua
densità = 0,661 kg/dm3
1.3 Formule di rappresentazione dei composti organici
A causa del fenomeno dell’isomeria, nei composti organici è spesso più utile dare informazioni su
come gli atomi sono legati tra di loro, disegnare la formula di struttura della molecola, che dare la
sola formula molecolare, che dice solo quanti atomi ci sono di ogni elemento.
In queste formule si evidenziano i gruppi funzionali (es -OH gruppo funzionale alcolico, -COOH
gruppo acido carbossilico), la parte di molecola maggiormente responsabile delle proprietà
dell’intera sostanza.
Si usano molto spesso, per risparmiare tempo nella rappresentazione delle sostanze, formule di
struttura dette simboliche . In questo tipo di formule semplificate non vengono scritti né i simboli
dei carboni della molecola, né i legami carbonio-idrogeno. Ciò è possibile visto che il carbonio nei
composti molecolari è sempre tetravalente, circondato cioè da quattro legami (coppie di elettroni), i
legami mancanti ad un certo atomo di carbonio sono dunque legami carbonio idrogeno in un
numero adeguato a che l’atomo sia circondato da otto elettroni in totale.
Esempio
OH
alcool etilico
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
O
dimetiletere
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-4-
2 - Tipi di isomeria
Isomeria significa stessa formula chimica molecolare ma diversa struttura dei legami fra atomi o
diversa disposizione degli stessi nello spazio, con conseguente diverso comportamento chimico e
caratteristiche fisiche. Ci sono diversi tipi di isomeria.
2.1 Isomeria di struttura (o di posizione)
In questo tipo di isomeria, gli isomeri differiscono per la struttura delle loro molecole. Gli atomi
sono legati con diverse sequenze di legame.
Esempio: isomeri a formula C5H12
n-pentano
Teb = 36 °C
2-metilbutano
Teb = 28 °C
2,2-dimetilpropano
Teb = 10 °C
Gli isomeri di struttura hanno diverse proprietà chimiche e fisiche.
Si osservi anche come le molecole più ramificate abbiano una più bassa temperatura di ebollizione.
La causa è la forma delle molecole ramificate che impedisce un impaccamen2to delle particelle
come in quelle più lineari, quindi un legame intermolecolare più debole e, di conseguenza, una più
bassa temperatura di ebollizione.
2.2 Isomeria di configurazione
Si dice isomeria di configurazione quando la sequenza degli atomi e il tipo di legami sono gli stessi,
ma è diversa la disposizione nello spazio degli atomi. Ci sono due casi:
2.2.1 Isomeria cis-trans
La presenza di doppi legami introduce una disposizione rigida e planare sia degli atomi di carbonio
del doppio legame, sia degli atomi direttamente legati ai due atomi di carbonio. Contrariamente ai
legami semplici, nei doppi legami non è possibile la rotazione di una parte della molecola attorno al
doppio legame.
Si dice isomero cis quello in cui la catena di atomi di carbonio continua dalla stessa parte del doppio
legame e isomero trans quello in cui la catena continua dall’altra parte del doppio legame. Gli
isomeri hanno caratteristiche chimiche e fisiche diverse. La possibile trasformazione di un isomero
nell’altro richiede una reazione in cui avvenga la scissione e la formazione di legami covalenti.
Esempio
Cl
Cl
trans-1,2-dicloroetilene
sostanza apolare
Tfusione = - 49.4 °C
Tebollizione = 47.2 °C
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
Cl
Cl
cis-1,2-dicloroetilene
sostanza (poco) polare
Tfusione = - 81.5 °C
Tebollizione = 59.6 °C
4
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L’isomeria cis-trans è presente anche nei composti ciclici, che presentano cioè un anello di atomi,
prevalentemente di carbonio. La causa è l’impedimento nella rotazione libera degli atomi attorno ai
legami dell’anello. I due isomeri si definiscono cis se le catene laterali si trovano dalla stessa parte
del piano dell’anello e trans se da parti opposte. Anche in questo caso i due isomeri hanno
caratteristiche fisiche e chimiche diverse.
Esempio
H
H
H
H
H
CH
H 3
H
H
H
CH3
trans-1,2-dimetilcicloesano
H
H
H
H
H
H
H
H
H
CH
CH3 3
cis-1,2-dimetilcicloesano
2.2.2 Enantiomeria (isomeria ottica)
La presenza di un atomo di carbonio che presenta quattro legami semplici con atomi, o gruppi di
atomi, differenti costituisce il caso più frequente di chiralità, l’esistenza di due isomeri che sono
l’immagine allo specchio l’uno dell’altro, proprio come le nostre mani. Chiralità deriva infatti da
chír che in greco significa mano.
Le due molecole sono dette enantiomeri e presentano caratteristiche fisiche uguali tranne che
nell’interazione di loro soluzioni con la luce. I due enantiomeri ruotano infatti il piano di vibrazione
della luce in senso opposto. Questo il motivo per cui, a volte, si parla di isomeri ottici quando ci si
riferisce ai due enantiomeri. Le caratteristiche chimiche sono uguali nei confronti di reagenti non
chirali, mentre hanno reattività diversa, e, con reagenti chirali, formano prodotti diversi
(diastereomeri o diastereoisomeri).
Esempio
La chiralità è molto diffusa negli esseri viventi, parecchi mattoni costruttivi di sostanze essenziali
alla vita come amminoacidi, glucidi e acidi nucleici sono chirali rendendo così chirali anche le
macromolecole che si formano.
Esempio
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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-6-
3 - Gruppi funzionali e cenni di nomenclatura
La grande varietà di composti del carbonio ha portato alla necessità di organizzare le conoscenze
raggruppando le sostanze simili per comportamento chimico e fisico. Si osserva che spesso un
particolare elemento o un gruppo di atomi presente in una molecola è maggiormente responsabile
del comportamento dell’intera sostanza. Si sono quindi scelti un certo numero di gruppi funzionali e
si sono classificati i composti organici in base al o ai gruppi funzionali presenti.
3.1
Tabella dei principali gruppi funzionali
Struttura
Classe
Nomenclatura
Esempio
alcano
............. ano
CH3(CH2)CH3
ottano
alchene
............. ene
CH2=CH2
etene (etilene), reagente per
produrre il polietilene
alchino
.............. ino
CH≡CH
etino (acetilene), usato nella
fiamma per saldature
aromatico
........... benzene
Idrocarburi
benzene
Composti alogenati
R-X (X alogeno) alogeno derivati
CCl2CHCl
1,1,2-tricloroetilene
(trielina),
smacchiatore, lavaggio a secco
CH3CH2OH
etanolo, presente nelle bevande
alcoliche
dietil-etere, anestetico
Gruppi funzionali che contengono ossigeno
R-O-H
alcool
R-O-R'
etere
..... olo, alcol ..... ico
etere ..... ico,
(CH3CH2)2O
O
R
H
aldeide
..... ale,
H2C=O
metanale (formaldeide), usata per
conservare campioni biologici
chetone
.......... one
CH3COCH3
acetone, solvente per vernici
acido carbossilico
acido ..... oico
CH3COOH
acido acetico, presente nell'aceto
O
R
R'
O
R
OH
O
R'
R
O
estere
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
CH3COOCH2CH3 acetato di etile, solvente
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Gruppi funzionali che contengono azoto
R-NH-R'
ammina
R-C≡N
cianuro o nitrile
radicali + ammina
CH3-NH-CH2CH3 etilmetilammina, base organica
CH2=CH-C≡N
acrilonitrile, prodotto di partenza
dell'Orlon
Gruppi funzionali che contengono azoto e ossigeno
O
R'
R
N
H
ammide
HCO-N(CH3)2
dimetilformammide, solvente
Gruppi funzionali che contengono zolfo
R-S-H
R-S-R'
tiolo o mercaptano
..... tiolo
tioetere, o solfuro radicali+tioetere
CH3-SH
metantiolo
(CH2=CH-CH2)2S diallilsolfuro, odora di aglio
Il nome dei composti organici segue regole abbastanza complesse che si cercherà qui di
semplificare alla sua essenza. I nomi vengono composti da una radice, che è in relazione al numero
di atomi della catena principale di atomi di carbonio, e da desinenze che identificano il o i gruppi
funzionali presenti. Questo nome viene preceduto dalla posizione sulla catena, mediante
numerazione della catena, dai nomi e delle eventuali ramificazioni (catene laterali).
Nome dei primi dieci alcani lineari
nome
numero di atomi formula
di carbonio
molecolare
metano
etano
propano
butano
pentano
esano
eptano
ottano
nonano
decano
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
CH4
C2H6
C3H8
C4H10
C5H12
C6H14
C7H16
C8H18
C9H20
C10H22
formula di struttura
condensata
CH4
CH3CH3
CH3CH2CH3
CH3CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2 CH2CH2CH2CH2CH3
CH3CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH3
Teb (°C)
-164
-89
-42
-0.5
36
69
98
126
151
174
H H
OH
C
C
HO
H H
Esempi
CH3COCH3
2-propanone
1,2-etandiolo (glicol etilenico)
CH3
H2C
C
C
H
CH3 CH3
C
C
C H CH3
H 3C
H2
H 3C
CH2
2-metil-1,3-butadiene (isoprene)
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
2,2,4-trimetilpentano (isottano)
7
-8-
4 – Gli idrocarburi
Il termine idrocarburi viene usato per indicare
quei composti fatti da solo carbonio e idrogeno.
Le fonti principali di idrocarburi sono il petrolio
(miscuglio
molto
complesso
fatto
principalmente di alcani a catena aperta o
ciclica) e il gas naturale (prevalentemente
metano CH4 con piccole percentuali di altri
idrocarburi a basso numero di atomi di
carbonio).
4.1 Alcani
Gli alcani, contengono solo legami semplici carbonio-carbonio, sono, come anche gli alcheni e i
composti aromatici, composti apolari per la presenza di soli legami covalenti apolari. Sono quindi
composti caratterizzati da deboli legami intermolecolari, chiamate legame residuo o forze di
London, che sono però vieppiù forti all’aumentare del numero di atomi del composto.
La conseguenza è che gli idrocarburi con meno di 5 atomi di carbonio si presentano in forma
gassosa a condizioni ambientali normali (temperatura di 20°C e pressione di 1 atmosfera), quelli
che hanno da 5 a circa 20 atomi di carbonio sono liquidi e sono invece solidi se hanno più di 20
atomi di carbonio.
Gli alcani, chiamati anche paraffine (dal latino parum affinis significa poco affini, cioè poco reattivi
a temperatura ambiente) vengono usati per due scopi principali:
1 come combustibili, grazie alla reazione esotermica con l’ossigeno.
2 nell’industria petrolchimica, per produrre altre sostanze chimiche che serviranno successivamente per la produzione di materie plastiche e, nell'industria chimica in generale, per la
produzione di fertilizzanti, materiali da costruzione, fibre tessili, vernici e coloranti, sostanze e
additivi alimentari.
4.1.1 Il petrolio e la produzione di combustibili
Il petrolio è un liquido oleoso più o
meno denso, infiammabile, di colore
variabile da giallastro a nero, costituito
essenzialmente da una miscela di
idrocarburi fossili. Si trova in quantità
sotto la superficie terrestre ed è la
principale materia prima dell'industria
petrolchimica. Il petrolio accompagna la
storia dell'uomo da secoli e fin
dall'antichità
il
greco
"naphtha"
richiamava il fiammeggiare tipico delle
emanazioni petrolifere. Il nome petrolio
deriva dalla parola latina petroleum, cioè
"olio di roccia". I popoli dell'antichità
avevano già ben noti i giacimenti di
petrolio superficiali che utilizzavano per
produrre medicinali e bitume o per
alimentare le lampade.
Un’ipotesi della sua formazione è quella secondo la quale i giacimenti si sono formati sotto la
superficie terrestre per decomposizione di organismi marini e di piante che crescono sui fondali
oceanici.
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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La formazione del petrolio è un fenomeno iniziato
molti milioni di anni fa, quando esisteva
un'abbondante fauna marina, e che continua ancora
oggi. I sedimenti depositati sul fondo degli oceani,
accrescendo il loro spessore e dunque il loro peso,
sprofondano nel fondale marino; a mano a mano che
altri sedimenti si accumulano, la pressione su quelli
sottostanti aumenta considerevolmente e la
temperatura si alza di diverse centinaia di gradi. Il
fango e la sabbia si induriscono trasformandosi in
argillite e arenaria, il carbonio precipita, le conchiglie
si induriscono trasformandosi in calcare, mentre i
resti degli organismi morti si trasformano in sostanze
più semplici composte da carbonio e idrogeno, gli idrocarburi appunto, per dare origine al petrolio
greggio e al gas naturale. Il petrolio ha densità minore dell'acqua salmastra che riempie gli interstizi
dell'argillite, della sabbia e delle rocce di carbonati che costituiscono la crosta terrestre: tende
dunque a risalire verso la superficie, passando dai microscopici pori dei più grossi sedimenti
sovrastanti. È così che sbocca spontaneamente dalla superficie terrestre.
Viene portato alla superficie dalla pressione dei gas sotterranei o mediante pompe; viene poi
raccolto in serbatoi e trasportato per mezzo di oleodotti o petroliere nei luoghi di lavorazione.
Una volta estratto, il petrolio viene trattato con sostanze chimiche a caldo, per eliminare l'acqua e le
particelle solide in esso contenute, e per separare il gas naturale residuo. Viene poi immagazzinato
in serbatoi di smistamento, da dove viene trasportato alle raffinerie mediante tubazioni continue
(oleodotti), o con navi opportunamente attrezzate (navi cisterna, o petroliere), o con speciali
autoveicoli (autocisterne) e carri ferroviari (carri cisterna).
Il greggio, che come si è detto è una miscela complessa di idrocarburi, soprattutto alcani, deve
essere separato nei suoi componenti. Questo si fa mediante una distillazione nel corso della quale
vengono appunto raccolte separatamente le varie fasi, dal top (frazioni leggere, sostanzialmente le
frazioni con un numero di atomi di carbonio tra 1 e 5) attraverso i vari piatti estraendo benzine (C6 C9), kerosene (C10 - C12), gasolio (C13 - C14), olio combustibile, (C15 - C20) e infine i bottoms,
che sono idrocarburi pesanti quali peci, asfalti, paraffine solide. La separazione viene eseguita nella
torre di frazionamento. La torre di frazionamento è composta da una torre cilindrica in acciaio alta
circa 30 m e larga 3,50 m. All’interno della torre ad intervalli regolari si trovano dei piatti
orizzontali forati, muniti di
appositi passaggi, alcuni dei
quali sormontati da coperchi detti
campane di gorgogliamento.
La temperatura della torre è
elevata alla base e va diminuendo
con l’altezza. Il petrolio che entra
alla base della torre è
preriscaldato in un forno fino a
400-500°C. I componenti che
hanno punto di ebollizione
inferiore a quella temperatura,
salgono la torre sotto forma di
vapore. Incontrando i piatti e le
campane di gorgogliamento che
sono al di sotto della temperatura
di ebollizione, condensano e si
depositano sul piatto allo stato
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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liquido. Apposite tubazioni possono raccogliere queste frazioni liquide e allontanarle dalla torre. Le
frazioni ad elevato punto di ebollizione che non evaporano entrando nella torre, si spostano alla
base e, data l’elevata temperatura, passano allo stato aeriforme e, condensando, si raccolgono sui
piatti inferiori.
Questa fase di distillazione è in realtà quasi sempre divisa in due fasi: una distillazione atmosferica
in cui si separano in modo relativamente grossolano idrocarburi leggeri dai pesanti, separando la
nafta (che, attenzione, è diversa da quella che viene così denominata nel parlare comune: la prima è
una frazione leggera, mentre la seconda è più correttamente definita olio combustibile) dal residuo
atmosferico, più pesante, che passa alla distillazione sotto vuoto da cui vengono definitivamente
separati l'olio combustibile e altre frazioni pesanti dalle frazioni leggere.
I prodotti della distillazione sotto vuoto vengono di solito inviati ai trattamenti di desolforazione
(serve ad eliminare lo zolfo elementare presente anche dopo distillazione del petrolio greggio), in
cui si inietta idrogeno gassoso che reagisce con lo zolfo e forma H2S (acido solfidrico) gassoso che
viene allontanato e poi ridotto di nuovo a zolfo elementare. La desolforazione è indispensabile per
ridurre la presenza di zolfo nei combustibili al di sotto delle concentrazioni previste dalle
legislazioni dei vari paesi. La combustione dello zolfo residuo presente nei combustibili (in
particolare nella nafta, o diesel) produce ossidi di zolfo tossici per gli organismi viventi e tra i
maggiori responsabili delle piogge acide.
Dalla distillazione sotto vuoto si ottengono quindi i prodotti pesanti, quali gasolio e olio
combustibile.
Questi vari prodotti, miscugli di composizione più semplice rispetto al petrolio da cui derivano,
sono già di per se utilizzabili commercialmente, ma è improbabile che le quantità prodotte rispettino
le proporzioni delle quantità richieste dai consumatori. Le proporzioni delle varie frazioni ottenute
dipende molto dal tipo di petrolio lavorato.
Si sono quindi sviluppate nel tempo delle tecniche di processo mediante le quali le molecole di
idrocarburi pesanti vengono spezzate in molecole più leggere, cioè fatte da un numero più piccolo
di atomi di carbonio, ad esempio mediante una reazione del tipo:
C13H28 + H2 -----> C7H16 + C6H14
Questi processi sono detto processi di “cracking” (letteralmente: spezzettatura) e consentono, nel
caso indicato, di ottenere una molecola di eptano ed una di esano (cioè due di benzina leggera)
partendo da una molecola di C13, ossia gasolio. Avvengono in grandi reattori grazie a particolari
catalizzatori e ad alte temperature.
Sono stati anche sviluppati i processi di “reforming” (letteralmente: riformatura, nel contesto va
inteso come isomerizzazione) per trasformare molecole lineari in molecole più ramificate e/o
cicliche. Questa tecnica ha lo scopo di alzare il potere antidetonante delle benzine per renderle
adatte ai motori in cui verranno bruciate, oggi i due valori richiesti in Europa sono di 95 e 98 ottani.
Si è osservato che gli isomeri più ramificati e i composti aromatici (derivati del benzene) hanno un
più alto potere antidetonante (es. l’isottano, un alcano a 8 atomi molto ramificato ha valore 100
sulla scala degli ottani, scala empirica che serve a misurare la proprietà detonante di un
combustibile, l’eptano lineare, non ramificato, ha valore 0).
Per il reforming catalitico si usano soprattutto catalizzatori contenenti platino (“platforming”) che
serve a trasformare alcani in composti ciclici e composti aromatici. Un tempo questo aumento del
potere antidetonante lo si otteneva anche addizionando le benzine di tetraetile di piombo, sostanza
che bruciando creava composti del piombo fortemente inquinanti.
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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4.1.2 Prodotti di base della chimica ottenuti da alcani
Attraverso
tutti
questi
trattamenti si ottengono,
nelle quantità desiderate,
tutti i prodotti che il
mercato
richiede.
Tra
questi, si distinguono le
frazioni pesanti (C20 e
oltre), che hanno poco
interesse commerciale e che
vengono spesso usate in
raffineria per produzione di
energia in speciali caldaie,
e soprattutto la “virgin
naphta” che è la principale
materia
prima
per
l'industria
petrolchimica,
industria che trasforma gli
alcani e i composti aromatici presenti nel petrolio in una larga serie di sostanze di base che, grazie
ad opportune reazioni, verranno poi ulteriormente trasformate in molti materiali di cui ci serviamo
quotidianamente, come materie plastiche, gomme sintetiche e di un'infinità di materiali diversi.
4.2 Alcheni
Gli alcheni sono idrocarburi che presentano uno o più doppi legami fra atomi di carbonio. Sono
anche detti composti insaturi, poiché hanno un numero di atomi di idrogeno inferiore a quello di
alcani con lo stesso numero di atomi di carbonio. Le loro proprietà fisiche sono molto simili a
quelle degli alcani con lo stesso numero di atomi di carbonio.
Se una sostanza presenta più doppi legami, questi possono essere disposti in modo isolato (o non
coniugati, almeno due legami semplici separano quelli doppi), coniugato (si alternano legami
semplici a legami doppi, come nel β carotene) o cumulato (caso abbastanza raro in cui si
susseguono uno dopo l’altro nella molecola).
Esempi
etene (chiamato anche etilene)
CH2=CH2
β-carotene (colorante presente in molti ortaggi, in particolare nelle carote)
Come già detto precedentemente, la presenza di doppi legami implica una minore libertà di
movimento degli atomi della catena, dando origine a forme spaziali differenti a seconda
dell’isomeria cis o trans del doppio legame. Molecole che presentano la forma cis hanno la catena
più “raccolta” e quindi temperature di fusione e ebollizione più bassa dovuta al minor
impaccamento delle molecole, gli isomeri trans hanno catene più allungate, distese, come le
molecole sature, con molecole che si possono avvicinare maggiormente, la conseguenza è che i
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- 12 -
legami intermolecolari sono più forti e quindi le temperature di fusione e ebollizione saranno un po’
più alte. Ciò vale solo se le molecole considerate non contengono altri atomi che rendono la
molecola polare.
Esempio
H
H
C C
H3C
H3C
H
C C
CH3
cis-2-butene
p.f. -139 °C
ma! p.e. 3,7 °C
H
CH3
trans-2-butene
p.f. -106°C
p.e. 0,3 °C
Gli alcheni sono sostanze piuttosto reattive già a temperatura ambiente. Non sono presenti, se non
in basse percentuali, nel petrolio. Si possono produrre a partire da alcani grazie a reazioni di
deidrogenazione.
Una reazione molto utile è la reazione di polimerizzazione degli alcheni, reazione in cui un numero
anche molto grande di molecole si uniscono a formare delle macromolecole chiamate polimeri.
Ad esempio, dall’etilene si ottiene la materia plastica più usata e conosciuta, il polietilene (PE).
L’unione tra i monomeri avviene grazie agli elettroni del doppio legame che vengono usati per
legare un monomero all’altro. Ciò comporta che alla fine della reazione si avranno lunghe catene di
molecole che non hanno più doppi legami, ma solo legami semplici e questo spiega la scarsa
reattività chimica delle materie plastiche nei confronti dei materiali con cui verranno a contatto,
come, ad esempio, alimenti confezionati in fogli di polietilene. Le macromolecole ottenute non sono
tutte identiche tra loro, ma differiscono nel grado di polimerizzazione (numero di monomeri che si
sono addizionati), quindi si tratta di un miscuglio di molecole con una certa massa molecolare
media. Ciò ha per conseguenza che tali materiali plastici presentano un intervallo di temperatura di
fusione e la possibilità di dare una particolare forma all’oggetto, forma che verrà mantenuta dopo il
raffreddamento.
Il grado di polimerizzazione può essere basso (meno di 100 monomeri), medio (tra 100 e 1000) e
alto (più di 1000 molecole di alchene).
Nella reazione di polimerizzazione si può anche regolare, scegliendo le opportune condizioni di
reazione e gli opportuni catalizzatori, il grado di ramificazione desiderato.
Schema della reazione di polimerizzazione radicalica:
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Formazione delle ramificazioni:
La conseguenza è che dallo stesso
alchene di partenza si possono ottenere
tutta una gamma di materie plastiche
con
caratteristiche
tecnologiche
differenti. Semplificando si può
affermare che polimeri ad altissima
massa molecolare media danno
materiali cristallini molto resistenti,
adatti, ad esempio, alla produzione di
protesi o giubbotti antiproiettile,
polimeri ad alta densità e poco
ramificati sono abbastanza resistenti e
rigidi, polimeri a bassa densità (basso
peso molecolare e alta ramificazione)
sono invece meno rigidi e più duttili.
Per reazione di polimerizzazione si ottengono parecchi altri materiali plastici di uso comune come,
ad esempio:
polimero
monomero
esempi di uso
polietilene (PE)
CH2=CH2
fogli e pellicole, recipienti a perdere, giocattoli,
stoviglie
polietilentereftalato
(PET)
copolimero di acido tereftalico e glicol etilenico
per produrre , ad esempio, bottiglie per acqua
minerale
polipropilene (PP)
CH3-CH=CH2
fibre, parti di automobili,imballaggi, rivestimenti
ignifughi
polivinilcloruro (PVC)
Cl-CH=CH2
tubi, rivestimenti, confezione per alimenti
polistirene (PS)
politetrafluoroetilene (PTFE)
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CH2
CH
CF2=CF2
giocattoli, contenitori, confezioni per alimenti
e, come polistirolo espanso (da noi chiamato
correntemente Sagex), per imballaggi e isolanti
rivestimenti antiaderenti per padelle, isolanti
elettrici, tubi anticorrosione
13
- 14 -
5 – Composti organici contenenti ossigeno
I composti organici contenenti uno i più atomi di ossigeno sono molti e
importanti anche per la chimica della vita, come si vedrà più avanti in questo
corso. Si differenziano sia per caratteristiche fisiche, ma anche per quelle
chimiche, ad esempio lo stato di ossidazione del carbonio legato all’ossigeno.
I composti ossigenati più importanti sono gli alcoli, caratterizzati dalla
presenza del gruppo funzionale -OH (ossidrile), le aldeidi e chetoni,
presentano un gruppo carbonilico C=O, gli acidi carbossilici che hanno il
caratteristico gruppo –COOH, detto gruppo carbossilico e gli esteri, sostanze
che si formano dalla reazione fra un acido e un alcol.
La presenza in questi composti dell’ossigeno legato al carbonio, caratterizza
le proprietà fisiche dei composti delle classi sopra riportate. Il legame ossigeno-carbonio è infatti
polare, ma ancora più polare è il legame ossigeno-idrogeno, presente solo in alcoli e acidi
carbossilici.
Esempi
OH
CH3CH2OH
alcol etilico, o etanolo, viene comunemente chiamato alcol, è presente nelle bevande
alcoliche.
O
CH3COCH3
acetone, un comune solvente organico
retinolo, chiamato anche vitamina A, è importante nella chimica della visione
O
CH3COOH
OH
acido acetico, è presente nell’aceto, si forma per fermentazione dell’etanolo
canfora, estratta dalla pianta della canfora
(Cinnamonum camphora)
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5.1 Alcoli
5.1.1 Caratteristiche fisiche
Gli alcoli a basso numero di atomi di carbonio sono liquidi a condizioni ambientali normali e sono
ben solubili in acqua. L’alta temperatura di ebollizione degli alcoli rispetto a idrocarburi di pari
massa molecolare, e la solubilità in acqua, solvente molto polare, degli alcoli a basso numero di
atomi di carbonio sono dovuti alla presenza del gruppo ossidrilico molto polare. Anche aldeidi e
chetoni con pochi atomi di carbonio, pur essendo molto meno polari di alcoli e acidi, risultano
solubili in acqua.
La solubilità decresce rapidamente all’aumentare della lunghezza della catena carboniosa, fatta da
legami carbonio-carbonio e carbonio-idrogeno apolari. Ciò rende queste molecole apolari, e quindi
insolubili in acqua. La temperatura di ebollizione, per contro, cresce a causa del crescere delle forze
intermolecolari di London.
5.1.2 Reazioni di ossidazione
La reazione di ossidazione degli alcoli è una caratteristica reazione di ossidoriduzione, può essere
provocata, ad esempio, dal reattivo di Jones, una soluzione di anidride cromica CrO3 in ambiente
acido (H2SO4). Esempi di reazioni:
OH +
CrO3
acido
alcool primario
OH +
CrO3
CrO3
+3
O
O
+
Cr
OH
aldeide
acido carbossilico
+3
ambiente
acido
alcool secondario
OH +
ambiente
O
+
Cr
chetone
ambiente
nessuna reazione
acido
alcool terziario
Gli alcoli primari (il carbonio che porta il gruppo OH non è ramificato) si ossidano fino allo stato di
acido carbossilico passando per lo stato intermedio di aldeide. Il cromo +6 si riduce a ione Cr+3
verde. Un vecchio test per la misura dell’alcolemia al volante (test del palloncino) faceva capo a
questo reagente e, dalla intensità della colorazione verde all’interno del tubicino in cui si fa passare
l’aria espirata, è possibile risalire alla concentrazione di alcool nel sangue.
Gli alcoli secondari (il carbonio che porta il gruppo OH ha una ramificazione) si ossidano ai
corrispondenti chetoni, gli alcoli terziari (il carbonio che porta il gruppo OH ha due ramificazioni)
non si ossidano con questo reagente.
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- 16 -
5.2
Acidi carbossilici
5.2.1 Caratteristiche fisiche
Le caratteristiche fisiche degli acidi carbossilici, composti caratterizzati dal gruppo carbossilico –
COOH molto polare, sono simili a quelle degli alcoli. Alta temperatura di ebollizione anche per le
sostanze a più basso numero di atomi di carbonio e solubilità in acqua. La solubilità decresce però
rapidamente e già acidi con 6 atomi di carbonio risultano quasi insolubili in acqua neutra.
Gli acidi carbossilici a lunga catena, cioè con più di 10-12 atomi di carbonio, vengono chiamati
acidi grassi.
5.2.1 Caratteristiche chimiche
Gli acidi carbossilici devono il loro nome al fatto di avere un idrogeno, quello del gruppo
carbossilico –COOH, che può essere ceduto ad altre particelle (basiche) B secondo la reazione di
equilibrio acido-base:
R-COOH + B
R-COO- + BH+
R sta al posto di una catena carboniosa.
Gli acidi carbossilici sono in genere acidi deboli, hanno infatti una costante acida Ka inferiore a 1.
La reazione di condensazione fra un acido e un alcol porta alla formazione di una famiglia di
composti ossigenati chiamati esteri. La reazione è:
La reazione è catalizzata dalla
presenza di un acido forte, ad
esempio
acido
solforico
concentrato, che ha anche
funzione di sostanza disidratante
ed è utile per “spostare”
l’equilibrio verso i prodotti, grazie alla sottrazione dell’acqua dalla reazione.
5.2.3 Acidi carbossilici in natura, acidi grassi saturi e insaturi
Gli acidi carbossilici a lunga catena, cioè con più di 10-12 atomi di carbonio, vengono chiamati
acidi grassi. In natura compaiono quasi sempre come esteri, in particolare di un alcol, il glicerolo,
che ha tre gruppi ossidrilici legati ai tre atomi di carbonio della molecola. Gli esteri del glicerolo
sono chiamati trigliceridi (triesteri del glicerolo).
La completa insolubilità in acqua è dovuta alla lunga catena apolare. I sali di sodio o di potassio
degli acidi grassi sono chiamati saponi, argomento che verrà trattato nel prossimo capitolo.
Gli acidi grassi naturali sono quasi esclusivamente a numero pari di atomi di carbonio e hanno
catene lineari, non sono cioè ramificati. La spiegazione di questo fatto risiede nel modo come
vengono sintetizzati nelle cellule a partire da un “mattone” di base a due atomi di carbonio,
l’acetilcoenzima A. L’unione di più mattoni forma acidi carbossilici a vario numero pari di atomi
di carbonio.
Gli acidi grassi vengono suddivisi in acidi saturi e insaturi. In quelli saturi ci sono solo legami
semplici carbonio carbonio, hanno dunque il massimo numero di atomi di idrogeno legati alla
molecola, sono appunto “saturi” di idrogeno. Gli acidi grassi insaturi presentano uno o più doppi
legami carbonio carbonio, hanno quindi meno idrogeni nella molecola che un corrispondente acido
con la stessa lunghezza della catena carboniosa.
I doppi legami negli acidi carbossilici naturali non sono tra di loro coniugati e presentano geometria
cis dei doppi legami.
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Acidi grassi saturi ed insaturi si differenziano per caratteristiche fisiche: a parità di numero di atomi
della catena, gli acidi saturi presentano una temperatura di fusione e di ebollizione maggiore di
quelli insaturi.
Esempi di acidi grassi naturali, saturi ed insaturi
La differenza di temperatura di fusione e di ebollizione è causata dalla maggiore capacità di
impaccamento delle molecole di quelli saturi grazie alla maggiore mobilità degli atomi della catena
(i legami semplici permettono la libera rotazione delle due parti della molecola). Ciò comporta una
minore distanza media fra le molecole e quindi una maggiore forza dei legami intermolecolari, con
conseguenti temperature di fusione ed ebollizione più alte.
La maggiore rigidità strutturale negli acidi carbossilici insaturi con geometria cis fa sì che le forze
di London siano più deboli con più basse temperature dei passaggi di stato.
Gli acidi grassi con geometria trans hanno invece temperature di ebollizione comparabili con acidi
saturi di pari lunghezza di catena.
6- Ammine, amminoacidi e proteine
Come nell'ammoniaca NH3, l'atomo di azoto delle ammine ha geometria piramidale a base
triangolare e come l'ammoniaca, anche le ammine sono basiche poiché il doppietto elettronico non
condiviso dell'atomo di azoto può essere
impiegato per legare uno ione acido H+. Le
ammine formano facilmente sali solubili
con gli acidi minerali (acido cloridrico o
acido solforico) e spesso vengono
commercializzate in tale forma.
Vengono suddivise in ammine primarie, secondarie e terziarie a seconda del numero di legami
azoto-carbonio presenti.
NH2
Le ammine aromatiche, ovvero quelle come l'anilina in cui l'azoto amminico è
direttamente legato ad un anello aromatico, sono meno basiche perché il
doppietto elettronico dell'azoto amminico è parzialmente condiviso con l'anello
aromatico per risonanza e quindi meno disponibile ad essere ceduto.
6.1
Caratteristiche fisiche e chimiche delle ammine
Le ammine hanno generalmente
punti di ebollizione più elevati
degli alcani aventi massa
molecolare simile, per via dei
legami a ponte di idrogeno
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- 18 -
dovuto ai legami covalenti polari azoto-idrogeno. L'intensità del legame a ponte di idrogeno è però
meno forte di quanto osservato negli analoghi composti ossigenati (alcoli, acidi carbossilici).
Una reazione importante delle ammine con gli acidi carbossilici porta alla formazione di ammidi.
H
O
OH
6.2
+
O
N
N
+
H2O
Esempi di particolari composti azotati
Parecchi composti, sia naturali (esempi
nella figura a sinistra) che sintetici,
contenenti azoto presentano un’intensa
attività farmacologica. Gli alcaloidi sono
senza dubbio le sostanze di origine
vegetale o animale che inducono i
maggiori effetti sugli organismi animali
Il termine alcaloide è più di tipo
farmacologico e medico che di tipo
chimico, dato che i vari alcaloidi
provengono da una serie di composti
organici diversi per gruppi funzionali
presenti e l'unico dato chimico che li
accomuna è la presenza dell’azoto basico.
Possiamo classificarli dal punto di vista
chimico, biosintetico oppure rispetto alla
loro attività biologica. Il forte effetto sul sistema nervoso è causato dalla loro “somiglianza” con i
neurotrasmettitori endogeni. Ne riescono cioè ad imitare il funzionamento a livello delle sinapsi.
6.3
Amminoacidi e proteine
Le proteine sono polimeri naturali costituiti da
unità di α-amminoacidi legate fra di loro da
legami ammidici (peptidici). Sono sostanze
essenziali sia per la struttura degli organismi
animali (es. muscoli) che per la regolazione
delle reazioni chimiche (enzimi).
L’idrolisi delle proteine, reazione catalizzata da un pH acido, porta agli
amminoacidi liberi, composti che hanno un gruppo funzionale
carbossilico (–COOH) e un gruppo basico amminico (-NH2) legato al
carbonio adiacente (chiamato carbonio α) quello carbossilico.
Tutti gli amminoacidi, tranne la glicina, hanno il carbonio α chirale. Gli α
amminoacidi naturali hanno il gruppo ammino a sinistra nella
rappresentazione convenzionale detta proiezione di Fischer, sono quindi
della serie L.
Gli amminoacidi che compaiono nelle proteine degli organismi viventi sono 20 e sono sotto il
controllo genetico, nel senso che l'informazione del tipo e della posizione di un amminoacido in una
proteina è codificata nel DNA.
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- 19 -
Talvolta,
nelle
proteine
compaiono
anche
altri
amminoacidi, più rari, detti
occasionali che vengono prodotti
per
modifiche
chimiche
successive alla biosintesi della
proteina,
che
avviene
sul
ribosoma.
In natura sono stati finora scoperti
oltre 500 amminoacidi diversi che
non fanno parte di proteine e
svolgono ruoli biologici diversi.
Alcuni sono stati addirittura
trovati nelle meteoriti. Piante e
batteri sono in grado di
biosintetizzare
amminoacidi
particolari. Oltre a quelli coinvolti
nella biosintesi delle proteine, vi
sono amminoacidi che svolgono
importanti funzioni biologiche
quali la glicina, l'acido gammaamminobutirrico (GABA, un γ
amminoacido)
e
l'acido
glutammico, che hanno anche una funzione di neurotrasmettitori, la carnitina, coinvolta nel
trasporto dei lipidi all'interno della cellula.
Alcuni dei 20 amminoacidi ordinari sono detti essenziali, in quanto non possono essere
biosintetizzati direttamente da un organismo, devono pertanto essere assunti col cibo. Essenziali per
l'uomo sono la lisina, la leucina, l'isoleucina, la metionina, la fenilalanina, la treonina, il triptofano,
la valina, e, nei bambini, l'istidina e l'arginina.
Le proteine, come già accennato sopra, sono biopolimeri composti da molti L-α-amminoacidi legati
tra di loro con legame ammidico (peptidico) che formano quindi lunghe catene chiamate polipeptidi
(fino a 100 amminoacidi) o proteine (più di 100 amminoacidi, es mioglobina 153 amminoacidi).
La descrizione della complessa struttura tridimensionale di queste lunghe macromolecole viene
suddivisa in tre parti:
a) Struttura primaria
Per struttura primaria si intende la sequenza degli
amminoacidi presenti in una proteina. A fianco la sequenza,
scritta mediante sigle, dei differenti amminoacidi che
compongono l’insulina.
b) Struttura secondaria
Si potrebbe credere che le proteine, dato
che sono lunghissime catene di atomi,
abbiano forma spaziale casuale e non ben
definita. Ciò non corrisponde alla realtà, in
parte per la parziale rigidità del legame
ammidico, in parte per i forti legami fra
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19
- 20 -
parti polari della catena. Molte proteine allo stato puro si presentano in forma cristallina, cioè con
molecole ordinate ed impaccate in una struttura ordinata.
La forma spaziale che una proteina assume dipende essenzialmente dalla natura dei gruppi R
sporgenti dalla catena, e quindi dalla struttura primaria. I gruppi polari tendono a dare legami a
ponte di idrogeno fra varie parti della stessa catena o fra parti di catene proteiche diverse.
Ciò porta a due possibili disposizioni spaziali: ad alfa elica o a foglietto a pieghe.
c) Struttura terziaria
La struttura terziaria descrive la complessiva disposizione spaziale delle varie parti, ad α elica o a
foglietto, dell’intera proteina.
La funzione biologica di una proteina è strettamente in relazione alla forma. Se una proteina viene
riscaldata ad una temperatura troppo alta, si denatura, perde cioè la sua forma tridimensionale e così
anche la funzione per cui la natura la sintetizza.
In questo corso non si intende entrare più nel dettaglio e si rimanda chi fosse interessato ad
approfondire le conoscenze a un buon libro di biologia o, per ampliarle senza troppi aspetti
complessi, al sito: http://en.wikipedia.org/wiki/Protein.
7– Lipidi
Comunemente chiamati "grassi", i lipidi comprendono una grande varietà di molecole, accomunate
dalla caratteristica di essere insolubili in acqua e di avere una densità significativamente minore di
quella dell'acqua (cioè galleggiano). Dal punto di vista chimico si possono distinguere in:
o lipidi idrolizzabili, esterificati con acidi grassi come trigliceridi, cere, steroli, fosfolipidi,
glicolipidi; sono decomponibili con enzimi esterasi.
o Lipidi non idrolizzabili: biomolecole eterogenee come alcoli alifatici a lunga catena, steroli
ciclici (es. colesterolo), steroidi, acidi grassi e loro derivati (es. eicosanoidi), carotenoidi,
terpeni e altri ancora.
I lipidi più importanti dal punto di vista dell'alimentazione umana sono:
o Trigliceridi
o Fosfolipidi
o Colesterolo
I lipidi assolvono nell'organismo umano molte ed importanti funzioni:
o apporto energetico (un grammo fornisce circa 38 kJ)
o forniscono gli acidi grassi essenziali all'organismo
o favoriscono l'assorbimento intestinale delle vitamine liposolubili
o sono componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i tessuti
o gli acidi grassi polinsaturi appartenenti alle famiglie ω6 ed ω3 sono precursori di composti
che nell'organismo svolgono importanti funzioni regolatorie.
o influenzano l'assetto lipidico ematico
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20
- 21 -
7.1
Glicerolo e formazione di trigliceridi
Come già accennato, in natura gli acidi grassi non sono
presenti liberi, ma in forma di esteri con vari
OH
alcoli, come cere con alcoli a catena molto
lunga, e come trigliceridi, triesteri del
OH
glicerolo, un alcol con tre atomi di carbonio,
ciascuno dei quali ha legato un gruppo OH. Il
glicerolo è anche chiamato impropriamente
OH
glicerina.
Si definiscono trigliceridi semplici se il glicerolo è
esterificato con tre molecole identiche di acido grasso (in
alto nella figura a lato), trigliceridi misti quelli in cui sono
presenti diversi acidi grassi (in basso nella figura a lato).
Tabella della composizione percentuale di acidi grassi in vari oli e grassi
ac. Palmitico
(C15H31COOH)
ac. Stearico
(C17H35COOH)
ac. Oleico
(C17H33COOH)
ac. Linoleico
(C17H31COOH)
Numero di iodio
(g I2 per 100 g
grasso)
4 - 10
1-5
2 – 10
0-2
8-10 1)
34 - 43
3-6
38 - 40
5 - 11
48-58
burro
23 - 26
10 - 13
30 - 40
4-5
26-45 2)
strutto
28 - 30
12 - 18
41 - 48
6-7
46-66
sego
24 - 32
14 - 32
35 - 48
2-4
32-47
olio di ricino
0-1
0-9
3-7
81-90 3)
olio di oliva
5 - 15
1-4
69 - 84
4 - 12
74-94
olio di
arachidi
6-9
2-6
50 - 70
13 - 26
83-98 4)
olio di colza
0-1
0-2
20 - 38
10 - 15
94-106
olio di semi
di cotone
19 - 24
1-2
23 - 33
40 - 48
103-115
olio di lino
4-7
2-5
9 - 38
3 - 43
170-204 5)
olio di
merluzzo
10 - 16
1-2
grasso di
cocco
grasso di
palma
120-190 6)
1) 45-51% ac. laurico (C11H23COOH)
2) 3-4% ac. butirrico (C3H7COOH)
3) 80-92% ac. ricinico (C17H32OHCOOH), un idrossiacido insaturo
4) 2-5% ac. arachidico (C19H39COOH)
5) 25-58% ac. linolenico (C17H29COOH)
6) 31-45% ac. insaturi C20 - C22
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21
- 22 -
Le percentuali riportate si riferiscono all’analisi condotta sulle componenti ottenute dopo reazione
di scomposizione in acidi liberi dei vari miscugli di trigliceridi.
Si può osservare come abbiano aspetto oleoso, a temperatura ambiente, quei miscugli in cui la quota
di acidi insaturi esterificati sia alta e grassi quelli con percentuali più elevate di acidi grassi saturi.
La spiegazione è da ricondurre al minore impaccamento anche nei triesteri con molte catene con
doppi legami cis di acidi insaturi, o maggiore impaccamento nel caso siano presenti
prevalentemente catene sature.
7.2
Saponi e saponificazione
Per saponi, in senso stretto, si intendono i sali di sodio o di
potassio degli acidi grassi. Essi appartengono alla famiglia
dei tensioattivi, sostanze caratterizzate dalla presenza nella
molecola sia di una parte polare (anionica, come nei saponi,
cationica o non ionica) sia di una lunga catena idrocarburica
apolare.
I saponi si possono ottenere dalla reazione di
saponificazione di miscugli di trigliceridi, oli o grassi,
animali o vegetali.
Schema della reazione:
O
H2C O O
H2C OH
HC O O
+ 3 NaOH
H2C O
acqua/alcol
HC OH
O
+
3 Na +1 -1O
H2C OH
La reazione produce quindi il sale di sodio o di potassio dell’acido carbossilico e glicerolo libero.
Un tempo veniva condotta mediante lunga bollitura con soda caustica (NaOH) o potassa caustica
(KOH), seguita poi da molti lavaggi con acqua per diminuirne l’alcalinità e ottenere così il sapone
di Marsiglia. (vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Sapone)
7.2.1 Saponi e detergenti: funzionamento e aspetti di problemi ambientali
I saponi, come tutti i
tensioattivi, possiedono un
residuo idrofobico e un
gruppo idrofilo e per
questo tendono in acqua a
formare degli aggregati di forma più o meno sferica chiamati micelle. I residui idrofobici (code) si
orientano verso l’interno della micella con le parti polari o ioniche (teste) verso l’acqua.
La
carica
negativa
superficiale delle micelle fa sì
che queste siano
di
dimensioni molto piccole
dando origine ad una
emulsione
(miscuglio
eterogeneo liquido liquido)
che permette quindi la
detergenza dell’unto da un
tessuto o dalla pelle.
Chimica organica per 1e1e1.doc; autore: Brenn
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- 23 -
L’uso di saponi in acque
calcaree, sono quelle acque
ricche di ioni calcio e
magnesio,
portano
alla
precipitazione dei saponi come
sali insolubili di calcio o
magnesio.
La mancata
formazione
di
micelle
impedisce quindi la detergenza.
Per ovviare a questo problema,
si usano quantitativi di
detersivo tanto più elevati tanto più calcarea risulta l’acqua potabile. L’industria chimica ha
sintetizzato sostanze tensioattive chimicamente diverse dai saponi che non precipitano in acque
calcaree. Un’altra soluzione cui si ricorre in più alle precedenti è di aggiungere opportuni additivi,
come ad esempio i polifosfati, che legano gli ioni calcio e magnesio in modo che le sostanze
detergenti possano svolgere la loro funzione senza dover aumentare in modo consistente la dose.
Ciò ha portato due conseguenze ambientali: da una parte la sintesi e l’utilizzo di sostanze detergenti
non biodegradabili (non lo sono quelli che
hanno la lunga catena apolare ramificata o
contenente anelli aromatici), i saponi lo sono
invece al 100%, dall’altra l’uso di additivi
contenenti fosforo (polifosfati, ad esempio il
trifosfato pentasodico, Na5P3O10) che hanno
portato, prima dell’introduzione generalizzata
dei depuratori delle acque, all’eutrofizzazione
delle acque dei laghi.
7.2.2 Esperienza pratica di laboratorio: produzione di un sapone
Sostanze e soluzioni per la sintesi
- 10 g di un olio o di un grasso (si consiglia l’olio di oliva il grasso di cocco o un altro grasso
vegetale)
- 100 mL di miscela di acqua e alcol al 50% v/v (di cui 40 mL utilizzati per la soluzione che segue)
- 5 g di NaOH in 40 mL di acqua e alcol al 50% v/v
- 150 mL di soluzione 1 M di NaCl
Procedimento
Per dimostrare la possibilità di ottenere saponi di proprietà diverse fra loro si consiglia di usare in
ogni gruppo di studenti un olio o un grasso diverso.
Si riscalda su piastra, in un bicchiere da 250 mL forma larga, il grasso o l’olio agitando
vigorosamente con un magnete.
Aggiungere i 40 mL di soluzione di NaOH in acqua e alcool all’olio o al grasso riscaldato.
Di tanto in tanto aggiungere, a piccole dosi, la miscela di acqua e alcol, tanto quanto basta per
mantenere costante il volume della miscela di reagenti.
Dopo circa 15 minuti la soluzione diviene limpida.
Quando la soluzione comincia a schiumare in modo molto evidente, aggiungere 20 mL della
soluzione di NaCl e continuare a riscaldare fino alla formazione di grumi di sapone riducendo il
volume della miscela.
Nella saponificazione del grasso di cocco non si formano grumi e la soluzione rimane limpida e
trasparente.
Depositare per 10 minuti nel congelatore il bicchiere contenente la miscela di reazione.
Filtrare su filtro a pieghe in un imbuto la miscela di reazione.
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Tempo permettendo si può lavare il sapone nel filtro a pieghe con dell’acqua demineralizzata
precedentemente raffreddata.
Il sapone ricavato dal grasso vegetale ha una granulometria relativamente piccola e un colore giallo
chiaro.
Il sapone che si è formato con il grasso di cocco è di grossa granulometria e di colore bianco.
Il sapone ottenuto dall’olio di oliva è di media granulometria e di colore giallognolo con evidente
profumo di sapone.
8 Membrane cellulari e trasporto di sostanze
8.1
Introduzione
La membrana cellulare (o plasmatica) costituisce l'involucro della
cellula. È formata da un doppio strato di fosfolipidi, attraversata
parzialmente o completamente da numerose proteine. Le componenti
principali della membrana (proteine, lipidi polari e carboidrati) sono
presenti in quantità diverse a seconda del tipo di membrana. Lo
spessore della membrana è di circa 8 nm. Per la sua natura lipidica,
la membrana è fortemente permeabile alle sostanze liposolubili,
quindi apolari. L’osservazione che la membrana viene facilmente
attraversata anche dall'acqua e da piccole molecole insolubili nei
lipidi, permette di dedurre che la membrana lipidica è costituita
al microscopio elettronico di
anche da pori o canali che permettono il passaggio delle molecole di Immagine
una membrana cellulare
piccole dimensioni non liposolubili.
La membrana plasmatica, che avvolge ogni citoplasma, oltre a definirne la dimensione, ha il ruolo
principale di separare ciò che sta al suo interno da ciò che sta all’esterno. Si crea così la possibilità
di organizzare in maniera ordinata le attività chimiche che avvengono all’interno della cellula. La
membrana plasmatica non costituisce solo una barriera passiva, ma è in grado di regolare il
passaggio delle sostanze. La sua funzione è quindi anche quella di filtro selettivo capace di
mantenere concentrazioni diverse fra l’interno e l’esterno e, di lasciare entrare le sostanze nutritive,
facendo uscire i rifiuti: ciò permette di mantenere le condizioni in cui possono svolgersi le attività
metaboliche.
Ogni organello cellulare è delimitato da una o due membrane.
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- 25 -
8.2
Componenti delle membrane
8.2.1 Fosfolipidi
Le molecole fosfolipidiche sono anfipatiche,
sono molecole formate sia da una parte idrofila
(la "testa" costituita da glicerina, da un gruppo
fosfato e da un amminoalcol) sia da una
idrofoba (la "coda" formata da acidi grassi).
I fosfolipidi possono esssere esteri dal
glicerolo e della sfingosina, un alcol più
complesso.
I fosfolipidi che derivano dal glicerolo sono chiamati fosfogliceridi e sono costituiti da due catene
di acidi grassi (formano la coda apolare), una molecola di glicerolo, una di fosfato e una di colina
(queste ultime 3 molecole formano la testa polare).
I fosfolipidi che derivano dalla sfingosina sono chiamati
sfingolipidi, tra cui la sfingomielina. Essa è l’unico fosfolipide di
membrana che non deriva dal glicerolo. Nella sfingomielina si
trova, al posto del glicerolo, un amminoalcol che
contiene una lunga catena idrocarburica.
Nella sfingomielina, il gruppo amminico della
sfingosina è legato ad un acido grasso mediante
un legame ammidico. Inoltre, il gruppo ossidrilico
primario della sfingosina è esterificato dalla
fosforilcolina.
8.2.2 Glicolipidi
I glicolipidi, sono lipidi contenenti un carboidrato. Anche i glicolipidi derivano dalla sfingosina.
I glicolipidi differiscono dalla sfingomielina per il tipo di unità che è legato al gruppo ossidrilico
della sfingosina. Nei glicolipidi, uno o più carboidrati semplici (invece della fosforilcolina) sono
attaccati a questo gruppo. Il glicolipide più semplice è il cerebroside, in cui vi è solo uno zucchero,
glucosio o galattosio (isomeri di formula C6H12O6).
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- 26 -
8.2.3 Colesterolo
Un altro lipide presente in alcune
membrane è il colesterolo.
Esso può inseririsi nelle lamine
fosfolipidiche, intercalandosi tra le
molecole lipidiche. Per la sua
posizione, il colesterolo riduce la
libertà di movimento del tratto
prossimale (più vicino al glicerolo) delle catene degli acidi grassi.
Le membrane plasmatiche di cellule come gli eritrociti e le cellule
mieliniche del sistema nervoso sono ricche di questo steroide.
8.2.4 Proteine di membrana
Si possono distinguere due tipi di proteine presenti come componenti delle membrane:
o Proteine periferiche: si associano alla membrana con interazioni elettrostatiche e legami
idrogeno tra il dominio idrofilico della proteina e le teste polari dei lipidi di membrana. Esse
possono essere rilasciate dalla membrana mediante trattamenti con reagenti che alterano le
interazioni elettrostatiche o rompono i legami a ponte di idrogeno; regolano le attività di enzimi
legati alla membrana o limitano la mobilità di altre proteine mantenendole legate a strutture
intracellulari.
o Proteine integrali: sono legate alla membrana da interazioni idrofobiche tra i lipidi di membrana
e i domini idrofobici delle proteine; esse possono essere staccate da reagenti che interferiscono
con le interazioni idrofobiche nel doppio strato lipidico.
8.3 Struttura delle membrane
I fosfolipidi, in acqua, si dispongono con le code apolari (idrofobiche) in contatto tra loro e le teste
polari (idrofiliche) disposte in superficie per interagire con il solvente.
Quando i fosfolipidi anfipatici sono dispersi in un ambiente acquoso, si formano 3 tipi di aggregati:
-Micelle: sono strutture sferiche con le code apolari raggruppate all’interno della sfera e lontane
dall’acqua, mentre le teste polari sono esposte sulla superficie in contatto con l’acqua.
-Doppio strato: le molecole lipidiche formano un foglietto bidimensionale. In ogni monostrato le
parti idrofobiche non sono a contatto con l’acqua e interagiscono tra loro, mentre le teste polari e
idrofile sono in contatto con l’acqua da entrambe le parti del doppio strato. L’assunzione della
disposizione a doppio strato è un processo che si compie in modo spontaneo e rapido. Le interazioni
idrofobiche sono
la forza principale
che ne causa la
formazione.
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- 27 -
Poiché esso ha i bordi esposti all’acqua, la struttura è instabile e forma un terzo tipo di aggregato
lipidico:
- Liposoma: il doppio strato si ripiega su se stesso perdendo i bordi idrofobici esposti all’acqua e
forma una sfera stabile nell’acqua. Questa vescicola tridimensionale a doppio strato può inglobare
acqua, formando un compartimento separato dall’ambiente circostante ed è quindi probabile che le
prime cellule fossero simili a liposomi.
Il contenuto di proteine nelle membrane varia moltissimo. La mielina, una membrana che isola le
cellule nervose, ha un contenuto di proteine molto basso (18%). Le membrane plasmatiche della
maggior parte delle altre cellule sono invece molto più attive e contengono pompe, pori, recettori ed
enzimi. Il contenuto di proteine di queste membrane plasmatiche costituisce in genere il 50%. Le
membrane che trasferiscono energia come le membrane interne dei mitocondri o dei cloroplasti,
hanno un contenuto più alto di proteine, circa il 75%.
La permeabilità e gli spostamenti delle molecole proteiche o lipidiche all’interno della membrana
definiscono un modello a mosaico fluido della struttura delle membrane biologiche.
Le proteine sono immerse nel doppio strato fosfolipidico a intervalli irregolari e sono mantenute
nella posizione corretta da interazioni idrofobiche tra i lipidi di membrana e i domini idrofobici
delle proteine. Siccome le interazioni tra lipidi e proteine non sono dovute a legami covalenti ma a
interazioni idrofobiche, ogni molecola lipidica o proteica è fluida, cioè può spostarsi lateralmente
nella membrana.
All’interno della membrana ci sono le catene degli acidi grassi che formano una parte idrofobica
fluida dove le proteine integrali galleggiano. I carboidrati legati ad alcuni lipidi e proteine si trovano
all’esterno. Sia le proteine che i lipidi possono spostarsi maggiormente lateralmente, nel doppio
strato, che verticalmente.
La struttura a doppio strato è stabile, ma le singole molecole di fosfolipidi e steroidi possono
muoversi nel piano della membrana, infatti l’interno è fluido.
Il moto dei componenti della membrana dipende dalla fluidità, cioè dalla viscosità della membrana
stessa.
I principali fattori che determinano la fluidità della membrana cellulare sono:
1) temperatura: a bassa temperatura i movimenti sono limitati e il doppio strato è in una struttura
paracristallina, mentre ad alta temperatura i lipidi si muovono liberamente e velocemente.
2) composizione degli acidi grassi: le catene degli acidi grassi dei lipidi di membrana possono
trovarsi sia in uno stato ordinato e rigido che in uno stato relativamente disordinato e fluido. Il
passaggio dallo stato rigido e quello fluido avviene quando la temperatura sale sopra la temperatura
di fusione. La temperatura di transizione dipende dalla lunghezza delle catene degli acidi grassi e
dal loro grado di insaturazione. Lo stato rigido è dato dalla presenza di acidi grassi saturi perché le
loro catene diritte interagiscono molto facilmente fra di loro. D’altra parte, un doppio legame C═C
a geometria cis produce nella catena un angolo che interferisce con la disposizione ottimale delle
catene degli acidi grassi. Quindi, una catena di acido grasso insaturo è più flessibile di quella di uno
saturo e questo effetto è aumentato dalla presenza di più legami doppi.
Un altro aspetto da considerare è che le catene lunghe di acidi grassi interagiscono più fortemente di
quelle corte. Quindi la fluidità della membrana è aumentata dalla presenza di doppi legami nelle
catene degli acidi grassi e dalla brevità delle catene stesse.
Le cellule regolano la composizione lipidica delle loro membrane per avere una fluidità costante
nelle varie condizioni di crescita.
I tre movimenti dei fosfolipidi:
1) Il primo tipo di movimento dei lipidi, molto frequente, riguarda la flessibilità delle catene degli
acidi grassi, ed è la diffusione laterale dove una molecola può diffondere velocemente nel doppio
strato.
2) Il secondo tipo di movimento, meno probabile della diffusione laterale e più lento, è la diffusione
trasversale o diffusione a flip-flop dove un fosfolipide si muove da una faccia della membrana
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all’altra: la testa polare lascia l’ambiente acquoso per entrare nell’interno idrofobico richiedendo
energia.
3) Il terzo tipo di movimento è la rotazione dove un lipide ruota su se stesso sempre nello stesso
posto.
8.4
Trasporto attraverso la membrana
Nel corso dell’evoluzione, la comparsa della capacità delle membrane di mantenere un ambiente
interno e uno esterno significativamente differenti ha costituito una tappa fondamentale nel
passaggio dal mondo inorganico alle prime forme viventi.
I meccanismi biologici di trasporto comprendono l’osmosi, la diffusione, il trasporto passivo e
attivo, i canali ionici.
8.4.1 Osmosi
Con il termine osmosi si indica un passaggio di acqua attraverso una membrana semipermeabile, in
risposta a gradienti di concentrazione di soluti, a gradienti di pressione, oppure a entrambi. Se
dunque la concentrazione delle soluzioni esterne alla cellula è diversa da quella esistente al suo
interno, possono verificarsi fenomeni assai rilevanti per la cellula stessa. Se la membrana
semipermeabile separa due soluzioni isotoniche (cioè che hanno uguale concentrazione), non si ha
un movimento osmotico netto di acqua in nessuno dei due sensi. Ma se una delle due soluzioni è
ipertonica (quindi contiene più soluti) rispetto all'altra (definita ipotonica), allora l'acqua si muoverà
dalla soluzione ipotonica a quella ipertonica.
Ad esempio nelle cellule del sangue, i globuli rossi (eritrociti) riescono a vivere e a svolgere le
proprie funzioni perché il plasma (cioè il liquido sanguigno in cui si trovano) ha una concentrazione
uguale alla loro, ha cioè una pressione osmotica uguale a quella dei gobuli in esso contenuti
(soluzione isotonica).
8.4.2 Diffusione
La diffusione consiste nel passaggio di molecole attraverso la
membrana plasmatica (senza proteine canali) senza consumo di
energia, perché il movimento avviene secondo il gradiente di
concentrazione, di pressione o di carica elettrica. La membrana può
essere direttamente attraversata con questa modalità solo da alcuni
tipi di molecole di basso peso molecolare e piccole dimensioni, come
l’acqua (osmosi), piccole molecole liposolubili (che possono
sciogliersi nei grassi) e gas disciolti.
e acqua
8.4.3 Trasporto di sostanze attraverso le membrane
Per effetto dei meccanismi di trasporto, diventa possibile anche il passaggio di altre specie
molecolari come quelle idrosolubili, molecole di grandi dimensioni, o molecole caratterizzate da
una particolare distribuzione di cariche. il passaggio avviene sia secondo il gradiente sia contro il
gradiente, e sia verso l’esterno sia verso l’interno, a seconda delle necessità metaboliche della
cellula. I passaggi che avvengono contro gradiente richiedono energia, e comportano quindi il
consumo di molecole energetiche come l’ATP. Grazie a questi meccanismi, le cellule possono
mantenere differenti concentrazioni rispetto all’ambiente esterno, proprietà su cui si basano
numerosi fenomeni biologici.
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La membrana plasmatica di tutte le cellule contiene una grande varietà di trasportatori, proteine che
attraversano la membrana trasportando sostanze nutrienti all’interno e prodotti di scarto all’esterno
della cellula.
Molte proteine sono disposte sulla superficie della cellula (recettori) e possiedono siti altamente
specifici che legano molecole di segnale extracellulari (ligandi dei recettori). Quando un ligando
esterno si lega al suo recettore specifico, la proteina recettrice trasforma il segnale portato dal
ligando in un messaggio intracellulare. Per esempio, alcuni recettori di superficie sono associati a
canali ionici che si aprono quando il sito del recettore viene occupato, permettendo l’ingresso di
specifici ioni; altri inibiscono o attivano enzimi intracellulari posti sulla superficie interna della
membrana. Qualunque sia il sistema di traduzione (trasformazione) del segnale, i recettori sulla
superficie agiscono come degli amplificatori: una singola molecola di ligando che si lega a un
singolo recettore determina un flusso di migliaia di ioni attraverso il canale aperto oppure la sintesi
di migliaia di molecole di un messaggero intracellulare ad opera di un enzima attivato.
8.4.3.1 Trasporto passivo
Questo tipo di trasporto è una diffusione di molecole che, per le loro dimensioni e natura chimica,
non riescono a passare direttamente attraverso la membrana.
Nel trasporto passivo, le molecole passano da una parte all’altra della membrana all'interno di
molecole proteiche che attraversano completamente lo spessore della membrana stessa, fungendo da
canali (proteine canale) che rimangono sempre aperti; questo passaggio avviene esclusivamente
nella direzione in cui il soluto migrerebbe per diffusione; per tale motivo, questa modalità di
trasporto viene anche indicata come “diffusione facilitata”. Poiché avviene secondo il gradiente di
concentrazione (e non si accumula oltre la concentrazione di equilibrio), il trasporto passivo è un
fenomeno che ha luogo senza dispendio di energia. Esso permette il passaggio di particelle idrofile,
come gli ioni Ca2+, Na+ e K+, molecole di monosaccaridi e di amminoacidi.
Nelle membrane si trovano in genere diversi tipi di proteine-canale o pori selettivi, dotate di
un’elevata specificità per alcuni tipi di sostanze determinata dal diametro del canale e dalla natura
dei gruppi residui dei vari amminoacidi: ad esempio, vi sono canali specifici per il sodio e canali
specifici per il potassio.
Un altro bell’esempio di trasporto passivo è il trasportatore del glucosio degli eritrociti. Il
metabolismo che produce energia nell’eritrocita dipende da un rifornimento costante di glucosio
proveniente dal plasma sanguigno, dove la concentrazione dello zucchero viene mantenuta intorno a
5mM. Il glucosio entra nell’eritrocita per diffusione facilitata attraverso uno specifico trasportatore
a una velocità 50000 volte più elevata di quella non facilitata.
8.4.3.2 Trasporto attivo
Consiste nello spostamento di molecole contro gradiente e accumula il soluto su un lato della
membrana (ambiente extracellulare oppure citoplasma). Il trasporto attivo richiede energia e può
funzionare solo se tale processo è accoppiato ad un processo esoergonico, come ad esempio una
reazione di ossidoriduzione o il consumo di energia fornita da molecole di ATP.
Col trasporto attivo si può, ad esempio, spiegare l’abbondanza di iodio in alcune alghe nonostante le
bassissime concentrazioni di questo elemento nell’acqua marina, o ancora l’accumulo di
determinate sostanze nelle radici delle piante in concentrazioni decisamente superiori a quelle
presenti nel terreno. Il funzionamento di questi trasportatori, che prendono il nome di pompe, si
basa in genere su un cambiamento della conformazione della proteina: l’attacco della molecola al
suo sito modifica la conformazione della pompa proteica; l’ATP fornisce l’energia necessaria
all’apertura del canale e al rilascio della molecola dall’altra parte della membrana.
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Le tre classi di sistemi di trasporto differiscono per
il numero di soluti trasportati e per la direzione in
cui ogni soluto viene trasportato.
I sistemi che trasportano simultaneamente due soluti
attraverso una membrana, tutti vanno sotto il nome
di sistemi di cotrasporto.
Quando, come in questo caso, i due soluti si
muovono in direzioni opposte, il processo viene
detto antiporto. Nel simporto, i due substrati si
muovono simultaneamente nella stessa direzione. I
trasportatori che trasportano un solo substrato, come
nel caso del glucosio, vengono detti sistemi
uniporto o trasporto semplice.
Bibliografia
Harold Hart et al.; Chimica organica, Zanichelli 2003
Lehninger, Principi di biochimica, terza edizione, Zanichelli
H. R. Christen, Grundlagen der Chemie, Sauerländer
www.wikipedia.com
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