SAPIENZA
UNIVERSITA’ DI ROMA
DOTTORATO DI RICERCA IN MEDICINA SPERIMENTALE
XXVI CICLO
Studio del ruolo dei polimorfismi a singolo nucleotide rs12979860 e rs8099917
dell’IL28B in una coorte di pazienti italiani con infezione cronica
da virus dell’epatite C sottoposti a terapia interferonica
DOTTORANDO
Katia Monteleone
DOCENTE GUIDA
Prof. Guido Antonelli
COORDINATORE DEL DOTTORATO
Prof.ssa Maria Rosaria Torrisi
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
INTRODUZIONE.................................................................................................................................................. 4
Infezione da Virus dell‟epatite C ....................................................................................................................... 5
Virus dell‟epatite C............................................................................................................................................ 6
Classificazione e variabilità genetica ............................................................................................................ 6
Struttura del virione e organizzazione genomica........................................................................................... 7
Struttura e funzione delle proteine virali ....................................................................................................... 9
Ciclo di replicazione .................................................................................................................................... 11
Epidemiologia e modalità di trasmissione ....................................................................................................... 14
Storia naturale dell‟infezione e meccanismi patogenetici ............................................................................... 15
Diagnosi di laboratorio .................................................................................................................................... 17
Terapia ............................................................................................................................................................. 18
Monitoraggio e valutazione della risposta alla terapia .................................................................................... 20
Fattori dell‟ospite e del virus associati alla non risposta alla terapia antivirale .............................................. 21
Interferon ......................................................................................................................................................... 24
Interferone lambda....................................................................................................................................... 28
Polimorfismi genetici dell‟IL28B ............................................................................................................... 31
Effetti dei polimorfismi dell‟IL28B ............................................................................................................ 34
SCOPO DELLA TESI ........................................................................................................................................... 36
MATERIALI E METODI ...................................................................................................................................... 40
Caratteristiche clinico-demografiche dei pazienti ........................................................................................... 41
Estrazione del DNA ......................................................................................................................................... 41
Reazione a catena della polimerasi (PCR) per la determinazione degli SNP dell‟IL28B ............................... 42
Analisi del prodotto di PCR degli SNP dell‟IL28B ........................................................................................ 44
Metodo del pirosequenziamento ...................................................................................................................... 44
Pirosequenziamento degli SNP dell‟IL28B ..................................................................................................... 46
Estrazione di RNA da PBMC .......................................................................................................................... 49
Sintesi di cDNA ............................................................................................................................................... 49
2
Real-Time PCR ............................................................................................................................................... 50
Analisi statistica............................................................................................................................................... 53
RISULTATI......................................................................................................................................................... 54
Pazienti ............................................................................................................................................................ 55
Frequenza dello SNP rs12979860 dell‟IL28B................................................................................................. 57
Frequenza dello SNP rs8099917 dell‟IL28B................................................................................................... 58
Polimorfismi dell‟IL28B e risposta al trattamento con PEG-IFN e ribavirina. ............................................... 59
SNP rs12979860/rs8099917 dell‟IL28B e livelli di carica virale ................................................................... 62
SNP rs12979860/rs8099917 dell‟IL28B e grado di fibrosi epatica................................................................. 63
Valutazione dell‟espressione di geni IFN-indotti in funzione dei polimorfismi dell‟IL28B........................... 64
DISCUSSIONE ................................................................................................................................................... 67
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 76
3
INTRODUZIONE
4
Infezione da Virus dell’epatite C
L‟infezione da Virus dell‟epatite C (HCV) costituisce un problema di sanità pubblica
mondiale; ciò è dettato non soltanto dal fatto che l‟infezione è estremamente diffusa - si stima
che le persone infette siano oltre 170 milioni - ma anche dal fatto che circa l‟80% dei soggetti
HCV-positivi manifesta una cronicizzazione dell‟infezione e nel 15-20% dei casi si osserva lo
sviluppo di cirrosi e/o epatocarcinoma, dopo 20-30 anni dall‟infezione. Per tale ragione
l‟infezione cronica da HCV rappresenta la una delle principali cause di trapianto di fegato nei
paesi industrializzati (Thomas, 2013).
Il Virus dell‟epatite C fu identificato nel 1989 e riconosciuto come il principale agente
eziologico dell‟epatite non-A non-B post-trasfusionale (Houghton, 2009). Questa scoperta ha
portato rapidamente alla messa a punto di saggi sierologici e molecolari per lo screening delle
trasfusioni ematiche. Tuttavia, l‟acquisizione di una conoscenza più approfondita del virus è
stata rallentata dalla difficoltà incontrata per lungo tempo nel tentativo di mettere a punto
modelli di studio in vitro efficaci e riproducibili e dalla scarsa disponibilità di modelli in vivo
(Lohmann et al., 2013).
La mancanza di informazioni dettagliate sul ciclo di replicazione virale ha sensibilmente
contribuito a impedire
lo sviluppo di farmaci antivirali diretti. Per decenni la terapia
antivirale dell‟infezione cronica da HCV è stata basata sulla somministrazione di interferone
(IFN), inizialmente in monoterapia e successivamente in combinazione con ribavirina. La
messa a punto di modelli di replicazione in vitro avvenuta negli ultimi dieci anni ha quindi
rappresentato una svolta fondamentale per la comprensione delle diverse tappe del ciclo di
replicazione e ha rapidamente portato al disegno e all‟introduzione nella pratica clinica di
agenti antivirali diretti (Scheel et al., 2013). Tuttavia, a causa dell‟enorme variabilità che
caratterizza il virus, la somministrazione in monoterapia dei nuovi farmaci non è ancora
possibile perché porterebbe rapidamente alla selezione di varianti virali farmaco-resistenti.
Per questa ragione l‟IFN ha ancora un ruolo centrale nel trattamento dei pazienti con
infezione cronica da HCV.
Il principale limite della terapia interferonica è rappresentato dal fatto che una discreta
percentuale di soggetti non risponde alla terapia o presenta una ripresa della malattia in
seguito alla sospensione della terapia stessa (Asselah et al., 2010). I fattori del virus e/o
dell‟ospite coinvolti nel meccanismo di resistenza al trattamento interferonico non sono
ancora stati completamente compresi. Diventa così evidente l‟importanza dell‟identificazione
di marcatori utili per predire le probabilità di risposta alla terapia e consentire una più accurata
5
selezione dei pazienti con infezione da HCV che trarranno realmente un beneficio dalla
terapia stessa; lo scopo ultimo è, infatti, quello di avvicinarsi alla cosiddetta “medicina
personalizzata”, un approccio che, attraverso test innovativi e una visione globale di ciascun
individuo, crea percorsi terapeutici altamente personalizzati.
Virus dell’epatite C
Classificazione e variabilità genetica
Il virus dell‟epatite C è l‟agente eziologico dell‟epatite virale C. Appartiene alla famiglia
Flaviviridae, i cui membri sono classificati in tre generi: Flavivirus, Pestivirus ed
Hepacivirus. Sulla base di analisi di sequenza, HCV è classificato nel genere Hepacivirus,
insieme al GB-virus B e ai virus recentemente identificati NPHV (non primate hepacivirus),
RHV (rodent hepacivirus) e BHV (bat hepaciviruses) (Scheel et al., 2013).
HCV è caratterizzato da un grado di variabilità estremamente elevato. Ciò è in parte dovuto al
fatto che l‟infezione da HCV è un processo altamente dinamico: il virus possiede un‟emivita
di poche ore e si stima che in un soggetto con infezione cronica si possano formare fino a 1012
nuovi virioni ogni giorno. A questo si aggiunge il fatto che l‟RNA polimerasi RNAdipendente virale non possiede un meccanismo di correzione delle bozze, cioè di attività
esonucleasica 3‟-5‟, e non è quindi in grado di riparare gli errori di incorporazione
nucleotidica durante la replicazione virale (Moradpour et al., 2007).
La variabilità all‟interno del genoma di HCV non è uniformemente distribuita, ma segue una
predisposizione determinata dalla maggior pressione immunologica da parte dell‟organismo
ospite ed è strettamente associata alla funzione specifica della proteina che viene codificata.
Se le mutazioni avvengono in regioni le cui funzioni sono determinanti per la replicazione del
virus, si produrranno delle particelle virali difettive incapaci di dare infezioni produttive e,
pertanto, destinate ad essere eliminate. Per tale motivo le sequenze più conservate nei vari
isolati di HCV sono quelle delle regioni 5‟UTR e 3‟UTR non codificanti, della proteina core e
di alcuni segmenti delle regioni NS3 (elicasi) e NS5B (polimerasi), essenziali per il ciclo
replicativo del virus. Le regioni più variabili sono quelle coinvolte nella sintesi delle proteine
dell‟involucro esterno, in particolare la regione aminoterminale della proteina E2, definita
“Hypervariable Region 1” o HVR1 (Sandres et al., 2000).
6
Conseguenza diretta di tali fenomeni è il fatto che HCV circola nel singolo individuo non
come singola specie ma sotto forma di quasispecie, ovvero come popolazione eterogenea di
virioni. L‟eterogeneità genetica di HCV conferisce al virus un vantaggio adattativo poichè la
presenza simultanea di varianti genomiche multiple permette una rapida selezione di mutanti
che si adattano meglio a cambiamenti ambientali (es. resistenza a farmaci o alla risposta
immunitaria); proprio per questo l‟eterogeneità genetica del virus è alla base della
cronicizzazione dell‟infezione, ed è probabilmente coinvolta nei fenomeni di evasione della
risposta immunitaria, nella limitata efficacia della terapia ed nel mancato ottenimento di un
vaccino efficace.
Sulla base dell‟analisi di sequenza gli isolati di HCV possono essere classificati in 6 genotipi,
indicati con i numeri arabi, i quali differiscono tra loro del 30-35%, e numerosi sottotipi,
indicati con le lettere dell‟alfabeto, che differiscono del 20-25%.
Struttura del virione e organizzazione genomica
Il virione presenta una morfologia sferoidale con diametro di 50-80 nm. È composto da un
nucleocapside a simmetria icosaedrica, costituito dalla proteina core e dal genoma virale, e da
un involucro pericapsidico, ovvero un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare in cui
sono inserite le glicoproteine virali E1 ed E2 (Fig.1).
Fig.1 Struttura del virione. (https://gi.jhsps.org/)
Il genoma di HCV è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva di 9.6 kb
contenente un unico ORF (open reading frame) fiancheggiato da due regioni non codificanti
(Fig. 2). L‟estremità 5‟ non codificante, nota come 5‟UTR (untranslated region), è costituita
7
da una sequenza di circa 340 nucleotidi, altamente conservata nei diversi isolati clinici,
organizzata in sei domini (I-VI) con struttura secondaria a stem-loop. Pur non essendo una
regione codificante, il 5‟UTR svolge un ruolo chiave nella regolazione del ciclo di
replicazione virale poiché include una sequenza IRES (Internal Ribosome Entry Site)
fondamentale per consentire la traduzione CAP-indipendente dell‟RNA virale; la sequenza
IRES è costituita dai domini II, III e IV del 5‟UTR e i primi 24–40 nucleotidi della regione
che codifica per la proteina core; la formazione di un complesso binario fra l‟IRES e la
subunità 40S del ribosoma, infatti, induce un cambiamento conformazionale della subunità
40S stessa necessario per l‟assemblaggio del ribosoma 80S e il successivo inizio della
traduzione (Spahn et al., 2001). La regione 5‟UTR contiene anche due siti di legame per il
microRNA miR122, abbondantemente espresso nelle cellule epatiche; numerosi studi hanno
ormai reso evidente come l‟interazione tra il miR122 e il genoma virale sia in grado di
stimolare la replicazione virale (Fukuhara et al., 2013).
L‟estremità 3‟ non codificante, nota come 3‟UTR, è costituita da una corta sequenza di
lunghezza variabile, una sequenza poly(U/UC) della lunghezza media di 80 nucleotidi e una
regione altamente conservata di 98 nucleotidi, nota come X-tail, essenziale per la replicazione
del genoma virale sia in vitro che in vivo.
L‟ORF codifica per una poliproteina precursore di circa 3000 aminoacidi da cui originano,
per scissione proteolitica, le proteine virali strutturali e non strutturali mature. Il
processamento delle proteine strutturali C, E1 ed E2 e della proteina non strutturale p7, i cui
geni sono localizzati all‟estremità 5‟ dell‟ORF, è catalizzato da enzimi cellulari, le peptidasi
del segnale associate alle membrane del reticolo endoplasmatico (RE); tutte le altre proteine
non strutturali, necessarie per la replicazione virale, sono invece processate esclusivamente
dagli enzimi virali NS2/3 ed NS3/4A.
8
Fig.2 Struttura ed organizzazione del genoma del virus dell‟epatite C. In alto è rappresentato il genoma di 9.6 kb
di RNA a singolo filamento positivo. La traduzione porta alla sintesi di una poliproteina in cui sono indicati i siti
di taglio: i rombi indicano i siti riconosciuti dalle peptidasi del segnale, le frecce indicano i siti di scissione fra le
proteine non strutturali. Nella parte più bassa della figura è rappresentato il prodotto dei tagli sulla poliproteina, i
punti sulle proteine E1 ed E2 ne indicano la glicosilazione (Moradpour et al., 2007).
Struttura e funzione delle proteine virali
La prima proteina strutturale codificata dall‟ORF di HCV è la proteina core, che costituisce il
nucleocapside. La presenza di una sequenza segnale localizzata tra i geni core ed E1 induce il
trasporto della catena polipeptidica nascente verso il RE; un primo taglio proteolitico porta
alla formazione di una proteina immatura di 191 amminoacidi e un taglio successivo al Cterminale porta alla formazione della proteina core matura: una proteina con struttura ad αelica, costituita da 173-179 amminoacidi e dal peso di 21 kDa. Il dominio D1 situato
all‟estremità N-terminale della proteina core è in grado di legarsi all‟RNA genomico grazie
alla basicità conferitale dai residui di arginina e lisina che sono anche coinvolti nella
oligomerizzazione necessaria per costituire il nucleocapside (Moradpour et al., 2007).
E1 ed E2 sono proteine altamente glicosilate espresse sull‟involucro pericapsidico, dove si
associano mediante interazioni non covalenti per costituire un complesso eterodimerico
necessario per consentire l‟entrata del virus (Moradpour et al., 2007).
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La proteina p7 è un piccolo peptide di 63 amminoacidi costituito da due domini
transmembrana legati da un corto loop citoplasmatico; numerose evidenze sperimentali
suggeriscono che la proteina p7 possa appartenere alla famiglia delle viriporine, proteine
integrali di membrana in grado di formare canali ionici, e che possa avere un ruolo nelle fasi
di maturazione e rilascio del virione (Tang et al., 2009).
La proteina NS2 è una proteina di membrana di 21-23 kDa. L‟estremità C-terminale della
proteina NS2 contiene un dominio proteasico che, insieme all‟estremità N-terminale della
proteina NS3, costituisce la proteasi NS2/3 responsabile del taglio proteolitico a livello della
giunzione NS2/NS3. Per tale motivo l‟enzima NS2/3 è anche noto come autoproteasi.
La proteina NS3 è una proteina di 69 kDa che possiede più domini funzionali; è dotata di un
dominio responsabile dell‟attività proteasica localizzato all‟N-terminale e di un dominio
responsabile di attività RNA-elicasica e NTPasica localizzato all‟estremità C-terminale. In
particolare, l‟interazione non covalente tra NS3 e il cofattore NS4A porta alla formazione
della serinoproteasi NS3/4A, responsabile del processamento del precursore poliproteico.
Il dominio elicasico di NS3 può agire sia su RNA doppio filamento che su RNA a singolo
filamento ricco di strutture secondarie; tale attività richiede l‟idrolisi di ATP. Si ritiene che,
oltre a risolvere strutture secondarie nel genoma che potrebbero formarsi durante la
replicazione, l‟elicasi potrebbe essere coinvolta anche nella fase di assemblaggio dei nuovi
virioni (Ma et al., 2008).
La proteina NS4B è una proteina di 27 kDa non ancora completamente caratterizzata; si
ritiene che induca la formazione del cosiddetto membranous web, un compartimento di
membrana specializzato che funge da scaffold per il complesso di replicazione di HCV.
La proteina NS5A è una fosfoproteina che può essere presente in uno stato fosforilato (56
kDa) o iperfosforilato (58 kDa); numerose evidenze sperimentali indicano che NS5A potrebbe
essere coinvolta in interazioni proteina-proteina essenziali per la formazione del complesso di
replicazione.
L‟ultima proteina che viene scissa dal precursore poliproteico è la proteina NS5B, una
proteina di 68 kDa che rappresenta l‟RNA polimerasi-RNA dipendente del virus. La
polimerasi virale NS5B è priva di capacità di correzione di bozze e ciò, insieme all‟elevata
attività di replicazione, è alla base della notevole variabilità genetica di HCV.
10
Ciclo di replicazione
Il virus circola nel sangue di pazienti infetti sottoforma di 3 forme: virioni associati a
LDL/VLDL (low density lipoproteins/very low density lipoproteins), virioni associati a
immunoglobuline e virioni liberi (Moradpour et al., 2007).
Le principali cellule bersaglio del virus sono rappresentate dagli epatociti seppure sia
possibile anche l‟infezione di altri tipi cellulari quali ad esempio cellule mononucleate di
sangue periferico (PBMC).
Il primo evento necessario perché si realizzi l‟infezione è il contatto tra virus e cellula;
successivamente, un legame specifico tra le glicoproteine di superficie e i recettori cellulari
consente l‟ingresso del virus mediante endocitosi mediata da recettore.
Secondo il modello attualmente più accreditato l‟ingresso di HCV nell‟epatocita
richiederebbe una prima debole interazione con glicosamminoglicani e/o LDLR (low density
lipoproteins receptor) e, in una fase successiva, il legame specifico con un recettore ad alta
affinità come CD81 ed SR-B1. Il complesso virus-recettore traslocherebbe quindi alle
giunzioni strette, dove corecettori identificati nelle proteine delle tight junction Claudina ed
Occludina1 indurrebbero l‟endocitosi mediata da recettore (Fig. 3).
Fig. 3 Ingresso di HCV nell‟epatocita. HCV si attacca alla superficie cellulare mediante interazioni deboli con
glicosamminoglicani (GAG) e/o LDLR; successivamente stabilisce un legame ad alta affinità con un recettore
specifico come CD81 ed SR-B1; infine il cmplesso virus-recettore trasloca alle giunzioni strette, dove Claudina
ed Occludina1 inducono l‟endocitosi mediata da recettore. (Adapted from Tang et al, 2009)
Il recettore meglio caratterizzato è probabilmente la molecola CD81, una proteina
transmembrana della famiglia delle tetraspanine, espressa in molti tipi cellulari, inclusi gli
epatociti. È stato proposto che la molecola CD81 possa essere un recettore per l‟entrata di
HCV nelle cellule a causa della sua capacità di interazione con la glicoproteina dell‟envelope
11
E2 (Pileri et al., 1998) ed ulteriori prove sono state fornite dal fatto che la diminuita
espressione di CD81 ad opera di saggi di RNA interference riduce la permissività delle cellule
all‟infezione e dal fatto che l‟espressione di CD81 su cellule epatiche umane non permissive
consente l‟entrata di HCV (Zhang et al., 2004). Tuttavia, il legame di anticorpi anti-CD81 non
inibisce del tutto l‟infezione e per questa ragione è stato proposto che l‟interazione E2-CD81
sia necessaria ma non sufficiente per consentire l‟ingresso del virus e che sia quindi richiesta
la partecipazione di altre molecole (Evans et al., 2007).
I recettori scavenger sono proteine di membrana che legano lipoproteine modificate
chimicamente, acetilate ed LDL ossidate. Il recettore SR-B1 è altamente espresso negli
epatociti ed è coinvolto nel trasporto bidirezionale del colesterolo legando sia lipoproteine ad
alta densità (HDL) che lipoproteine a bassa densità (LDL). È stato dimostrato che la proteina
E2 di HCV è in grado di legarsi a cellule di linee derivanti da epatoma in maniera
indipendente dal recettore CD81, e SR-B1 è stato identificato come il mediatore di questo
legame (Scarselli et al., 2002).
Il recettore per le LDL è il recettore adibito al trasporto delle lipoproteine all‟interno delle
cellule, in particolare lipoproteine LDL ricche in colesterolo, tramite un processo di
endocitosi mediata da recettore di vescicole rivestite di clatrina. È stato suggerito che HCV
possa usare questo recettore per infettare la cellula e si è scoperto che LDL libere nel siero
possono influenzare il tasso di infezione degli epatociti competendo con il virus per il
recettore (Enjoji et al., 2000).
Dopo il legame ai recettori, HCV entra nella cellula mediante un processo di endocitosi
mediata da recettore e transita in un comparto endosomico a basso pH (Blanchard et al.,
2006). L‟abbassamento di pH all‟interno delle vescicole promuove un cambiamento
conformazionale delle glicoproteine E1 e E2, con conseguente esposizione di una regione
idrofobica di E2 che rappresenta il peptide di fusione; questo peptide, entrando nella
membrana della vescicola endocitica, promuove la fusione delle membrane cellulare e virale
e l‟uscita del nucleocapside nel citoplasma. In seguito alla scapsidazione, che è ancora una
delle fasi meno comprese del ciclo replicativo di HCV, ha inizio la traduzione del genoma
virale. L‟RNA (+) genomico (HCV RNA) si comporta come un mRNA policistronico e viene
direttamente tradotto in una poliproteina che viene processata da proteasi cellulari e virali, con
conseguente produzione di proteine strutturali e non strutturali. Le fasi successive della
replicazione avvengono in prossimità di particolari alterazioni di membrana, originate
probabilmente dal reticolo endoplasmatico, note come membranous web, la cui formazione
sembra essere indotta dalla proteina virale NS4B.
12
L‟enzima chiave della replicazione è l‟RNA-polimerasi-RNA dipendente virus-specifica, che
avvia la sintesi di un filamento di RNA antigenomico (minus strand), utilizzando come
stampo il genoma virale, e in un secondo tempo sintetizza sull‟intermedio replicativo un
filamento di RNA genomico (plus strand). La successiva produzione delle nuove particelle
virali viene attivata dall‟interazione dei monomeri di proteina core con i genomi
neosintetizzati e porta alla formazione dei nucleocapsidi; ciò avviene in regioni del reticolo
endoplasmatico in cui è presente un‟elevata concentrazione di goccioline lipidiche. Le
particelle virali di nuova sintesi acquisiscono l‟involucro esterno dal reticolo endoplasmatico
della cellula ospite, dove vengono inserite le glicoproteine E1 ed E2; il passaggio
nell‟apparato di Golgi consente la maturazione finale della particella virale con la
glicosilazione di E1 e E2. Il virione esce poi dalla cellula per esocitosi (Fig.4).
Fig. 4 Schema riassuntivo del ciclo vitale di HCV nella cellula ospite. a) legame ed ingresso; b) scapsidazione; c)
traduzione e processamento della poliproteina in corrispondenza del reticolo endoplasmatico; d) replicazione
dell‟RNA; e) assemblaggio; f) maturazione e rilascio (Moradpour et al., 2007).
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Epidemiologia e modalità di trasmissione
L‟Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa 170 milioni di persone siano
infette da HCV, ovvero circa il 3% della popolazione mondiale. La prevalenza e l‟incidenza
da HCV differiscono, comunque, significativamente nelle diverse aree geografiche; la
differente circolazione del virus è sicuramente associata alle condizioni igienico-sanitarie e
socio-demografiche, che possono modificare l‟efficienza delle vie di trasmissione.
I paesi con prevalenza maggiore si trovano in Africa e Asia. Un caso emblematico è quello
dell‟Egitto, che ha il più alto valore di prevalenza nel mondo (superiore al 20%) ed il genotipo
più presente è il 4A; ciò è dovuto all‟enorme diffusione nella popolazione della
Schistosomiasi, una malattia parassitaria la cui cura nel passato era associata alla
somministrazione parenterale di antimonio con siringhe di vetro non adeguatamente
sterilizzate.
In Italia la prevalenza dell‟infezione correla fortemente con l‟età e mostra un gradiente
geografico dal Nord al Sud Italia, raggiungendo picchi particolarmente elevati in soggetti di
età avanzata nel Meridione (oltre il 30% in soggetti di età superiore ai 60 anni).
Anche i genotipi virali sono diversamente distribuiti nelle varie aree geografiche; il genotipo
1a è il più diffuso nel Nord America, il genotipo 1b è il più diffuso in Europa, il tipo 2 in
estremo Oriente (Giappone,Taiwan), il tipo 3 in Asia centrale (soprattutto in India), il 4 in
Medio Oriente e in Africa centrale e settentrionale, il 5 in Africa Meridionale ed il 6 in Asia
sudorientale (in particolare è prevalente nei donatori di sangue di Hong Kong) (Kuiken et al.,
2005).
Il virus dell‟epatite C viene trasmesso prevalentemente tramite esposizione a sangue infetto.
In passato la principale modalità di trasmissione era rappresentata dalle trasfusioni di sangue e
dagli emoderivati provenienti da donatori infetti; oggi grazie allo screening sierologico e
molecolare dei marcatori di HCV nei donatori, tale rischio si è notevolmente ridotto nei Paesi
industrializzati mentre rimane ancora un problema in Africa e in Asia.
Altra modalità di trasmissione è rappresentata dall‟assunzione di droghe per via parenterale
con scambio di siringhe infette.
La trasmissione sessuale è rara e non quantificabile sul piano epidemiologico. In generale
l‟associazione tra comportamenti sessuali a rischio e HCV è molto più debole di quella con
virus dell‟immunodeficienza acquisita o virus dell‟epatite B.
Un peso considerevole nella trasmissione di HCV è comunque rappresentato dalla via
parenterale inapparente come le procedure mediche e chirurgiche invasive (trapianto da
14
donatori infetti, interventi odontoiatrici, apparecchiature sanitarie contaminate, procedure
diagnostiche invasive), agopuntura, punture accidentali con aghi e strumenti taglienti
contaminati, trattamenti estetici (soprattutto piercing e tatuaggi tra i giovani).
Inoltre, l‟alta incidenza di infezioni croniche asintomatiche promuove la diffusione del virus
nella popolazione.
Storia naturale dell’infezione e meccanismi patogenetici
L„infezione primaria da HCV è del tutto asintomatica nel 60-70% dei casi mentre nel 20-30%
dei pazienti in cui risulta clinicamente evidente causa un quadro di epatite acuta
sovrapponibile a quello ascrivibile agli altri virus epatotropi; in circa l‟80% dei casi,
l‟infezione diventa cronica ed è caratterizzata dalla persistenza del genoma virale nel sangue
per almeno sei mesi dall‟insorgenza dell‟infezione acuta. In una quota variabile di soggetti
portatori del virus, soprattutto in presenza di spiccata necroinfiammazione e/o di cofattori di
danno epatico, la malattia potrà evolvere dalla condizione di epatite cronica verso la cirrosi
epatica e l„epatocarcinoma (Asselah et al., 2008) (Fig. 5).
Fig. 5 Storia naturale dell‟infezione (Adapted from Asselah et al., 2008)
In seguito all‟esposizione accidentale al virus, si verifica un periodo di incubazione la cui
durata varia da 2 a 26 settimane (mediamente 7 settimane). I livelli di alaninoaminotrasferasi
sierici (ALT), marker di necrosi epatocitaria, raggiungono valori 10 volte superiori alla
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norma, mediamente dopo 2-8 settimane. L‟HCV RNA è invece evidenziabile precocemente
nel siero del paziente, da 1 a 2 settimane dopo il contatto con il virus. L‟epatite acuta è itterica
solo in una piccola parte dei casi (20%) e non itterica con pochi o nessun sintomo nella
maggior parte delle infezioni (80%). I sintomi sono generalmente aspecifici: malessere,
nausea, dolore al fegato e urine scure.
Nell‟epatite acuta seguita da guarigione si osserverà la normalizzazione delle ALT e la
scomparsa dell‟HCV RNA entro 2-3 mesi dall‟inizio della sintomatologia. Tuttavia, come
detto precedentemente, HCV ha un‟elevata capacità di indurre infezioni persistenti; dopo
l‟infezione acuta circa l‟80-85% dei soggetti va incontro ad epatite cronica mentre solo il 15%
dei soggetti guarisce. Diversi sono i fattori che possono modificare il decorso, la gravità e la
progressione della malattia. Tra questi, i più noti sono l‟età al momento dell‟infezione, la via
di infezione e la carica virale infettante, le coinfezioni con altri virus epatici o con HIV, le
alterazioni dello stato immunitario, l‟etnia, la coesistenza di altre cause epatolesive come il
consumo di alcool o di altre patologie quali accumulo di ferro, obesità, diabete di tipo 2,
resistenza all‟insulina.
L‟epatite cronica nel 20% dei casi progredisce fino ad arrivare alla cirrosi epatica,
caratterizzata da una continua deposizione di tessuto connettivo, che altera la normale
architettura dell‟organo determinandone una progressiva perdita di funzionalità che può
portare a morte il paziente, e nell‟1-4% dei casi si assiste allo sviluppo di epatocarcinoma. Ad
oggi, l‟infezione persistente da HCV è la causa principale di malattia epatica e di trapianto di
fegato nel mondo.
La risposta immunitaria sostenuta dai linfociti B e T, citotossici ed helper, ha un ruolo
fondamentale nel controllo dell‟infezione ed è coinvolta sia nella patogenesi del danno
epatico sia nella clearence del virus. La risposta umorale, mediata da linfociti B, è
principalmente coinvolta nella neutralizzazione ed eliminazione del virus extracellulare
circolante, ed è quindi fondamentale per prevenire la diffusione del virus da una cellula
infettata ad un‟altra. Al contrario, le risposte cellulo-mediate sono necessarie per
l‟eliminazione degli epatociti infetti e, quindi, del virus intracellulare. I linfociti citotossici
CD8+ sono in grado di eliminare le cellule bersaglio, a causa della loro attività litica, mediata
dalla produzione di perforine, e apoptotica, associata a meccanismi caspasi-dipendenti e
caspasi-indipendenti. I linfociti helper CD4+ attivano sia i linfociti T CD8+ sia i linfociti B,
potenziando la risposta immunitaria.
16
Diagnosi di laboratorio
Il primo approccio per lo screening e per la diagnosi di infezione da HCV è rappresentato
dalla ricerca di anticorpi specifici nei confronti di antigeni dell‟HCV mediante saggi
immunoenzimatici (ELISA). Il test per anticorpi (Ab) anti-HCV è in grado di evidenziare una
positività da 5 a 8 settimane dopo l‟infezione primaria. La presenza di Ab anti-HCV può
essere indicativa non solo di un‟infezione acuta in corso di risoluzione ma anche di
un‟infezione cronica, in presenza o in assenza di attiva replicazione virale. Assume allora
particolare significato la ricerca diretta del genoma virale (HCV RNA), mediante una reazione
polimerasica a catena, preceduta da una reazione di retrotrascrizione (RT-PCR). È necessario
confermare la positività per gli anticorpi anti-HCV mediante rilevazione dell‟HCV RNA nei
soggetti a basso rischio d‟infezione, come i donatori di sangue, e nel neonato nato da madre
con infezione da HCV, poiché, nel corso del primo anno di vita, la diagnosi di infezione
materno-fetale può essere posta esclusivamente attraverso la ricerca del genoma virale, a
causa della presenza in circolo degli anticorpi materni. La ricerca dell‟HCV RNA può fornire
utili informazione per la gestione del paziente anti-HCV positivo, con ALT persistentemente
normali, al fine di identificare un‟infezione cronica (HCV RNA-positivo) rispetto a una
probabile infezione pregressa (HCV RNA-negativo). È inoltre di fondamentale importanza
ricercare l‟HCV RNA in pazienti con epatite acuta, negativi per qualunque marcatore
sierologico, in cui la presenza dell‟HCV RNA, in assenza di anticorpi rilevabili, permette di
porre diagnosi nelle fasi precocissime dell‟infezione virale, e in pazienti con epatite cronica,
in particolare gli immunocompromessi, come gli emodializzati e i soggetti con infezione da
HIV, e i pazienti con crioglobulinemia mista, in cui la comparsa di anticorpi può essere
ritardata o assente. Inoltre, è stato recentemente introdotto un test di nuova generazione
(Architect HCV Antigen Assay, Abbott) per la determinazione quantitativa dell‟antigene core,
il quale, in genere, è rilevabile entro 2-3 settimane dall‟infezione. Il test si effettua per mezzo
di dosaggi in chemioluminescenza CMIA (chemiluminescent microparticle Immunoassay).
17
Terapia
Nella malattia cronica da HCV l‟obiettivo della terapia è l‟eradicazione dell‟infezione con lo
scopo di evitare la progressione dell‟epatite cronica in cirrosi e prevenire le complicanze della
cirrosi epatica.
La terapia dell‟epatite C ha subito un‟evoluzione significativa negli ultimi anni. L‟iniziale
monoterapia con IFNα è stata prima sostituita dalla più efficace terapia di combinazione con
IFNα e ribavirina (RBV) e più recentemente dall‟IFN peghilato (PEG-IFN), una forma
coniugata con polietilenglicoli caratterizzata da lunga emivita, in combinazione con RBV.
L‟IFNα naturale è costituito da una famiglia di citochine che comprende molecole diverse per
sequenza aminoacidica e glicosidazione, la cui funzione è quella di modulare la risposta
immunitaria e indurre la creazione di uno stato antivirale che impedisce la replicazione di vari
virus, compreso HCV. Considerando la breve emivita degli IFNα dopo somministrazione
parenterale sono state sviluppate nuove formulazioni di IFNα, a più lunga emivita.
Queste formulazioni si basano sulla coniugazione dell‟IFN con polietilenglicole (PEG)
mediante legame covalente, ottenendo composti che presentano più lento assorbimento ma
soprattutto minor degradazione e rallentata clearance. Sono stati sino ad oggi sviluppati due
diversi tipi di PEG-IFN, che differiscono per il sottotipo di IFN utilizzato, ma soprattutto per
caratteristiche di pegilazione: il PEG-IFNα2b è IFNα2b legato ad una molecola lineare di
PEG di 12kD, mentre il PEG-IFNα2a è IFNα2a legato ad una molecola ramificata di PEG di
40kD.
La ribavirina è un analogo purinico di sintesi, dotato di un modesto effetto antivirale diretto.
Diversi sono i meccanismi proposti per spiegare perché la somministrazione di RBV sia in
grado di aumentare la probabilità di successo della terapia; tuttavia, il meccanismo d‟azione
alla base del sinergismo non è ancora completamente compreso.
I genotipi di HCV presentano una diversa sensibilità alla terapia combinata; il trattamento è,
infatti, efficace in circa il 50% dei soggetti con infezione da genotipo 1b (il più diffuso) e
genotipo 4 e nel 70-80% dei casi di infezione da HCV genotipo 2 e 3. Per tale ragione, la
terapia di combinazione va attuata utilizzando schemi differenziati per i pazienti con infezione
da genotipo 1 o 4 rispetto a soggetti con genotipo 2 o 3. Se si impiega PEG-IFN, il dosaggio,
in unica somministrazione settimanale è identico per i diversi genotipi con dose calcolata sul
peso corporeo per PEG-IFN a2b e fissa per PEG-IFN a2a. Questa dose iniziale può essere
ridotta se insorgono effetti collaterali o eventi avversi che lo richiedano. Va considerato il
fatto che una riduzione del dosaggio iniziale può determinare una significativa perdita di
18
efficacia. La dose iniziale di RBV consigliata è di 1000-1200 mg al dì per i pazienti con
genotipo virale 1 o 4 e di 800-1000 mg per quelli con genotipo 2 o 3. La durata della terapia è
di 48 settimane per l‟infezione da genotipo 1 e 4 e di 24 settimane per l‟infezione da genotipo
2 e 3.
La somministrazione di PEG-IFN e RBV ha rappresentato fino a pochi mesi fa il cosiddetto
Standard Of Care (SOC). Tuttavia, recentemente sono stati introdotti nella pratica clinica due
farmaci antivirali diretti, Boceprevir e Telaprevir, inibitori della proteasi NS3/4A. In entrambi
i casi, gli studi registrativi hanno rilevato un significativo incremento della probabilità di
eliminare il virus in pazienti con infezione da HCV genotipo 1. Entrambi i farmaci devono
essere somministrati in triplice terapia, in combinazione con PEG-IFN e RBV. L‟aggiunta
degli antivirali diretti al SOC comporta due notevoli vantaggi: un aumento della probabilità
della risposta alla terapia e la possibilità di ridurre la durata del trattamento.
Inoltre, la triplice terapia risulta essere più efficace nei pazienti difficili da trattare, cioè
soggetti che non hanno risposto a un primo trattamento o che hanno avuto una ricaduta dopo
una risposta iniziale (Asselah et al., 2011).
Risultati estremamente promettenti sono quelli relativi alla sperimentazione di un altro
farmaco, Sofosbuvir, un inibitore della polimerasi virale (Gane et al., 2013). La
somministrazione del farmaco, che viene effettuata per via orale, in combinazione con la sola
ribavirina, ha consentito di raggiungere l‟eliminazione del virus in percentuali simili a quelle
ottenute con la combinazione di interferone peghilato e ribavirina, aprendo quindi il sipario
verso nuovi scenari terapeutici interferon-free.
Va ricordato, infine, che attualmente non è disponibile un vaccino in grado di prevenire
l‟infezione da HCV nell‟uomo. L‟inoculazione nello scimpanzé di un vaccino costituito dalle
glicoproteine E1 e E2 di HCV è in grado di indurre la produzione di anticorpi neutralizzanti
specifici, nei confronti del ceppo virale impiegato nella preparazione vaccinale, ma la
successiva inoculazione di un ceppo virale eterologo non è in grado di prevenire l‟infezione, a
causa dell‟elevata variabilità genetica degli antigeni superficiali di HCV, pur impedendo la
cronicizzazione dell‟infezione virale.
19
Monitoraggio e valutazione della risposta alla terapia
L‟obiettivo della terapia è quello di ottenere una risposta virologica sostenuta (SVR), definita
come HCV RNA non rilevabile nel siero dopo 24 settimane dalla sospensione del trattamento,
che coincide in pratica con l‟eradicazione dell‟infezione.
Durante l‟intero periodo di trattamento, i livelli di HCV RNA devono essere costantemente
monitorati. Dal momento che le manifestazioni cliniche dell‟infezione da HCV si mostrano
molto lentamente nel tempo, infatti, ciò che si utilizza per monitorare la risposta alla terapia è
la cinetica virale, tramite la rilevazione dell‟HCV RNA a livello sierico a 4, 12, 24, ed
eventualmente 48 settimane e infine sei mesi dopo il termine del trattamento. I pazienti che
restano positivi per HCV RNA dovrebbero esser considerati non responsivi allo schema
terapeutico utilizzato.
In base ai valori di HCV RNA misurati le risposte possono essere classificate come segue
(Fig. 6):
-
Risposta virologica rapida (RVR), definita come HCV RNA non rilevabile alla
quarta settimana di trattamento.
-
Risposta virologica precoce (EVR), definita come una riduzione dei livelli di HCV
RNA pari ad almeno 2 log rispetto ai valori misurati al baseline (ovvero prima dell‟inizio
del trattamento) alla dodicesima settimana di trattamento.
-
Risposta virologica sostenuta (SVR), definita come HCV RNA non rilevabile nel
siero dopo 24 settimane dalla sospensione del trattamento
-
Breakthrough, definito come la ricomparsa di HCV RNA nel siero durante il
trattamento.
-
Relapse, definito come la ricomparsa di HCV RNA nel momento in cui viene
sospesa la terapia.
-
Non Response, definita come HCV RNA rilevabile 24 settimane dalla sospensione
del trattamento,
-
Null response, definita come riduzione di HCV RNA inferiore a 2 log dopo 24
settimane di trattamento
-
Partial response, definita come HCV RNA ancora rilevabile dopo la sospensione del
trattamento nonostante il precedente ottenimento di EVR.
20
Fig. 6 Definizione di risposta al trattamento con PEG-IFN e ribavirina. Risposta virologica rapida (RVR): HCV
RNA non rilevabile alla quarta settimana di trattamento. Early virological response (EVR): riduzione dei livelli
di HCV RNA pari ad almeno 2 log rispetto ai valori misurati al baseline alla dodicesima settimana di
trattamento. Risposta virologica sostenuta (SVR): HCV RNA non rilevabile nel siero dopo 24 settimane dalla
sospensione del trattamento. I pazienti che non rispondono al trattamento possono essere decritti come non
responder, se i valori di HCV RNA sono di nuovo rilevabili 24 settimane dalla sospensione del trattamento, null
responder, se la riduzione di HCV RNA è inferiore a 2 log dopo 24 settimane di trattamento, o partial responder,
se l‟HCV RNA è ancora rilevabile dopo la sospensione del trattamento nonostante avessero raggiunto l‟EVR.
(Asselah et al., 2010)
Fattori dell’ospite e del virus associati alla non risposta alla
terapia antivirale
Nel corso degli anni sono stati identificati numerosi fattori responsabili, almeno in parte, della
resistenza alla terapia antivirale a base di IFN. Alcuni sono fattori legati alle caratteristiche del
virus, altri a quelle dell‟ospite. I principali fattori noti sono elencati di seguito.
Genotipo virale
Rappresenta il principale fattore in grado di influenzare il successo terapeutico. Come
precedentemente detto, la probabilità di rispondere alla terapia varia dall‟80% dopo 24
settimane nel caso dei genotipi 2 e 3 al 50% dopo 48 settimane nel caso del genotipo 1.
Carica virale
Pazienti con valori di carica virale elevati [superiori a 800.000 Unità Internazionali (UI)/ml]
hanno una minore probabilità di rispondere alla terapia rispetto a pazienti con bassa carica
virale (inferiore a 800.000 UI/ml).
21
Cinetica virale
Di particolare interesse per il loro potere predittivo sono i valori della carica virale misurati a
4 e 12 settimane dall‟inizio del trattamento. Diversi studi hanno dimostrato che la presenza di
RVR in pazienti con genotipo 1 è associata ad un tasso di SVR pari circa al 90% dopo sole 24
settimane di terapia. L‟assenza di EVR è invece altamente predittiva di fallimento terapeutico.
Vari studi dimostrano come il 97-100% dei pazienti che non raggiungono questo risultato
terapeutico non raggiungano neanche la SVR dopo trattamento standard.
Meccanismi di evasione del sistema immunitario
HCV ha sviluppato diversi meccanismi per evadere la risposta immune dell‟ospite. Un primo
meccanismo è riconducibile all‟azione della proteasi NS3/4A. Come detto precedentemente, il
recettore TLR3 ha la funzione di riconoscere il dsRNA di HCV portando all‟attivazione di
IRF-3 e NF-Kb mediante processi che richiedono la proteina TRIF (Toll-interleukin-1receptor-domain-containing adaptor inducing IFNβ). La serin proteasi virale NS3/4A è in
grado di tagliare questa proteina fra i residui 372 e 373, inibendo così tutta la cascata del
segnale legata al TLR3 (Foy et al., 2003).
Inoltre, in seguito al riconoscimento dell‟RNA virale, il recettore RIG-1 recluta IPS1 (IFNβ
promoter simulator-1) che è localizzato a livello mitocondriale ed agisce da adattatore
nell‟attivazione di IRF-3 e IRF-7; IPS1 è direttamente inattivato dalla proteasi NS3/4A e ciò
ha notevoli conseguenze: innanzitutto in questo modo il virus riesce a bloccare le principali
vie di produzione degli IFN negli epatociti e ne impedisce l‟amplificazione, inoltre le
molecole MHC sono anch‟esse degli ISG e perciò una mancata stimolazione interferonica
peggiora la presentazione antigenica con le ovvie implicazioni che questo ha sull‟efficienza
dell‟immunità adattativa (Gale et al., 2005).
La proteina core di HCV blocca la trasduzione del segnale legata alla via Jak/STAT mediante
l‟interazione fisica diretta fra la sua estremità N-terminale e la regione SH2 di STAT1. In
seguito al legame dell‟IFNβ sui recettori si ha l‟attivazione delle proteine Tyk2 e Jak1 che,
insieme all‟IRF-9, inducono l‟attivazione di STAT1 e STAT2 che agiscono a livello nucleare
legando le regioni ISRE e promuovendo l‟espressione di geni interferon-indotti quali PKR e
OAS. La proteina core di HCV induce l‟espressione dei soppressori SOCS3 (suppressor of
cytokine signalling 3) in grado di interferire con l‟attività enzimatica delle proteine Jak (Bode
et al., 2003) (Fig. 7).
22
Fig. 7 HCV e risposta immune. L‟attivazione del TLR3 promuove il reclutamento delle chinasi IKK e TBK1, le
quali catalizzano la fosforilazione dell‟IRF-3. L‟IRF-3 fosforilato forma un dimero che trasloca nel nucleo, lega
il DNA e regola l‟espressione dell‟IFNβ. La serin-proteasi NS3/4A di HCV può bloccare la fosforilazione e
l‟azione effettrice dell‟IRF-3. Dopo il riconoscimento dell‟RNA virale, RIG-1 e Mda5 reclutano l‟IPS-1 che
agisce da adattatore per l‟attivazione di IRF-3 e IRF-7. L‟IPS-1 è inattivato dalla serinproteasi NS3/4A. La
proteina Core di HCV induce l‟espressione di SOCS3 sopprimendo la via di trsduzione Jak/STAT (Asselah et
al., 2010).
Una particolare sequenza della proteina NS5A sembra associata alla non risposta al
trattamento nei pazienti infettati con il genotipo 1b di HCV (Enomoto et al., 1996); in
particolare una regione di 40 aminoacidi denominata Interferon Sensitivity Determining
Region (ISDR) è conservata nei pazienti non responsivi alla terapia antivirale, mentre in quelli
che rispondono al trattamento sono presenti più di 3 mutazioni (Chayama et al., 1997).
La proteina NS5A è in grado di inibire la PKR impedendone la sua dimerizzazione legandosi
mediante la sequenza ISDR alla chinasi; ciò risulta nell‟eliminazione del blocco della
traduzione degli mRNA permettendo così all‟HCV di resistere all‟effetto antivirale indotto
dall‟interferone (Gale et al.,1998).
La glicoproteina E2 contiene una sequenza di 12 aminoacidi che mostra notevole omologia
con il sito di autofosforilazione della PKR. Questa regione è molto più simile ai siti di PKR
nei genotipi più resistenti all‟interferone (1a e 1b) rispetto a quelli che lo sono di meno (2a,
2b, 3a); ciò sembra essere correlato alla maggiore resistenza alla terapia dei virus di genotipo
1 (Gale et al., 2005).
23
Fattori dell’ospite
Uno dei principali fattori di rischio di cronicizzazione dell‟infezione è rappresentato dall‟età
avanzata; per quanto riguarda il sesso, è invece dimostrato che i maschi sono più colpiti
rispetto alle femmine. È stato inoltre osservato che gli Afroamericani rispondono meno alla
terapia antivirale, sottolineando come anche una predisposizione genetica possa influenzare il
decorso della patologia. Inoltre un quadro clinico di fibrosi, steatosi e cirrosi, l‟insulinoresistenza, patologie concomitanti quali diabete e obesità, sono fattori correlati negativamente
con la risposta al trattamento con PEG-IFN e RBV (Asselah et al., 2006; Moucari et al.,
2008). Anche le coinfezioni con HIV e/o con HBV, l‟eccessivo consumo di alcol e l‟utilizzo
di droghe sono generalmente associate con una bassa risposta alla terapia antivirale (Alberti
2009).
Interferon
L‟interferon venne descritto per la prima volta nel 1957 da Isaacs e Lindeman come fattore in
grado di interferire sulla replicazione virale (Isaacs et al.,1957).
Gli interferoni sono in realtà una famiglia di citochine pleiotropiche che hanno una notevole
importanza nella risposta immunitaria innata diretta contro virus, batteri, parassiti; attivano i
macrofagi e le cellule Natural Killer (NK) e potenziano l‟espressione di molecole di classe 1 e
2 del Complesso maggiore di Istocompatibilità (MHC); sono inoltre coinvolti nella
regolazione della crescita e del differenziamento cellulare.
Gli interferoni si possono classificare, in base al tipo di recettore al quale si legano, in IFN di
tipo1, IFN di tipo2 e IFN di tipo3.
Nella specie umana l‟IFN di tipo I è rappresentato principalmente dall‟IFNα (costituito da un
gruppo di circa 12-13 sottotipi) e dall‟IFNβ, cui vanno aggiunti gli IFNε, IFNκ, IFNω, che
non sono stati ancora ben caratterizzati. Tutti gli IFN di tipo I sono codificati da geni
localizzati in cluster presente sul cromosoma 9. La principale sorgente di IFNα è
rappresentata dalle cellule dendritiche plasmacitoidi ed in minor misura da linfociti e
macrofagi. L‟IFNβ è costituito da una singola proteina prodotta principalmente da fibroblasti.
L‟IFN di tipo II comprende invece solamente un sottotipo, l‟IFN-γ codificato da un gene sul
cromosoma 12 e rilasciato da linfociti T e cellule NK.
24
Gli IFN di tipo III sono rappresentati da quattro proteine codificate da tre geni presenti sul
cromosoma 19: IFNλ1 o IL29, IFNλ2 o IL28A, IFNλ3 o IL28B e IFNλ4; quest‟ultimo è
sintetizzato dallo stesso gene che codifica per l‟IL28B in seguito ad uno shift del modulo di
lettura. Tutti gli IFN di tipo III sono prodotti da cellule epiteliali e da cellule della linea
mieloide o linfoide.
La risposta immunitaria innata nei confronti di un‟infezione virale viene attivata in seguito al
riconoscimento di componenti del virus da parte di alcuni recettori specializzati espressi sulla
membrana plasmatica o all‟interno delle cellule dell‟organismo. Tale attivazione comporta
anche la produzione di IFN, il quale viene secreto e si lega al suo recettore sia sulla cellula
infettata che sulle cellule vicine: si determina così una trasduzione del segnale che porta
all‟espressione di specifici geni responsabili dell‟induzione di uno stato antivirale, ovvero una
condizione di resistenza all‟infezione virale stessa.
Il meccanismo molecolare di produzione di IFN di tipo I e III prevede il coinvolgimento di
diversi recettori intracellulari o “sensori”, noti come PRR (Pattern Recognition Receptors), tra
cui i principali appartengono alla famiglia dei toll like receptors (TLR); i TLR svolgono un
ruolo chiave nelle risposte cellulari dirette contro alcuni componenti o molecole prodotte da
patogeni denominati PAMPS (pathogen-associated microbial patterns).
I TLR 2, 3, 4, 7, 8, 9 sono in grado di indurre la sintesi di IFN sia di tipo I che di tipo III.
I TLR 3, 7, 8 e 9 si collocano sulle membrane dei compartimenti endosomiali (intracellulari)
della cellula e riconoscono rispettivamente dsRNA, ssRNA (TLR 7 e 8), sequenze di DNA
ricche di isole CpG ipometilate (Cook et al., 2004).
RIG1 e MDA5 sono invece specifici per l‟RNA a doppio filamento (Takeuchi et al., 2008).
Il riconoscimento dei PAMPS attiva una via di trasduzione del segnale che coinvolge IRF-7
(Interferon-responsive factor 7), un attivatore dell‟IFN. Nel caso di RIG-1 la trasduzione
comporta la fosforilazione ed attivazione del fattore di trascrizione IRF-3, ad opera della
protein-chinasi TBK o IKK-ε, con conseguente dimerizzazione e traslocazione nel nucleo,
dove interagisce con coattivatori trascrizionali come CPB e p300 per attivare la trascrizione
dei geni bersaglio tra cui IFNβ. La via di segnalazione che coinvolge IRF-7 si sovrappone a
quella di IRF-3; IRF-7 si attiva, dimerizza ed interagisce con IRF-3 per poi traslocare a livello
nucleare e legare il VRE (Virus Response Element) nel promotore del gene per l‟IFNα,
inducendone la sintesi e la secrezione (Honda et al.,2005) (Fig. 8).
25
Fig. 8 Trasduzione del segnale che dal riconoscimento del virus porta all‟espressione degli ISG.
a) Il PAMP virale si lega ai sensori RIG-1 o TLR3 causando la fosforilazione e attivazione di IRF-3 ad opera
delle chinasi TBK1 o IKK-ε. Il dimero di IRF-3 fosforilato trasloca nel nucleo e interagisce con coattivatori
trascrizionali quali CBP o p300, per poi legare la PRD (Positive Regulatory Domain) nel promotore dei geni
bersaglio di IRF-3, fra cui l‟IFNβ.
Una via di segnale sovrapposta comporta l‟attivazione di IRF-7, che
dimerizza ed interagisce con IRF-3, traslocando poi nel nucleo per legare il VRE (cognate-Virus Response
Element) nel promotore del gene per l‟IFNα. b) Ciò risulta nella produzione e secrezione di interferone dalla
cellula infettata. c) L‟interferone appena secreto lega il suo recettore (sia sulla cellula che lo ha prodotto che
quelle vicine) portando alla trasduzione del segnale della via Jak/STAT che risulta nella formazione del
complesso ISGF3 (STAT2-STAT1-IRF9) che d) nel nucleo lega gli ISRE e induce l‟espressione degli ISG
(Gale et al., 2005).
Tutti gli IFN di tipo I legano lo stesso recettore, membro della famiglia dei recettori per le
citochine di tipo II, costituito da due proteine strutturalmente correlate (IFNAR1 e IFNAR2),
associate, nel loro dominio citoplasmatico, rispettivamente alle proteine TYK2 e JAK1.
Gli IFNλ si legano ad un recettore costituito da due subunità, denominate IL-28R o IFNLR1 e
IL10R2; quest‟ultima è condivisa con altre interleuchine quali IL-10, IL-22 e IL-26 ed è
espressa, come il recettore degli IFN di tipo I, in maniera ubiquitaria nelle cellule. Viceversa
l‟espressione della subunità IFNLR1 appare limitata solo ad alcuni tipi di cellule tra le quali
soprattutto quelle di natura epiteliale. Pur riconoscendo recettori diversi, gli IFN di tipo I e III
sono in grado di attivare la stessa via di trasduzione del segnale (Fig. 9).
26
Fig. 9 Via di trasduzione del segnale attivata dagli IFN di tipo I e III (Afdhal et al., 2011)
A seguito del legame dell‟IFN su cellule adiacenti a quella infettata, le due molecole
recettoriali si aggregano e si attivano fosforilandosi reciprocamente e fosforilando anche i
residui di tirosina nella porzione citoplasmatica del recettore. Ciò fornisce un sito di legame
per particolari domini SH2 (Src Homology 2) presenti nelle proteine STAT (Signal
Transducers and Activators of Transcription) che si trovano in forma monomerica nel
citoplasma.
Queste ultime vengono così fosforilate dalle chinasi Jak, facendo sì che il fattore STAT
attivato sia in grado di legare il dominio SH2 di un‟altra molecola STAT; si forma così un
dimero che si stacca dal recettore e si associa ad una terza proteina IRF-9 costituendo un
complesso che migra nel nucleo dove va a legare specifiche sequenze di DNA definite ISRE
(IFN-Stimulated Response Elements) presenti in numerosi geni ISG (Interferon Stimulated
Genes) attivandone la trascrizione (Sadler et al., 2008).
Il legame degli IFN porta all‟induzione di centinaia di geni interferon-indotti alcuni dei quali
sono direttamente implicati nel determinare lo stato antivirale. Tra questi sono inclusi i geni
che codificano per le proteine Mxa (Mixovirus resistance protein A), PKR (Protein kinase R),
27
P56 e ADAR-1 (adenosine deaminases that act on double-stranded RNA) che sono state
oggetto di questo studio. Di seguito è brevemente descritto il loro meccanismo d‟azione.
La proteina MxA è una GTPasi, indotta sia dagli IFN di tipo I che di tipo III, implicata nel
traffico vescicolare dal complesso di Golgi alla membrana plasmatica, in quanto è necessaria
per la fusione delle membrane nel distacco delle vescicole rivestite da clatrina. MxA si
aggrega e forma degli oligomeri in prossimità del reticolo endoplasmatico dove lega le
proteine neosintetizzate e impedisce gli eventi di esocitosi delle particelle virali di nuovo
assemblaggio,assicurando così uno dei meccanismi di protezione delle cellule adiacenti a
quella infettata (Accola et al., 2002).
La PKR è una serin-treonin chinasi che risponde a stress cellulare regolando la sintesi
proteica della cellula; normalmente è presente all‟interno della cellula in uno stato inattivo. In
seguito al legame con il dsRNA, due molecole di PKR vanno incontro a cross-fosforilazione e
la PKR diventa una chinasi attiva, in grado di fosforilare la subunità α del Fattore d‟Inizio di
Traduzione Eucariotico 2 (eIF-2α), impedendo così la formazione del complesso di inizio
necessario per la traduzione degli RNA messaggeri e dunque inibendo la sintesi proteica
cellulare; naturalmente l‟inibizione della sintesi proteica cellulare ha effetti limitanti sulla
produzione di proteine virali. Inoltre la PKR, in presenza di dsRNA, attiva il fattore di
trascrizione NF-kB che è essenziale per mediare l‟induzione di IFNβ e promuove l‟apoptosi
delle cellule già infette.
La proteina P56 o IFIT1 inattiva il fattore eIF-3 di inizio della sintesi proteica, impedendo la
traduzione degli RNA virali.
La proteina ADAR-1 è un‟adenosina deaminasi RNA-specifica che catalizza la conversione
dell‟adenosina in inosina, alterando la sequenza nucleotidica e la funzione delle molecole di
RNA.
Interferone lambda
Nel 2003 sono state scoperte, indipendentemente da 2 gruppi di ricerca, 3 citochine: IL-29,
IL-28A e IL28B, designate rispettivamente come IFNλ1, IFNλ2, IFNλ3, e classificati nel
complesso come interferoni di tipo III (Kotenko et al., 2003). Questi mediatori proteici fanno
parte di una più ampia famiglia di citochine di classe II (IL-10 IFN Family) che include altre
citochine quali IL-10, IL19, IL-20, IL-22, IL-24 e IL-26.
28
I geni per gli IFNλ sono localizzati sul cromosoma 19 nell‟uomo e nel cromosoma 7 nel ratto.
L‟IFNλ2 ha nella sequenza amminoacidica una omologia di circa il 96% con l‟IFNλ3 mentre
l‟IFNλ1 mostra una omologia di sequenza con l‟IFNλ2 pari all‟81%. Il gene per l‟IFNλ3 è
trascritto in direzione opposta ai geni per gli IFNλ1 e 2. Oltre alle sequenze codificanti nel
cluster genico degli IFNλ sia dell‟uomo che del ratto si ha la presenza di pseudogeni
(nell‟uomo IFN- λ4ψ) (Fig. 10).
I recettori per gli IFNλ appartengono alla famiglia dei recettori per le citochine di classe II
(CRF2) e sono costituiti da 2 subunità: IFNλ R1 (o IL-28R1) e IL-10R2; i rispettivi geni sono
localizzati rispettivamente sul cromosoma 1 e 21.
IFNλ R1 è una subunità unica del complesso recettoriale per IL-28A, IL28B ed IL-29 ed è
espressa solo in alcuni tipi di cellule, principalmente quella di natura epiteliale e negli
epatociti. Viceversa l‟IL-10R2 è anche un componente essenziale dei recettori per IL-10, IL22 ed IL-26 ed è costitutivamente espresso, come i recettori per gli IFN di tipo I, in maniera
ubiquitaria nelle cellule (Donnelly et al., 2004).
Fig.10 Organizzazione dei geni codificanti gli IFNλ e i loro recettori. A) regione codificante gli IFNλ nell‟uomo
e nel topo. B) e C) geni per i recettori dell‟IFNλ nell‟uomo e nel topo (Donnelly e Kotenko, 2010).
Il legame degli IFNλ al complesso recettoriale promuove la transfosforilazione delle Janus
chinasi Jak1 e Tyk2 che sono associate a livello citoplasmatico rispettivamente all‟ IFNλR1 e
a IL-10R2; ciò permette il reclutamento e l‟attivazione dei fattori di trascrizione STAT1 e
STAT2 ( Kotenko et al., 2003) e può anche indurre l‟attivazione di STAT3, STAT4 e STAT5.
29
Gli omo o eterodimeri dei fattori STAT migrano nel nucleo dove vanno a legare specifiche
sequenze di DNA definite GAS (IFN-γ activated sequence) nei promotori dei geni responsivi
all‟IFN. Alternativamente l‟eterodimero costituito da STAT1 e STAT2 recluta IRF9
formando un complesso di trascrizione trimerico noto come ISGF3 che regola la trascrizione
genica legando ISRE (Interferon stimulated response elements) nei promotori di altri geni
interferon-indotti (ISG). Tra questi geni vi sono quelli associati alla risposta antivirale come
l‟OAS, IRF-7, PKR, MxA (Fig. 11). Come già riportato, questa seconda via di trasduzione del
segnale è comune anche agli IFN di tipo I.
Fig. 11 Modello del signaling pathway degli IFN. I tre diversi tipi di IFN legano complessi recettoriali distinti
sulla membrana cellulare. La trasduzione del segnale dovuta agli IFN induce l‟espressione dei geni interferonindotti (ISG) (Donnelly e Kotenko, 2010).
La principale attività biologica degli IFNλ è l‟azione antivirale esercitata nei confronti di
diversi virus tra i quali il virus dell‟encefalomiocardite, il virus della stomatite vescicolare,
l‟HBV e l‟HCV (Kotenko et al., 2003). Gli IFNλ sono anche in grado di stimolare
l‟espressione di molecole MHC di classe I. Un‟attività antiproliferativa degli IFNλ è stata
dimostrata in diversi tipi cellulari; la capacità di modulare lo stato proliferativo della cellula
sembra dipendere dai livelli di espressione dell‟IFNλR1. A tal riguardo è stato osservato che
gli IFNλ possono effettivamente inibire la proliferazione di cellule ingegnerizzate che
esprimono alti livelli del recettore dell‟IFNλ (Meager et al., 2005).
30
Gli IFNλ mostrano inoltre un‟attività antitumorale, come gli IFN di tipo I, ed
immunomodulante.
Polimorfismi genetici dell‟IL28B
Come descritto precedentemente, fattori virali, epidemiologici e comportamentali hanno un
ruolo nell‟influenzare il decorso dell‟infezione e la risposta alla terapia; tuttavia, questi
spiegano solo una parte della variabilità che li caratterizza. Da questo deriva il sempre
crescente interesse verso i fattori genetici dell‟ospite come fattori in grado di spiegare la
restante parte della variabilità che contraddistingue il decorso dell‟infezione da HCV.
Recentemente alcuni polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) localizzati nella regione genica
dell‟IFNλ3 (IL28B) sono stati associati alla clearance virale sia spontanea sia indotta dalla
terapia nei pazienti con HCV. L‟associazione è stata scoperta mediante approcci GWAS
(Genome-wide association study), che mirano ad esaminare le variazioni genetiche presenti
nel genoma umano con l‟intento di stabilire una correlazione tra queste e vari tratti fenotipici;
questo approccio si avvale di nuove tecniche di genotipizzazione che consentono di valutare
centinaia di migliaia di polimorfismi a singolo nucleotide lungo l‟intero genoma e stabilire
mediante analisi statistica se esiste una qualche associazione significativa tra i polimorfismi e
il tratto fenotipico d‟interesse.
In particolare, una forte associazione con la risposta alla terapia interferonica è emersa per gli
SNP rs12979860 (C/T) e rs8099917 (T/G) (Fig. 12).
Fig. 12 Polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) presenti nella regione genica dell‟IL28B (Afdhal et al., 2011).
Il primo studio sugli SNP dell‟IL28B è stato condotto su un gruppo di 1671 pazienti con
infezione da HCV genotipo 1 appartenenti a diverse etnie (europei, africani, ispanici). Dopo il
trattamento di 48 settimane con Peg-IFNα e ribavirina una stretta associazione è stata
riscontrata tra il raggiungimento di una risposta virologica sostenuta (SVR) in seguito al
trattamento antivirale ed un cluster di 7 SNP associati al gene dell‟IL28B. In particolare è
31
stato osservato che lo SNP rs12979860 ha un‟alta significatività statistica per l‟SVR
(p=1.06×10-25 negli europei, p=2,6×10-3 negli africani). I pazienti omozigoti per l‟allele
protettivo (C/C) dello SNP rs12979860 mostrano infatti una probabilità di raggiungere una
SVR tre volte più elevata rispetto agli omozigoti per l‟allele di rischio (T/T) (78% vs 28%)
mentre gli eterozigoti presentano una SVR di circa 2 volte inferiore rispetto agli omozigoti
per l‟allele C (38%) (Ge et al., 2009). Da ciò si evince come la presenza dell‟allele C sia
positivamente associata con una risposta virologica sostenuta.
Un secondo studio è stato condotto su pazienti australiani ed europei, infettati dal genotipo1
di HCV, che avevano ricevuto un trattamento con PEG-IFNα; diversi SNP sono stati associati
alla clearence virale, ma l‟associazione più forte si è riscontrata con lo SNP rs8099917.
Rispetto agli omozigoti per l‟allele T, negli eterozigoti per l‟allele minore G (G/T) è presente
un aumento del rischio di non risposta alla terapia di 1,64 volte, mentre gli omozigoti G/G
presentano un rischio 2,39 volte superiore (Suppiah et al., 2009).
È stato inoltre riportato che la frequenza degli SNP dell‟IL28B a livello mondiale non ha una
distribuzione omogenea. A tal proposito, genotipizzando lo SNP rs12979860 in più di 2000
persone appartenenti a 51 gruppi etnici diversi, è stato osservato che le popolazioni del sud-est
asiatico hanno una più alta frequenza dell‟allele associato alla clearance dell‟HCV, mentre le
popolazioni africane o europee hanno una frequenza dell‟allele C rispettivamente più bassa o
intermedia (Thomas et al., 2009) (Fig. 13).
Fig. 13 Frequenze alleliche dello SNP rs12979860 in diversi gruppi etnici. (Balagopal et al., 2010)
32
Per determinare i potenziali effetti dello SNP rs12979860 sulla risoluzione naturale (senza
trattamento) dell‟infezione da HCV, Thomas e colleghi hanno genotipizzato questa variante in
circa 1000 pazienti dei quali 388 avevano eliminato spontaneamente il virus mentre gli altri
620 erano andati incontro ad infezione persistente. È stato osservato che il genotipo C/C è
fortemente associato alla risoluzione dell‟infezione da HCV, con una clearence simile nei
pazienti europei ed africani. Inoltre i risultati di questo studio indicavano che la clearence
negli omozigoti C/C è all‟incirca il doppio che nei soggetti T/T. Anche il genotipo T/T per
l‟rs8099917 è stato associato con la risoluzione spontanea dell‟infezione da HCV (Rauch et
al., 2010).
Un altro importante aspetto dell‟infezione da HCV riguarda la presenza di coinfezioni con il
virus dell‟immunodeficienza umana (HIV). Infatti si stima che circa un terzo delle persone
infettate con HIV siano anche coinfettate da HCV.
L‟infezione da HIV sembra complicare l‟infezione da HCV aumentandone la persistenza;
ciononostante l‟infezione da HIV non influenza l‟associazione tra gli SNP dell‟IFNλ e la
clearence di HCV. In uno studio su pazienti provenienti da 8 ospedali svizzeri, l‟allele minore
(G) dello SNP rs8099917 è stato associato con la progressione cronica dell‟infezione da HCV
nei pazienti con coinfezione da HCV/HIV (Rauch et al., 2010).
Più recentemente studi di associazione dello SNP rs12979860 sono stati condotti su pazienti
infettati con il genotipo 2 e 3 di HCV (Mangia et al., 2010). Il gruppo preso in esame
consisteva di 298 pazienti di etnia caucasica (genotipo 2=213; genotipo 3=55) che sono stati
randomizzati in 2 gruppi che ricevono la terapia standard (PEG-IFN per 24 settimane) o
variabile (se presentano SVR per 12 settimane, altrimenti trattati per 24 settimane). I risultati
ottenuti da questo studio indicano che i soggetti con genotipo C/C hanno una SVR dell‟82%
rispetto agli eterozigoti (75%) ed agli omozigoti T/T (58%). È stata trovata una forte
associazione solo nei pazienti che non hanno una rapida risposta virologica e che hanno
ricevuto il trattamento standard.
Da uno studio di Rauch e coautori non è stata trovata un‟associazione tra i genotipi 2 e 3 di
HCV e i polimorfismi dell‟IFNλ3 sebbene il fallimento della terapia sia molto basso (37/230
pazienti). Al contrario, 2 gruppi di ricerca hanno provato che lo stato dell‟IFNλ3 può essere
predittivo dell‟SVR nell‟infezione da genotipi virali 2 e 3 (Mangia et al., 2010).
In definitiva, l‟influenza degli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28-B sull‟esito clinico
della terapia interferonica sembra essere evidente per i genotipi 1 e 4 di HCV, mentre per gli
altri genotipi di HCV (2 e 3) sono emersi dati discordanti.
33
Effetti dei polimorfismi dell‟IL28B
Non è ancora chiaro come i polimorfismi dell‟IFNλ3 identificati influenzino la risposta
immunitaria o esercitino degli specifici effetti antivirali nei pazienti HCV infetti.
Gli SNP rs12979860 e rs8099917, infatti, non sono localizzati all‟interno della regione
codificante del gene, ma si trovano rispettivamente circa 3 kb a monte del gene dell‟IL28B
nella regione intergenica tra IFNλ2 e IFNλ3 a 8.9 kb dal codone di inizio dell‟ IL28B. E‟
probabile quindi che essi siano localizzati all‟interno di sequenze di regolazione del gene
IFNλ3 o che siano associati con polimorfismi “funzionali” coinvolti nella regolazione o nella
funzione del gene. Ciò potrebbe essere dovuto alla presenza di una condizione di linkage
disequilibrium con altri polimorfismi non ancora identificati che potrebbero essere i diretti
responsabili degli effetti biologici osservati.
La presenza dell‟allele protettivo è stata associata ad un incremento dei livelli di IFNλ3
misurati nei PBMC (Suppiah et al., 2009), mentre in altri studi la presenza di questa
associazione non è stata confermata (Ge et al., 2009). Inoltre, l‟allele protettivo T per lo SNP
rs8099917 non è stato correlato con una maggiore produzione intraepatica di IFNλ3, e bassi
livelli di IFNλ3 sono stati associati con una maggiore espressione epatica di ISG (Honda et
al., 2010). Ge e coautori hanno anche osservato che i pazienti con l‟allele protettivo dello SNP
rs12979860 hanno una più alta carica virale rispetto ai portatori dell‟allele di rischio.
Inoltre, è stato osservato come una scarsa risposta al trattamento con IFNα correli con una
maggiore espressione di ISG intraepatica prima del trattamento (Honda et al., 2010). Una
possibile spiegazione è che il pathway dell‟IFNα e l‟espressione di ISG sia massimamente
stimolata nel fegato di pazienti con infezione cronica da HCV e dunque non più responsivo al
trattamento con IFNα esogeno.
Il modello proposto per spiegare come l‟IFNλ agisca durante l‟infezione cronica da HCV
prevede che l‟IFNα induca l‟espressione dei geni interferon-indotti a livello epatico, ma non
in maniera sufficiente da raggiungere la clearence virale; l‟IFNλ potrebbe quindi stimolare
differenti ISG e promuovere l‟eliminazione del virus. In questo schema, i polimorfismi
dell‟IFNλ potrebbero influenzare l‟espressione di alcuni ISG “giusti” direttamente nel fegato
o mediante la stimolazione delle cellule effettrici che li sintetizzano e partecipare al
raggiungimento della clearence virale (Kelly et al., 2011) (Fig. 14).
34
Fig. 14 Modello dell‟attività dell‟IFNλ nell‟epatite cronica da HCV. IFNα up-regola nel fegato l‟espressione di
geni IFN-indotti (primo cerchio). IFNλ stimola differenti ISG (secondo cerchio). Il polimorfismo dell‟IFNλ può
influenzare l‟espressione di ISGdirettamente o tramite le cellule effettrici (Kelly et al., 2011).
35
SCOPO DELLA TESI
36
Stime recenti dell‟Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che oltre 170 milioni di
persone sono infettate da HCV. L„infezione primaria cronicizza nell‟80-85% dei casi e può
rimanere asintomatica, da un punto di vista clinico, anche per decenni. In una quota variabile
di soggetti portatori del virus, l„epatite cronica C può poi evolvere verso la cirrosi epatica e
l„epatocarcinoma.
Fino a pochi mesi fa il gold standard della terapia antivirale era rappresentato dalla
somministrazione di PEG-IFNα in combinazione con ribavirina. La terapia interferonica porta
alla normalizzazione delle transaminasi, l‟abbattimento della carica virale plasmatica ed un
miglioramento del quadro istologico a livello epatico. Tuttavia una discreta percentuale di
soggetti non raggiunge una risposta virologica sostenuta dopo il trattamento interferonico o
presenta una ripresa della malattia in seguito alla sospensione della terapia; inoltre il
trattamento prolungato con interferone è associato con pesanti effetti collaterali.
Recentemente, sono stati introdotti nella pratica clinica alcuni antivirali diretti, che agiscono
contro la proteasi virale NS3/4A. Tuttavia, a causa della enorme variabilità che caratterizza il
virus, la somministrazione in monoterapia dei nuovi farmaci non è ancora possibile perché
porterebbe rapidamente alla selezione di varianti virali farmacoresistenti. Per questa ragione
l‟IFN ha ancora un ruolo centrale nel trattamento dei pazienti con infezione cronica da HCV.
Nel 2009 alcuni SNP localizzati nella regione genica dell‟IL28B (IFNλ3) sono stati associati
alla clearance virale sia spontanea che indotta dalla terapia antivirale nei pazienti infettati da
HCV (Ge et al., 2209; Suppiah et al., 2009; Thomas et al., 2009). Tutto ciò sembra
sottolineare il ruolo dei fattori genetici dell‟ospite che, in aggiunta ad altri parametri virali e
dell‟ospite stesso, possono influenzare la storia naturale dell‟infezione da HCV e l‟esito della
terapia con IFN (Asselah et al., 2010).
L‟IL28B è anche nota come IFNλ3 e appartiene alla classe degli IFN di tipo III; queste
citochine, pur riconoscendo un recettore diverso, sono in grado di attivare lo stesso pathway
attivato dagli IFN di tipo I, ovvero l‟IFN alfa.
In particolare, gli SNP rs12979860 (C/T) e rs8099917 (T/G) sono stati indicati come possibili
marcatori di risposta alla terapia antivirale nell‟infezione da HCV genotipo 1 (Ge et al., 2009;
Suppiah et al., 2009; Thomas et al., 2009).
37
Alla luce di queste considerazioni, lo scopo della tesi sarà valutare il ruolo dei polimorfismi
rs12979860 e rs8099917 nella risposta alla terapia interferonica nell‟infezione da HCV; in
particolare saranno perseguiti i seguenti obiettivi:
valutare l‟influenza degli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B sulla risposta alla
terapia con Peg-IFN e ribavirina in pazienti con infezione cronica da diversi genotipi
di HCV;
valutare la presenza di un‟eventuale correlazione tra il genotipo dei polimorfismi
dell‟IL28B e alcuni fattori associati alla probabilità di rispondere alla terapia, quali la
carica virale misurata prima dell‟inizio del trattamento e lo stadio di fibrosi;
caratterizzare il significato biologico dei polimorfismi rs12979860 e rs8099917
dell‟IL28B mediante l‟analisi dell‟espressione di alcuni geni interferon-indotti.
L‟analisi sarà eseguita su campioni di DNA estratto da cellule mononucleate di sangue
periferico (PBMC) prelevate da 170 pazienti con infezione cronica da HCV trattati con PEGIFN e ribavirina. I genotipi degli SNP rs12979860 e rs8099917 saranno analizzati mediante la
metodica del pirosequenziamento.
Inoltre, al fine di caratterizzare il significato biologico dei polimorfismi oggetto dello studio,
sarà valutata l‟espressione dei geni IFN-indotti MxA, PKR, P56, e ADAR-1 mediante RTReal Time PCR (Fig.15).
38
PBMC
Prelievi ematici
Pazienti HCV positivi
Estrazione DNA:
QIAampBlood kit
TT
TT
CC
TT
CC
GG
TT
GG
Fluorescenza
rs12979860
CC
TT
TT
Valutazione espressione
geni IFN-indotti
SNPs rs12979860 e rs8099917 dell’IL28B
95°C 5 min
55°C 30 s
72°C 15 s per 35 cicli
72°C 5 min
rs8099917
95°C 5 min
50°C 30 s
72°C 30 s per 35 cicli
72°C 5 min
Elettroforesi
Pirosequenziamento
PyroMarkTM Q96 ID instrument (QIAGEN)
Fig. 15 Disegno dello studio: dopo aver raccolto i PBMC dai pazienti HCV positivi sottoposti ad un ciclo di
terapia con IFN e ribavirina è stato estratto il DNA totale. Successivamente viene amplificata la regione
contenente gli SNP rs12979860 e rs8099917 e sequenziata con l‟utilizzo del PyroMark Q96 ID. I pazienti aventi
genotipo CC dello SNP rs12979860 e TT per lo SNP rs8099917 dell‟IL28B (verdi) rispondono positivamente
alla terapia eradicando l‟HCV; i pazienti con genotipo TT e GG (rossi) sono invece i non responder (NR).
39
MATERIALI E METODI
40
Caratteristiche clinico-demografiche dei pazienti
Nello studio sono stati inclusi 170 pazienti affetti da epatite cronica di tipo C i quali aveveno
completato un ciclo di terapia con Peg-IFN alpha 2a o 2b in combinazione con ribavirina.
Tutti i pazienti erano positivi per gli anticorpi anti-HCV e presentavano livelli di HCV RNA
nel plasma rilevabili da oltre 6 mesi prima dell‟inizio della terapia.
Sono stati esclusi dallo studio pazienti HCV-positivi precedentemente sottoposti ad altre
terapie antivirali o immunomodulatorie, pazienti HBsAg-positivi e pazienti con altre patologie
epatiche quali epatiti autoimmuni o alcoliche.
I campioni di sangue sono stati raccolti dal 2006 al 2010 presso tre centri clinici italiani
('Università degli Studi "Gabriele d'Annunzio", Università degli Studi di Bari, Università
Campus Biomedico di Roma) e conservati a -80 C°. Tutti i campioni analizzati in questo
studio sono stati ottenuti previo rilascio del consenso informato scritto dei pazienti.
Estrazione del DNA
L‟estrazione del DNA cellulare totale è stata eseguita utilizzando un saggio disponibile in
commercio, il DNeasy blood and tissue kit (Qiagen, Milano, Italia). Qui di seguito viene
descritta brevemente la proceduta di estrazione del DNA.
I pellet cellulari, derivanti dai campioni biologici, sono stati risospesi in PBS; ad un volume di
campione di 200 μl sono stati aggiunti 20 μl di proteinasi K (20 mg/ml) e 200 μl di buffer AL
per effettuare la lisi cellulare. Al fine di ottenere un‟efficiente azione litica è essenziale agitare
vigorosamente la miscela per produrre una soluzione omogenea e incubare poi per 10 minuti a
56°C.
Successivamente il lisato è stato trasferito in apposite colonnine fornite dal kit
(QIAamp spin columns) contenenti filtri di gel di silice con elevata affinità per gli acidi
nucleici. Le condizioni saline e del pH nel lisato assicurano che proteine e altri contaminanti
che potrebbero inibire la successiva reazione di PCR non siano assorbite dal filtro.
Il legame degli acidi nucleici alla membrana contenuta nelle colonnine è garantito da una
centrifugata di un minuto a 8000 rpm, che lascia fluire nella provetta di scarico i componenti
della miscela non assorbiti dal filtro. Successivamente sono stati eseguiti lavaggi con due
diversi tamponi per incrementare la purezza del DNA estratto e per assicurare una completa
41
rimozione di eventuali contaminanti. Con il primo lavaggio si aggiungono alla colonnina 500
μl di buffer AW1 (20 mM di NaCl, 2 mM di Tris-HCl, pH 7.5 e etanolo al 57%), si centrifuga
a 8000 rpm per un minuto e si getta poi il filtrato ottenuto; il secondo lavaggio prevede
l‟aggiunta di 500 μl di buffer AW2, che differisce dal precedente solo nel contenuto di alcool
(etanolo al 70%), una centrifugata alla massima velocità per tre minuti e la rimozione del
filtrato. Per eliminare ogni possibile residuo di tampone è stata eseguita un‟altra centrifugata
di un minuto alla massima velocità. Il DNA genomico purificato è stato infine eluito con 200
μl di un apposito tampone AE (10 mM Tris-HCl, 0.5 mM EDTA, pH 9) che, oltre a consentire
il rilascio del DNA dalla membrana, ne previene anche la degradazione. Dopo aver incubato
per circa un minuto a temperatura ambiente, si centrifuga a 8000 rpm per un minuto affinché
l‟eluato possa filtrare attraverso la membrana delle colonnine.
Il DNA è stato quindi contato allo spettrofotometro.
Reazione a catena della polimerasi (PCR) per la determinazione degli
SNP dell‟IL28B
La PCR è una reazione di amplificazione in vitro di uno specifico segmento di DNA ad opera
di una DNA polimerasi. Il segmento di DNA d‟interesse, riconosciuto da specifici primer,
viene amplificato da reazioni a catena della DNA-polimerasi in numerosi cicli successivi.
La PCR avviene in una serie di cicli composti da tre fasi:
-
Denaturazione del DNA a temperature elevate (90°-95°C).
-
Annealing (appaiamento) in cui i primer si appaiano ai filamenti di DNA a temperature
comprese tra i 40°-60°C.
-
Estensione da parte della DNA polimerasi termoresistente a partire dai primer a
temperature comprese tra i 70°-75°C.
Tali fasi si ripetono per un elevato numero di volte (35-45 cicli) determinando l‟accumulo di
un alto numero di copie della regione d‟interesse.
In particolare, gli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B sono stati amplificati mediante
PCR eseguita su DNA estratto da PBMC raccolti da pazienti con infezione da HCV.
Il DNA estratto dalle cellule è stato sottoposto ad una reazione di PCR specifica per le
regioni contenenti gli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B utilizzando le seguenti coppie
di primer.
42
IL28B rs12979860
primer forward
CTT-ATC-GCA-TAC-GGC-TAG-GC
primer reverse
5‟ bio-GCG-GAG-TGC-AAT-TCA-ACC
IL28B rs8099917
primer forward
5‟bioCCT-TTT-GTT-TTC-CTT-TCT-GTG-AG
primer reverse
AAA-AAG-CCA-GCT-ACC-AAA-CTG-T
La procedura di PCR utilizzata viene qui di seguito riportata: 5 l di DNA sono stati aggiunti
a 45 l di una miscela per PCR contenente un tampone (Tris-HCl10 mM, MgCl21,5 mM, KCl
50 mM), dNTP 500 M, primer 20 l e 2,5 U/ l di Taq Polimerasi.
La biotinilazione di uno dei due primer è necessaria per consentire il legame del neofilamento
amplificato alla superficie di biglie rivestite di streptavidina, fondamentali per il realizzarsi
delle successive fasi di pirosequenziamento. I primer sono stati disegnati con il software
PyroMark PSQ Assay Design (Qiagen) in modo tale da amplificare un frammento di 160 bp
per rs12979860 e un frammento di 76 bp per rs8099917.
Il DNA estratto da PBMC è stato sottoposto ad una reazione di PCR secondo i seguenti profili
termici:
rs12979860
-
denaturazione 95°C per 5 minuti
-
annealing 55°C per 30 secondi
-
polimerizzazione 72°C per 15 secondi per 35 cicli
-
estensione 72°C per 5 minuti
rs8099917
-
denaturazione 95°C per 5 minuti
-
annealing 50°C per 30 secondi
-
polimerizzazione 72°C per 30 secondi per 35 cicli
-
estensione 72°C per 5 minuti
43
In tutte le reazioni di PCR, in parallelo ai nostri campioni, sono stati amplificati anche degli
idonei controlli positivi e negativi al fine di valutare l‟esito dell‟amplificazione ed escludere la
presenza di falsi positivi.
Analisi del prodotto di PCR degli SNP dell‟IL28B
Per verificare l‟avvenuta reazione di amplificazione ed escludere la presenza di eventuali
contaminazioni dei controlli negativi, i prodotti di PCR sono stati analizzati mediante
elettroforesi su gel di agarosio in presenza di 0,1 μl/ml di intercalante GelRed™ (Biotium). Il
gel di agarosio è stato preparato ad una concentrazione del 3% (peso/volume) in un tampone
TAE 1X (Tris base, acido acetico glaciale ed EDTA a pH 8,0).
Metodo del pirosequenziamento
I prodotti di PCR degli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B sono stati sottoposti a
pirosequenziamento.
Qui di seguito vengono descritti il principio e la metodica di pirosequenziamento utilizzata
per lo studio dei polimorfismi dell‟IL28B.
Il pyrosequencing è una tecnica di sequenziamento basata sulla sintesi del DNA a temperatura
ambiente in tempo reale. L‟incorporazione di ogni nucleotide è monitorata grazie ad una
cascata enzimatica altamente sincronizzata che porta alla produzione di un segnale di
bioluminescenza a seguito del rilascio di pirofosfato, da cui il nome. La cascata enzimatica
del pyrosequencing si compone di 4 enzimi: il frammento di Klenow della DNA polimerasi I,
l‟adenosina trifosfato (ATP) solforilasi, la luciferasi e l‟apirasi.
La miscela di reazione contiene anche i substrati degli enzimi, l‟adenosina fosfosolfato (APS),
la D-luciferina e il campione da sequenziare associato ad un primer. I quattro nucleotidi sono
aggiunti uno alla volta alternativamente in maniera ciclica e una camera CCD (Charged
Coupled Device) rileva costantemente la luce prodotta.
44
La prima reazione, la polimerizzazione del DNA, avviene se si aggiungono nucleotidi che
sono complementari alla sequenza del campione e che quindi portano all‟incorporazione di
questi ultimi nella catena di DNA in crescita.
(DNA)n + dNTP → (DNA)n+1 + PPi
Questa reazione è catalizzata dalla Klenow DNA polimerasi che, oltre all‟attività
polimerasica, possiede anche un‟attività esonucleasica 3‟-5‟ per rimuovere gli appaiamenti
delle basi non corretti ed aumentare la fedeltà di incorporazione dei nucleotidi nella catena di
DNA crescente.
Il fosfato inorganico, PPi, rilasciato dalla DNA Polimerasi serve da substrato per l‟ATP
solforilasi la quale produce ATP attraverso questa reazione:
PPi + APS → ATP + SO42- (ATP solforilasi)
Attraverso la terza e la quarta reazione l‟ATP è convertito in luce ad opera della luciferasi e
solo se viene aggiunto il corretto nucleotide alla reazione si produce un segnale luminoso.
luciferasi + D-luciferina + ATP → luciferasi-luciferina-AMP + PPi
luciferasi-luciferina-AMP + O2 → luciferasi + ossiluciferina + AMP + CO2 + luce
La luciferasi utilizzata per la tecnologia del pirosequenziamento deriva da una variante
enzimatica dalla libellula nord-americana Photinus pyralis. Questa luciferasi produce una luce
nella regione del verde-giallo (550-590 nm) con un emissione massima a 562 nm a pH
fisiologico. Inizialmente la luciferasi subisce un cambio conformazionale quando lega la
luciferina e l‟ATP in presenza di magnesio, successivamente la produzione della luce avviene
mediante un processo di carbossilazione ossidativa del complesso luciferina-AMP.
L‟apirasi rimuove i nucleotidi non incorporati e l‟ATP in eccesso tra un‟aggiunta di nucleotidi
e l‟altra; questa degradazione nucleotidica è essenziale per assicurare che l‟intensità di luce
rilevata in corrispondenza della somministrazione di un nucleotide provenga soltanto
dall‟incorporazione di quel nucleotide (Fig. 16). L‟attività dell‟apirasi dipende da cationi
bivalenti come il Ca2+ e il Mg2+ e la sola apirasi attualmente in commercio è quella estratta
dalla patata (Solanum tuberosum).
45
Fig. 16 Reazioni enzimatiche a cascata coinvolte nel pirosequenziamento. (Immagine Biotage®)
Pirosequenziamento degli SNP dell‟IL28B
I prodotti di PCR sono stati sequenziati utilizzando lo strumento PyroMark Q96 ID (Qiagen,
Milano, Italia). La preparazione dei campioni è stata ottenuta mediante l‟utilizzo dello
strumento VPW (Vacuum Prep Workstation), costituito da una spazzola (Vacuum Prep Tool)
a 96 aghi filtranti collegata ad una pompa a vuoto, per la purificazione contemporanea di 96
prodotti di PCR a partire da una micropiastra a 96 pozzetti; tale processo richiede solo 15
minuti. Rispetto alle tecniche di sequenziamento ad oggi disponibili il sistema utlizzato
presenta i seguenti vantaggi:
-
sequenziamento di un ampio numero di campioni (si possono sequenziare fino a 96
campioni contemporaneamente);
-
lettura della sequenza in tempo reale durante la reazione;
-
ridotto tempo di analisi.
Il sistema di pirosequenziamento PyroMark Q96 ID richiede l‟utilizzo di un primer di PCR
biotinilato per consentire il legame del filamento di DNA stampo biotinilato a delle sfere di
sefarosio rivestite di streptavidina. Una volta applicato il vuoto al Vacuum Prep Tool, esso
aspira completamente, attraverso gli aghi filtranti, l‟intera soluzione di PCR l‟intera soluzione
46
di PCR, eccetto il templato legato alle sfere di sefarosio, il quale viene trattenuto sul filtro.
Ciò consente di svolgere rapidamente anche le successive fasi di purificazione e
denaturazione dei prodotti di PCR.
In particolare
il pettine, a cui sono adese le biglie con gli amplificati, viene immerso
inizialmente in una soluzione di etanolo 70% per la purificazione del DNA, poi in una
soluzione denaturante e infine in una soluzione di lavaggio. In questo modo il filamento di
DNA non biotinilato viene rimosso poiché non risulta più essere legato alle biglie dopo la fase
di denaturazione (Fig. 17 ).
Fig. 17 Legame del neofilamento di DNA biotinilato alle biglie di sefarosio rivestite di streptavidina utilizzate
nella metodica del pirosequenziamento.
Successivamente, dopo aver tolto il vuoto, il pettine, con legato il neofilamento di DNA
biotinilato, viene immerso nella piastra di annealing
contenente il primer per il
sequenziamento e l‟annealig buffer. In seguito si inserisce la piastra così preparata nel
sequenziatore e si procede alla lettura della sequenza analizzata che viene rivelata sul
pirogramma: i picchi rappresentano l‟emissione di luce e l‟avvenuta incorporazione dei
nucleotidi (Fig.18).
47
Di seguito viene brevemente descritto il protocollo utilizzato.
In una piastra da 96 pozzetti è stata dispensata la miscela di binding costituita da:
-
37 μl Binding buffer
-
20 μl H20 DEPC
-
3 μl biglie di sefarosio rivestite di streptavidina
-
20 μl prodotto di PCR
La piastra, dopo essere stata posta in agitazione per 15 min a 1400 rpm, è stata incubata per
10 minuti a temperatura ambiente. Nel frattempo è stata preparata e dispensata nella piastra di
annealing da 96 pozzetti una miscela costituita da:
-
38 μl di annealing buffer
-
2 μl di primer di sequenziamento
(AGC-TCC-CCG-AAG-GCG) per rs12979860
(TTC-CAA-TTT-GGG-TGA) per rs8099917
Successivamente il Vacuum Prep Tool viene inserito nella piastra degli amplificati e per
aspirarne tutto il contenuto e quindi immerso in una soluzione di ETOH 70% per 5 secondi, in
soluzione di denaturazione per 5 secondi e infine in un tampone di lavaggio per 5 secondi.
Dopo aver spento la pompa a vuoto, il Vacuum Prep Tool è stato posto nella piastra di
annealing: agitando delicatamente il Vacuum Prep Tool nel buffer, è stato consentito il
rilascio delle biglie. La piastra contenente gli amplificati è stata quindi incuata a 80 °C per 2
minuti per favorire la denaturazione dei filamenti di DNA biotinilati e lasciata raffreddare a
temperatura ambiente per permettere l‟annealing dei primer alla sequenza di DNA bersaglio.
La piastra è così pronta per essere inserita nello strumento PyroMark Q96 ID per eseguire la
reazione di pirosequenziamento.
Fig. 18 Esempio di pirogramma: i picchi rappresentano
nucleotidi
l‟emissione di luce e l‟avvenuta incorporazione dei
48
Estrazione di RNA da PBMC
L‟estrazione dell‟RNA cellulare totale è stata ottenuta mediante utilizzo di TRIzol (Life
technologies), una soluzione monofasica di fenolo e guanidina isotiocianato in grado di inibire
irreversibilmente le ribonucleasi e di lisare le cellule. La procedura di estrazione utilizzata è
descritta di seguito.
Il pellet ottenuto dal campione biologico è stato risospeso mediante 1 ml di Trizol e
successivamente incubato per 5 minuti a temperatura ambiente per consentire la completa lisi
del campione. Dopo aver aggiunto alla sospensione 200 μl di cloroformio, la miscela è stata
vortexata per 30 secondi e centrifugata a 13000 rpm per 20 minuti a 4 °C. Il campione si
separa in tre fasi: una fase inferiore di colore rosso-pallido (fenol-cloroformio), un‟interfase e
una fase superiore acquosa incolore, contenente l‟RNA. Alla fase contenete l‟RNA sono stati
aggiunti 500 μl di isopropanolo; dopo aver incubato il campione per 10 minuti a temperatura
ambiente e averlo centrifugato a 13000 rpm per 15 minuti a 4°C, è possibile osservare che
l‟RNA precipitato forma un pellet sul fondo della provetta. Dopo aver eliminato il
supernatante, il pellet ottenuto è stato sottoposto a due lavaggi, ciascuno dei quali consiste nel
risospendere il pellet stesso in 1 ml di etanolo al 75% e centrifugare a 10000 rpm per 5
minuti. Dopo aver eliminato il supernatante, il pellet è stato asciugato con un concentratore
centrifugo (Vacuum-Dry) per 5 minuti e infine risospeso in 50 μl di acqua sterile RNasi-free e
incubato a 60°C per 10 minuti in modo da eliminare le strutture secondarie.
Sintesi di cDNA
La retrotrascrizione permette la sintesi di cDNA sulla base di uno stampo di RNA a singolo
filamento ad opera dell‟enzima DNA polimerasi-RNA dipendente o trascrittasi inversa,
originariamente estratto dai Retrovirus. Il cDNA sintetizzato può essere utilizzato
direttamente nell‟amplificazione successiva.
La sintesi del cDNA è stata ottenuta utilizzando il kit “High Capacity cDNA Archive Kit”
(Applied Biosystems, Monza, Italia). La reazione di retrotrascrizione è stata eseguita in un
volume finale di 100 μl di cui 50 μl di RNA genomico e 50 μl costituiti dalla miscela di
seguito descritta:
49
-
4 μl deossiribonucleotidi trifosfato (dNTP) 2mM
-
10 μl di Buffer 10x
-
10 μl di esameri random 10x
-
5 μl di enzima
-
21 μl di acqua sterile
Il profilo termico della reazione di retrotrascrizione è il seguente:
-
10 minuti a 25°C
-
2 ore a 37 °C.
Real-Time PCR
Il monitoraggio degli amplificati si basa essenzialmente sulla marcatura di primers o sonde
con molecole fluorescenti e sfrutta la FRET (Fluorescence Resonance Energy Transfer) tra
due fluoruri o meccanismi non propriamente FRET, ma che comportano comunque
l‟emissione di fluorescenza e che coinvolgono un fluoruro ed un quencher non fluorescente.
Un oligonucleotide, chiamato sonda TaqMan, è designato in maniera tale da potersi appaiare
ad una specifica sequenza di templato tra i primer senso e antisenso. La sonda TaqMan
presenta un fluoroforo ad alta energia, il “Reporter” all‟estremità 5‟ e una molecola a bassa
energia, il “Quencher”, all‟estremità 3‟. Se la sonda è intatta e viene sottoposta ad una fonte di
luce, l‟emissione del “Reporter” viene assorbita dal “Quencher”e non si ha alcun segnale di
emissione. Durante l‟amplificazione tuttavia, l‟attività 5‟ esonucleasica della DNA polimerasi
taglia la sonda appaiata con il target causando un aumento della distanza tra “Quencher” e
“Reporter”.
L‟incremento di fluorescenza da parte del “Reporter” viene rilevato ed elaborato da un
software specifico sotto forma di “Amplification Plot”. La linea soglia, il “Threshold”,
rappresenta il punto in cui partono intensità di fluorescenza maggiori rispetto a quelle che
rappresentano un rumore di fondo. Il ciclo a cui ciascun campione raggiunge questo livello è
chiamato “ciclo soglia”. Con la Real Time PCR sono possibili determinazioni quantitative sia
assolute, utilizzando una curva standard di riferimento, sia relative che evidenziano variazioni
del target in rapporto ad un gene housekeeping.
50
Le reazioni sono state eseguite in apposite piastre di reazione ottica da 96 pozzetti (Applied
Biosystem; Monza, Italia); la miscela di amplificazione era così preparata:
-
25 μl di Master Mix Universale 2X (Applied Biosystem, Foster City, CA)
-
20 μl di cDNA
-
0.3 μl di primers senso 300nM
-
0.3 μl antisenso 300nM
-
0.2 μl 200 nM di sonda
-
Il volume finale di 50 μl viene raggiunto con l‟aggiunta di acqua distillata.
Le sequenze dei primer e delle sonde utilizzate per l‟amplificazione di ciascun gene sono
riportate in Tabella 1.
Lo strumento ABI Prism 7000 (Applied Biosystems, Monza, Italia) è stato impostato per
eseguire i seguenti cicli:
-
50°C per 2 minuti;
-
95°Cper 10 minuti, seguiti da 45 cicli a 95°C per 15 secondi, e 60°C per 1 minuto.
La valutazione della quantità di mRNA di ciascuna proteina analizzata è stata fatta mediante
quantificazione relativa, usando come termine di normalizzazione i livelli di espressione del
dell‟housekeeping gene GAPDH (Glyceraldehyde 3-phosphate dehydrogenase). La quantità
dell‟mRNA del gene d‟interesse, normalizzata al gene di riferimento, è data dalla seguente
formula: 2-ΔC, dove ΔC è la differenza, in cicli soglia, tra il gene considerato e quello di
riferimento.
51
Tabella 1. Sequenza nucleotidica dei primer e delle sonde utilizzate nella metodica TaqMan per
l‟amplificazione dei geni IFN-indotti (ADAR, MxA, PKR, ISG56).
Gene
Oligonucleotidi
Sequenza
PKR
SENSO
5‟-TGCTACTACGTGTGAGTCCCAAA-3‟
ANTISENSO
5‟-TGATGTATCTGCTGAGAAGTCACCT-3‟
SONDA
ISG56
MxA
5‟-TGAAGAAGCTCTAGCCAACAACATGTC-3‟
ANTISENSO
5‟-GAGCTTTATCCACAGAGCCTTTTC-3‟
5‟FAM-ATGTCTTTCGATATGCAGCCAAGTTTTACCG3‟TAMRA
SENSO
5‟-CCGGCAGGATGACACAGAC-3‟
ANTISENSO
5‟- GCTTGGCAATATTCCAAGCG -3‟
SONDA
5‟FAM-CACTTCCCAGGGAGCACGGGCA-3‟TAMRA
SENSO
5‟-CTGCCTGGCAGAAAAACTTACC-3‟
ANTISENSO
5‟-CTCTGTTATTCTCTGGTGAGTCTCCTT-3‟
SONDA
GAPDH
3‟TAMRA
SENSO
SONDA
ADAR-1
5‟FAM-CAACTCTTTAGTGACCAGCACACTCGCTTCT-
5‟FAM-CATCACACATATCTGTAAATCTCTGCCCCTGTT3‟TAMRA
SENSO
5‟-CGACCGTCAAGGCTGAGAAC -3‟
ANTISENSO
5‟-GAGGGATCTCGCTCCTGGA-3‟
SONDA
5‟FAM-CTTGTCATCAATGGAAATCCCATCACCATC-3‟TAMRA
52
Analisi statistica
L‟analisi statistica è stata eseguita attraverso l‟uso del software SSPS 17.0 per Windows. Le
differenti distribuzioni dei polimorfismi tra i vari gruppi sono state valutate mediante il test
del Chi-quadro. Le differenze nell‟espressione genica dei geni interferon-indotti in funzione
dei polimorfismi rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B sono state valutate mediante il test di
Mann-Whitney. Valori di “p” inferiori a
0.05 sono stati considerati statisticamente
significativi.
53
RISULTATI
54
Pazienti
L‟analisi degli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B è stata eseguita, mediante una
metodica di pirosequenziamento, su campioni di DNA estratto da PBMC raccolti da 170
pazienti con infezione da HCV trattati con PEG-IFN e ribavirina.
Le caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti con infezione da HCV sono descritte in
tabella 2.
Tabella 2. Caratteristiche clinico-demografiche dei pazienti con infezione cronica da virus
dell‟epatite C (HCV).
Totale
HCVGT*1
HCVGT* 2 HCVGT*3
HCVGT*4
Pazienti
170
91 (53%)
52 (31%)
15 (9%)
Età: media (range)
54 (20-71)
Maschi
92
Femmine
78
Fibrosi
76
-
stadio 0-2
45 (59%)
-
stadio 3-4
31 (41%)
12 (7%)
N° pazienti con carica di
HCV RNA >850000
71 (41%)
44 (48%)
22 (41%)
1 (8%)
4 (27%)
UI**/ml
*genotipo di HCV
** Unità internazionale
La popolazione dello studio era costituita da 92 maschi e 78 femmine con un‟età media di 54
anni. Tutti i pazienti erano di etnia caucasica e presentavano un‟infezione con diversi genotipi
di HCV: 91 pazienti (53%) erano infetti dal genotipo 1, 52 (31%) dal genotipo 2, 12 (7%) con
genotipo 3 ed infine 15 (9%) dal genotipo 4.
55
Il 41% dei pazienti presentava valori di carica virale plasmatica misurati prima dell‟inizio
della terapia superiori a 850000 UI/ml. Tra questi la maggior parte aveva un‟infezione da
HCV genotipo 1. In particolare, 44 pazienti (48%) erano infettati con il genotipo 1 di HCV,
22 (41%) con il genotipo 2, 1 (8%) con il genotipo 3 e 4 (27%) con il genotipo 4.
Biopsie epatiche erano disponibili per 76 pazienti di cui 34 sono NR e 42 presentavano una
SVR. Uno stadio di fibrosi grave (stadio 3-4) si è riscontrato in 31 pazienti (41%) mentre i
restanti 45 soggetti non avevano un quadro clinico di fibrosi o la presentavano con uno grado
minore (stadio 0-2).
Per quanto riguarda la risposta al trattamento, in accordo con le terapie convenzionali, i
pazienti sono stati suddivisi in 2 sottogruppi: un gruppo di 106 pazienti infetti da genotipo1/4
ed un gruppo di 64 pazienti infetti da genotipo2/3. In entrambi i sottogruppi è stata analizzata
la rapida risposta virologica (RVR), la risposta virologica sostenuta (SVR) e la percentuale
dei non responders (NR).
Tabella 3. Frequenza dei genotipi di HCV in relazione alla risposta al trattamento con
interferon e ribavirina
Totale
HCVGT*1/4
HCVGT*2/3
NR (non responder)
70 (41%)
58 (83%)
12 (17%)
RVR (Rapid Virological Response)
74 (43%)
28 (38%)
46 (62%)
Virological
100 (59%)
48(45%)
52 (81%)
SVR con CV RNA >850000 UI** al
35 (35%)
SVR
(Sustained
Response)
baseline
NR con CV RNA >850000 UI** al
36 (51%)
baseline
*genotipo di HCV
**unità internazionale
Su un totale di 74 pazienti (43%) che presentavano una RVR, ossia una risposta rapida al
trattamento con PEG-IFN e ribavirina con livelli di HCV RNA non rilevabile dopo la quarta
settimana di terapia, 28 soggetti (38%) avevano un‟infezione da HCV con genotipo1/4 mentre
i rimanenti 46 (62%) erano infetti da HCV genotipo2/3.
56
La risposta virologica sostenuta (SVR) è stata raggiunta complessivamente in 100 pazienti
(59%): 48 (45%) tra i pazienti infettati con il genotipo di HCV 1 o 4 e 52 (80%) tra i pazienti
infettati con il genotipo di HCV 2 o 3.
I pazienti con livelli di HCV RNA >850000 UI/mL prima dell‟inizio della terapia antivirale
risultavano essere ugualmente rappresentati tra i soggetti che presentavano SVR e i nonresponders.
Frequenza dello SNP rs12979860 dell‟IL28B
L‟analisi dello SNP rs12979860 dell‟IL28B è stata eseguita su campioni di DNA estratti da
PBMC raccolti da 170 pazienti con infezione da HCV trattati con PEG-IFN e ribavirina.
Nella popolazione inclusa nello studio, i genotipi del polimorfismo rs12979860 presentano la
seguente distribuzione: il 17% (28/170) dei pazienti presenta il genotipo CC, il 69% presenta
il genotipo CT (118/170), il 14% (24/170) presenta il genotipo TT, con una frequenza totale
dell‟allele T pari a 0.48.
I risultati indicano che la frequenza di omozigosi per l‟allele C è maggiore nei pazienti con
infezione da genotipo virale 1/4 rispetto a quelli con genotipo virale 2/3 (21% vs 10%, p <
0.05; Test Chi-quadro). Al contrario il genotipo TT dello SNP è maggiormente rappresentato
tra i pazienti con genotipo virale 2-3 (21% vs 9%, p < 0.05; Test Chi-quadro) (Fig. 19).
57
Frequenza dei genotipi (%)
Overall
HCVGT1/4
HCVGT2/3
Fig. 19 Frequenza dei genotipi del polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) rs12979860 dell‟interleuchina 28B
(IL28B) in relazione al genotipo di HCV (HCVGT1/4= genotipo 1 o 4 di HCV; HCVGT2/3= genotipo 2 o 3 di
HCV).
CC genotipo HCVGT1/4 vs HCVGT2/3; p<0.05 Test Chi-quadro
TT genotipo HCVGT2/3 vs HCVGT1/4; p<0.05 Test Chi-quadro
Frequenza dello SNP rs8099917 dell‟IL28B
I genotipi del polimorfismo rs8099917 risultano invece distribuiti come segue: l‟8% (14/170)
della popolazione ha un genotipo GG, il 44% (75/170) ha genotipo GT, il 48 % (81/170) ha
genotipo TT; questi dati confermano quanto descritto in letteratura, ovvero che il genotipo
GG è quello meno rappresentato.
Nei soggetti con infezione da HCV genotipo 1/4 il genotipo GG aveva frequenza del 6%
(6/106), mentre il 44% dei pazienti (47/106) aveva genotipo GT ed il 50% (53/106) genotipo
TT. Nel sottogruppo di pazienti con infezione da genotipo 2/3 di HCV le frequenze dei
genotipi per l‟rs8099917 dell‟IL28B erano le seguenti: 12% (8/64) con genotipo GG, 44%
(28/64) genotipo GT e 44% ( 28/64) genotipo TT. In questo caso, al contrario di quanto
osservato dall‟analisi dello SNP rs12979860, le differenze osservate nelle frequenze
genotipiche per l‟rs8099917 tra i pazienti infettati dal genotipo 1/4 di HCV e i soggetti con
HCV 2/3 non sono significative da un punto di vista statistico (Fig. 20).
58
Frequenza dei genotipi (%)
Overall
HCVGT1/4
HCVGT2/3
Fig. 20 Frequenza dei genotipi del polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) rs8099917 dell‟interleuchina 28B
(IL28B) in relazione al genotipo di HCV (HCVGT1/4= genotipo 1 o 4 di HCV; HCVGT2/3= genotipo 2 o 3 di
HCV ).
Polimorfismi dell‟IL28B e risposta al trattamento con PEG-IFN e
ribavirina.
Successivamente è stata analizzata la relazione tra lo SNP rs12979860 dell‟IL28B e il tipo di
risposta al trattamento con PEG-IFN e ribavirina (Fig. 21).
Dai risultati si evince che la distribuzione dei genotipi dello SNP rs129798690 dell‟IL28B nei
pazienti RVR è del tutto paragonabile a quella osservata per i pazienti con SVR [CC 26%
(19/74), CT 62%(46/74) e TT 12% (9/74)].
La frequenza dei genotipi CC, CT e TT per lo SNP rs12979860 era rispettivamente il 28%
(28/100), 59% (59/100) e 13% (13/100) nei pazienti con SVR.
Nei soggetti che non presentavano risposta al trattamento (NR) la distribuzione dei genotipi
CC, CT e TT era rispettivamente dello 0%, 85% (59/70) e 15% (11/70).
59
Dall‟analisi della frequenza dei genotipi dell‟IL28B SNP rs12979860 nei pazienti che
presentano una SVR o una NR si evince che il doppio allele CC SNP rs12979860 è presente
esclusivamente nei soggetti che hanno ottenuto una risposta al trattamento antivirale, il che
suggerisce che i pazienti HCV-positivi con genotipo CC per lo SNP rs12979860 hanno una
maggiore probabilità di raggiungere una risposta virologica sostenuta rispetto ai pazienti con
genotipo CT o TT (p<0.0001 con Test Chi-quadro).
Parte dello studio è stata dedicata anche all‟analisi dell‟associazione tra lo SNP rs12979860 e
la risposta alla terapia antivirale in relazione al genotipo virale. Da tale analisi è emerso che la
frequenza di omozigosi per l‟allele C dell‟ IL28B SNP rs12979860 è maggiore nei pazienti
SVR che presentano un‟infezione da genotipo virale 1/4 rispetto a quelli con infezione da
genotipo virale 2/3 (44% vs 12%, p<0.0001 con Test Chi-quadro).
Inoltre il genotipo TT sembra avere una frequenza paragonabile tra i pazienti NR e i soggetti
che presentano SVR. In particolare, i pazienti con infezione da HCV genotipo 1/4 avevano
una più bassa frequenza (8%) rispetto a quelli con genotipo virale 2/3 (21%) che tuttavia non
è significativa da un punto di vista statistico.
genotipi
Frequenza
(%)(%)
proportion
Genotypedei
rs 12979860
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
12
13
15
12
8
25
21
48
62
59
85
67
88
75
CT
44
26
TT
CC
28
12
Fig. 21 Frequenza dei genotipi del polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) rs12979860 dell‟interleuchina 28B
(IL28B) in relazione alla risposta al trattamento.
CC genotipo SVR vs NR; p<0.0001
CC genotipo HCVGT1/4 SVR vs HCVGT2/3 SVR; p<0.0001
Test Chi-quadro
60
Per quanto riguarda la relazione tra il genotipo dello SNP rs8099917 e la risposta al
trattamento, è stato osservato che i pazienti che rispondono al trattamento e coloro che non
rispondono mostrano una diversa distribuzione dei genotipi: in particolare il genotipo TT è
significativamente più rappresentato nei pazienti con SVR (30% vs 60% p<0.0005) che nei
soggetti NR. Il genotipo TT era anche significativamente più rappresentato nei soggetti con
SVR infetti dal genotipo virale 1-4 (70%) rispetto ai soggetti NR infetti dallo stesso genotipo
(35%) [ 35% vs 70%, p< 0.0005). Lo stesso risultato è emerso dal confronto tra i pazienti con
SVR infetti dal genotipo 2/3 (52%) e i NR infettati dallo stesso genotipo virale (8%) [
p<0.005]. Al contrario, il genotipo sfavorevole GG era significativamente meno rappresentato
nei pazienti con SVR (4%) se paragonati con pazienti NR (14%) [ p<0.05]. Inoltre si può
osservare che il genotipo GG è del tutto assente nei pazienti con SVR con genotipo di HCV
1/4 (Fig. 22 ).
rs8099917
genotipi
Frequenza
(%)(%)
proportion
Genotypedei
100
8
90
30
80
70
58
35
52
60
70
60
58
TT
50
56
40
30
20
38
40
36
30
10
0
GT
55
4
4
RVR
SVR
14
NR
10
HCVGT1/4
NR
GG
34
8
HCVGT1/4 HCVGT2/3 HCVGT2/3
SVR
NR
SVR
Fig. 22 Frequenza dei genotipi del polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) rs8099917 dell‟interleuchina 28B
(IL28B) in relazione alla risposta al trattamento.
TT genotipo SVR vs NR; p<0.0005
TT genotipo HCVGT1/4 SVR vs HCVGT1/4 NR; p<0.0005
TT genotipo vs HCVGT2/3 SVR vs HCVGT2/3 NR; p<0.005
GG genotipo NR vs SVR; p<0.05
GG genotipo GT2-3NR vs GT2-3SVR; p<0.05
Test Chi-quadro
61
I risultati complessivi sono stati confermati anche attraverso l‟analisi combinata dei genotipi.
La combinazione dei genotipi “favorevoli” CC/TT per gli SNP rs12979860/rs8099917
(aplotipo C/T) è rappresentata nel 28% dei pazienti con SVR ed è significativamente più
rappresentata nei soggetti con SVR infetti da genotipo 1 o 4 di HCV (44%) rispetto ai pazienti
con SVR con genotipo 2 o 3 di HCV (11%). Viceversa, il genotipo “sfavorevole”
rs12979860/rs8099917 TT/GG è maggiormente rappresentato nei pazienti NR che in quelli
che raggiungono la SVR (16% vs 4%; P < 0.005).
SNP rs12979860/rs8099917 dell‟IL28B e livelli di carica virale
Successivamente è stata analizzata l‟influenza dello SNP rs12979860 dell‟IL28B sui livelli di
carica di HCV misurati prima dell‟inizio della terapia antivirale.
In questo caso non è stata trovata nessuna associazione tra i livelli di carica virale ed il
genotipo degli SNP. Infatti si possono osservare valori paragonabili di carica virale sia negli
overall che nei sottogruppi distinti in base al genotipo virale (Fig. 23a, b).
In particolare, per lo SNP rs12979860 i livelli di carica maggiore sono stati osservati nei
pazienti con genotipo CC con genotipo 1 e 4 di HCV. Al contrario valori di carica di HCV
paragonabili o inferiori si riscontrano nei pazienti HCV positivi con genotipo CT o TT.
Inoltre nei soggetti con HCV genotipo 2/3 si osservano valori di carica paragonabile tra i
pazienti con genotipo TT o CT.
Per quanto riguarda lo SNP 8099917 valori di carica superiore si evidenziano negli eterozigoti
Fig. 23a frequenza del genotipo rs12979860
in rapporto ai livelli di carica virale
Livelli di HCV-RNA
Livelli di HCV-RNA
GT indipendentemente dal genotipo virale.
Fig. 23b frequenza del genotipo rs8099917
in rapporto ai livelli di carica virale
62
SNP rs12979860/rs8099917 dell‟IL28B e grado di fibrosi epatica
In ultima analisi si è cercato di stabilire il rapporto che intercorre tra i polimorfismi
dell‟IL28B ed il grado di fibrosi a livello epatico presente nei pazienti. L‟analisi relativa
all‟associazione tra il grado di fibrosi e i polimorfismi dell‟IL28B è stata condotta su un
sottogruppo di 76 pazienti per i quali erano disponibili i campioni bioptici. Di questi, 34 erano
NR mentre 42 presentavano una SVR. Un elevato grado di fibrosi (stadio 3 o 4) è stato
riscontrato in 31 pazienti (41%), mentre in 45 soggetti (59%) la fibrosi epatica era lieve o del
tutto assente (stadio da 0 a 2). Sebbene non sia stata riscontrata alcuna relazione significativa
tra gli SNP e lo stadio di fibrosi, è stato osservato che in una piccola percentuale di pazienti
(7%) che aveva risposto alla terapia pur avendo un grado di fibrosi moderato o alto, era
presente il genotipo CC/TT (aplotipo C/T) per gli SNP rs12979860 e rs8099917 (Fig. 24).
Stadio di fibrosi 0-2
Stadio di fibrosi 3-4 SVR
Stadio di fibrosi 3-4 NR
59%
34%
7%
Fig. 24 Percentuali dei pazienti con diversi stadi di fibrosi epatica
63
Valutazione dell‟espressione di geni IFN-indotti in funzione dei
polimorfismi dell‟IL28B
Nel tentativo di caratterizzare il significato biologico degli SNP rs12979860 ed rs8099917
dell‟IL28B, è stata analizzata l‟espressione genica dei geni interferon-indotti MxA, PKR,
ISG56 e ADAR-1 in un sottogruppo di pazienti HCV-positivi (n=51).
L‟analisi è stata condotta mediante una metodica di Real Time PCR precedentemente messa a
punto nel laboratorio presso cui ho svolto il mio progetto di dottorato.
I risultati ottenuti per i diversi geni sono paragonabili; in tutti i casi, i livelli di espressione
misurati sono risultati estremamente variabili (coefficiente di variabilità maggiore o uguale al
100%) e non è emersa alcuna differenza significativa in relazione al genotipo di entrambi i
polimorfismi. In particolare, i dati ottenuti sulla valutazione dell‟espressione dei geni
interferon-indotti sono stati suddivisi in base al genotipo dei polimorfismi rs12979860 (CC vs
CT e TT) e rs8099917 (TT vs TG e GG) dell‟IL28B. I risultati, mostrati in Figura 25
(pannello A, B, C e D), indicano che non vi sono differenze statisticamente significative
riguardo all‟espressione genica dei geni interferon-indotti in relazione al genotipo del
polimorfismo dell‟IL28B. Ciò sembra indicare pertanto che la presenza di genotipi favorevoli
dell‟IL28B non sia in grado di alterare i livelli di espressione di alcuni geni IFN-indotti
misurati prima dell‟inizio della terapia antivirale.
Fig. 25 (Pannello A) Espressione del gene ISG56 in relazione agli SNP dell‟IL28B nei pazienti con HCV trattati
con IFN peghilato e ribavirina.
64
Fig. 25 (Pannello B) Espressione del gene MxA in relazione agli SNP dell‟IL28B nei pazienti con HCV trattati
con IFN peghilato e ribavirina.
Fig. 25 (Pannello C) Espressione del gene PKR in relazione agli SNP dell‟IL28B nei pazienti con HCV trattati
con IFN peghilato e ribavirina.
65
Fig. 25 (Pannello D) Espressione del gene ADAR-1 in relazione agli SNP dell‟IL28B nei pazienti con HCV
trattati con IFN peghilato e ribavirina
66
DISCUSSIONE
67
Il virus dell„epatite C costituisce un problema sanitario mondiale di grande rilevanza ed è la
principale causa di epatopatia cronica. La terapia standard, basata sulla somministrazione di
PEG-IFNα in combinazione con ribavirina induce una risposta virologica sostenuta in circa il
70-80% dei pazienti con infezione cronica da genotipo 2 o 3 di HCV e solo nel 50% circa dei
pazienti con infezione cronica da HCV genotipo 1.
Recentemente Boceprevir e Telaprevir, due inibitori dell‟enzima serina-proteasi NS3/4A di
HCV, sono stati registrati dai principali enti regolatori internazionali e dall‟Agenzia Italiana
del Farmaco. Gli studi registrativi hanno rilevato un significativo incremento della probabilità
di ottenere una SVR rispetto ai soggetti trattati con duplice terapia. Tuttavia, gli studi sono
stati condotti esclusivamente su pazienti con infezione da HCV genotipo 1; inoltre,
considerata la loro bassa barriera genetica, la somministrazione dei farmaci deve
necessariamente avvenire in combinazione con PEG-IFN e RBV (Asselah et al., 2011).
Nel corso degli anni sono stati identificati numerosi fattori, sia associati al virus che all‟ospite,
ritenuti responsabili, almeno in parte, della resistenza al trattamento interferonico.
I principali fattori associati al virus sono il genotipo di HCV e la carica virale; numerosi
evidenze indicano anche un ruolo associato alla natura di quasispecie di HCV ed
allo
sviluppo di meccanismi di evasione della risposta immunitaria, in particolare della risposta
interferonica. Numerosi sono i fattori dell‟ospite associati alla risposta al trattamento: sesso,
età al momento dell‟infezione, peso, etnia, presenza di altre patologie concomitanti come il
diabete, stadio di fibrosi e grado di compromissione della funzionalità epatica, metabolismo
lipidico (Asselah et al. 2010); recentemente è anche stato proposto che lo stato di attivazione
del sistema immunitario, in particolare del sistema IFN, possa a sua volta giocare un ruolo
nella storia naturale dell‟infezione (Asselah et al. 2010).
Nel 2009, i polimorfismi a singolo nucleotide rs12979860 e rs8099917 localizzati nella
regione genica dell‟IFNλ3 (IL28B) sono stati associati alla clearance dell‟infezione da HCV
sia spontanea che indotta dal trattamento con PEG-IFN e ribavirina ed è stato proposto che
possano essere considerati marcatori genetici predittivi della risposta al trattamento
interferonico, nei soggetti con infezione da genotipo 1 di HCV (Ge et al., 2009; Thomas et al.,
2009; Suppiah et al., 2009; Rauch et al., 2009). D‟altro canto, studi condotti su pazienti
infettati da HCV genotipo 2 o 3 hanno riportato dei risultati contrastanti (Mangia et al., 2010).
Alla luce di queste considerazioni è stato condotto uno studio su 170 pazienti di nazionalità
italiana infettati cronicamente con differenti genotipi di HCV. Lo scopo dello studio è stato
quello di valutare l‟influenza degli SNP rs12979860/rs8099917 sulla risposta alla terapia e
68
sui parametri clinico-virologici di pazienti con infezione da HCV trattati con IFN peghilato e
ribavirina.
Dall‟analisi dello SNP rs12979860 dell‟IL28B, è emerso che la frequenza del genotipo CC è
più elevata nei pazienti con genotipo 1 di HCV rispetto ai pazienti con genotipo virale 2 o 3.
In contrasto con queste osservazioni Rauch e coautori hanno riportato una più alta percentuale
di omozigosi per l‟allele C dello SNP rs12979860 dell‟IL28B nei pazienti con genotipo 2 o 3
di HCV (Rauch et al., 2010).
I risultati ottenuti indicano che il genotipo CC dello SNP rs12979860 dell‟IL28B è presente
esclusivamente nei pazienti che presentano SVR (28%) ed RVR (26%) e, in maniera
significativa, è maggiormente rappresentato in pazienti con SVR infettati dal genotipo 1 o 4 di
HCV (44%). Tutto ciò sembra evidenziare come il genotipo CC sia un possibile marcatore
predittivo di risposta al trattamento antivirale, in particolar modo per i soggetti con infezione
da genotipo virale 1. I risultati ottenuti sono in accordo con l‟osservazione generale di una
maggiore frequenza del genotipo CC dello SNP rs12979860 dell‟IL28B nei pazienti con
genotipo 1 di HCV.
Nessuna relazione è invece presente tra il genotipo CC dello SNP rs12979860 dell‟IL28B e i
pazienti con infezione da genotipo 2 o 3 di HCV che hanno ottenuto la SVR, a differenza di
quanto riportato da altri lavori. In particolare, nello studio condotto da Mangia su 268 pazienti
con infezione da genotipo virale 2 e 3, l‟82% dei pazienti con genotipo CC dello SNP
rs12979860 dell‟IL28B mostrava una risposta virologica sostenuta, rispetto al 75% di
genotipo CT ed al 58% con genotipo TT (Mangia et al., 2010). Tuttavia bisogna considerare
che nella popolazione analizzata nel nostro studio erano presenti solo otto pazienti responsivi
alla terapia con infezione da genotipo 2 o 3 di HCV, di cui cinque con genotipo CT e gli altri
con genotipo TT. Una possibile causa della discrepanza tra i 2 studi potrebbe essere dovuta
pertanto al differente numero di pazienti esaminati.
Alla luce di queste considerazioni dai risultati di questo studio non possono essere ottenute
delle conclusioni definitive riguardo l‟influenza dello SNP rs12979860 dell‟IL28B nella
risposta alla terapia antivirale nei pazienti con genotipo virale 2 o 3. Tuttavia i nostri dati
confermano il positivo valore predittivo del genotipo CC per lo SNP rs12979860 sui pazienti
che presentano SVR e RVR infettati da HCV con genotipo1.
Per quanto riguarda lo SNP rs8099917, dai risultati ottenuti si evince che il genotipo TT è in
significativa associazione con la SVR sia nei pazienti con infezione da HCV genotipo 1/4 che
nei soggetti con infezione da HCV genotipo 2/3; questi dati confermano quanto riportato da
altri autori (Suppiah et al., 2009; Rauch et al., 2010). I nostri risultati sembrano evidenziare
69
dunque come la presenza del genotipo TT per lo SNP rs8099917 comporti una maggiore
probabilità di raggiungere una SVR indipendentemente dal genotipo virale.
Nella popolazione oggetto di questo studio sono state riscontrate frequenze simili per il
genotipo TT dello SNP rs8099917 tra pazienti con infezione da diversi genotipi di HCV (50%
GT1/4, 44% GT2/3). In contrasto ai nostri risultati è stata riportata una frequenza maggiore
del genotipo TT nei pazienti con infezione da HCV genotipo 2 o 3 rispetto a pazienti con
infezione da genotipo 1 di HCV. In particolare Lagging e coautori hanno riportato che il
genotipo TT per l‟rs8099917 era più rappresentato nei pazienti con genotipo virale 2 (65%) e
3 (79%) rispetto ai pazienti con genotipo1 (57%) di HCV (Lagging et al., 2011).
Contrariamente a quanto osservato per gli omozigoti TT, i risultati ottenuti indicano inoltre
che il genotipo GG è significativamente più rappresentato nei pazienti non responders (14%)
rispetto ai pazienti che ottengono la SVR (4%), indicando pertanto un valore predittivo
negativo di questo specifico genotipo dell‟IL28B sulla risposta al trattamento interferonico.
A questo proposito, in uno studio su 482 pazienti asiatici è emerso che la percentuale dei
pazienti omozigoti per l‟allele T dello SNP rs8099917 che raggiunge la SVR è paragonabile a
quella relativa ai pazienti che presentano l‟allele minore G (Yu et al., 2011). In questo caso la
differenza riscontrata rispetto ai risultati ottenuti in questo studio può essere in parte spiegata
sia in base alle differenze genetiche delle due etnie analizzate che in base al diverso numero
di pazienti HCV infetti esaminati.
Avendo osservato che la presenza di specifici genotipi degli SNP rs12979860 e rs80999917
dell‟IL28B può influenzare l‟esito della terapia a base di IFN peghilato e ribavirina, si è
cercato di valutare quale di questi SNP avesse un maggiore potere predittivo sulla risposta alla
terapia antivirale. I risultati derivati dall‟analisi genotipica combinata per i polimorfismi
rs12979860/rs8099917 dimostrano come il genotipo CC per l‟rs12979860 abbia il più alto
valore predittivo sulla risposta alla terapia; ciò è in accordo con l‟osservazione che soggetti
portatori di questo genotipo hanno una maggiore probabilità di ottenere una SVR rispetto ai
portatori del genotipo TT per lo SNP rs8099917.
Successivamente è stata valutata la presenza di un‟eventuale correlazione tra il genotipo dei
polimorfismi dell‟IL28B e alcuni fattori associati alla probabilità di rispondere alla terapia,
quali la carica virale misurata prima dell‟inizio del trattamento e lo stadio di fibrosi.
Per quanto concerne la relazione tra gli SNP dell‟IL28B e la carica virale misurata prima
dell‟inizio della terapia, risultati contrastanti sono stati riportati in letteratura. In particolare,
alcuni autori hanno riportato la presenza di una correlazione tra i valori di carica virale al
baseline e il genotipo degli SNP rs12979860 e rs8099917 dell‟IL28B mentre in altri studi non
70
è stata identificata nessuna relazione (Lagging et al., 2011; Sarrazin et al., 2011; Moghaddam
et al., 2011).
Dall‟analisi eseguita in questo studio non è emersa nessuna correlazione significativa tra i
livelli di carica virale e il genotipo dei polimorfismi analizzati.
In accordo alla nostra
osservazione, lo studio di Moghaddam, eseguito su 281 pazienti infettati dal genotipo 3 di
HCV, ha sottolineato come la carica virale rimanga un marcatore predittivo indipendente della
risposta alla terapia antivirale (Moghaddam et al., 2011). Inoltre Lagging e coautori, mediante
uno studio condotto su 253 pazienti di etnia caucasica infettati dal genotipo 1 di HCV, hanno
evidenziato come nei soggetti portatori degli SNP favorevoli (C e T per rs12979860 e
rs8099917, rispettivamente) siano rilevabili valori di carica virale plasmatica al baseline più
elevati rispetto ai portatori degli alleli di rischio (T e G) (Lagging et al., 2011).
Nell‟analisi relativa all‟associazione tra il grado di fibrosi e i polimorfismi dell‟IL28B non è
stata riscontrata nessuna associazione significativa, sebbene i nostri dati evidenzino come
pazienti con genotipo CC per lo SNP rs12979860 abbiano una tendenza a non presentare
fibrosi o comunque ad averla in un stadio moderato (stadio da 0 a 2). Queste osservazioni
sono in accordo con alcuni studi ma in contrasto con altri lavori che hanno osservato
un‟associazione tra un elevato grado di fibrosi ed i genotipi favorevoli dello SNP rs8099917
(Lin et al.,2011; Abe et al., 2010). In particolare, nello studio di Abe condotto su 364 pazienti
giapponesi con epatite cronica da HCV, è stato riportato che la fibrosi epatica era
significativamente più grave nei soggetti omozigoti per l‟allele favorevole TT del
polimorfismo rs8099917 dell‟IL28B. Le discrepanze osservate potrebbero essere dovute alla
differente etnia dei pazienti arruolati.
Sebbene non sia stata riscontrata alcuna relazione significativa tra gli SNP e lo stadio di
fibrosi, è interessante osservare che nei pazienti che avevano ottenuto una SVR nonostante
presentassero un stadio di fibrosi moderato-alto era presente il genotipo “favorevole” per
entrambi i polimorfismi (CC per l‟rs12979860 e TT per l‟rs8099917). Ciò sottolinea una
capacità predittiva del genotipo CC per l‟rs12979860 dell‟IL28B sulla risposta al trattamento
antivirale indipendente dai parametri istologici come è stato suggerito anche da altri lavori
(Lin et al., 2011; Costa et al., 2011).
Per quanto riguarda il significato biologico degli SNP dell‟IL28B, gli studi a riguardo non
permettono di giungere a delle conclusioni definitive.
È noto che gli IFNλ sono coinvolti in diverse funzioni biologiche (Kotenko et al., 2003;
Meager et al., 2005). Inoltre è stato dimostrato che i pathway che portano all‟espressione dei
geni interferon-indotti sono parzialmente sovrapponibili per le due classi di interferone (IFN
71
di tipo I e di tipo III) e che i due tipi di IFN possono essere coespressi nelle cellule infettate
da alcuni virus (Donnelly e Kotenko, 2010).
Al contrario degli effetti dell‟IFNλ che sono stati in gran parte compresi, il ruolo funzionale
dei polimorfismi dell‟IL28B (IFNλ3) nell‟infezione da HCV rimane al momento poco chiaro.
In particolare resta ancora da scoprire come i polimorfismi a singolo nucleotide rs12979860
ed rs8099917 possano essere associati a degli specifici effetti antivirali o come possano
influenzare la risposta immunitaria nei pazienti con infezione da HCV.
Alla luce di queste considerazioni una parte dello studio è stata dedicata anche alla
caratterizzazione del significato biologico degli SNP rs12979860 e rs8099917 nei pazienti con
infezione cronica da HCV trattati con PEG-IFN e ribavirina.
In particolare, è stata analizzata l‟espressione di alcuni geni IFN-indotti nei PBMC raccolti da
un sottogruppo di pazienti prima dell‟inizio della terapia antivirale. I nostri risultati indicano
che, indipendentemente dagli specifici genotipi degli SNP rs12979860 e rs8099917
dell‟IL28B, i livelli di espressione dei geni MxA, PKR, ISG56, e ADAR-1 sono
estremamente variabili, come indicato dal coefficiente di variabilità superiore al 100%.
Questi dati sono in accordo con uno studio precedentemente svolto nel laboratorio presso il
quale ho svolto il dottorato, in cui i livelli di espressione di alcuni geni interferon-indotti
(oligoadenilato sintetasi, beta2microglobulina, neopterina), misurati nei PBMC di pazienti
con infezione cronica da HCV, erano risultati altamente variabili (coefficiente di variabilità
per OAS, β2mg e NPT di 92%, 73% e 62%, rispettivamente) (Scagnolari et al., 2007).
Inoltre, è stata riportata un‟associazione tra l‟espressione genica di ISG misurati in cellule
epatiche con la risposta alla terapia interferonica nei pazienti con infezione da genotipo 1 di
HCV (Feld et al., 2007). In questo studio è stato mostrato come i livelli di espressione di
alcuni geni IFN-indotti nel fegato siano più bassi nei pazienti non trattati con infezione da
genotipo 1 di HCV che in seguito svilupperanno una risposta virologica rapida. Questa
osservazione è in accordo con lo studio di Chen e colleghi nel quale i livelli di espressione dei
geni IFN-indotti nel fegato è maggiore nei pazienti che in seguito risponderanno meno alla
terapia antivirale (Chen et al., 2005). Antonelli e coautori (Antonelli et al., 1999) hanno
riportato che i pazienti che non rispondevano alla terapia a base di IFN presentavano prima
dell‟inizio della terapia elevati livelli della proteina MxA nei PBMC. In questi pazienti i
livelli di espressione della proteina MxA sono stati analizzati anche dopo 8 settimane di
trattamento con Peg-IFNα ed un aumento significativo (p<0,001) nell‟espressione genica è
stato riscontrato solamente nei soggetti responders.
72
A tale proposito, non è ancora stato compreso come mai una così forte attivazione del sistema
IFN negli epatociti non sia in grado di eliminare il virus. Una delle ipotesi proposte per
spiegare questo fenomeno è che l‟espressione dei geni ISG sia indotta soltanto negli epatociti
non infetti. Si stima infatti che gli epatociti infetti nel fegato costituiscano tra il 5 e il 30%
della popolazione cellulare totale; se HCV potesse efficacemente bloccare in vivo il pathway
dell‟IFN, infatti, i geni ISG verrebbero espressi soltanto nelle cellule non infette.
Alternativamente è anche stato proposto che, nelle cellule infette, sia in qualche modo inibita
la traduzione degli mRNA delle proteine IFN-indotte (Heim, 2013). Nei pazienti il cui sistema
IFN è attivato, quinid, la somministrazione di PEG-IFN non sembra essere capace di
stimolare un ulteriore incremento dell‟espressione dei geni ISG. Molto interessante è l‟ipotesi
che l‟inibizione della replicazione virale possa indurre un simultaneo decremento
dell‟induzione degli ISG nel fegato. Ciò renderebbe plausibile l‟idea che la triplice terapia
possa indurre elevate percentuali di SVR grazie all‟azione degli antivirali diretti: una diretta
inibizione della replicazione virale porterebbe ad una diminuzione dei livelli di attivazione del
sistema IFN e renderebbe i pazienti nuovamente responsivi all‟IFN esogeno. Tale ipotesi è
supportata dall‟osservazione della presenza di elevati livelli di espressione di ISG nei pazienti
con genotipi “non favorevoli” dei polimorfismi dell‟IL28B (Heim, 2013).
Tuttavia, i livelli di espressione dei geni interferon-indotti, analizzati a livello dei PBMC dei
pazienti inclusi nel nostro studio, non sembrano essere influenzati dagli specifici genotipi
dell‟IL28B considerati.
In particolare, nel nostro studio nessuna differenza statisticamente significativa dei livelli di
espressione dei geni interferon-indotti è emersa dal confronto tra pazienti omozigoti per
l‟allele favorevole C dello SNP rs12979860 e pazienti con genotipo CT o TT per lo stesso
SNP. Risultati analoghi sono stati riscontrati dall‟analisi dello SNP rs8099917 e dal confronto
tra i livelli di espressione genica nei pazienti omozigoti per l‟allele favorevole T rispetto agli
eterozigoti GT e agli omozigoti per l‟allele GG. Ciò sembra indicare pertanto che la presenza
di genotipi favorevoli dell‟IL28B non sia in grado di alterare i livelli di espressione di alcuni
geni IFN-indotti, i cui livelli misurati prima dell‟inizio della terapia antivirale possono però
influenzare l‟esito della risposta alla terapia antivirale.
Questi dati sono in accordo con quanto riportato da Ge e coautori, i quali non hanno
riscontrato alcuna associazione tra la presenza dell‟allele protettivo C per lo SNP rs12979860
ed un aumento dei livelli dei geni interferon-indotti nei PBMC (Ge et al., 2009).
Tuttavia bisogna considerare che i dati disponibili in letteratura dagli studi di valutazione
dell‟espressione genica dell‟IL28B o geni correlati al pathway dell‟IFN sia a livello dei
73
PBMC che a livello del fegato sono ancora piuttosto limitati e mostrano inoltre dei risultati
contrastanti. Suppiah e coautori, ad esempio, hanno dimostrato come la presenza dell‟allele
protettivo C per lo SNP rs12979860 sia in associazione con una up-regolazione
dell‟espressione dell‟IFNλ3 nei PBMC (Suppiah et al., 2009). In un altro studio è stato
osservata una bassa espressione dell‟IFNλ3 nei PBMC nei pazienti portatori dell‟allele minore
G per lo SNP rs8099917 che è associata con la non risposta al trattamento antivirale (Tanaka
et al., 2009).
Dati discordanti si riscontrano anche per ciò che concerne la produzione degli IFNλ a livello
epatico in funzione dei polimorfismi dell‟IL28B. Alcuni studi hanno riportato che il genotipo
TT (sfavorevole) per lo SNP rs12979860 dell‟IL28B si associa a dei livelli ridotti di
espressione genica dei IGS nel fegato (Dill et al., 2011). Nello studio di Honda, invece, è stato
mostrato come la presenza dell‟allele protettivo T per lo SNP rs8099917 non è correlata con
una maggiore espressione epatica di IFNλ3. In aggiunta alla contraddittorietà dei risultati
ottenuti in relazione al tentativo di caratterizzare il significato biologico degli SNP
dell‟IL28B, bisogna inoltre considerare che in alcuni studi è emerso, come precedentemente
menzionato, che una maggiore espressione di ISG nel fegato e/o PBMC è in relazione con
una minor risposta al trattamento con IFNα esogeno (Younossi et al., 2009; Asselah et al.,
2008).
Questi risultati riflettono pertanto la complessità del fenomeno analizzato e la difficoltà di
stabilire e/o individuare degli specifici pathway associati alla mancata risposta alla terapia a
base di PEG-IFN nei pazienti con HCV in relazione agli SNP dell‟IL28B.
Per comprendere se il potere predittivo dei polimorfismi potesse essere confermato e
utilizzato anche in altre infezioni croniche, sono stati realizzati studi arruolando pazienti con
infezioni da virus dell‟epatite B (HBV) o da virus dell‟immunodeficienza umana (HIV) di
tipo 1. In particolare sono stati genotipizzati 226 pazienti con infezione da HBV e 2548 con
infezione da HIV. In entrambe le categoria di pazienti non è stata trovata associazione tra il
genotipo dello SNP e la clearance virale dell‟infezione o la progressione della malattia; ciò
suggerisce come questo polimorfismo possa influenzare la risposta immune verso l‟infezione
da HCV ma non verso altre infezioni virali di tipo cronico come quelle da HBV e HIV
(Martin et al., 2010).
Pertanto, il significato biologico dei polimorfismi dell‟IL28B rimane ancora da chiarire.
Al fine di comprendere il ruolo degli SNP, è importante considerare che, anche senza
influenzare la produzione o la struttura proteica, i polimorfismi dell‟IL28B potrebbero
74
esercitare un‟influenza funzionale alterando ad esempio l‟espressione genica, lo splicing
dell‟mRNA, la stabilità della proteina e/o la sua emivita (McHutchison., 2010).
Studi futuri volti all‟analisi funzionale dei ISG e dei polimorfismi dell‟IL28B potranno essere
di notevole interesse per una migliore comprensione dei meccanismi che sottintendono la
differente risposta alla terapia combinata di IFN e ribavirina nei pazienti con infezione cronica
da HCV. Fondamentale sarà l‟analisi dei polimorfismi e la loro relazione con l‟espressione
degli ISG in biopsie epatiche: le cellule epatiche sono infatti le principali cellule bersaglio del
virus mentre molti degli studi descritti in letteratura sono stati eseguiti su PBMC, poiché è
molto più semplice, in quanto meno invasivo per il paziente, ottenere campioni di sangue.
Tuttavia, le dinamiche tra IFN e virus potrebbero essere diverse nei diversi compartimenti
cellulari. Inoltre, ulteriori studi sono necessari anche per definire il ruolo delle cellule nonparenchimali nella risposta all‟infezione virale.
In conclusione, i risultati ottenuti confermano che gli SNP rs12979860 e rs8099917
dell‟IL28B possono essere considerati marcatori genetici predittivi di RVR e SVR nei
pazienti con infezione cronica da virus dell‟epatite C trattati con PegIFN e RBV, e
sottolineano l‟importanza della valutazione degli SNP indipendentemente da altri parametri
clinico-virologici. Rimane ancora da comprendere invece il ruolo funzionale dei polimorfismi
che, nei PBMC, non sembrano essere in grado di modulare i livelli di espressione dei geni
ISG.
75
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