FENOMENI FISIOLOGICI DI ADATTAMENTO ALLA QUOTA OLTRE I 5000 mt ASPETTI NEUROLOGICI ADATTAMENTI E ALTERAZIONI PSICHICHE di Fabio Beolchi Punto 1: all’insorgere dell’Ipossia (riduzione di ossigeno dovuta alla quota), il nostro organismo, nella necessità di sopravvivere, aumenta l’apporto di ossigeno aumentando primariamente la frequenza cardiaca e gli atti respiratori. Contemporaneamente si prepara a far funzionare i nostri organi e ormoni in maniera differente, innescando, poco dopo, regolazioni più fini a livello biochimico e bioumorale. Punto 2: l’aumento della frequenza respiratoria garantisce un maggiore apporto di ossigeno tramite la proteina dell’emoglobina.contenuta nei globuli rossi. Con l’aumento della quota, questa proteina diminuisce via via la sua capacità di trasportare ossigeno in termini volumetrici. Punto 3: viene quindi stimolato il midollo osseo, organo deputato alla produzione di globuli rossi (Produzione Emopoietica), a produrne, non senza stress, una quantità maggiore. L’incremento dei globuli rossi comporta la variazione del valore di Ematrocrito, costituito dal rapporto tra la parte corpuscolata del sangue (globuli) e la parte liquida dello stesso. Punto 4: L’eccessiva veloce produzione e relativa concentrazione di globuli rossi nel sangue, non corrisponde ad un’altrettanto aumento della componente liquida del sangue (anche in conseguenza dell’eccesso di sudorazione e perdita di vapore acqueo con la respirazione dovuto alla fatica e alla difficoltà di ingerire liquidi in quota), provocando un aumento di viscosità del sangue, con conseguente fatica del cuore per garantirne la sua circolazione (perdita di fluidità) Punto 5: Quindi, l’aumento del battito cardiaco, dell’iperventilazione e del valore dell’Ematocrito, costituiscono i meccanismi primari di adattamento che determinano, purtroppo, scompensi in altri meccanismi fisiologici. L’iperventilazione provoca la perdita eccessiva dell’anidride carbonica (gas), residuo della respirazione, che, in termini di pressione e concentrazione nel sangue, contribuisce al mantenimento dell’equilibrio tra le molecole acide ed alcaline. Il sangue ha caratteristiche fisico-chimiche ben precise ed equilibrate (equilibrio idroelettrolitico), che consente variazioni di proporzione molto limitati. Punto 6: al diminuire del gas di anidride carbonica disciolto nel sangue, il nostro organismo cerca di riequilibrare il bilancio idroelettrolitico facendo subentrare i reni stimolandone la diuresi. L’eliminazione delle molecole alcaline, attraverso l’urina, ristabilisce la normale proporzione fra le sostanze (acide ed alcaline) ripristinando il valore corretto del Ph. Punto7: con il passare del tempo e della permanenza in quota, l’organismo rileva che le attuali strategie impiegate per la corretta ossigenazione non sono sufficienti a garantire la corretta “alimentazione” della macchina umana. Si predispone quindi a “ridurre i consumi” eliminando o riducendo quello che è superfluo e che consuma ossigeno. E’ infatti necessario, per garantirne la sopravvivenza, un adeguato apporto di ossigeno agli organi nobili, cervello, cuore, polmoni. Il nostro organismo, sceglie quindi di demolire parte della sua struttura muscolare attraverso l’aumento del lavoro di alcuni ormoni deputati al lavoro di distruzione rispetto agli ormoni della ricostruzione (Tiroide, ormoni della crescita) della fibra muscolare. Si determinerà, quindi, oltre ad una perdita della massa grassa, anche una sensibile riduzione della massa muscolare in tutte le parti del corpo. Adattamenti ed alterazioni psichiche e comportamentali E’ noto da tempo che l’ascensione in montagna si accompagna a variazioni del tono psichico sia in senso positivo (comparsa di euforia) che negativo (comparsa di pessimismo e astenia, cioè indebolimento generale dell’organismo con scarsa reazione agli stimoli). Tali disturbi sonno stati descritti in particolare dal Dott. Zchislaw Ryn che nel 1975 descrive in arrampicatori polacchi una sindrome definita come “astenia cerebrale da alta quota”. Egli ritiene anche che in alcuni alpinisti possano presentarsi variazioni permanenti. In questo suo studio sui disturbi mentali d’altezza, Ryn classifica i disturbi mentali in quelli insorgenti a bassa quota (1.500-2500 metri sopra il livello del mare), ad altezza intermedia (2500-5000) e ad alta quota (sopra i 5000). A bassa quota, ad esempio, nelle minori montagne Tatra, che sono simili alle nostre Alpi, sono caratteristiche e frequenti due tipi di reazioni psicopatologiche: un eccitamento emotivo (osservato in 20 su 30 alpinisti) od all’opposto un atteggiamento dì indifferenza fino all’apatia. Nello studio citato queste reazioni si manifestavano nei primi giorni del soggiorno in montagna e duravano da poche ore a molti giorni, scomparendo poi spontaneamente. L’eccitamento emotivo si manifestava con una maggior tensione psichica, una variazione rapida dell’umore, tratti di impazienza e irritabilità. L’indifferenza emotiva era caratterizzata da senso di affaticabilità accentuata. sonnolenza, indifferenza ed impressione di un deterioramento della forma fisica. Questi sintomi si accompagnavano ad una generale scarsa volontà di arrampicare e ad una esagerata valutazione critica della difficoltà della scalata. Anche questi sintomi non rimanevano a lungo e scomparivano spontaneamente (questo particolare atteggiamento psicologico viene definito come pattern neuroastenico). A moderata altezza (2500-5000 metri) i disturbi mentali nella forma di una sindrome apatetico-depressiva venivano rilevati in 22 alpinisti mentre solo in 6 erano presenti i disturbi a carattere euforico-impulsivo. Gli arrampicatori nei quali era diagnosticata la sindrome apatetico-depressiva riferivano un aumento della fatica fisica, astenia psichica, indifferenza, avversione per ogni sorta di attività, rallentamento delle attività psichiche, scarsa tendenza alla conversazione e depressione. I sintomi fisici includevano spesso mal di testa, palpitazione cardiaca, nausea, dispnea e crampi gastrici. Le sindromi euforiche-impulsive erano caratterizzate da variazione del tono dell’umore che appariva talora esaltato con euforia, senso di irrazionale felicità, estrinsecazione di una attività non necessaria intensificata tensione emotiva, irritabilità, improvvisi cambiamenti d’umore, conflitti con gli altri componenti della spedizione. Si tratta di sintomi noti a chiunque abbia compiuto numerose ascensioni in montagna. Ad alta quota (sopra i 5000 m) emerge il pattern psico-organico, condizione nella quale agli aspetti psicologici si accompagnano anche disturbi organici, cioè fisici. Consiste in vuoti di memoria, diminuzione della coordinazione e dell’equilibrio, diminuita efficienza psicofisica e difficoltà nella precisione delle funzioni intellettive. Sopra i 5000 metri possono comparire allucinazioni visive e marcati disturbi del ritmo sonno-veglia. Aspetti neuropsicologici Secondo alcuni autori gli effetti acuti dell’ipossia da alta quota sul cervello sono reversibili. Un dettagliato studio neuropsicologico, condotto nel corso dell’operazione simulata Everest lI (6 soggetti studiati in camera ipobarica per 40 giorni simulando la salita all’Everest) e in una analisi retrospettiva svolta su scalatori che erano saliti tra i 5488 e gli 8848 metri di quota ha evidenziato un declino nella memoria visiva e verbale a lungo termine nei mesi successivi alla salita e la presenza di un numero doppio di errori nel test di screening per l’afasia (studio dei disturbi del linguaggio).