Allegato 4. Protocolli analitici generali [PDF

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Protocolli analitici generali
1.
Determinazione dei lipidi totali
2.
Transmetilazione e determinazione della composizione acidica
3.
Determinazione del colesterolo totale
4.
Parametri biomorfometrici ed ematochimici correlabili con lo stato di
benessere dei pesci
5.
Determinazione dell’umidità, delle ceneri, e dell’azoto
Ricerca Interdipartimentale sulle Tecnologie e l’Igiene degli Allevamenti Intensivi
delle Piccole Specie
1.
Determinazione dei lipidi totali
1.1
Per tale determinazione si fa riferimento al metodo Folch et al. (1957)
modificato, che prevede la seguente procedura.
1.2
Dopo aver prelevato una quantità nota del campione, si procede
omogeneizzandolo a fondo in una beuta in cui sono stati aggiunti un volume (20
mL) di metanolo e un volume di cloroformio.
1.3
Viene successivamente aggiunto un ulteriore volume di cloroformio e si
procede alla filtrazione in un imbuto separatore.
1.4
Una volta che il tutto sia perfettamente filtrato si passa a lavare il residuo
con 5 mL di cloroformio/metanolo 2:1. Tale procedura deve essere ripetuta per
due volte.
1.5
Avvenuta la completa filtrazione, si rimuove il filtro e si aggiunge 1/5 del
volume di potassio cloruro allo 0.88 %, agitando dolcemente. Si lascia riposare
per 8–10 ore (tutta una notte) in modo tale che si formino due fasi separate.
1.6
In palloni essiccati e tarati si recupera la fase inferiore cloroformica
contenente i lipidi, e si procede a essiccare il tutto in evaporatore rotante
riscaldando in bagnomaria a 40 °C. Per garantire che non rimanga acqua nel
pallone, si aggiungono 7 mL di cloroformio e qualche goccia di metanolo, quindi si
passa a ri-essiccare in evaporatore.
1.7
mL.
I lipidi vengono recuperati con 10 mL di cloroformio in un matraccio da 10
1.8
Si passa a pesare un pallone da 25 mL in cui vengono trasferiti i 10 mL
precedentemente recuperati. Il tutto viene posto in essiccatore per 8–10 ore;
successivamente si esegue la pesatura. Il valore del contenuto lipidico, espresso
in percentuale sul tal quale, è ottenuto dalla media di due campioni.
Riferimenti bibliografici
Folch J., Lees M., Sloane Stanley G.H. (1957). A simple method for the isolation
and purification of total lipids from animal tissues. J Biol Chem. 226, 497-509.
2.
Transmetilazione e determinazione della composizione acidica
2.1
Per tale determinazione si fa riferimento alle metodo di Christopherson e
Glass (1969), che prevede la seguente procedura.
2.2
Per la transmetilazione degli acidi grassi si procede alla preparazione di una
miscela metanolica di KOH 2 N: 13.17 g di KOH in 100 mL di metanolo.
2.3
Viene prelevata un’aliquota (2 mL) di estratto lipidico — ottenuta con
metodo Folch a freddo eseguito appositamente a tale scopo — che viene portato a
secco sotto azoto a bagnomaria, a bassa temperatura (40 °C), facendo attenzione
che non s’interrompa il flusso di azoto e che quindi non entri aria nella provetta.
2.4
Le proporzioni ideali per la transesterificazione sono 0.5 g di lipidi, 0.25 mL
di miscela KOH metabolica, e 5 mL di n-esano.
2.5
Viene aggiunta la soluzione di KOH e il n-esano, si tappa, e si agita
vigorosamente a mano per 20 secondi. Si lascia riposare per circa un minuto
finchè si evidenziano le 2 fasi. La fase inferiore è di circa 0.25 mL mentre la fase
superiore (n-esano) è quella che andrà iniettata in GC.
2.6
In GC si dovrà iniettare 1 microlitro (split). Se i picchi non sono delle
misure ottimali, si varierà la quantità di miscela e n-esano onde evitare di dover
diluire o concentrare il campione prima della iniezione.
2.7
Di seguito vengono riportate le condizioni del gascromatografo applicate
per la determinazione degli acidi grassi (occorre comunque precisare che le
impostazioni possono subire variazioni in relazione alle caratteristiche della
colonna e del campione).
Colonna capillare Supelco SP-2340 da 30 metri:
•
•
•
•
Carrier: elio
Temperatura iniziale: 150 °C
Temperatura detector:
250 °C
Temperatura injector:
200 °C
Riferimenti bibliografici
Christopherson S.W., Glass R.L. (1969). Preparation of milk methyl esters by
alcoholysis in an essentially non-alcoholic solution. J Dairy Sci. 52, 1289-1290.
3.
Determinazione del colesterolo totale
3.1
La metodica adottata prevede l’utilizzo dell’HPLC impostato secondo le
seguenti modalità (P. Manzi et al., 1996):
•
•
•
colonna C18;
flusso 1.5 mL/min;
lettura a 208 nm.
3.2
In un provettone da 50 mL viene pesato 1 g di campione al quale si
aggiungono
•
•
•
•
2
2
1
5
mL
mL
mL
mL
di
di
di
di
idrossido di potassio al 60 %;
etanolo;
cloruro di sodio 1 %;
pirogallolo in etanolo 6 %.
3.3
Si pone in bagnomaria a 70 °C per 30 minuti, e si fa poi raffreddare in
acqua ghiacciata. Si aggiungono
•
•
15 mL di cloruro di sodio 1 %, e
15 mL di n-esano-ethyl acetato 9:1.
3.4
Dopo aver tappato e agitato lievemente, si attende che la fase di n-esanoetil acetato si separi dal resto; tale separazione richiede solitamente circa 10–15
minuti.
3.5
Si procede quindi a recuperare, mediante evaporatore rotante, la fase
superiore in un pallone da 50 mL, e a portarla a secco con l’immersione del
pallone in acqua tiepida a circa 35 °C.
3.6
Si aggiungono ulteriori 15 mL di n-esano-ethyl acetato 9:1 al provettone, e
si recupera la fase superiore, dopo che questa si è perfettamente separata,
all’interno dello stesso pallone per evaporatore rotante nel quale, nel frattempo, si
è portato a secco il primo recupero.
3.7
Si manda quindi a secco anche il secondo recupero e si aggiungono 2 mL
esatti di metanolo o etanolo (è consigliabile utilizzare lo stesso solvente che viene
impiegato come fase mobile per l’HPLC).
3.8
A questo punto, si può procedere alla determinazione della concentrazione
di colesterolo in mg/100 g mediante la curva di calibrazione precedentemente
creata.
Riferimenti bibliografici
Manzi R., Panfili G., Pizzoferrato L. (1996). Chromatographia 43, 89−93.
4.
Parametri biomorfometrici ed ematochimici correlabili con lo stato
di benessere dei pesci
4.1
Introduzione
L’itticoltura europea, dopo aver registrato un notevole incremento produttivo negli
ultimi vent’anni, sta passando ad un regime di sviluppo più lento che tende a
favorire le tecniche di allevamento a basso impatto ambientale privilegiando gli
aspetti qualitativi rispetto a quelli qualitativi. Tali tecniche si conciliano
perfettamente con le problematiche relative al benessere delle specie oggetto di
allevamento che, al pari di quanto già avvenuto per le specie terrestri con la
Direttiva 98/58 CE (G.U. L 221 dell’8 agosto 1998) riguardante il benessere degli
animali terrestri, sono da pochi anni affrontate anche nell’ambito degli organismi
acquatici.
4.2
Parametri biomorfometrici
4.2.1 La conformazione corporea del pesce è oggetto di numerosi studi poiché è
in grado di fornire importanti indicazioni relativamente allo stato di benessere. La
tipologia e le modalità di allevamento sono infatti direttamente coinvolte poiché
ritenute responsabili della comparsa di manifestazioni patologiche e/o la mortalità
di parte o di tutti i soggetti per carenze di ossigeno od intossicazione da
ammoniaca in grado di compromettere le performances zootecniche attese e/o la
qualità.
4.2.2 Correlando fra loro alcune di queste misure si possono ricavare indici in
grado di valutare lo stato generale del pesce.
4.2.3 L’indice o fattore di condizione k, dato dal rapporto Wx100/LT3, dove W è il
peso del pesce (g) e LT la sua lunghezza (cm): il riscontrare valori di k che si
discostano da quelli tipici della specie di appartenenza, può indicare malnutrizione
o presenza di fattori ambientali e sanitari che limitano l'accrescimento (Klemm et
al., 1993). Dai parametri lunghezza e peso è ricavato, per ogni soggetto, l’indice o
fattore di condizione k, espresso dalla formula
 W 
k =
×100
3 
 LT 
dove W è il peso (g) del pesce e LT è la sua lunghezza (cm) totale. Tale rapporto
varia a seconda della specie ittica considerata, in quanto pesci di forma più
slanciata hanno valori più bassi.
4.2.4 L’indice epato-somatico HSI permette di avere indicazioni sullo stato di
salute del pesce (Montero et al., 1999; Paustenbach, 2002). E’ il caso delle più
frequenti forme di degenerazione grassa epatica (steatosi) che nei pesci sono
strettamente correlate con uno squilibrio qualitativo e quantitativo
dell’alimentazione (assunzione di cibi secchi non bilanciati, grassi irranciditi,
carenza di fattori lipotropi e di antiossidanti, ecc.); nei soggetti colpiti si riscontra,
nella maggior parte dei casi, un HSI superiore a quello di invidi sani.
4.2.5 Per il calcolo dell’indice epato-somatico è utilizzata la formula
W
HSI =  L
W

 × 100

dove WL è il peso (g) del fegato. Questo indice permette di avere indicazioni sullo
stato di salute del pesce.
4.2.6 Per il rilievo del peso ci si avvale di bilancia elettronica con grado di
precisione di ±1 g.
4.2.7 La lunghezza totale dei soggetti esaminati è misurata dall’apice del muso, a
bocca chiusa, all’estremità della pinna caudale, utilizzando un apposito strumento
in Plexiglass (ittiometro).
4.2.8 Per caratterizzare dal punto di vista morfologico il pesce, risulta inoltre
determinante l’esecuzione di due rilievi quali l’indice craniale (rapporto tra
lunghezza della testa (cm) e LT) e il “primo profilo relativo” (rapporto tra altezza
massima (cm) e LT, moltiplicato 100).
4.2.9 I due parametri danno indicazioni sullo sviluppo dell’apparato scheletrico
degli animali e in particolare della parte posteriore del corpo rispetto alla testa
nonché della lunghezza.
4.2.10 I valori relativi alla lunghezza della testa (distanza tra l’estremità anteriore
della testa e il punto più craniale d’inserzione della pinna pettorale) e all’altezza
massima del corpo (massima distanza tra dorso e addome) sono individuati
mediante un misuratore tridimensionale.
4.3
Parametri ematochimici
4.3.1 Gli studi ittioematologici hanno sino ad oggi abbracciato due branche
parallele, l’una legata alla morfologia e l’altra legata agli aspetti clinici; entrambe
mirano ad evidenziare eventuali situazioni di stress cronico attraverso l’analisi di
una serie di parametri ematici che possono essere presi in considerazione per
valutare lo stato di benessere del pesce in allevamento.
4.3.2 I parametri ematici (glucosio, proteine totali, trigliceridi, colesterolo) ed
enzimatici (GPT/ALT, GOT/AST, LDH, CK, FAL) vengono di seguito descritti
riportando le metodiche analitiche di riferimento adottate (Bergmeyer, 1974).
4.3.3 Glucosio. Il contenuto di glucosio nel plasma rappresenta la prima fonte di
energia nel caso degli organismi acquatici e viene impiegato nelle vie metaboliche
non solo per l'utilizzo immediato da parte delle cellule ma anche nella sintesi di
sostanze di riserva (quali glicogeno), da utilizzare nelle situazioni di emergenza.
Quando l'animale ha attinto a tutte le sue fonti glucidiche si trova in una
situazione di allarme; monitorando i valori di glucosio e facendo attenzione che
essi si mantengano sui livelli medi prescritti si può quindi evitare una situazione
pericolosa per l'allevamento, tanto più che il livello di glicemia non subisce
cambiamenti repentini in seguito a una richiesta importante di glucosio per cui è
possibile intervenire prima che la situazione precipiti. I livelli di glucosio espressi in
mg/dl, vengono indagati nel presente progetto di ricerca mediante il metodo GODPAP. Tale metodo prevede che il glucosio in presenza di ossigeno ed acqua, venga
trasformato in acido gluconico e perossido di idrogeno dall’enzima GOD, il
perossido che si sviluppa reagisce a sua volta con 4-aminoantipyrina e con fenolo
in presenza di POD per formare un complesso amminico colorato, che indica
appunto la quantità di glucosio ematico.
4.3.4 Proteine totali. In generale, questo parametro è costante ma se si discosta
dai valori medi allora il pesce si trova in uno stato patologico importante. Bassi
livelli di proteine totali nel sangue sono spesso correlati anche con stati di
disidratazione o di idratazione, ma in generale dipendono da un insufficiente
apporto proteico, o per contro da perdita di proteine, da situazioni fisiologiche che
comportano un dispendio di proteine, da un difetto nella sintesi proteica, o infine
dalla diluizione nel plasma dovuta ad ulcere o forti emorragie. D'altra parte un
innalzamento delle proteine, quando si verifica, è riconducibile all'aumento di
frazioni proteiche nel corso di malattie infettive o all'aumento di altri tipi di
proteine derivate ad esempio dalla comparsa di nuove cellule come nel caso delle
neoplasie o iperplasie. Le proteine reagiscono con ioni rame in una soluzione a pH
alcalino, formando un complesso colorato. L’intensità della colorazione risulta
direttamente proporzionale alla quantità presente nel sangue, e la concentrazione
viene espressa in g/L o U/L. Analogamente al glucosio, le proteine totali
plasmatiche, se si mantengono su valori normali, sono ritenute indicatore di
benessere del pesce. Di seguito vengono riportati i range di normalità relativi ai
livelli plasmatici di glucosio e proteine totali:
Specie ittiche dulciacquicole
Parametri:
Glicemia mg/100 mL
Proteine totali g/dL
Specie ittiche eurialine
Parametri:
Glicemia mg/100 mL
Proteine totali g/dL
Range di normalità
40–110
2.5–5
Range di normalità
40–100
3–6
4.3.5 Trigliceridi. Espresso in mg/l, viene analizzato impiegando un reagente che
utilizza il metodo colorimetrico GPO (glicerolo-fosfato-ossidasi). I trigliceridi
vengono scissi dall’enzima lipasi in glicerolo ed acidi grassi. Il glicerolo reagisce a
sua volta con ATP per mezzo dell’enzima GK (glicerolo chinasi) formando glicerolo3-fosfato e ADP; questo a sua volta viene ossidato dalla glicerolo-fosfato-ossidasi
(GPO) ottenendo DAP (diossiacetone fosfato) e perossido d’idrogeno. Il perossido
d’idrogeno infine reagisce con 4-aminoantipirina (e DHBS) per effetto della
perossidasi formando un complesso colorato. L’intensità della colorazione risulta
proporzionale alla quantità di trigliceridi presenti nel siero o nel plasma.
4.3.6 Colesterolo. Per questo tipo di analisi si utilizza il metodo CHOD-POD. Una
volta esterificato, viene scisso dall’enzima esterasi in acidi grassi e colesterolo
libero, quest’ultimo viene trasformato in colestenone e perossido di idrogeno dal
CHOD; il perossido d’idrogeno che si sviluppa reagisce a sua volta con 4aminoantipirina in presenza di POD per formare un complesso colorato la cui
quantità è direttamente proporzionale a quella del colesterolo libero.
4.3.7 Transaminasi glutammico-piruvica (GPT/ALT). Il significato delle
transaminasi è quello di raccogliere i gruppi amminici dai vari aminoacidi nella
forma di un solo aminoacido, di solito rappresentato dall’acido glutammico; esse
sono enzimi localizzati nei mitocondri e nella frazione solubile del citoplasma.
Sembra che la raccolta dei gruppi amminici abbia luogo nel citoplasma con la
formazione del glutammato. L’acido glutammico formatosi poi entra nel
mitocondrio, in modo particolare nella matrice mitocondriale, dove trova un
enzima specifico denominato transaminasi aspartico-glutammico. L’alanina
aminotransferasi catalizza la seguente reazione:
acido L-aspartico + acido αchetoglutarico
acido piruvico + acido L-glutammico
Per la determinazione della GPT/ALT, che viene espressa in U/l, viene usato il
metodo del dosaggio dell’alanina-aminotransferasi (ALT), che risulta valido sia per
l’analisi del siero che del plasma, e utilizza un metodo cinetico ottimizzato IFCC.
Un innalzamento del livello ematico della ALT è generalmente legato a un danno
epatico ed è comunque sempre correlato ai livelli di AST (aspartatoaminotransferasi). L’ALT catalizza il trasferimento di un amino gruppo tra la Lalanina e l’α-chetoglutarato. Il piruvato formatosi in questa prima fase reagisce
successivamente con NADH in presenza di lattico deidrogenasi (LDH), formando
NAD. L’attività della GPT, viene determinata misurando a 340 nm il tasso di
conversione del NADH in NAD. Il piruvato endogeno viene convertito in lattato
dalla LDH durante la preincubazione.
4.3.8 Transaminasi glutammico-ossalacetica (GOT/AST). Per la determinazione
della transaminasi-glutammico-ossalacetica, che viene espressa in U/l, viene
impiegato il metodo del dosaggio dell’aspartato aminotrasferasi (AST). L’aspartato
aminotransferasi è un enzima che catalizza la reazione la seguente reazione:
acido L-aspartico + acido αchetoglutarico
acido ossalacetico
glutammico
+
acido
L-
Esso viene ampiamente distribuito nell’organismo e lo si ritrova soprattutto nel
cuore, fegato e muscolatura scheletrica; pertanto un danno o una sofferenza a
carico dei suddetti organi può provocare un innalzamento ematico dell’AST;
analogamente al metodo di determinazione dell’ALT, anche questo è un metodo
cinetico ottimizzato IFCC. L’aspartato-aminotransferasi catalizza il trasferimento di
un amino gruppo tra L-aspartato e 2-oxoglutarato. L’ossalacetato formatosi in
questa prima fase reagisce successivamente con NADH in presenza di malato
deidrogenasi formando NAD. L’attività dell’enzima viene determinata misurando a
340 nm il tasso di conversione del NADH in NAD. Nel reagente è contenuto anche
LDH con lo scopo di convertire il piruvato endogeno in lattato durante la
preincubazione.
4.3.9 Lattato deidrogenasi (LDH). E’ l’enzima che permette la trasformazione
dell’acido piruvico in acido lattico mediante un processo glicolitico anaerobio e che
segue la reazione:
acido piruvico + NADH + H+
acido lattico + NAD+
Questo enzima si presenta sotto due tipi di monomeri: la forma M (muscolare) e
quella H (cardiaca). La combinazione di questi due monomeri determinano la
formazione di 5 isoenzimi, separabili per elettroforesi. In particolare si osserva che
nel tessuto muscolare predomina il tipo A4 e nel cuore il tipo B4. Il tipo A4 risulta
essere il più adatto a trasformare l’acido piruvico in acido lattico, processo
fondamentale nel muscolo che si effettua in condizioni di anerobiosi e quando
sussiste una condizione di scarsa disponibilità di mitocondri (cioè nel muscolo
bianco). Il monomero di tipo B4 presenta una più alta attività nei tessuti che hanno
maggiori possibilità di trasformare l’acido lattico in acido piruvico con l’ossidazione,
ad es. i tessuti del cuore. Nel muscolo l’acido lattico si produce prevalentemente
nel corso di una prolungata contrazione e il suo accumulo nel liquido interstiziale e
nel sangue dà il senso della fatica muscolare. Nella fase di riposo l’acido lattico del
sangue viene riutilizzato dal fegato che lo ritrasforma in acido piruvico, e quindi in
glucosio, attraverso le vie della gluconeogenesi. L’acido lattico che viene
trasformato dal processo glicolitico, non viene né escreto attraverso le urine, nè si
accumula nel sangue durante l’esercizio in modo eccessivo (da 19 mg a circa 80
mg/100 mL di plasma); ciò vuol dire che esistono dei meccanismi per la sua
riutilizzazione come la risintesi a glicogeno nel fegato o la sua demolizione a CO2 e
acqua. I vari organi sono diversamente interessati all’utilizzazione dell’acido lattico;
il cuore ad esempio, riesce a metabolizzarlo meglio del muscolo scheletrico.
Quando il muscolo lavora in anaerobiosi (come il muscolo bianco) è allora che
agisce la lattato deidrogenasi e si osserva una scarsa attività ossidativa dovuta al
limitato numero di mitocondri. Per la determinazione della lattato deidrogenasi
(U/l) viene usato un metodo cinetico ottimizzato SCE. In questo caso viene
sfruttato il principio per cui l’enzima LDH favorisce il passaggio di idrogeni dal
NADH al piruvato con formazione di L-lattato e di NAD; questa reazione avviene
con assorbimento a 340 nm.
4.3.10 Creatina chinasi (CK). E’ un sistema enzimatico che permette il
funzionamento del sistema tampone energetico del muscolo. Infatti la creatin
chinasi in presenza di ATP e creatina forma creatinfosfato, mentre in presenza di
creatinfosfato e ADP forma di nuovo ATP. Di conseguenza la creatin chinasi, i cui
livelli sono espressi in U/L, favorisce la transfosforilazione tra creatinfosfato e l’ADP
con conseguente formazione di ATP e creatina. Per mezzo dell’enzima esochinasi
avviene una seconda transfosforilazione dall’ATP al d-glucosio con formazione di
glucosio-6-fosfato, quest’ultimo reagisce con NADP in presenza di glucosio-6fosfato deidrogenasi per trasferire l’idrogeno da glucoso-6-fosfato a NADP con
formazione di 6-PG (fosfoglicerato) e NADPH5, che assorbe a 340 nm. La velocità
di formazione di NADPH5 è proporzionale all’attività della creatinchinasi.
4.3.11 Fosfatasi alcalina (FAL). E’ un tipico metallo-enzima che possiede l’optimum
di pH vicino a 8, in contrasto con quello di altre fosfomonoestarasi (es. fosfatasi
acida) che agiscono in maniera ottimale a più bassi valori di pH. La fosfatasi
alcalina è presente anche nelle cellule intestinali e il suo processo di idrolisi
avviene in due tappe con formazione intermedia di un derivato enzima-fosfato.
Questo enzima è responsabile dell’idrolisi di diversi esteri fosforici. Infatti la
fosfatasi alcalina, (U/L), in soluzione acquosa favorisce l’idrolisi del 4-nitro
fenilfosfato in 4-nitrofenolo e ioni fosfato. Il 4-nitrofenolo assorbe a 405 nm e
l’incremento di assorbanza, che è misurabile, risulta proporzionale all’attività
dell’enzima ALP (alcaline phosphatase). Il metodo è ottimizzato DGKC e utilizza
nitrofenilfosfato in un buffer con la DEA (dietanolammina).
Riferimenti bibliografici
Bergmeyer H.U. (1974). Method of enzymatic analysis. Academic Press, vol. 4, pp.
2066–2072. (New York).
Klemm D.J., Stober Q.J., Lazorchak J.M. (1993). Fish field and laboratori methods
for evaluating the integrità of surface waters. US Environmental Protection
Agency, pp. 83–95 (Washington).
Montero D., Izquierdo M.S., Tort L., Robaina L., Vergara J.M. (1999). High
stocking density produces crowding stress altering some physiological and
biochemical parameters in gilthead seabream, Sparus aurata, juveniles. Fish
Physiology and Biochemistry 20, 53−60.
Paustenbach D.J., Ed. (2002). Human and ecological risk assessment - Theory
and practice. Wiley Interscience, John Wiley and Sons, Inc. (New York).
5.
Determinazione dell’umidità, delle ceneri, e dell’azoto
5.1
Determinazione dell’umidità
5.1.1 L’umidità è rappresentata dall’acqua contenuta nel campione e che può
essere allontanata per evaporazione attraverso un processo di essiccazione in
stufa ventilata o a convezione.
5.1.2 Una frazione del campione iniziale di campione di 2–3 g posto in un
truogolo di ceramica precedentemente essiccato in stufa, viene pesato con la
precisione di 0.001 g e quindi essiccato in stufa alla temperatura di 100-102 °C
per 16–18 ore fino a ottenere un peso costante del campione a riprova che tutta
l’acqua è stata eliminata.
5.1.3 Completato il processo, il campione viene riportato a temperatura ambiente
in essiccatore e quindi pesato di nuovo con la precisione di 0.001 g. La differenza
tra peso iniziale e peso finale espressa in percentuale sul peso del campione tal
quale fornisce il dato relativo all’umidità.
5.1.4 La determinazione viene condotta in doppio e il risultato è valido se i
risultati differiscono dalla media in misura non superiore allo 0.5 %.
5.2
Determinazione delle ceneri
5.2.1 Con il termine di “ceneri grezze” s’intende il residuo ottenuto dopo
incenerimento del campione in muffola a 525 °C applicando le condizioni descritte
dal metodo AOAC (1990).
5.2.3 Una frazione del campione iniziale, del peso di 2–3 g, viene collocato in
capsula previamente calcinata e tarata e pesata mediante bilancia con grado di
precisione di 0.001 g.
5.2.4 Si procede al riscaldamento del campione su fiamma o su piastra a 100 °C,
fino a completa eliminazione dell’acqua.
5.2.5 Viene quindi trasferito in muffola alla temperatura di 525 °C fino
all’ottenimento di ceneri bianche; si procede a inumidire le ceneri con acqua, a
essiccare su piastra riscaldante, e a reincenerire a 525 °C fino all’ottenimento del
peso costante.
5.2.6 Il risultato è ottenuto dalla media aritmetica di due determinazioni. Anche
in questo caso la quantità viene espressa in percentuale sul campione tal quale.
5.3
Determinazione dell'azoto
5.3.1 Viene adottato il procedimento Kjeldahl che consente di determinare l’azoto
comprendente la frazione proteica, aminica, amidica, ammoniacale, e ureica.
5.3.2 Il procedimento si basa sulla mineralizzazione dell’azoto mediante
trattamento a caldo con acido solforico concentrato e successiva distillazione
dell’azoto ammoniacale con raccolta su acido borico. L’analisi viene effettuata con
il metodo Kjeldahl semiautomatizzato (AOAC, 1990).
5.3.3 Si utilizzano 1–2 g di campione e le determinazioni non devono differire più
del 2 % dalla media dei risultati (Boccard et al., 1981).
5.3.4 Il contenuto in azoto, moltiplicato per 6.25, fornisce il valore percentuale di
proteina grezza sul tal quale (il tenore proteico così ottenuto risulta sovrastimato
per la presenza, in quantità variabili, di componenti azotati non proteici e delle
proteine del tessuto connettivo).
Riferimenti bibliografici
A.O.A.C. (1990). Meat and meat products. Official Methods of Analysis, 15th Ed.,
Association of Official Analytical Chemists, vol.2, pp. 931–948. (Washington DC,
USA).
Boccard R., Butcher L., Casteels E., Cosentino E., Dransfield E., Hood D.E., Joseph
R.L., MacDougall D.B., Rhodes D.N., Schön I., Tinbergen B.J., Touraille C. (1981).
Procedures for measuring meat quality characteristics in beef production
experiments. Report of a working group in the Commission of the European
Communities' (CEC), Beef Production Research Programme. Livestock Production
Science 8, 385–397
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