ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLA LOMBARDIA E DELL’EMILIA ROMAGNA “BRUNO UBERTINI” CENTRO EMILIANO ROMAGNOLO DI EPIDEMIOLOGIA VETERINARIA Lettera di informazione n. 60 - giugno 2005 IN QUESTO NUMERO: Genotipizzazione batterica Tossinfezioni da ST a Imola Genotipizzazione degli agenti batterici di tossinfezione alimentare: significato e metodiche 1. Significato e considerazioni generali Con il termine di genotipizzazione batterica si intende, in senso lato, l’assegnazione di uno stipite batterico ad un particolare gruppo (“tipo”) di individui, appartenenti ad una determinata categoria tassonomica (generalmente definita fenotipicamente), aventi in comune le stesse caratteristiche genetiche, così come esse sono evidenziabili dalle tecniche utilizzate per la genotipizzazione. Così, ad esempio, uno stipite di una data specie e di un determinato sierotipo viene assegnato ad un particolare tipo genetico, con una specifica tecnica, mentre un altro stipite della stessa specie e sierotipo viene assegnato, con la stessa tecnica, ad un diverso tipo genetico. Il fine principale delle attività di genotipizzazione è quindi quello di distinguere stipiti geneticamente diversi ma indistinguibili con le tecniche fenotipiche normalmente utilizzate, come quelle normalmente utilizzate per l’identificazione diagnostica tradizionale di specie ed eventualmente sierotipo o biotipo. Poter fare queste distinzioni tra stipiti è importante in due ambiti fondamentali e distinti: a) l’analisi epidemiologica di focolai di infezione (per stabilire se ci si trova sempre di fronte allo stesso stipite e poterne capire la provenienza); b) lo studio della popolazione di un patogeno e della sua evoluzione (epidemiologia molecolare). E’ importante sottolineare che, in questa attività esistono diversi elementi di relatività i quali si riferiscono tanto all’approccio teorico praticabile quanto all’applicazione pratica possibile. C’è una relatività tecnica (quali metodi usare), una biologica (per quali specie o categorie tassonomiche è possibile utilizzare una data tecnica o avere determinate risposte pratiche) e una legata alla finalità della genotipizzazione (analisi di focolaio o studio di popolazione). Dal punto di vista tecnico e biologico è importante sottolineare come non vi siano riferimenti assoluti quanto alla superiorità di un metodo rispetto ad altri, anzi: per una data specie gli stessi metodi fenotipici possono essere molto efficaci e superiori a quelli genotipici, per altre specie la situazione si inverte, inoltre alcuni metodi genetici hanno applicabilità molto variabile tra specie diverse (alcuni sono specie-specifici) ed efficacia altrettanto variabile. Ancora, 1 3 diverse categorie tassonomiche hanno variabilità genetica molto diversa (dovuta alla effettiva diversa clonalità che le caratterizza) per cui, a prescindere dai metodi utilizzati, risulterà più difficile differenziare tipi genetici in un gruppo tassonomico geneticamente uniforme rispetto ad uno variabile (ovviamente se questo non si tiene in dovuta considerazione si potrebbero giudicare epidemiologicamente correlati stipiti che non lo sono ma che risultano geneticamente indistinguibili con la tecnica utilizzata). Per quanto attiene alle finalità della genotipizzazione, va considerato che le metodologie utilizzate per l’analisi di focolai devono avere una elevata capacità differenziale (per poter distinguere anche stipiti simili ma diversi), mentre nello studio di popolazioni è fondamentale poter riconoscere le differenze che identificano in modo chiaro linee evolutive distinte. Dal quadro delineato, sia pure a grandi linee, emerge una realtà tecnica e biologica che impone, a chi fa ricorso alla genotipizzazione, scelte consapevoli delle metodologie legate all’organismo target ed alla finalità. 2. Le principali tecniche di genotipizzazione utilizzate Non si vuole in questa sede descrivere in modo esauriente il panorama delle tecniche esistenti (richiederebbe spazi che vanno oltre lo scopo di queste righe) ma presentare in modo conciso le tecniche oggi più rappresentative evidenziandone le caratteristiche salienti. a) PFGE (pulsed field gel electrophoresis) È stata tra le prime ad essere utilizzata e per quasi tutte le specie batteriche resta la tecnica di riferimento per l’elevata capacità differenziale unita alla ottima riproducibilità (gold standard per la valutazione comparativa di nuovi metodi); ha un limite: è laboriosa e richiede tempi di esecuzione mediamente lunghi (alcuni giorni), richiede anche una certa perizia tecnica ed esperienza da parte dell’operatore. Il principio è semplice: l’intero genoma viene digerito con un enzima di restrizione scelto in modo da effettuare pochi tagli nel genoma batterico in esame, in modo da ottenere circa 8-15 frammenti. Essendo pochi i frammenti, questi sono grandi (da decine a centinaia di migliaia di coppie di basi) tanto da non poter essere separati in sistemi elettroforetici tradizionali, per cui si ricorre al campo pulsato come sistema elettroforetico per separare tali frammenti. Il risultato è un profilo di bande che può variare da ceppo a ceppo per numero di bande e peso molecolare delle stesse, in funzione della collocazione nel genoma dei siti di restrizione dell’enzima utilizzato. I vantaggi Il Bollettino CEREV è redatto e stampato dal Centro tecnici di Emiliano Romagnolo di Epidemiologia Veterinaria. tale metoResponsabile: Marco Tamba. dica sono Indirizzo: Via Fiorini, 5 - 40127 Bologna. la sua Telefono 051-4200032. Fax 051-4200038 Mailto: [email protected] Internet: http://www.bs.izs.it/cerev/index.htm 2 Lettera di informazione CEREV n. 60 – Giugno 2005 universalità (applicabile a qualsiasi genoma), la flessibilità (si possono usare diversi enzimi) il non richiedere apparecchiature molto costose. Per quanto riguarda la citata riproducibilità della tecnica (capacità di dare lo stesso risultato se eseguita in laboratori e momenti diversi), essa deriva dalla precisione con cui gli enzimi di restrizione riconoscono le sequenze bersaglio, per cui, se correttamente eseguita la digestione originerà sempre gli stessi frammenti da un dato genoma. Nel complesso è quindi molto affidabile e dimostra un potere differenziale che la rende ottimale per analisi di focolaio ma valida anche per lo studio di popolazione. E’ la metodologia su cui si basano i circuiti nazionali ed internazionali di genotipizzazione attivati in Nord America ed in Europa. b) RAPD (random amplified polymorphic DNA) Metodo basato sull’uso della PCR con la quale, utilizzando brevi (di solito decanucleotidi) primers non specifici e condizioni di reazione a bassa stringenza, si amplificano numerosi tratti del genoma posto in reazione. I tratti di genoma amplificati risultano in altrettante bande elettroforetiche. Le differenze di sequenza di genomi diversi comportano differenze nei profili di amplificazione che ne derivano. Il sistema basa la propria capacità discriminante sulla sensibilità di questa PCR non specifica al variare delle condizioni di reazione (in teoria della sola sequenza target); tuttavia se questo da un lato conferisce elevato potere differenziale, dall’altro rende il sistema instabile e quindi poco riproducibile, pertanto la metodica è realmente valida solo se gli stipiti da analizzare sono posti in reazione in parallelo nella stessa seduta. Questo è l’unico svantaggio (ma molto rilevante) di questa metodica che presente molti vantaggi: la semplicità, l’economicità, il buon potere differenziale, la rapidità e la generalità di impiego. Alla luce dei suoi limiti e dei suoi vantaggi, la RAPD non è utilizzabile in studi di popolazione ma resta valida nell’uso mirato in analisi di focolai. c) AFLP (amplified fragment length polymorphism) Questa metodica nel cui dettaglio tecnico non si entrerà (essendo piuttosto articolata) evidenzia polimorfismi sulla base della digestione del DNA genomico con due enzimi di restrizione e della successiva selezione e visualizzazione dei prodotti di digestione con PCR e rivelazione radioattiva (ormai abbandonata) o fluorescente (con l’uso degli attuali sequenziatori capillari). Il risultato è una serie di bande o picchi in numero di alcune decine con un ottimo potere differenziale e una buona riproducibilità. E’ una tecnica con ottime prestazioni ma richiede, nella versione fluorescente, apparecchiature costose. d) RIBOTIPIZZAZIONE E’ stata una delle prime metodiche di genotipizzazione batterica utilizzate, nella sua versione classica manuale. Consente di valutare polimorfismi di restrizione nell’ambito e nell’intorno degli operoni ribosomali nei genomi in esame (nei genomi batterici è presente più di un operone dei geni codificanti per gli RNA ribosomali). In pratica il DNA genomico viene digerito con enzimi di restrizione, i frammenti vengono separati elettroforeticamente quindi ibridati con sonde che riconoscono i geni de- gli RNA ribosomali che quindi mettono in evidenza solo i frammenti che contengono tali geni (o tratti di essi). Poiché tali geni sono disposti nel genoma in modo da dare frammenti di restrizione diversificati, ne risulta un polimorfismo tra stipite e stipite. Il sistema ha un buon potere differenziale, un’ottima riproducibilità e una discreta generalità di impiego, ma è lungo e laborioso da impiegare. Per ovviare agli inconvenienti, da alcuni anni viene commercializzata una variante automatizzata ma il costo dell’apparecchiatura è molto elevato. e) MLST (multilocus sequenze typing) Forse il futuro dei metodi di genotipizzazione in quanto in grado di dare risposte positive ai bisogni di oggettività e di riproducibilità dei dati analitici, oltre che di elevato contenuto informativo (quindi di potere differenziale) e di gestibilità informatica in “data base” condivisi. Consiste nella acquisizione delle sequenze nucleotidiche di circa 500 paia di basi di un certo numero (una decina) di geni “housekeeping” (geni che codificano per funzioni basilari del metabolismo cellulare, quindi sempre espressi); mediante le sequenze si identifica il tipo di allele presente in ognuno dei loci considerati per ciascuno stipite analizzato. Ne deriva che il genotipo di ciascuno stipite viene codificato con una serie numerica in cui ogni numero corrisponde al tipo di allele presente per ognuno dei loci considerati. Il sistema prevede quindi la codifica numerica di ogni allele esistente e la costituzione di banche dati rispetto alle quali effettuare l’identificazione dei tipi allelici e dei genotipi, il che non è un problema poichè il tipo di dato non è un tracciato elettroforetico ma un dato di sequenza (quindi perfettamente trattabile informaticamente). Esistono schemi di genotipizzazione MLST per diversi patogeni: i più consolidati oggi sono quelli di Neisseria meningitidis, Campylobacter jejuni, Streptococcus pneumoniae e Staphylococcus aureus. Questi sistemi sono fondamentali per studi evolutivi di popolazione ma si sono rivelati efficaci anche per analisi di focolai. f) VNTR (variable number of tandem repeats) Il sequenziamento di molti genomi batterici completi ha consentito in tempi recenti di identificare in diversi di essi (compresa Salmonella enterica ad esempio) sequenze ripetute tipo VNTR precedentemente note nei genomi di organismi superiori ed anche in questi utilizzate ai fini di identificazione individuale. Si tratta di sequenze ripetute un numero variabile di volte da un individuo all’altro; determinando il numero di ripetizione è possibile distinguere individui diversi (nel caso dei batteri occorre parlare di linee diverse). E’ recente l’impiego di queste sequenze per la genotipizzazione batterica ma la potenzialità è elevata perché lo strumento ha caratteristiche di rapidità e riproducibilità molto elevate. 3. Considerazioni finali Alcuni elementi devono essere evidenziati in conclusione: - l’uso della genotipizzazione non prescinde da, nemmeno sostituisce, le informazioni epidemiologiche, - la scelta delle tecniche deve essere guidata dalle finalità, - spesso la genotipizzazione ha significato solo se applicata a gruppi di stipiti, la tipizzazione di singoli 3 Lettera di informazione CEREV n. 60 – Giugno 2005 stipiti al di fuori di schemi di riferimento non ha significato, - oggi non esiste una tecnica ideale e spesso l’uso di più tecniche è necessario alla produzione di dati utili. Presso la Sezione Diagnostica IZSLER di Modena si svolgono dal 1998 attività di genotipizzazione batterica con varie metodologie (RAPD, PFGE, Ribotipizzazione quelle attuali, AFLP, VNTR, MLST quelle rese possibili dalla dotazione tecnica). L’esperienza acquisita riguarda Salmonella e Listeria ma come spesso accade molte di queste tecniche possono essere estese ad altre specie in funzione delle necessità. Questi strumenti possono quindi essere tenuti in considerazione in occasione di specifiche esigenze epidemiologiche. Stefano Pongolini. Sezione di Modena – IZSLER Tossinfezioni da S.typhimurium nella A.USL di Imola. Nel periodo ottobre 2004 - gennaio 2005 sono stati rilevati un numero di tossinfezioni da Salmonella typhimurium insolitamente alto. Gli episodi tossinfettivi hanno interessato singoli individui, residenti nei 10 comuni della AUSL di Imola senza un nesso apparente tra di loro, ossia non direttamente collegabili a banchetti o occasioni similari In seguito al coinvolgimento del Servizio Veterinario è stata valutata la possibilità di applicare la genotipizzazione crociata tra i ceppi isolati in umana e quelli isolati dagli alimenti che gli interessati avevano ancora in casa e dichiaravano di aver consumato. A tale scopo sono stati raccolti ed analizzati presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale 11 ceppi di S.typhimurium provenienti da casi umani (7 ceppi) e da alimenti di origine animale (4 ceppi). La genotipizzazione effettuata tramite RAPD ha evidenziato come 10 degli 11 ceppi esaminati fossero geneticamente molto simili, evidenziando come probabile una fonte comune di infezione per 6 dei 7 casi umani e per tutti gli alimenti esaminati. Nel raffrontare i risultati degli esami e delle indagini sul campo, è quindi stato possibile evidenziare un nesso tra gli episodi, di per sé senza alcun apparente collegamento tra di loro, risalendo all’utilizzo di carni suine fresche che sono state diversamente impiegate e consumate sotto forma di ripieno per tortellini, come braciola, come salume fatto in casa o come salume industriale. Alla luce di questa esperienza si vuole sottolineare come sia indispensabile che le informazioni e le collaborazioni siano tempestive tra l’ospedale, il laboratorio analisi dell’ospedale, il servizio di sanità pubblica, il servizio Veterinario e l’Istituto Zooprofilattico in modo da poter mettere in rete preziose e tempestive informazioni che altrimenti non renderebbero possibile risalire a quanto si è verificato. Per quanto riguarda la parte più prettamente veterinaria, si suggerisce una particolare attenzione al ricevimento delle carni non disgiunto dalla lavorazione e dalla stagionatura, senza dimenticare i processi che avvengono a monte sia al macello che negli allevamenti. Pertanto dall’esame dei dati in possesso si espongono le seguenti considerazioni: A) Siamo verosimilmente in presenza di quello che si può configurare come un focolaio di malattia alimentare “ad alta dispersione nel tempo e nello spazio” (Tauxe, 2002), una realtà complessa che, per la mancanza di una certezza di causa/effetto, può essere ricondotta a un allevamento di suini che abbia avuto dei portatori asintomatici di Salmonella tra gli animali. B) Non è da escludere, tuttavia, che vi possa essere anche un portatore asintomatico fra gli operatori del settore, che possa avere quanto meno contribuito alla diffusione del batterio. Sono ancora in corso indagini per individuare con certezza la fonte del contagio. Tuttavia i risultati ottenuti, anche se parziali, confermano l’utilità della genotipizzazione batterica in corso di indagini epidemiologiche in seguito a episodi di tossinfezione. Agnese Bosco; Alessandro Brunori. A.USL Imola Lia Bardasi. Sezione di Bologna – IZSLER Tabella 1 – Informazioni relative ai ceppi esaminati mediante RAPD ed esito della tipizzazione genetica Ceppo Origine del ceppo di Salmonella tiphymurium Gruppo assegnato mediante RAPD Informazioni raccolte sul ceppo 1 Paziente A. 4 anni Gruppo I 2 Paziente B. 30 anni Gruppo II 3 Paziente C. 3 anni Gruppo I 4 Paziente D. 1,5 anni Gruppo I 5 Paziente E. 6 anni Gruppo I 6 Tortellini Gruppo I 7 Salame felino Gruppo I 8 Paziente F. 12 anni Gruppo I Correlato a consumo di salame casalingo Prelevato in corso di indagine scaturita da caso umano (Paziente F – ceppo 8). Fatto in casa con carne proveniente dal medesimo stabilimento in cui è stato prelevato il salame felino (ceppo 7) 9 Salame casalingo Gruppo I 10 Paziente G. Gruppo I 11 Salame contadino Gruppo I Altri 3 casi in famiglia a distanza di un mese l’uno dall’altro Prelevati in corso di indagine scaturita da caso umano (ceppo non disponibile). Fatti in casa con ripieno acquistato in gastronomia Campione prelevato a dic.2004 nel reparto stagionatura di un salumificio. Carni giunte allo stabilimento in ott.2004 Prelevato in corso di indagine scaturita da caso umano (ceppo non disponibile).