2016 Nichelino-La Speranza-Sana Alimentazione e Supporto

 Per ricordare il dott. Giancarlo Gariglio un incontro tra medici oncologi e la popolazione nichelinese LA CULTURA DELLA SANA ALIMENTAZIONE E DEL SUPPORTO PSICONCOLOGICO A SOSTEGNO DEL MALATO DI TUMORE Si dice che quando muore un amico è come
assistere alla caduta di un pino gigante.
Un “credo” che rispecchia lo spirito della
Associazione di volontariato La Speranza - Gli
amici di Giancarlo, di Nichelino (To), voluta dalla
moglie dott.ssa Carmen Bonino (nella foto) e dai
figli Beatrice e Federico. Costituita poco più di un
anno fa, l’associazione intende ricordare il dott.
Giancarlo Gariglio (scomparso nell’agosto 2014
per una rara neoplasia), apprezzato medico
odontoiatra, con iniziative volte all’informazione e
alla cultura delle neoplasie, coinvolgendo la popolazione con incontri-dibattito, affinché si
sappia e si abbia coscienza che chi è colpito da un tumore non perda mai la speranza
perché, oggi, in molti casi si può guarire o condurre una vita più dignitosa e meno
sofferente… L’incontro di venerdì 18 marzo si è tenuto nella rinnovata sede della Croce
Rossa nichelinese, sul tema “Orientamento dietetico-alimentare e supporto
psiconcologico al malato di tumore”, per il quale sono intervenuti il dott. Oscar
Bertetto, direttore della Rete Oncologica piemontese, e vice presidente della F.A.R.O.; e il
dott. Alessandro Comandone, direttore della S.C. di Oncologia Clinica dell’ospedale
Gradenigo del Gruppo Humanitas (Torino), e presidente del Gruppo Italiano Tumori Rari
– Gruppo Piemontese Sarcomi. Le relazioni sono state precedute da un breve intervento
della dott.ssa Bonino che, oltre a ricordare il marito, ha richiamato l’attenzione sui valori
del volontariato e dell’associazionismo come azioni di solidarietà, soprattutto nell’ambito
della sofferenza e del disagio; a non perdere mai la speranza facendosi sostenere dalle
relazioni sociali e, nel bisogno, rapportarsi con il proprio medico curante in quanto primo
riferimento (oltre ai propri famigliari) per “confidare” sintomi, timori, incertezze… proprio
perché il più delle volte l’unione fa la forza ma anche la cura.
Numerosa la platea alla quale si è rivolto il dott. Bertetto esponendo con fare semplice e al
tempo stesso magistrale i vari aspetti della alimentazione in genere, e in particolare per i
malati di tumore. Il primo imperativo è cibarsi più di frutta e verdure, ma meno di carni
rosse soprattutto perché nei grassi di origine animale ci sono molti radicali liberi, mentre
frutta e verdura contengono molte sostanze antiossidanti. «In alcune regioni del Centro
Italia – ha spiegato il relatore – i casi di tumori gastrici sono superiori rispetto ad altre
regioni, e questo perchè in quelle zone vengono cucinate in abbondanza carni alla brace e
maggiore è il consumo di salumi, ed è nella combustione di questi cibi che si sprigionano
sostanze potenzialmente cancerogene. Tuttavia, va precisato che il tumore gastrico in
tutto il mondo occidentale è in diminuzione, sia perché gli alimenti vengono conservati
refrigerandoli alienando l’helycobatter pylori (che annidandosi nello stomaco può essere
causa di mutazioni e favorire l’insorgenza del tumore gastrico), sia perché maggiore e
più corretta è l’informazione». Se ci si attiene, dunque, ad una dieta ricca di antiossidanti
si protegge maggiormente il nostro patrimonio cellulare, ma se al contrario è ricca di
ossidanti lo stesso viene danneggiato…, e il rischio di contrarre patologie tumorali aumenta
se i cibi sono trattati con sostanze chimiche di cui il mercato produttivo ne è piuttosto
1 ricco. «Il mio consiglio – ha suggerito il clinico – è quello di attenersi il più possibile alla
dieta mediterranea, già di per sé molto protettiva, ma contestualmente va ricordato che
il rischio di avere un tumore aumenta con l’obesità, soprattutto quando il grasso si
deposita a livello dell’addome; pertanto è opportuno evitare l’incremento di insulina
consumando meno zuccheri a rapido assorbimento, peraltro molto presenti in quasi tutti
i frutti (banane, uva, cachi, fichi, pere, etc.). Inoltre è utile, se non necessario, fare più
movimento: siamo diventati troppo sedentari, e camminare per alcuni tratti tutti i giorni
non può che favorire la riduzione di calorie e nel tempo un calo del peso corporeo».
Il relatore ha affrontato anche il problema dei tumori del seno e della prostata, due aspetti
di grande interesse generale, cui sono seguite molte domande da parte del pubblico,
ricordando che nel mondo occidentale il tumore della mammella è in aumento nella
misura di 1 donna ogni 12, e la cura ha effetto su 8 donne ogni 10; risultati favoriti non solo
per una adeguata alimentazione ma anche perché oggi, rispetto ad anni fa, la fase
mestruale è più precoce anticipando di circa quattro anni l’attività ormonale che stimola la
mammella, oltre al fatto che la prima gravidanza che interromperebbe la produzione
eccessiva di ormoni avviene attorno ai 30 anni di età, come pure favorente è l’allattamento
materno in quanto risulta essere protettivo. «Per gli uomini – ha concluso il dott. Bertetto
– è il caso di non preoccuparsi eccessivamente in relazione al problema prostata, in
quanto casi di tumore di questa ghiandola se ne riscontrano maggiormente perché si
fanno più biopsie rispetto ad un tempo: soltanto un tumore prostatico diagnosticato ogni
18-20 evolve in forma aggressiva e, se si facesse un esame prostatico a tutti gli uomini
con più di 80 anni di età, il tumore di questa ghiandola sarebbe presente nell’85% dei
casi; ciò significa che la maggior parte degli uomini morirà con un tumore prostatico ma
non a causa dello stesso».
Altrettanto “coinvolgente” e sempre di
grande attualità il tema della Psicologia
affrontato
dal
dottor
Comandone,
ricordando che tale branca umanisticoscientifica si fonde in modo ricorrente con
l’Oncologia. Un tempo si moriva spesso per
le diverse malattie infettive, ed ancora oggi
si muore (un po’ meno) per problemi
cardiaci e/o cardiovascolari. Nel caso delle
patologie tumorali in quasi tutti i pazienti
che ne sono colpiti si innesca l’angoscia,
una reazione interiore che rigetta quello che può essere definito lo “sconosciuto”, ossia il
tumore che improvvisamente ha preso possesso dell’organismo. L’angoscia del possibile
avvicinarsi della morte, che il più delle volte si manifesta sin dalla prima diagnosi per poi
subire diverse fasi di comportamento. E a questo proposito il clinico torinese ha citato la
psichiatra svizzera Elisabeth Kubler-Ross (1926-2004), fondatrice della psicotanatologia,
ed uno dei più noti esponenti di “Death Studies”. «Questa autrice – ha ricordato il relatore
– nei suoi testi evidenzia un percorso molto preciso, spiegando che gli esseri umani di
fronte ad una diagnosi di tumore, in particolare, hanno delle reazioni che si riproducono
più o meno allo stesso modo: inizialmente la prima reazione è quella dello shock e qundi
della domanda: “Cosa mi sta capitando?”, in seguito subentra la rabbia, che può sfociare
verso l’esterno, oppure soffocata nel proprio interno; il terzo momento è quello della
disperazione, dell’autoabbandono, e qui è importante il ruolo di chi sta loro vicino
(famiglia, amici, colleghi, etc.); infine subentra la fase del “riequilibrio”, ossia i pazienti si
riprendono e diventano ottimisti e più collaborativi nel farsi somministrare le terapie».
Ma perché il tumore fa più paura di una malattia cardiaca, ad esempio, o di un infarto?
2 Nel nostro immaginario personale e sociale il cancro crea angoscia e ansia, a cominciare
dal sentire pronunciare la parola stessa con riferimento all’etimologia: dal latino cancer,
(granchio, che attanaglia), e la conseguente paura che la malattia possa avere il
sopravvento, anche in caso di recidiva, toglie tranquilllità pur sapendo dei notevoli
progressi della chirurgia nel trattamento di alcuni tunori… «Il percorso del paziente con
neoplasia – ha aggiunto il clinico – è spesso molto lungo: la vittoria sul cancro è sempre
più in salita ed impegna pesantemente la persona e non di meno la sua famiglia.
Dal punto di vista psicologico la terapia chirurgica solitamente è ben accettata dal
paziente, in quanto intravede una possibile guarigione, o comunque la rimozione del suo
male, pur non comprendendo (o non sapendo) del possibile instaurarsi delle metastasi
cui segue un periodo di terapie mediche (chemioterapia, radioterapia, etc.) che non
sempre accetta perché ancora si pone il perché della sofferenza…».
Ed è in questo processo terapeutico, lungo ed estenuante, che
subentra l’aspetto relazionale quasi a giustificare di non star bene
per via degli effetti collaterali, e come conseguenza viene meno la
progettualità, ovvero la sicurezza del domani… E per quanto il
paziente si attenga ai consigli e alle terapie riaffiora nella sua mente
il pensiero che il male si ripresenti o peggiori; situazione, questa,
che necessita della vicinanza dei suoi cari preposti a sostenerlo ed
assisterlo, e ciò comporta l’esigenza di un forte rapporto umano da parte del malato che al
tempo stesso diventa “egoista” e bisognoso della massima affettività. Ma l’esigenza va oltre
in quanto è data dal desiderio di essere seguito sempre dallo stesso medico, condizione
questa che per ovvie ragioni non è sempre possibile. «Ma c’è poi il momento della ricaduta
– ha concluso Comandone –, ossia un momento in cui tutte le certezze svaniscono, come
la stessa fiducia nei confronti del medico…, un profondo scoramento con la tendenza a
lasciarsi andare tanto da lasciare il posto alla depressione e il rapporto medico-paziente
diventa più difficile. Per non parlare poi del fatto che anche il medico e l’infermiere
possono incorrere in uno stato di provazione, che si identifica nella sindrome del burnout, ossia a quel processo di stress e di “difesa” che si caratterizza improvvisamente,
rendendosi talvolta meno disponibili…, un vero e proprio tracollo professionale e della
persona. Ed anche in questi casi è utile la psiconcologia». Va quindi ribadito che il
rapporto con la famiglia è a volte drammatico, se non conflittuale, che necessita un grande
sostegno, ancorché in presenza di minori, tant’é che in Piemonte è nato il Progetto
Protezione Famiglia a supporto psicologico e sociale per le famiglie fragili. Iniziato nel
2002, grazie ad un contributo della Compagnia San Paolo, che ha consentito la nascita e lo
sviluppo per i primi quattro anni, è poi proseguito con l’impegno organizzativo della
Fondazione F.A.R.O. onlus con un significativo finanziamento della Rete Oncologica,
raggiungendo i previsti obiettivi con risultati molto apprezzati dai fruitori.
Nell’ultimo anno si è assunto, in modo sperimentale, l’attuazione del progetto
direttamemte da parte del Dipartimento funzionale interaziendale interregionale rete
oncologica Piemonte e Valle d’Aosta. Il progetto è attualmente rivolto a pazienti oncologici
in cura presso l’A.O.U. Città della Salute e Scienza di Torino, IRCCS di Candiolo (To),
Asl/To2, Asl/To4, Presidi Sanitari Gradenigo/Humanitas, Fondazione F.A.R.O. e
Associazione SAMCO.
Ernesto Bodini
(Giornalista Scientifico - Membro GITR-GPS)
Marzo 2016
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