Influenza suina, parla l`esperto: niente panico, l`epidemia si può

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Influenza suina, parla l’esperto:
niente panico, l’epidemia si può contenere
Federico Mereta
Le aree rurali del Messico come il Guandong, zona della Cina distante decine di migliaia di
chilometri dalla West Coast in cui si cominciano a contare i primi casi dell’influenza suina.
La Sars, sindrome respiratoria quasi dimenticata che aveva portato ad avere circa un
migliaio di morti, rappresenta un modello epidemiologico per capire quanto ora sta
avvenendo e le grandi paure che si stanno diffondendo nei Paesi del Centro-Nord
America. Così come quell’epidemia era nata in un villaggio isolato nel Guandong, per poi
diventare realtà planetaria dopo che una persona che aveva contratto il virus era stata in
un albergo di Hong-Kong, diventando involontario untore di un virus che si è poi
individuato anche in Europa, così la grande paura legata all’influenza suina si chiama
diffusione a tappeto di un virus che potrebbe teoricamente trasmettersi a grande velocità.
In realtà, come conferma l’Oms, l’errore più grave da commettere adesso sarebbe
lasciarsi andare al panico. È giusto guardare con attenzione l’evoluzione dei casi di
infezione, che solo negli Usa sembrano aver toccato oltre alla costa occidentale l’area di
New York ed anche altri stati, sapendo che comunque le armi per contenere un’eventuale
epidemia esistono. Tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità non ha
ancora decretato il passaggio da livello 3 al livello 4 della scala di attenzione, che arriva
fino al livello 6. L’allarme sta comunque salendo e si potrebbe alla fase 4, con diversi casi
in aree geografiche molto ristrette. Solo in seguito si potrebbe arrivare alla fase 5, con un
numero significativo di persone contagiate in aree geografiche sempre più ampie. Allora si
potrebbe parlare di possibile pandemia influenzale, contro la quale tuttavia esistono armi
già definite.
Le due grandi strategie difensive si chiamano sempre isolamento e quarantena già oggi
ampiamente utilizzate, come dimostrano le modalità preventive messe in atto in Nuova
Zelanda su un gruppo di studenti di ritorno dal Messico che presentavano sintomi legati
all’influenza dei maiali. Al loro fianco, tuttavia, oggi la medicina può schierare farmaci
antivirali specifici contro i virus influenzali, che possono sia curare al meglio gli eventuali
pazienti, specie se trattati nelle prime fasi dell’infezione quando i medicinali sono più attivi,
sia limitare i rischi per gli altri. In attesa di un vaccino ancora di là da venire, ma per il
quale si sta già lavorando.
Sotto l’aspetto scientifico, la comparsa di un virus “internazionale” come l’AH1N1, che
contiene l’antigene H1 già individuato nei suini americani e l’N1 di derivazione da maiali
europei, permette di capire ancora una volta come le strade attraverso cui i virus si
combinano siano ancora misteriose. Il maiale, come al solito, è un animale-ponte perché
possiede la capacità di albergare sia virus umani che di altri animali, come gli uccelli. E
proprio nelle cellule suine potrebbe essersi realizzato il cocktail genetico che ha dato luogo
a questo nuovo virus, temuto perchè sconosciuto ai sistemi immunitari di gran parte degli
uomini e quindi in grado di infettare chiunque. La speranza è che si tratti di un ceppo
relativamente “buono”, magari creatosi negli anni attraverso un processo di mutazione
adattativa, ovvero di un progressivo adeguamento del “nemico” alle cellule umane. Se così
fosse l’infezione dovrebbe interessare inizialmente un numero limitato di persone, come
sta avvenendo, con un progressivo aumento della trasmissione interumana, lasciando alla
sanità pubblica il tempo di programmare le adeguate contromisure.
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