Bologna e la sonata barocca nella musica strumentale del Seicento L'intero periodo del Barocco italiano è segnato dalle forme solistiche, cameristiche e orchestrali per archi: sonate a tre, sonate a solo, concerti grossi e concerti solistici. La Sonata a tre è senza dubbio alcuno la forma più rappresentativa del Seicento. Si sviluppa in Italia settentrionale alla fine del Cinquecento e dal 1650 si diffonde nel resto d'Italia, in Francia, Germania e Inghilterra. Proprio nella seconda metà del Seicento decisi cambiamenti sono rilevabili: molte forme impiegate nel primo Barocco si estinsero, mentre quella della suite e della sonata barocca vennero a definirsi con largo seguito, fra gli strumenti da tasto crebbe l'importanza del clavicembalo rispetto all'organo, mentre tra gli strumenti ad arco il violino era destinato ad imporsi come solista sia in orchestra che nella musica d'insieme. Alla fine del Cinquecento col termine sonata si indicavano brani di non ben definita struttura eseguiti su strumenti non da tasto, infatti a questi era destinata la toccata, poi c'era la cantata che era un pezzo vocale. Il termine "Sonata" veniva usato come abbreviazione di "Canzone sonata" o "Canzona da sonar" che erano forme derivanti direttamente dalla "Canzone strumentale" destinata per lo più a strumenti a tastiera. Anche se pure sotto l'aspetto formale la Sonata all'inizio ricalca il modello della Canzone strumentale, è lecito ed opportuno (tanto per fare un briciolo di chiarezza) sottolineare la distinzione fra la Canzone strumentale, per tastiera e la Sonata, scritta invece per archi e basso continuo. Dal 1635 l'evoluzione della Sonata si fa decisiva e contemporanea al non casuale proliferare della liuteria padana Amati, Guarnieri e Stradivari sono solo alcune delle famiglie più celebri. La Sonata a tre è una composizioni scritta per violino (o più d'uno) e basso continuo, strutturata in più movimenti alternati secondo l'andamento: Lento-Veloce-Lento-Veloce. I maestri che diedero importanti contributi alla creazione e diffusione della sonata per violino operarono a Modena, Venezia e soprattutto a Bologna nella Scuola di S. Petronio. Giuseppe Maria Jacchini (1667-1727) fu violoncellista allievo pupillo di Domenico Gabrieli (1651-1690), visse e lavorò a Bologna, curiosità:si crede possa essere il mitico "Gioseffo del Violonzino". Nella sua produzione spiccano i Concerti per camera a tre e a quattro strumenti con violoncello obbligato op. 4 e le sonate per violoncello solo, per violino e cello, per violoncello e basso. Le sue sonate per archi si inseriscono nella tradizione bolognese di Cazzato e Torelli, le composizioni per violoncello sono estremamente eleganti e di rilievo in quanto contribuiscono a definire il ruolo solistico dello strumento. Giovanni Battista Vitali (1632 -1692) violoncellista, teorico e compositore attivo a Bologna, è celebre per la sua raccolta didattica Artifici musicali (1689) che si distinse per la complessa elaborazione contrappuntistica. G.B. Vitali fu membro dell'Accademia Filarmonica oggidì luogo scrigno di più di Trecento anni di storia della musica. Appartenne alla suddetta accademia pure Giovanni Maria Bononcini (1642-1678), violinista e maestro di cappella alla cattedrale di Modena. Egli diede origine ad una famiglia di musicisti: il figlio più grande Giovanni Battista fu violoncellista, mentre Antonio Maria Bononcini più giovane, si distinse come compositore. Giovanni Maria Bononcini è molto noto per il suo trattato Musico Prattico pubblicato a Bologna nel 1673 e di largo uso al tempo. Ma la sua fama è altresì legata alla composizione di Sonate: quelle da camera furono probabilmente tra le ultime ad essere utilizzate come danze. Nel complesso si può affermare che le sue Trio Sonate fungono da importanti precorritrici delle prime quattro opere corelliane. Arcangelo Corelli (1653-1713) violinista e compositore nato a Fusignano di Ravenna, studiò a Bologna e venne accolto all'Accademia dei Filarmonici nel 1670. La musica per archi conobbe a lungo un ideale ineguagliabile, con Corelli. La sua fama internazionale è legata alla sola musica strumentale (si tenne lontano dal teatro d'opera) in tutto sei raccolte di cui egli stesso curò la pubblicazione. L'indubitabile successo delle Sonate a tre da Chiesa op.1 è testimoniato dalle numerose ristampe: ben settantotto quando il compositore era ancora in vita. Nell'op.2 troviamo le indicazioni dei tempi che ricordano i nomi delle danze in uso nelle suites: preludio, allemanda, gavotta, giga, questo evidenzia come le sue sonate da camera siano costituite da gruppi di danze stilizzate. Egli diede nuovo impulso alla Sonata a tre pubblicando dal 1681 al 1694, quattro raccolte: dalla sua op.1 alla op.4, ognuna comprende dodici sonate, ripartite, com'era consono all'epoca in "sonate da camera" e "sonate da chiesa"; questa distinzione non fu mai troppo rigida, entrambe avevano radici nella musica da ballo, fra i due tipi formalmente intercorsero mescolanze. E' interessante specificare invece come le Sonate a tre, scritte a tre parti appunto, abbiano un più articolato sviluppo nella pratica strumentale. Le due voci al registro medio-acuto venivano affidate ad una coppia di violini, mentre la voce medio-grave svolge una doppia funzione: di basso melodico e basso continuo. Così il basso melodico veniva affidato al violoncello o a una viola da gamba (meno frequentemente ad uno strumento a fiato) mentre il basso continuo era realizzato dall'organo (nelle sonate da chiesa) o clavicembalo (sonate da camera) ma anche tiorba o chitarrone. Comunque tanto per ribadire il clima di libera pratica estempoaranea, non era raro che pure le due voci acute venissero raddoppiate, non solo: si arrivò ben presto a far dialogare un piccolo gruppo di strumenti solisti con una più numerosa compagine strumentale, vale a dire in gergo musicale, si giunse a contrapporre Concertino a Concerto grosso. I manuali di storia della musica ci informano nascere il Concerto Grosso con A. Stradella (16441682) intorno al 1670-1680 ed è giusto, ma è bene non ignorare come a livello di scelta estemporanea questa pratica fosse già in uso, come testimoniano un gran numero di pubblicazioni. Nella lista di tali edizioni a stampa figura anche Corelli, con i suoi dodici Concerti Grossi op.6 pubblicati ad Amsterdam nel 1714, un anno dopo la sua morte, ma certamente noti già da anni. Ma restando alla sonata a tre corellina, è bene rilevare come l'equilibrata autonomia delle parti strumentali sia fondata su un contrappunto che trova lineare discendenza da quello di Pierluigi da Palestrina (1525-1594). Osservazione doverosa poichè ciò identifica tutta la produzione di Corelli. La sua musica è costruita su un solido impianto tonale, ed esclude ogni artifizio contrappuntistico, non a caso gli viene proprio riconosciuto il merito d'essere uno dei primi compositori ad avviare il processo di purificazione e semplificazione della scrittura polifonica cinquecentesca. Corelli era fermamente interessato a sfruttare a fondo le possibiltà cantabili del violino, specialmente rese nei movimenti lenti e rinunciando ad artificiose trovate virtuosistiche. Di particolare rilievo è il fitto dialogo imitativo fra i violini, al quale non di rado partecipa anche il basso; la linea del basso è responsabile del flusso ritmico, lo conduce in maniera uniforme specie nei movimenti veloci ed è immancabile fondamento armonico tonale. Con Isabella Leonarda (1620-1704) ci spostiamo decisamente nel nord Italia: a Novara più precisamente, per poi constatare che malgrado la distanza, il modo di rapportarsi alla sonata non era dissimile da quello caratterizzante i musicisti dell'Accademia della Filarmonica. In Opera Decima Sesta sono contenute dodici sonate, per due violini, violone e basso continuo, nonostante sia stato pubblicato dopo le Sonate corelliane, lo stile è più simile alla generazione precedente quella di Cazzati, Uccellini, Legrenzi. Nella sonata che verrà eseguita sentirete concertare gli strumenti in maniera tale che almeno una volta a ciascuna voce spetti la melodia. Un ultimo fugace passaggio di riflettori su Isabella, monaca orsolina di Novara, poichè, non bastasse porla in evidenza come una delle poche donne compositrici del Seicento italiano, è altresì da segnalare per l'inusuale attività tanto prolifica: ci sono pervenute oltre duecento composizioni, opere di grande devozione, raccolte nell'opera di Gasparo Casati maestro di cappela di Novara. Alessandro Scarlatti (1660-1725) in campo operistico è considerato il fondatore della grande Scuola napoletana: gli si attribuisce il merito di aver apportato una serie di innovazioni delle regole strutturali utili fino ai tempi di Rossini; doveroso ricordare che Alessandro fu padre e maestro di Domenico Scarlatti (1685-1757) il più noto fra i dieci fratelli dei quali più d'uno intraprese la strada di musicista. Il suo repertorio operistico è di indubbia fama, ma considerevole è anche la produzione strumentale: sinfonie di concerto grosso, sonate, toccate per strumenti a tastiera e diversi lavori teorici. Di A. Scarlatti verrà eseguita al cembalo la "Folia" finale, della Sonata VII primo tono, composta di ventinove variazioni tecniche e ritmiche. Fra tutte è da segnalare la ventiquattresima, dalla particolare forma interamente ad arpeggio. La Folia è un tema musicale tra i più antichi della storia europea. Alcuni testi teatrali del Rinascimento portoghese, menzionano la follia come danza ballata da pastori e contadini. L'origine portoghese è confermata dal trattato del 1577 De musica libri septem di Francisco de Salinas. Si tratta di una danza simile alla Sarabanda con la quale ha originariamente in comune il tempo ternario; sono entrambe percorse a livello generale da una peculiare frenesia corporea, che poi andrà ridimensionandosi, complice la diffusione in ampie aree geografiche e i diversi modi di far musica. La Sarabanda viene poi inglobata nella Suite (una raccolta di danze), mentre la Folia non sarà così frequentata nella musica colta e comunque conserverà quel qualcosa di demoniaco che la caratterizzava (per quest'aspetto ricorda la "Tarantella"). A. Corelli innalzerà alla Follia un monumento nell'opera cinque Sonate a violino e cembalo: la dodicesima sonata consta di ventitre variazioni virtuosistiche in re min. sul tema della follia. Henry Purcell (1659-1695) figlio di un musicista, fu dapprima cantore nella cappella reale, poi quando mutò la voce divenne aiutante del custode degli strumenti di Carlo II. Nel 1677 fu nominato compositore per i "violini del rè" e nel 1682 si aggiunse agli organisti della cappella reale. La sua prima opera pubblicata fu una serie di Sonate a tre (1683), ciò avvalora avvalora l'ipotesi che la sua prima attività di compositore si sia svolta nell'ambito della musica strumentale. Nelle dodici Sonate a tre del 1683 così come la successiva serie delle dieci Sonate a quattro (1697) opera pubblicata postuma per volere della moglie, vi sono forti elementi italianizzanti, soprattutto nei movimenti lenti. Un rapido paragone fra le sonate di Purcell e quelle da chiesa di Corelli del 1683, mette in rilievo come lo stile italiano (rappresentato da Corelli) sia di più immediata espressione. il linguaggio di Purcell per quanto sedotto dal gusto italiano rimane comunque imperniato d'una sottigliezza e ricercatezza melodica tipica della tradizione inglese. La più nota fra le sonate è la "Golden Sonata", il cui adagio è costruito su una fantasiosa successione di appoggiature estremamente coinvolgente. L'opera complessiva di Purcell riassume i caratteri peculiari di un periodo di transizione della musica inglese, poco prima che questi vengano sopraffatti dall'ondata dello stile tardobarocco italiano, che con Bononcini (1670-1747) e Handel (1685-1759) investirà la tradizione locale. Purcell fu il genio dell'epoca della "Restaurazione" degli Stuart. Egli fuse insieme le convenzioni e i manierismi della società di corte con le suggestioni provenienti dai modelli italiani e francesi. Raggiunse una sensualità sonora leggera, delicata, quasi orientato ad intendere la musica come ornamento, decorazione; concezione questa, piuttosto affine in ambito artistico, alla riflessioni sull'arte dei pittori tardo barocchi e settecenteschi. Purcell è uno dei compositori barocchi che più ha influenzato direttamente i moderni compositori inglesi, quali B. Britten per esempio, ma non solo: nella scena del Mod inglese, Pete Townshend del gruppo rock "The Who" si è dichiaratamente ispirato ad alcuni capolavori di Purcell. Elisa Cagnani