SPC Scienze del pensiero e del comportamento Rivista di

SPC
Scienze del pensiero e
del comportamento
Rivista di psicologia, pedagogia ed epistemologia delle scienze umane
La diffusione dell’opera di Piaget in Italia
Guido Petter
(Professore di Psicologia dello Sviluppo - Università di Padova)
«Scienze del pensiero e del comportamento» (www.avios.it/spc.html)
La diffusione dell’opera di Piaget in Italia
di Guido Petter
Introduzione
Permettetemi di iniziare questo mio intervento con un ricordo personale,
riguardante le circostanze in cui io mi sono avvicinato per la prima volta alle opere
di Piaget. Nei primi anni Cinquanta io mi trovai a insegnare, come maestro, in una
classe elementare di una scuola della campagna brianzola, frequentata da bambini
che erano quasi tutti figli di contadini e che parlavano quasi esclusivamente il
dialetto locale. Questa prima esperienza mi fece sentire subito e in modo molto
netto l’inadeguatezza della preparazione che avevo ricevuto nell’Istituto magistrale,
dove era totalmente assente l’insegnamento della psicologia. In particolare, uno dei
problemi che dovevo affrontare era quello di come aiutare i miei allievi a passare
dall’uso del dialetto a quello della lingua nazionale, e più generalmente di come
metterli in condizione di esprimere correttamente a parole il loro pensiero e le loro
esperienze.
In quella occasione fu per me motivo di grande gioia scoprire i primi due libri di
Piaget, che affrontavano appunto il problema del rapporto fra il linguaggio e
l’attività mentale, Il linguaggio e il pensiero nel bambino, del 1923 e Il giudizio e il
ragionamento nel bambino, del 1924, nonché un terzo suo libro La rappresentazione del
mondo nel fanciullo del 1926, che riguardava invece le convinzioni spontanee che i
bambini si formano a proposito dei vari aspetti de mondo fisico e sociale e, fra
l’altro, a proposito dei rapporti fra gli oggetti e i nomi che noi utilizziamo a
designarli.E fu per me un incontro di grande importanza.
Da un lato quei libri mi offrirono lo spunto per impostare due ricerche che
costituirono poi la mia tesi di laurea (io in quel periodo ero iscritto alla Facoltà di
Filosofia di Milano e iniziai a frequentare l’Istituto di Psicologia diretto allora da
Cesare Musatti, coadiuvato dal suo assistente Gaetano Kanizsa).
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La prima di tali ricerche (che fu pubblicata nel 1956 sulla Rivista di Psicologia)
riguardava la maggiore difficoltà che bambini abituati a parlare dialetto
incontravano ad apprendere il nome in lingua italiana di un oggetto di cui
conoscevano già il nome dialettale rispetto all’apprendimento di nomi di oggetti per
loro interamente nuovi (quindi ancora senza un nome); la seconda riguardava
invece l’atteggiamento di bambini di varia età di fronte a brevi storie che
contenevano una parola per loro ignota, che talvolta occupava una posizione
marginale, talvolta invece una posizione centrale.
Da un altro lato, la lettura di quei tre libri mi entusiasmò al punto che decisi di
leggere anche tutti gli altri che erano stati scritti da Piaget, talvolta insieme a suoi
collaboratori come BarbelInhelder, o Alina Szeminska, e che non erano ancora stati
tradotti in italiano, e riguardavano ricerche relative ai primi tre anni di vita, e
ricerche relative all’acquisizione delle nozioni logiche, numeriche, spaziali,
temporali, all’idea di fortuito e di probabilità, all’acquisizione del pensiero formale,
e così via. E accolsi poi il suggerimento di Kanizsa e Musatti, che mi sapevano
impegnato in quel lavoro, di preparare una esposizione del lavoro di Piaget organica
e complessiva (comprendente i risultati delle singole ricerche, le metodologie
utilizzate e la generale teoria dello sviluppo da lui elaborata).
Il libro che ne risultò (e che trovò accoglienza da parte di un editore molto
interessato ai temi psicologici in un tempo in cui per la psicologia l’interesse era
ancora ridotto, Giuseppe Martinelli, dell’Editrice Universitaria, più tardi GiuntiBarbera) ebbe il titolo di: “Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget”. Quel libro
ebbe fortuna, cominciò a circolare nel mondo scolastico italiano, che si stava allora
aprendo alla psicologia, da poco inserita nel curricolo dell’Istituto Magistrale. Per
consiglio di Wolfgang Metzger venne anche tradotto, nel 1966, in tedesco e
pubblicato da Verlag Hans Hubercon una presentazione scritta dallo stesso Piaget.
Credo utile aggiungere che alla conoscenza dell’opera di Piaget si affiancò, per me,
nello stesso periodo, anche lo studio dell’opera di Edouard Claparède, che di Piaget
era stato maestro e che aveva fondato a Ginevra, nel 1912, l’Istituto J.J.Rousseau,
per lo studio scientifico del bambino, di cui più tardi lo stesso Piaget era divenuto
direttore.
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Un autore di cui nel 1955 era stato tradotto (e pubblicato dallo stesso editore
Martinelli) il libro Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale, e di cui verrà
invece tradotto solo nel 1972 il pionieristico lavoro (del 1933) sulla natura e lo
sviluppo dell’intelligenza che va sotto il titolo La genesi dell’ipotesi. Si tratta di un
autore di grande rilevanza, oggi ingiustamente lasciato in ombra in Italia(a parte
l’attenzione che gli ha dedicato il prof. Trombetta, che nel 1983 organizzò proprio
qui a Roma, e in questa stessa sede, un Convegno a lui dedicato).
Negli anni successivi, tra il 1960 ed il 1980 comparvero altri libri dedicati a Piaget,
come quello di Nando Filograsso, L’evoluzione del pensiero logico in J:Piaget (Urbino,
1967) e soprattutto comparvero le traduzioni di gran parte dei libri di Jean Piaget,
spesso con ampie introduzioni. Le Case editrici che più di altri si impegnarono in
questo compito assai meritorio furono soprattutto l’Editrice Universitaria (poi
Giunti Barbera), e La Nuova Italia, entrambe di Firenze. Ma anche altre Case
editrici contribuirono, pur se in misura più ridotta: Laterza, Boringhieri, Einaudi,
Newton Compton, Angeli, Editori Riuniti, Il Saggiatore. Psicologi, pedagogisti e
insegnanti del nostro Paese, ed altri studiosi interessati al problema della
conoscenza e del suo sviluppo, furono così messi sempre più in grado di leggere
direttamente le opere del grande studioso ginevrino.
Al quale, nel 1968, per iniziativa del Prof. Fabio Metelli e mia, venne conferita
dall’Università di Padova la Laurea honoris causa in Pedagogia. In quella occasione
Piaget venne in Italia, accompagnato dalla sua principale collaboratrice, Barbe
lInhelder, tenne una lezione magistrale nell’Aula Magna, incontrò in un’altra aula i
nostri studenti di pedagogia e psicologia, per rispondere a loro varie domande.
Accompagnammo i nostri due illustri ospiti a visitare l’antico Teatro anatomico
dell’Università, la Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto, l’Orto
botanico (dove alcune pianticelle grasse destarono in Piaget un profondo interesse,
al punto che tolse di tasca un blocco per note per prendervi appunti, dato che da
tempo si interessava di un problema di adattamento all’ambiente relativo proprio a
tali piantine), e infine Venezia.
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L’influenza di Piaget in Italia
Su questo tema esiste un lavoro di Dunia Pepe, La psicologia di Jean Piaget, nella cultura
e nella società italiane, del 1997. Sulla base della mia esperienza, posso dire che tale
influenza dell’opera dello psicologo ginevrino si è sviluppata fondamentalmente
lungo quattro direzioni fondamentali.
A. La primadirezione è consistita nel compiere degli approfondimenti, con nuove
ricerche, in aree da lui aperte all’indagine scientifica. Ovviamente, io porto qui un
certo numero di esempi senza la pretesa di essere esaustivo.
a) Il tema della rappresentazione della realtà.
Questo tema è stato ulteriormente esplorato, utilizzando come strumento
soprattutto il “colloquio clinico” di stampo piagetiano, ma in certi casi anche il
disegno tematico. Renzo Vianello ha studiato in quale modo bambini che crescono
in ambiente cattolico, giungono a comprendere il concetto di Dio di cui parlano
loro gli adulti, un concetto “culturale” la cui assimilazione è condizionata dalle
tendenze del pensiero infantile messe in evidenza da Piaget: il realismo,
l’egocentrismo, l’artificialismo, il finalismo. Annalia Berti ed Anna Bombi hanno
studiato le idee spontanee del bambino relative al mondo economico (il lavoro, il
denaro, l’origine delle merci, il funzionamento delle banche, ecc.) constatando che
anche nella formazione di queste idee e spiegazioni spontanee sono all’opera le
stesse tendenze. Maria Tallandini, attraverso l’uso del colloquio clinico, ha cercato
di mettere in evidenza cosa pensano i bambini della droga, di cui sentono con
frequenza parlare, e Laura Marin che cosa pensano della vecchiaia (un tema questo
già affrontato anche da Vittoria Carbonara e Annamaria Asprea), ponendo in luce
l’esistenza di un diverso atteggiamento nei confronti dei vecchi e nei confronti dei
nonni (assai più positivo in questo secondo caso).Vianello e Marin, utilizzando
soprattutto il colloquio clinico, hanno studiato le idee infantili relative alla morte, e
Giovanna Axia le loro idee relative all’ambiente. Anna Silvia Bombi e Giuliana
Pinto, ricorrendo anche al disegno tematico, hanno studiato l’idea che i bambini
hanno dell’amicizia. Adriana Lis, Maria Tallandini e altri hanno cercato di vedere
come i bambini vivono l’insegnante, e Laura Toneatti, le loro idee più o meno
spontanee relative all’evoluzione degli animali. MereteAmannGainotti, essa pure
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ricorrendo al disegno, ha studiato le rappresentazioni che i bambini si danno
dell’interno del proprio corpo. Credo sia giusto citare anche ricerche condotte da
studiosi italiani in collaborazione con studiosi stranieri, come quelle condotte da
Clotilde Pontecorvo in collaborazione conEmilia Ferreiro sulle idee spontanee che i
bambini si formano a proposito della lingua scritta
In questo primo filone rientrano anche altre ricerche che sono riconducibilia Piaget
considerato come uno dei pionieri dell’educazione internazionale e dell’integrazione
europea. Tali sono quella di Walter Fornasa sull’idea che i bambini hanno di Patria
e quella (condotta anche mediante l’uso del disegno) di MereteAmannGainotti sulla
loro idea di Europa.
E penso sia giusto ricordare pure una ricerca che è stata sollecitata da alcune di
quelle ora richiamate, dedicate allo studio di come i bambini vedono il mondo degli
adulti, e cioè quella condotta da Ezio Ponzosul modo in cui, viceversa, gli adulti si
rappresentano il bambino, quali capacità gli attribuiscono alle varie età, una ricerca
che ha messo in evidenza una diffusa tendenza a sottovalutare i bambini in età
prescolare, e a sopravvalutare invece quelli che frequentano la scuola primaria.
b)Lo sviluppo delle idee morali
E’ noto che le ricerche di Piaget sullo sviluppo delle nozioni morali, (l’idea di
giustizia, distributiva e retributiva, l’idea di responsabilità, l’idea di bugia, ecc.)
esposte nel libro Il giudizio morale nel bambino, del 1932, hanno aperto un nuovo
campo d’indagine di grande importanza, oltre che per la conoscenza scientifica
anche peri riflessi in campo educativo.
Questo tema è stato ripreso e approfondito in vario modo da studiosi italiani.
Matilde PanierBagat ha largamente studiato l’influenza dell’ambiente familiare sullo
sviluppo delle nozioni morali; l’influenza dell’ambiente, e anche quella delle
strutture intellettuali, sono state studiate pure da Gabriele Di Stefano, Chiara
Lavorato e Francesca Simion. Altre ricerche sono state condotte sullo sviluppo
morale (e in particolare sulla nozione di equità) daAnnamaria Asprea e Giulia
Villone Batocchi, così come da Giuliana Giovannelli e Pietro Tampieri.
c)Lo sviluppo delle capacità logiche
Una terza grande area nella quale le ricerche di Piaget sono risultate di
fondamentale importanza è quella dello sviluppo delle capacità logiche e
dell’acquisizione delle fondamentali nozioni spaziali, temporali, numeriche. Anche
in questo campo il lavoro di Piaget è stato ripreso, attraverso saggi, come quello di
Alberto Ranzi sul pensiero logico nel bambino, o quello di Beatrice Benelli sulla
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acquisizione dei concetti, o quelli di Giovanni Vicario, e di Giuseppe Mucciarelli e
Giuliana Giovanelli, sullo sviluppo delle nozioni temporali. Edè stato ripreso anche
attraverso ricerche empiriche, come quella condotte da Gabriele Di Stefano e coll.
sull’influenza di fattori semantici e di regole sociali nel caso di compiti di inclusioni
di classi, o quella di Giuseppe Mosconi sui rapporti fra pensiero logico e linguaggio
e che riguarda certe operazioni logiche che sono in gioco quando si tratta di
formulare un giudizio comparativo in situazioni in cui, dato un oggetto modello e
un certo numero di altri elementi, si chiede a un bambino di indicare “La cosa più
diversa da...” (dal modello). I rapporti fra pensiero e linguaggio, e in particolare la
tendenza infantile ad usare il linguaggio in modo egocentrico sono stati pure
affrontati da Angela Massucco Costa e da Ada Fonzi.
d) Il pensiero formale
Anche il grande tema del pensiero formale, che per la prima volta era stato
affrontato sia a livello di teorizzazioni che attraverso ricerche empiriche da Piaget e
Inhelder nel libro del 1955 Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente è stato
ripreso, da Marta Montanini Manfredi che ad esso ha dedicato un saggio, ed anche
da me, attraverso un’analisi delle varie modalità in cui tale pensiero può
manifestarsi, e della differenza fra un pensiero ipotetico-deduttivo di primo livello
ed uno di secondo livello.
Vi è infine un’area che non èmai stata coltivata da Piaget, quella della psicologia
animale, nella quale tuttavia le sue ricerche hanno avuto un riflesso. Si tratta di
quelle ricerche che Piaget ha dedicato allo studio dello sviluppo dell’intelligenza
percettivo-motoria (attraverso l’osservazione dei suoi tre figli), alla nascita del
pensiero simbolico, alla natura e al ruolo del gioco e dell’attività imitativa.
Francesco Antinucci, dell’Istituto di Psicologia del CNR, ha cercato di stabilire un
confronto fra lo sviluppo di questa prima forma d’intelligenza nel bambino e quello
da lui osservato nelle scimmie antropoidi dello zoo di Roma. Ad Antinucci si deve
poi un nuovo e interessante tentativo, quello di stabilire un rapporto fra quanto
dice Piaget a proposito del gioco spontaneo del bambino ed il mondo dei
videogiochi di oggi.
A Piaget sono poi riconducibili anche altri studi, che hanno cercato di lumeggiare i
suoi rapporti con altre grandi correnti di ricerca, come la psicoanalisi (un rapporto,
questo, studiato da MereteAmannGainotti), o con le scienze sociali (un rapporto
che è stato analizzato da Walter Fornasa).Ogli studi che hanno affrontato certe sue
tematiche, ma in modo diverso (per esempio, quelli di Felice Carugati e Gabriel
Mugny sul ruolo dei modelli nello sviluppo mentale e sul conflitto socio-cognitivo).
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O gli studi che, come quello di Camilla Gobbo e Sergio Morra, sono stati dedicati
all’esposizione e all’analisi del contributo di continuatori o di critici di Piaget.
B. Unaseconda direzione in cui si è venuta sviluppando l’influenza di Piaget in Italia
riguarda il mondo della scuola, considerato nei suoi diversi aspetti.
Un primo aspetto riguarda la preparazione psicologica degli insegnanti, dunque una
delle tre componenti fondamentali della loro professionalità. Le ricerche piagetiane
hanno trovato uno spazio sempre maggiore nei corsi di aggiornamento organizzati
per gli insegnanti, e in particolare, per l’attività didattica, quelle che riguardavano lo
sviluppo delle nozioni spaziali e temporali, lo sviluppo delle nozioni numeriche e
della nozione di misura, lo sviluppo delle nozioni ci causa, fortuito, probabilità;per
l’educazione alla convivenza democratica, le ricerche sullo sviluppo delle nozioni
morali, e l’uso del colloquio clinico (o della discussione di gruppo) a partire dalla
presentazione di due brevi storie con personaggi che si comportano in modo
diverso, messe a confronto.
Anche la teorizzazioni di Piaget sullo sviluppo mentale inteso come “equilibrio
dinamico” fra processi di assimilazione e processi di accomodamento, e sul ruolo
che può avere il conflitto fra una previsione e la successiva constatazione che non
la conferma creando una rottura dell’equilibrio e sollecitando un suo ristabilimento
a un livello più alto, hanno indotto a riflettere (insieme a quelle di Vigotskysull”area
di sviluppo prossimale”) sull’utilità di ricorrere a forme di insegnamento che
impegnino in prima persona il bambino in situazioni problemiche atte a sollecitare
il suo sviluppo cognitivo.
Oltre che nei corsi di aggiornamento Piaget è stato poi presente in molti libri
destinati agli insegnanti. Uno di questi libri è quello di Nando Filograsso,Piaget e
l’educazione, del 1974. Altri libri ove a Piagetviene dato ampio spazio sono stati
curati anche da me, come i due volumi di Conversazioni psicologiche con gli insegnanti,
nella seconda metà degli anni Sessanta, o come la trilogia Psicologia e scuola
dell’infanzia,Psicologia e scuola primaria, Psicologia e scuola dell’adolescenza, pubblicati negli
anni Novanta.
Il pensiero e i risultati delle ricerche di Piaget hanno avuto un riflesso anche
nella revisione dei vari programmi scolastici. Nella revisione degli Orientamenti per
la scuola dell’Infanzia del 1968 la Commissione (di cui anch’io facevo parte, ed era
formata da persone assai sensibili ai risultati della ricerca psicologica) ha tenuto
largamente conto delle prospettive piagetiane per le aree del linguaggio, del gioco
simbolico, della conoscenza del mondo fisico e sociale, e per l’immagine del
bambino considerato come un essere intraprendente, un interlocutore attivo, un
precoce elaboratore di informazioni.Anche nella successiva revisione di tali
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Orientamenti del 1993 l’introduzione (proposta da Piero Bertolini) dei vari
“campi di esperienza” (“Spazio, ordine, misura”, “il tempo e la natura”, “io e gli
altri”) risente dell’influenza dello psicologo ginevrino. E pure per la elaborazione
dei nuovi (allora) Programmi della Scuola elementare del 1983, la Commissione dei
Sessanta (posso dirlo, perché ne facevo parte) tenne presente quanto ci aveva detto
sul bambino come interlocutore attivo, sull’importanza di partire da certe sue idee
spontanee per innestare su di esse conoscenze più adeguate, sulle operazioni
mentali (logiche, spaziali, numeriche) come interiorizzazione di azioni concrete. Il
costruttivismo di Piaget ha trovato spazio anche in un’area che, per la verità non
aveva mai destato il suo interesse, come quello dell’insegnamento della storia,
intesa, in quei Programmi, non più solo come narrazione ma anche come
ricostruzione attiva, compiuta sulla base di documenti, degli eventi del passato. Ed
ha contribuito a far sì che oggi si possa parlare esplicitamente (Antinucci, CNR) di
“didattica costruttivista”.
C.Una terza direzione in cui l’influenza di Piaget si è fatta sentire è quella della
utilizzazione concreta dei risultati di certe sue ricerche per obiettivi specifici.
Uno di tali obiettivi riguarda l’addestramento degli studenti di psicologia (ma
anche di futuri insegnanti) a stabilire una buona interazione con bambini o
adolescenti per lo svolgimento di attività di ricerca riguardanti qualche aspetto dello
sviluppo psicologico. Un esempio, a questo riguardo, può essere costituito da miei
due libri: nel primo, intitolato Il bambino impara a pensare, vengono presentate
diciotto ricerche facilmente replicabili riguardanti lo sviluppo cognitivo e linguistico
dai 4 ai 12 anni, otto delle quali sono di Piaget (o di Piaget e Inhelder); nel
secondo, dal titolo L’adolescente impara a pensare e a decidere, sono presentate quindici
ricerche di cui cinque (relative all’acquisizione del pensiero formale) sono di Piaget
e Inhelder.
Un altro degli obiettivi specifici per il cui conseguimento si è fatto riferimento a
Piaget è la costruzione di test per la valutazione dello sviluppo intellettuale. Questo
obiettivo è stato perseguito da Giovanna Axia, con l’elaborazione di una serie di
prove per valutare lo sviluppo nei primi tre anni di vita, e da Vianello e Marin (con
particolare riguardo, qui, al tema del riconoscimento della conservazione di
quantità) per la valutazione dello sviluppo cognitivo nel periodo dai quattro agli
otto anni.
Un terzo obiettivo specifico ha riguardato l’elaborazione di programmi per il
ricupero di bambini con difficoltà, un obiettivo perseguito, anche in questo caso
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con frequente utilizzo di prove analoghe a quelle impiegate da Piaget, da
Daniela Lucangeli e Renzo Vianello.
D. Una quarta direzione in cui si è fatta sentire, in Italia, l’influenza di Piaget è quella
dell’insegnamento universitario delle discipline psicologiche
Le sue ricerche e le sue teorizzazioni, a partire dagli anni Sessanta, hanno
cominciato a costituire una parte consistente nei corsi di Psicologia dell’età
evolutiva che si svolgevano nelle Facoltà di Magistero. A partire dagli anni Settanta,
con l’istituzione prima dei Corsi di Laurea e poi delle Facoltà di Psicologia, questa
sua presenza si è fatta sentire, oltre che nei corsi di Psicologia dell’età evolutiva,
anche in quelli di Psicologia dello sviluppo cognitivo e di Psicologia
dell’Adolescenza. Un insegnamento nuovo, introdotto già verso la fine degli anni
Settanta a Padova (e successivamente a Palermo, e a Milano-Bicocca) ha avuto
come denominazione “Epistemologia genetica”, quella stessa cioè della disciplina a
cui Piaget per primo aveva dato vita costituendo a Ginevra il Centro Internazionale
di Epistemologia genetica.
Oltre che nei Corsi di Laurea, la presenza di Piaget si è fatta sentire nelle
scuole di specializzazione in psicologia riguardanti l’area della psicologia dello
sviluppo (per esempio, a Padova) o nei master riguardanti la psicologia scolastica
(per esempio, a Firenze), ed anche in qualche scuola di specializzazione in
psicoterapia ad indirizzo costruttivistico (essendo Piaget, come già ho detto, un
illustre rappresentante della prospettiva costruttivista).
Concludendo
Può darsi che in questa mia analisi io non sia stato esaustivo, e in particolare mi
siano sfuggite ricerche più recenti, agli autori delle quali chiedo pertanto scusa
Credo tuttavia risulti sufficientemente chiaro da quanto ho detto che il pensiero di
Piaget, così come i suoi metodi, i risultati della sua ricerca in campo evolutivo sono
andati via via affermandosi col tempo, in Italia. E a lui sono stati dedicati vari
Convegni, come quello, internazionale, organizzato a Roma dalla compianta collega
Luigia Camaioni (le relazioni tenute in quell’occasione sono state pubblicate nel
libro: La teoria di Piaget. Recenti sviluppi e applicazioni) o come l’incontro che si è
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svolto una ventina di anni fa a Firenze per iniziativa di Luciano Mecacci ed Ada
Fonzi. Al nome di Piaget è stato intitolato il “Centro di studi cognitivi” fondato a
Urbino da Nando Filograsso.
L’interesse per questo studioso non ha conosciuto un declino, in questi anni.
Egli è tuttoraconsiderato come un punto fermo, come una figura con cui in ogni
caso occorre confrontarsi, e il suo lavoro come un insieme di conoscenze
indispensabili, pur con le necessarie integrazioni - quelle rese necessarie sia da un
ampliamento delle prospettive (non più il bambino isolato, ma il bambino in
rapporto con altri), sia da un mutamento delle condizioni culturali (soprattutto per
quanto riguarda la diffusione delle informazioni, nell’era della TV, del computer e
di Internet).
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Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Padova, dove ha svolto, nella
Facoltà di Psicologia, l’insegnamento di Psicologia
dell’Adolescenza. Ha compiuto studi e ricerche nei campi della
percezione, dello sviluppo linguistico e cognitivo, dell’adolescenza e
della psicologia educativa. Nel 1968 ha pubblicato il libro “Lo sviluppo
mentale nelle ricerche” di J. Piaget. Ai temi dello sviluppo psicologico e
della psicologia educativa ha dedicato altri libri, come: “Conversazioni
psicologiche con gli insegnanti” (1972), “Dall’Infanzia alla preadolescenza”
(1992), “Problemi psicologici dell’adolescenza” (1990), “Psicologia e scuola
dell’infanzia” (1997), “Psicologia e scuola di base” (2000), “L’adolescente
impara a ragionare e a decidere” (2002), “Il mestiere di insegnante” (2006),
“Ragione, fantasia e creatività nel bambino e nell’adolescente” (2010).
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