Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo Diego D’Angelo Albert-Ludwigs-Universität Freiburg im Breisgau Università degli Studi di Milano 1 Introduzione Maurice Merleau-Ponty torna, in diversi punti della sua opera, a parlare di una ‘verità del naturalismo’, per quanto una simile idea sembri a prima vista non poter trovare posto all’interno del suo pensiero nel modo in cui questo viene generalmente interpretato. Il presente testo si propone una disamina del significato che questo motto assume nella riflessione filosofica dell’autore: di fronte ad una relativa scarsità di passaggi in cui questo elemento è messo esplicitamente a tema, è la sua ricorrenza in scritti anche molto distanti nel tempo a sancirne l’importanza all’interno della filosofia merleaupontiana. Allo scopo di comprendere meglio l’importanza della ‘verità del naturalismo’ ci prefiggiamo in primo luogo (§2) una rapida analisi del concetto di ‘natura’ come ‘essere primordiale’ così com’è delineato da Merleau-Ponty stesso in una serie di corsi tenuti al termine della sua vita e di pubblicazione recente. In secondo luogo analizzeremo (§3) quale senso possa avere parlare di una verità del naturalismo se si tiene fermo questo significato di natura come essere primordiale. Così sarà possibile comprendere come la verità del naturalismo non sia la verità di un’impostazione teoretica che pretende di risolvere tutto in ‘mera natura’; anzi, la natura in quanto tale sta al di qua della separazione tra soggetto e oggetto, tra ‘mera’ natura e cultura. Il naturalismo è vero se la natura è l’essere primordiale da cui tutto il resto sorge. Questa verità sta allora nel comprendere che noi, in quanto soggetti, già da sempre apparteniamo alla natura (come Welle im Chaos, secondo l’interpretazione heideggeriana di Nietzsche): 1 noi siamo natura, facciamo parte della sua «prosa»; 2 essa non ci sta semplicemente di fronte, pronta ad essere indagata con un metodo piuttosto che un altro. Da ultimo (§4) tenteremo di sistematizzare i risultati ottenuti rispetto alla ricerca propria delle scienze, tenendo in debito conto una visione ‘arricchita’ e potenziata della natura, di modo da conciliare le due posizioni. In particolare si tratterà di chiedersi se e in che senso il naturalismo scientifico in quanto particolare forma del naturalismo possa avere una sua verità filosofica. Una risposta potrà essere data solo per accenni e deve essere intesa come stimolo e suggerimento per ulteriori riflessioni. 1 Cfr. Heidegger 1961, primo volume, p. 569. Su questo argomento anche D’Angelo 2012a, 73. di fondo del testo rimasto incompiuto de La prosa del mondo è proprio che la verità non sarebbe altro che un’articolazione istituita sul visibile e al suo interno. Cfr. Merleau-Ponty 1969. 2 L’idea Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) ISSN 2281-9177 Diego D’Angelo 130 2 Il concetto di natura e l’essere primordiale In alcuni corsi tenuti al Collège de France tra il 1957 e il 1960, Merleau-Ponty torna ad interrogarsi su un «tema inattuale» 3 che inattuale non è affatto e che, anzi, oltre a determinare dall’interno l’intero percorso fenomenologico merleaupontiano, ricopre anche un ruolo di rilievo all’interno della filosofia contemporanea e, più in generale, della moderna immagine del mondo. In particolare, nel corso del 1956-57 intitolato Il concetto di natura, Merleau-Ponty mette l’accento sul fatto che la filosofia della natura sembra ormai caduta in disuso, in quanto filosofia e scienze della natura appartengono a due ambiti diversi del sapere. Nella tradizionale visione dell’università, si potrebbe aggiungere, e dunque della divisione del sapere stesso, noi siamo in effetti ormai abituati a separare nettamente la filosofia come ‘scienza umana’, come Geisteswissenschaft, dalle scienze esatte, o scienze della natura. Filosofia e scienza non sono dunque solo due ambiti separati, ma la comunicazione tra entrambi si fa sempre più complessa man mano che cresce il grado di specializzazione tipico delle scienze – nonché una certa riluttanza dei filosofi a confrontarsi apertamente con i risultati e i dati empirici. Per questo Merleau-Ponty può parlare di «abbandono della filosofia della natura», sebbene si tratti di un abbandono con dei caratteri suoi propri: «l’abbandono in cui è caduta la filosofia della natura sottintende una certa concezione dello spirito, della storia e dell’uomo». 4 Merleau-Ponty sottolinea dunque come la dimenticanza della questione della natura non possa che implicare una concezione determinata di alcune questioni cardine della filosofia e, in generale, del sapere. In particolare, lo spirito, la storia e l’uomo – in una parola, dunque, il soggetto con le sue declinazioni – non possono rimanere intoccati dall’abbandono della filosofia della natura. Se l’indagine filosofica non ha più la natura come oggetto possibile, allora anche la riflessione filosofica sull’uomo è snaturalizzata e forse addirittura ‘snaturata’. Il problema è tuttavia duplice, e non a senso unico come Merleau-Ponty sembra sottintendere in queste prime battute: da un lato, infatti, il materialismo delle scienze esatte si attacca ad un concetto di natura ridotto ai minimi termini, dove ‘naturale’ diventa uguale a ‘misurabile’ o ‘prevedibile in base al metodo scientifico’, 5 escludendo dunque di fatto fenomeni difficilmente quantificabili come, appunto, l’uomo, la storia e lo spirito – forse si potrebbe dire ‘la mente’. D’altra parte, però, non è facile sottrarsi al rischio opposto, segnalato, seppur di passaggio, nel corso al Collège: assegnata alle scienze esatte la natura, si reclama per i fenomeni ‘spirituali’ uno statuto a se stante, sottraendoli a qualsiasi forma di naturalismo 6 e ricadendo con ciò in variazioni, esplicite o meno, di dualismo e, all’estremo, di spiritualismo. 7 Nel caso migliore si parla oggi infatti di ‘seconda natura’, 8 mantenendo dunque sì un rapporto coi 3 Merleau-Ponty 1995, 364. 1995, 365. Una prima edizione contenente il riassunto delle lezioni a cui facciamo riferimento era stato pubblicato in Merleau-Ponty 1968. Tutte le traduzioni di Merleau-Ponty nel corso di questo testo sono state effettuate da noi sulla lingua originale. 5 L’esempio classico di questa direzione di pensiero, per cui il naturalismo scientifico risulta identico al materialismo e al principio di assoluta calcolabilità degli eventi naturali, è incarnata per Merleau-Ponty da P. S. Laplace. Cfr. Merleau-Ponty 1995, 124-125 e 181. 6 Merleau-Ponty distingue, nel corso universitario in questione, il naturalismo scientifico da quello romantico (soprattutto di Schelling), e questo a sua volta dal concetto di natura in senso marxiano, poiché per Marx «l’umanesimo è naturalismo compiuto», cfr. Merleau-Ponty 1995, 181. D’altra parte il naturalismo stesso è distinto a sua volta dall’umanesimo e dal teismo, cfr. Merleau-Ponty 1995, 181-185. 7 «Il naturalismo della scienza e lo spiritualismo della soggettività universale costituente, a cui la scienza stessa ha condotto, hanno in comune il fatto di livellare l’esperienza». Merleau-Ponty 1945, 68. 8 Un esempio tra i più famosi sono certamente le Woodbridge Lectures di J. McDowell. Cfr. McDowell 1996, in particolare la quarta lecture. 4 Merleau-Ponty Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 131 fenomeni naturali, ma rilanciando al contempo l’unicità e la particolarità di ciò che appartiene a questa specie di Hinterwelt, 9 cioè alla soggettività. La moderna concezione della natura, si potrebbe dire, non comporta solo una certa visione «dello spirito, della storia e dell’uomo», 10 della mente, in quanto ciò che non è natura, ma al contempo viene delimitato in modo dialettico lo stesso concetto di natura come ciò che non è spirito, storia e uomo. Abbiamo da un lato una scienza disumanizzata, astorica, aspirituale (anche nel senso di Heidegger: «la scienza non pensa»), 11 dall’altro uno spirito disincarnato, una storia innaturale (forse soprannaturale?) e un uomo ridotto a pura interiorità. Per evitare il dualismo dobbiamo allora evitare in primo luogo di definire la natura per astrazione, eliminando ciò che non è natura per poi recuperarlo o reintegrarlo artificialmente; ciò significa dunque interrogarci su un possibile senso ‘primo’ di natura, di natura non oggettiva né oggettivata. 12 Gran parte dei corsi raccolti in La Nature, dei quali il testo considerato all’inizio è un riassunto, è dedicata all’analisi, nella storia di questo concetto, di come si sia arrivati all’equivalenza di natura e oggetto, cioè alla concezione della natura propria del naturalismo scientifico, dove ‘natura’ è equivalente a ‘oggetto che sta fuori di noi’. 13 Ora, quando si parla di naturalismo, generalmente si tende ad indicare (per quanto una definizione unica di ‘naturalismo’ sia impossibile a darsi, trattandosi piuttosto di un’etichetta utilizzata con un significato che oscilla a seconda del contesto in cui compare) una concezione che vorrebbe ridurre tutto a mera natura (dunque, a natura misurabile, quantificabile e prevedibile metodicamente). Questo non è, però, il senso che la parola assume in Merleau-Ponty. Nelle analisi svolte in queste lezioni si delinea immediata la sua posizione, con tutta chiarezza: La natura non è solamente l’oggetto, il corrispettivo della coscienza nell’incontro della conoscenza. È un oggetto da cui noi stessi siamo sorti, dove i nostri presupposti sono stati posti poco a poco fino al punto in cui si sono uniti in un’esistenza, e che continuano a sostenerla e a fornirle la materia. 14 9 Nietzsche 1981, 17 (v. II, p. 386 ed. orig.). Per Nietzsche il «mondo dietro il mondo» o «mondo dietro le cose» è il mondo dei metafisici, che postulano l’esistenza al di là di ciò che effettivamente c’è – sarebbe a dire, al di là della natura. 10 Merleau-Ponty 1995, 365, come citato sopra. 11 Il detto di Heidegger non significa, come certe letture triviali hanno tentato di imporre, che la scienza sia ottusa o peggio. L’accezione heideggeriana, ci permettiamo di affermare con buona pace di tutte le letture mistico-apocalittiche, non è una svalutazione della scienza, quanto piuttosto una semplice presa d’atto. La scienza si è staccata dalla filosofia; ma ‘filosofia’ è per Heidegger un termine non più adeguatamente impiegabile per l’epoca della fine della filosofia, e andrebbe dunque sostituito dalla parola ‘pensiero’ (Denken). Dunque, la scienza, per il suo stesso movimento interno di sviluppo storico, non è filosofia, cioè (oggi) non è pensiero. Qualsiasi lettura banalizzante di questa frase dimentica troppo facilmente che «Die Wissenschaft denkt nicht» viene asserito proprio nel corso di una serie di Vorlesungen dedicate a capire Was heißt denken?, cioè a capire cosa si chiama pensiero e cosa chiama al pensiero, secondo la duplice interpretazione che l’autore stesso dà del titolo delle lezioni. Cfr. Heidegger 1984, 4. Il detto è ripreso anche nell’omonima conferenza contenuta in Heidegger 1954, 133. Il riferimento a Heidegger è cogente e non casuale, poiché Merleau-Ponty stesso ha sempre attinto molto dal pensiero heideggeriano e, anzi, è stato uno dei primi a cogliere il tardo pensiero del filosofo di Meßkirch in tutta la sua portata. Pochi anni prima, proprio al Collège de France, Merleau-Ponty aveva interpretato in dettaglio un tardo testo heideggeriano, Die Sprache. 12 Joseph Rouse nel suo articolo Merleau-Ponty’s Existential Conception of Science rilegge le critiche di Merleau-Ponty alla scienza in modo convincente non come disinteresse per l’impresa scientifica, cosa che pure è stata malamente sostenuta nonostante il suo continuo ricorso alle scienze, ma come un attacco all’atteggiamento oggettivo: «When Merleau-Ponty spoke of ’science’ in this way (scil: in senso negativo), however, he used the term interchangeably with ’objective thought’». Rouse 2004, 265. Che il riferimento alla scienza sia portante per il suo pensiero diventa chiaro anche dal riassunto del corso che stiamo commentando, cfr. Merleau-Ponty 1995, 357-368. 13 In generale sul problema del naturalismo in Merleau-Ponty si veda Moinat 2012. 14 Merleau-Ponty 1995, 356. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) 132 Diego D’Angelo Il testo affronta dunque alla radice il problema filosofico della natura riunificandolo, si potrebbe dire, con ciò che tradizionalmente è visto come non naturale: natura non è l’oggetto della nostra conoscenza, ciò che ci sta di fronte in un’oggettualità asettica e separata da un soggetto conoscente, ma il tutto da cui l’opposizione stessa nasce. Il motivo per cui le cose stanno così è spiegato immediatamente, con notevole rigore argomentativo: noi (e chi dovrebbe conoscere se non nous?) deriviamo da questa natura, ne facciamo immediatamente parte non appena esistiamo – e non solo: essa continua a fornirci, stando sotto di noi e attorno a noi, la nostra materialità. Il soggetto merleaupontiano – giova ricordarlo en passant poiché sarebbe qui impossibile fornire una trattazione adeguata di questo tema – è un soggetto costitutivamente incarnato, non il fantasma nella macchina contro cui si scagliava Gilbert Ryle né qualsiasi altra forma di cogito cartesiano contrapposto ad una sostanza estesa. Le sue azioni sono sempre azioni carnali, che si muovono dalla carne del corpo per raggiungere la «carne del mondo», come dirà Merleau-Ponty nelle tardi note raccolte sotto il titolo Il visibile e l’invisibile. 15 Dunque non v’è da separare, ma semmai da riunire e riconciliare: la natura non è là, staccata da un soggetto che poi la conoscerebbe. Il soggetto è invece, in quanto corporeo, natura esso stesso. Si vede bene dunque che il concetto di natura, così come Merleau-Ponty lo espone, «sconcerta la riflessione ad ogni sguardo»: 16 né soggettiva né oggettiva, la natura è quell’être primordial che viene prima del dualismo, cioè della separazione soggetto-oggetto, per usare le parole di Jaspers. 17 Dunque concentrarsi sulla natura non significagià voler fare filosofia materialista, 18 né tanto meno immaterialista (immatérialiste), 19 poiché natura non è materia, o quantomeno non solo materia. La natura come essere primordiale sta al di qua della suddivisione, viene prima e la rende possibile: «essa è il nostro suolo, non ciò che ci sta davanti, ma ciò che ci sostiene». 20 Ma il fatto che questa natura venga prima, sia cioè primordiale e renda possibile la divisione, deve essere inteso correttamente: non trascendentale condizione della possibilità, 21 né hyle 22 né chora,23 ma una primordialità che è primordiale solo ordo cognoscendi, cioè prima della separazione epistemologica che noi effettuiamo (forse necessariamente) per conoscere. Non prima del soggetto, non prima della percezione, non archifossil 24 come vorrebbe una rilettura oggi in auge dell’Unvordenkliche 15 Cfr. Merleau-Ponty 1964, 183: «[...] la carne è una nozione ultima, [...] essa non è l’unione o il composto di due sostanze, ma è pensabile in quanto se stessa». 16 Merleau-Ponty 1995, 360. 17 Cfr. in particolare Jaspers 1947, 235-250. Proprio l’uso che Jaspers fa del termine Spaltung indica che, prima di soggetto e oggetto, c’era qualcosa che si poteva appunto separare. 18 In una espressione di Sartre citata da Merleau-Ponty in Senso e non senso si distingue chiaramente tra materialismo e naturalismo: il secondo, se è consistente, «differisce sia dall’idealismo che dal materialismo e costituisce, allo stesso tempo, la verità che li unifica»: Merleau-Ponty 1966, 130. Purtroppo non possiamo soffermarci oltre sul debito che Merleau-Ponty ha nei confronti della concezione marxiana della filosofia, una concezione che, sebbene in gran parte mediata appunto attraverso Sartre, si fa sentire in punti essenziali del suo percorso, dall’importanza della ‘dialettica’ ne La struttura del comportamento a queste tarde note sulla natura; fondamentale rimane però che anche in questo passaggio il naturalismo abbia una propria ‘verità’, e che questa consista appunto nell’unificazione di materialismo e idealismo, cioè in ultima analisi di materia e spirito. 19 Merleau-Ponty 1995, 363. 20 Merleau-Ponty 1995, 20. 21 Qui si intende il termine nel senso kantiano. Merleau-Ponty fa sua una certa concezione della trascendentalità, che qui però non possiamo discutere o approfondire per mancanza di spazio. 22 Sul concetto di hyle in Husserl si veda soprattutto Husserl 2002a, § 85. 23 Per una lettura del concetto platonico di chora (sviluppato nel Timeo, in particolare 47e-54b) nella sua problematicità si rimanda a Derrida 1993 (vedi le pp. 96: «al fine di pensare chora bisogna tornare ad un inizio più antico dell’inizio») e, seppure con accenti ben diversi, a Schelling. Si veda pure Sallis 1999. 24 Meillassoux 2006, in particolare il primo capitolo, pp. 13-38. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 133 schellinghiano, ma: «da esso [scil: l’essere primordiale] a noi non c’è né derivazione né cesura, non c’è l’articolazione serrata di un meccanismo né la trasparenza di un tutto anteriore alle sue parti».25 La primordialità dell’essere primordiale non è la constatazione di un fatto, di una sostanza esistita prima della conoscenza, ché ciò sarebbe un controsenso (parlandone noi la stiamo infatti conoscendo), ma un costrutto teoretico volto a superare determinati problemi epistemologici. 26 Se si accetta questo senso di natura come essere primordiale, un’indagine sulla natura stessa non potrà che essere un’indagine primordiale, diretta cioè a ciò che avviene prima dell’isolamento di una conoscenza snaturalizzata e di una natura indipendente dal soggetto; l’indagine dunque, sia essa scientifica o filosofica, sarà naturalistica. In questo senso il naturalismo come lo concepisce Merleau-Ponty si potrebbe definire come l’idea secondo la quale tutto è natura, cioè essere primordiale. Ed allora ad una tale definizione di naturalismo spetterebbe una sua verità difficilmente negabile: tutto ciò che è è natura, cioè è essere primordiale. Certo: se noi aboliamo la differenza tra natura e spirito poiché entrambi i poli sorgono per stacco 27 dall’essere primordiale, e questo essere primordiale per definitionem è sia natura che spirito, allora non c’è nulla che non sia natura. Se quanto detto rispecchia la posizione merleaupontiana, allora diventa facile capire perché in diversi suoi scritti sia possibile rintracciare molteplici riferimenti a questa verità del naturalismo, che ora ci accingiamo a discutere più in dettaglio. 3 La verità del naturalismo Senza soffermarci sulle preziose analisi che nelle sue lezioni Merleau-Ponty dedica al concetto di natura così come questo è sviluppato da diversi autori della tradizione filosofica occidentale, quali Cartesio, Kant e Bergson, risulta fondamentale per il nostro contesto il fatto che Merleau-Ponty parli un’unica volta di verità del naturalismo nel testo di questi appunti, e che faccia ciò proprio nel mezzo di un confronto con la fenomenologia di Husserl. «C’è una verità del naturalismo. Ma questa verità non è il naturalismo stesso». 28 Merleau-Ponty ha qui di mira quello che si potrebbe definire il ‘naturalismo husserliano’: questo, così ci sembra di poter parafrasare, reinscrive la coscienza pensante e in particolare la coscienza filosofante all’interno dell’universo delle bloße Sachen, il quale però a sua volta non è altro che il mondo degli oggetti costituiti attraverso l’attività della coscienza. Dunque Husserl getta, secondo Merleau-Ponty, il soggetto all’indietro, in quel mondo che egli stesso ha creato (costituito), 29 lasciando così che il naturalismo imploda in una forma di ‘idealismo estremo’. 30 La natura delle bloße 25 Merleau-Ponty 1995, 95. di costrutto teorico non significa negare il peso ontologico del concetto di essere primordiale. Per ‘essere primordiale’ si intende il sostrato (l’unico possibile) di ogni ontologia, che però in quanto tale non è mai dato esperienzialmente e intuitivamente. 27 Per il concetto di ‘stacco’ nella genealogia dei concetti filosofici cfr. Sini 2004. 28 Merleau-Ponty 1995, 365. 29 In questo frangente non possiamo affrontare l’intricata questione dell’aderenza della lettura merleaupontiana all’effettivo senso degli scritti husserliani, né se e in quale misura la critica di idealismo sia giustificata. In rapporto a questa seconda questione basti qui indicare che Husserl stesso definisce la sua filosofia ‘idealismo trascendentale’ (Transzendentaler Idealismus è per altro il titolo del volume XXXVI di Husserliana) pur tentando di evitare più volte gli estremi cui questa posizione può condurre (soprattutto nella quinta delle Meditazioni cartesiane mediante una risposta alla critica di solipsismo che era stata avanzata alla sua filosofia). Di recente la questione è stata riproposta da De Palma 2005. 30 Merleau-Ponty 1995, 365. 26 Parlare Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) 134 Diego D’Angelo Sachen è infatti essa stessa una costruzione teoretica del soggetto conoscente, 31 e reinscrivere in seconda battuta il soggetto all’interno di questo mondo stesso non è altro che un escamotage filosofico per rendere conto dell’esperienza vivente, dell’esperienza leibhaftig, cioè immersa in un continuo scambio col mondo nella sua presenza in carne ed ossa. Così facendo Husserl si preclude la via che porterebbe ad un’analisi degli oggetti pre-teoretici, all’analisi della vita di coscienza prima della scienza, poiché le bloße Sachen sono già espressione seconda, attivamente costruita dal soggetto sulle cose primordiali, semplicemente percepite. D’altronde, Merleau-Ponty non vuole negare che il soggetto sia sempre nel mondo, che all’esserci appartenga essenzialmente l’esser-nel-mondo. Tutt’altro: egli vuole piuttosto cogliere questa appartenenza in modo più originario di quanto ha fatto Husserl (e forse anche Heidegger, almeno prima della Kehre), evitando dunque di riproiettare il soggetto in un mondo che egli stesso ha costituito, ma vedendo il soggetto nel suo sorgere dal mondo, quando la natura non è ancora separata dallo spirito ma v’è puramente l’essere primordiale, antecedente alla separazione e sempre già qui in ogni successiva interrelazione o correlazione. Ecco che allora «il filosofo che costituisce l’essere obiettivo è un uomo, egli ha un corpo e questo corpo si trova all’interno della natura». 32 L’appartenenza del filosofo alla natura, cioè all’essere primordiale, segnala proprio la precedenza assunta dal preteoretico rispetto alla costituzione degli oggetti. 33 Il filosofo appartiene già da sempre alla natura, non c’è bisogno di vederla sorgere attraverso un processo di costituzione. Precisamente questa coappartenenza originaria di pensiero e materialità (in senso largo) costituisce la verità del naturalismo, secondo la quale allora tutto è natura, compresa la filosofia stessa, 34 cioè tutto è essere primordiale. D’altra parte però il naturalismo non è esso stesso la verità, cioè ridurre tutto alla natura classicamente intesa sarebbe del tutto inadeguato all’esperienza che la fenomenologia vorrebbe descrivere. Innegabile è un aspetto del naturalismo, la sua verità: cioè che tutto è natura come essere primordiale e nient’altro al di fuori di essa poiché al di fuori di essa non c’è nulla. Dunque Merleau-Ponty rigetta il naturalismo e allo stesso tempo ne accetta un senso ben definito. Il senso che Merleau-Ponty rigetta è chiaramente quello della scienza moderna, là dove la natura è sottratta al campo d’indagine della filosofia per essere destinata come unico oggetto possibile ad un’unica scienza, la scienza fisica. Se ‘natura’ è uguale a ‘natura fisica’ – dunque misurabile e prevedibile secondo le leggi della fisica – allora il naturalismo è semplicemente falso, per Merleau-Ponty: pretendere di definire qualcosa separandolo da qualcosa d’altro (ciò che non è misurabile e prevedibile) per poi assolutizzarlo come unico essere possibile non è altro che cattiva metafisica. 31 La costruzione teoretica propria della ricerca filosofica si distingue dalla creazione di concetti teorici della scienza prima di tutto in quanto la costruzione filosofica non pretende una qualche oggettività al di là del soggetto filosofico che ha operato la costruzione stessa, e in secondo luogo in quanto il procedimento non è astrattivo ma filosofico in senso lato. La questione spinosa se e in quale senso una costruzione filosofica così ottenuta sottostia ancora al ‘principio dei principi’ husserliana o non superi piuttosto l’impostazione fenomenologica non può essere discusso qui; sia solo accennato rapidamente al fatto che, proprio perché questa costruzione non è operata astrattamente e oggettivamente ma per retroflessione, lo statuto ontologico ed epistemologico dell’essere primordiale non è distinto da quello della Lebenswelt. 32 Merleau-Ponty 1995, 365. 33 Con il termine ‘costituzione’ Husserl indica il processo fenomenologico per cui dal dato esperienziale fornito nell’intuizione (ad esempio, il lato anteriore, effettivamente osservato, di un libro) si giunge a pensare l’oggetto nella sua totalità (il libro nella sua tridimensionalità). Questo termine è da distinguere dal concetto di istituzione (Stiftung), con la quale si indica in modo pregnante la prima costituzione storica, ad esempio l’istituzione di entità geometriche da parte del primo geometra nel Beilage III della Crisi delle scienze europee. Essendo impossibile sviluppare ulteriormente i temi si rinvia alle voci corrispondenti in Gander 2010. 34 Secondo Merleau-Ponty la filosofia non può che entrare a far parte in qualche modo dell’universum realitatis, proprio perché il filosofo stesso fa parte del mondo, è una parte del mondo, cfr. Merleau-Ponty 1995, 365. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 135 D’altronde, è proprio grazie a questa riduzione (o astrazione) che l’atteggiamento scientifico può ottenere i risultati straordinari che di fatto ottiene, facendo per così dire di necessità virtù: la messa in parentesi, per usare una terminologia husserliana, di alcuni aspetti della natura e del vivente fa sì che la ricerca sugli aspetti rimanenti sia efficace grazie al mantenimento di un metodo rigoroso. D’altronde risulta evidente, come già Merleau-Ponty notava in La structure du comportement, che solo un’operazione di astrazione può portare al mondo naturale così come lo vede il naturalista scientifico. Se il vivente, dice Merleau-Ponty, si dà sempre come unité de signification, unità di significazione, ridurlo a mera cosa, a mero oggetto d’indagine significa mettere tra parentesi alcune delle sue caratteristiche necessarie – fino al punto da dover eliminare l’esser-vivente stesso del vivente per vederlo sorgere dal non-vivente, dalla materia. Questa era già la critica husserliana, quando all’inizio di Ideen II scriveva che è sin da principio evidente che tutti i predicati [Prädikate] che noi attribuiamo alle cose sotto i titoli di gradevolezza, bellezza, utilità, adeguatezza pratica, perfezione rimangono interamente fuori dalle nostre considerazioni (valori, beni, oggetti diretti a un fine, utensili, buono-per-qualcosa, ecc.). Questi predicati non riguardano lo studioso della natura, ma fanno parte della natura nel senso che il naturalista [Naturforscher] le attribuisce. 35 Per Husserl il naturalista indaga un campo specifico che è la natura in senso stretto (als bloße Natur), 36 la quale come tale esclude ad esempio le opere d’arte e i valori, cioè lo spirito e la storicità, che però possono a loro volta diventare oggetto d’indagine. E come abbiamo visto Merleau-Ponty condivide questa critica di Husserl. Parlare di una verità del naturalismo ha allora senso se la posizione classicamente riduzionista viene superata. Ma cosa significa andare al di là della considerazione della natura oggettiva per approcciarsi a un’idea di natura più originaria? Certamente, questo non può significare ‘rimettere’ nella natura stessa lo spirito in una sorta di panpsichismo, poiché in questo caso il dualismo sarebbe esasperato e non superato, come si era accennato all’inizio. Ciò che bisogna ritrovare è l’unità di natura e spirito, cioè appunto l’«essere primordiale»: il fatto che vita, spirito e materia non sono tre tipi d’essere separati. Con la terminologia de La struttura del comportamento, dove – come si sa – l’intera ultima parte è sottotitolata «c’è una verità del naturalismo?», bisognerà piuttosto dire che si tratta di «tre piani di significazione». 37 In questo senso l’intero progetto del libro si inscrive nel tentativo complessivo di contrastare il realismo 38 sostenendo che una struttura, o un insieme di leggi nel caso della scienza, non può che darsi ad una coscienza che percepisce il mondo e queste leggi, almeno nei loro effetti. Sulla stessa linea argomentativa Merleau-Ponty potrà sostenere in Fenomenologia della percezione che la domanda se noi percepiamo un mondo è insensata, in quanto il mondo è ciò che percepiamo. 39 Questa affermazione si basa non solo su un rapporto di reciproca implicazione tra mondo e soggetto, tra percepito e corpo che percepisce, ma anche sull’idea per cui mondo e soggetto non sono nient’altro che piani di significazione, non sostanze oggettivamente costituite in se stesse e realmente date, ma strutture di rapporti significativi che si esplicano anzitutto nell’azione e 35 Husserl 2002b, 7-8 (p. 2 ed. orig.) 2002b, 8 (p. 3 ed. orig.). 37 Merleau-Ponty 2013, 306. 38 Nella visione di Merleau-Ponty il realismo, che sostiene che il mondo esiste fuori di noi, riposa esattamente sullo stesso errore dualistico del naturalismo, che dice che tutto è natura oggettiva. In questo senso realismo e naturalismo, per quanto non intercambiabili, sono interamente intrecciati, tanto da essere – specialmente nelle pagine finali de La struttura del comportamento – non sempre facilmente distinguibili 39 Merleau-Ponty 1945, XI. 36 Husserl Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Diego D’Angelo 136 correlazione, nell’agire in un mondo da parte di qualcosa, il corpo cioè, il quale è mondo esso stesso. Non mere cose dunque, ma possibilità di azione, possibilità di un commercio col mondo che non mette il mondo a distanza ma lo coglie come significato, 40 il quale a sua volta può essere spirituale, materiale o vitale a seconda della particolare Einstellung che assumiamo. Per questo: il sensibile non ha solo una significazione motrice e vitale, ma non è nient’altro che un certo modo di essere nel mondo che ci viene proposto da qualche punto nello spazio, che il nostro corpo – se ne è capace – afferra e assume di sé, e la sensazione è, letteralmente, una forma di comunione. 41 Parafrasando, potremmo dunque dire che se la natura non è altro che un certo modo di essere nel mondo, essa non è nient’altro che un significato, in quanto il ‘modo di essere nel mondo’ indica una particolare maniera di essere attivamente in rapporto con le cose, cioè di fornire un significato alle cose. Ora è possibile capire cosa MerleauPonty intenda dicendo che spirito, vita e materia sono solo piani di significazione: essi sono modi della nostra situatività, modi del nostro essere-nel-mondo che articolano le cose secondo strutture semantiche differenti. Non tre diverse sfere del discorso, come a dire che tutto è uno, ma questo uno può essere descritto e osservato da differenti prospettive, siano queste la prospettiva della scienza fisica o della ricerca filosofica; né si tratta qui di atteggiamenti teoretici contrapposti a un mondo in sé che si potrebbe dunque mettere in prospettiva pur mantenendo la sua identità di fondo. Il significato non è astratto, non è elemento del discorso sul mondo, ma è parte del mondo stesso o, detto meglio, è esso stesso mondo e il mondo non è nulla all’infuori del significato, cioè all’infuori delle strutture percettive. Ne La struttura del comportamento, la «verità filosofica del naturalismo» è allora «la struttura», 42 cioè la struttura della realtà in quanto percepita, in quanto un ‘insieme’ percepito come Gestalt. 43 Mettendo insieme quanto detto si può riassumere la posizione che Merleau-Ponty assume nei confronti della natura e della verità del naturalismo nel seguente modo: il naturalismo è vero se il termine ‘natura’ non indica un concetto scientifico e oggettivo ottenuto per sottrazione ed astrazione, ma piuttosto un’origine iperbolica 44 ottenuta per potenziamento e retroflessione (e in quanto tale comunque anch’essa costruita teoreticamente): (1) La natura nel senso dell’essere primordiale di Merleau-Ponty si presenta innanzitutto come natura iperbolica in quanto la sua datità eccede costitutivamente la nostra presa su di essa, va al di là dell’esperienza immediata, indicando sempre nuove esperienze possibili, aspetti co-esperiti, cose con-date (mitgegeben). Essa si sottrae e oppone resistenza. Ciò non significa di nuovo insistere sul dualismo soggettooggetto: noi stessi opponiamo costitutivamente resistenza a noi stessi, ed è la natura (in senso ampio) a fare resistenza su se stessa. Non è necessario postulare due ordini differenti dell’essere per comprendere che qualcosa possa opporre resistenza a qualcos’altro. E ancora più chiaramente, è solo se la natura è intesa in modo semantico e significativo che qualcosa può inter-agire, può rispondere alla nostra azione, e dunque eventualmente ob-porsi, porsi di contro e diventare dunque oggetto per noi. 45 L’iperbolicità della natura sta nel suo opporsi anche nel senso di resistere, di sfuggire 40 Cfr. tra l’altro Merleau-Ponty 2013, 327. 1945, 247-248. 42 Merleau-Ponty 2013, 241. 43 Sul concetto di struttura è ancora fondamentale Bonomi 1967. 44 Dobbiamo il termine a Waldenfels 2012. 45 Il problema dell’op-posizione e del ruolo degli oggetti per la filosofia è stato elaborato in particolare da Figal 2012. 41 Merleau-Ponty Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 137 ad ogni presa che pretenda di averla in toto; ed essa può, anzi deve costitutivamente sfuggire alla presa perché ciò che prende e la presa stessa sono anch’essi natura – è il mio corpo, ad esempio. Dunque, se qualcosa si sottrae, fa resistenza, significa al di là di se stesso verso altro, è perché questo qualcosa è natura, è parte di una natura che esso stesso non può includere completamente al suo interno ma a cui può rimandare; per poter essere iperbolico, cioè, qualcosa deve entrare nel piano di significazione della natura, dell’essere primordiale. Tutto ciò che c’è, è iperbolico già solo per il fatto che c’è. Dunque, tutto ciò che c’è è, in quanto natura, iperbolico, ed è natura in quanto iperbolico. La verità del naturalismo è dunque che tutto è natura in quanto natura iperbolica. (2) Una comprensione corretta della natura non può allora evitare di farsi carico di questa sovrabbondanza di senso e di significato. 46 Anziché disfarsene astraendo e riducendo, un’impostazione naturalistica che voglia pretendere per sé verità dovrà tener presente questo ‘più’ e dunque potenziare il concetto di natura affinché esso sia in grado di rendere conto di questi aspetti. 47 Natura in questo senso è già la relazione tra un soggetto e un oggetto, anziché esserne meramente parte. Il concetto di natura si potenzia venendo ad implicare l’essere umano, dapprima in modo evidente nel senso della sua corporeità, nel senso cioè che il corpo è mondo e natura esso stesso, ma in ultima analisi anche nel senso degli aspetti spirituali di cui quel corpo si fa, per così dire, portatore. La parola ‘implicare’ va intesa qui nel suo senso etimologico di ‘piegare insieme’, ‘avvolgere’: il corpo è una piega della natura, è avvolto da essa e al contempo la avvolge com-prendendola. Alla natura non sta di fronte un soggetto dislocato, ma il soggetto è piega della natura, ‘implicato’ in essa; un concetto di natura che si faccia carico di questa verità sarà dunque un concetto di natura potenziato ed ampliato al punto da poter contenere il soggetto. (3) Questa natura costitutivamente iperbolica e potenziata è un costrutto filosofico. Essa non ‘c’è’ se esserci significa, fenomenologicamente, essere data ad un soggetto che la percepisca, poiché questa natura include il soggetto stesso. Dunque, questa natura potenziata e iperbolica non c’è, non è ‘qui’ di fronte a me come la natura oggettuale. Qual è il suo posto dunque? Essa viene costruita filosoficamente appunto per potenziamento, e poi retroflessa così da costituire la base dalla quale può sorgere qualsiasi dicotomia. Il procedimento è lo stesso che per la hyle husserliana: il puro dato della sensazione io non l’ho mai in quanto se stesso, esso è sempre dato a me in quella particolare forma in cui mi è dato (als das gegeben, was mir gegeben wird), cioè secondo una particolare donazione di senso (Auffassung), è sempre compreso come (als) qualcosa. Ciò non significa però che parlare di hyle sia un nonsenso: allo scopo, puramente epistemologico, di spiegare e argomentare filosoficamente sulla nostra esperienza noi costruiamo qualcosa che non si dà mai, e lo retroflettiamo (cioè lo gettiamo all’indietro) in modo che costituisca la base stessa su cui (nel caso husserliano attraverso la morphé) diventa possibile che qualcosa in generale si dia. Dunque, nella visione di Merleau-Ponty, la natura potenziata e iperbolica è retroflessa in modo da poter significare quell’essere primordiale che non si dà mai (qualcosa si dà a qualcos’altro, ma non c’è un soggetto al di fuori di questa natura) ma che funge da sostrato perché qualcosa in generale si dia. 46 L’idea di una natura sempre già significativa, nonché di una presenza multifocale è rappresentata oggi dal cosiddetto enactivism come approccio alla filosofia della mente: si vedano i due testi, già classici, Thompson 2007 e Noë 2012. 47 Della stessa opinione anche Brice e Bourgeois 2012: “Much clarity in reading and interpreting MerleauPonty is derived from seeing his attempt to upgrade nature, to enrich the view of nature, and to preserve the natal bond between man and nature” (corsivo mio). Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) 138 Diego D’Angelo Se la natura è ciò che abbiamo descritto, cioè natura iperbolica, potenziata e retroflessa, allora il naturalismo è vero. Esso è vero nel senso che dire «tutto è natura» non significa altro che sostenere che tutto si trova all’interno di quel piano di senso che non si dà ma che è retroflesso a elemento primo della correlazione soggetto-mondo. Che sia questa la verità del naturalismo per Merleau-Ponty è confermato da un’ulteriore occorrenza di questa dicitura, nel testo Il filosofo e la sua ombra, notoriamente dedicato appunto a Husserl. Qui, la verità del naturalismo è addirittura duplicata. Con riferimento a Husserl noi possiamo parlare, da una parte (1), di una verità dell’atteggiamento naturale, e in secondo luogo (2) di una verità del naturalismo in senso derivato. Il senso della fenomenologia è di andare alla ricerca di quello «strato preteoretico» in cui materialismo e filosofia della mente si incontrano, cioè alla ricerca di quella natura primordiale che non è soggetto né oggetto in quanto fonte di entrambi. Già la dicitura ‘preteoretico’ indica che ciò che è qui ottenuto è ottenuto per scarto dal teoretico, andando cioè filosoficamente (dunque, teoreticamente) 48 alla ricerca di qualcosa che non è teoretico, e che anzi dovrebbe venire prima del teoretico e fondarlo. La ricerca filosofica costruisce questo qualcosa e lo riflette all’indietro, come detto sopra. Ma, allora, (1) l’atteggiamento filosofico e teoretico (fenomenologico) non è contrapposto all’atteggiamento naturale (natürliche Einstellung) il quale anzi dispone di una sua verità, la verità del naturalismo nel primo dei due sensi elencati. «L’atteggiamento naturale – scrive Merleau-Ponty – supera se stesso nella fenomenologia, e così facendo non si supera». 49 L’atteggiamento naturale non si supera nella fenomenologia, cioè esso mantiene una propria verità come fondamento e terreno (Grund e Boden) della visione teoretica (cioè della filosofia), pur andando al di là di se stesso. La questione della verità del naturalismo in filosofia (2) è stata formulata con pregnanza da Jocelyn Benoist: assumendo che vi sia, come risultato dell’analisi fenomenologica, una regione intenzionale, cioè, nei termini merleaupontiani, un piano del significato dell’intenzionalità, «non dovremmo forse riconoscere, persino in questa regione, una certa verità del naturalismo?» 50 Merleau-Ponty si chiedeva, già all’inizio de La struttura del comportamento, se «non ci sia forse qualcosa di giustificato nel naturalismo scientifico, cioè nulla che, ‘compreso’ e trasposto, debba trovare un posto nella filosofia trascendentale». 51 Nella critica trascendentale o fenomenologica del naturalismo deve dunque essere possibile recuperare, in modo adeguatamente riadattato, cioè stando all’interno della regione intenzionale fenomenologica, qualcosa del naturalismo delle scienze, così come l’atteggiamento naturalistico rimane fondamento e terreno dell’atteggiamento teoretico. Il punto è allora però che, soprattutto nella tarda produzione merleaupontiana, parlare di ‘carne del mondo’ non significa altro, almeno se si vuole seguire l’interpretazione altamente plausibile di Benoist, se non parlare di una intenzionalità generalizzata che sembra lasciare al naturalismo classicamente inteso ben poco spazio. Ma a ben vedere è proprio una intenzionalità generalizzata che permette di mantenere la verità del naturalismo: se, infatti, attraverso l’analisi fenomenologica abbiamo superato l’atteggiamento naturale ritrovando ovunque l’essere primordiale o, il che è lo stesso, una intenzionalità dell’essere, per così dire, che precorre ogni distinzione tra soggetto e oggetto (e che dunque non 48 Sulla natura costitutivamente teoretica dell’indagine filosofica e sul primato della teoria cfr. Figal 2012. 1960, 163. 50 Benoist 2011. Cito della versione originale inglese del testo, che è stato pubblicato in cinese. Poiché si tratta di una versione inedita non fornirò i numeri di pagina; colgo l’occasione per ringraziare cordialmente l’Autore per avermi messo a disposizione il suo illuminante testo. 51 Merleau-Ponty 2013, 3. 49 Merleau-Ponty Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 139 consente alcuna intenzionalità puramente soggettiva à la Husserl), allora il soggetto, o la mente, non può che costituirsi nella natura e a partire dalla natura. Merleau-Ponty dice che «la mente viene al mondo», 52 e Benoist parafrasa con «the mind is outside» 53 : poiché essa è là fuori nel mondo, cioè poiché è natura, essa può poi venire introiettata per costituire il soggetto. Così, la coscienza può essere detta sorgere dalla natura non come un oggetto tra gli oggetti, non come non-materia dalla materia, ma come una particolare piega dell’intenzionalità generalizzata, come una particolare concrezione del reticolo intenzionale. In un secondo momento questa mente pone il mondo a distanza, lo fa obietto distaccandosi da esso e dando dunque a intendere che, fuori di essa, non vi sia nulla di intenzionale. 4 Qual è la verità del naturalismo scientifico? È chiaro che una concezione come quella che abbiamo delineato non è priva di difficoltà. Una prima domanda che si pone è la seguente: se la verità del naturalismo così come questo è inteso da Merleau-Ponty è in ultima analisi una verità retroflessa, non selbstgegeben né evident, non si potrebbe allora reclamare una simile verità retroflessa anche per il naturalismo in senso stretto, per il naturalismo scientifico e oggettivo con la sua metodologia? Detto altrimenti: esiste un possibile naturalismo che sia in grado di mantenere la sua verità filosofica pur continuando in un certo qual modo a muoversi all’interno del dualismo cartesiano, così da includere in una riflessione teoretica di carattere filosofico i risultati della scienza, la quale non può in nessun caso rinunciare agli assiomi fondamentali di un mondo dato in sé e di una verità ‘là fuori’ che si tratterebbe di scoprire e matematizzare? Così come c’è una verità della natürliche Einstellung, così c’è anche una verità filosofica, sarebbe a dire non solo quotidiana, dell’obiettività scientifica, che non consiste solo nella sua ovvietà pratica, cioè nel dare per scontato che certe leggi continuino a valere (ad esempio che in questo momento la corrente elettrica continui ad alimentare il mio laptop), ma anche nel fatto che, così come la natura primordiale è un costrutto teorico per rendere ragione di certi fatti esperienziali al termine di un’analisi fenomenologica, così il naturalismo obiettivo è vero in quanto costrutto teorico (per quanto ottenuto per astrazione, non per retroflessione) 54 per rendere ragione di certi fatti sperimentali al termine di un’analisi scientifica. Se, cioè, il nostro obiettivo è di rendere conto dell’esperienza fenomenologicamente intesa evitando i dualismi e rimanendo fedeli al rigore metodologico di disfarci dei presupposti, allora il nostro naturalismo sarà il naturalismo di Merleau-Ponty, il naturalismo della carne del mondo, dell’intenzionalità generalizzata. Se invece il nostro obiettivo è di rendere conto di certi risultati sperimentali evitando le contraddizioni interne e rimanendo fedeli ai presupposti metodologici del metodo scientifico, allora il nostro naturalismo sarà il naturalismo fisico e oggettivo, che in ultima analisi significa materialismo. Sarebbe infatti un controsenso non essere naturalisti nella scienza, cioè far rientrare dalla finestra uno ‘spirito’ che si era sbattuto fuori dalla porta proprio nel momento in cui si è abbracciato il metodo scientifico stesso. Rimane però, all’interno di questa posizione, spazio per il dibattito su quali tratti debba avere il naturalismo (pure dualistico) della scienza. 52 Merleau-Ponty 2013, 315. 2011. 54 V. sopra, nota 31. 53 Benoist Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) 140 Diego D’Angelo I problemi di questo stato di cose sorgono quando le due varianti del naturalismo si sovrappongono, e cioè in particolare, quando la scienza vuole rendere conto (secondo i suoi propri metodi) di esperienze ed entità (lo spirito, la cultura, la coscienza o qualsiasi altra istanza non puramente materiale) che sono propriamente state escluse dal metodo scientifico, cioè appartengono alla mente introiettata che si slega dal mondo e lo obiettiva (sia nel senso di porselo di fronte, sia nel senso di renderlo oggettivo, cioè valido per tutti). Allora si cerca di rintracciare l’origine della coscienza dalla materia, di ridurre il pensiero a connessioni neurali e così via. Come allora rendere conto di fenomeni che, per quanto siano stati metodologicamente esclusi, pure appartengono alla nostra esperienza naturale, appunto, alla nostra esperienza quotidiana? In che senso, per porre la domanda altrimenti, il riduzionismo scientifico ha una sua verità, se ce l’ha? Secondo l’interpretazione delineata, porre questioni scientifiche su ambiti spirituali è incompatibile con l’impostazione merleaupontiana per diverse ragioni. In primo luogo, la ricerca scientifica ipostatizza la natura per contrapposizione alla mente, e poi cerca di nuovo la mente nella natura oggettivata – senza trovarla. In secondo luogo, la natura senza mente, cioè la natura scientifica, è priva di significato, esattamente il contrario dunque della natura come essere primordiale o intenzionalità generalizzata. In terzo luogo, propria dell’impostazione scientifica nel suo dualismo (almeno nelle prospettive più classiche e ingenue, oggi quasi completamente sparite dal panorama internazionale) è che la mente non ha corpo, mentre per Merleau-Ponty il soggetto è natura in quanto soggetto incarnato, la mente è sempre embodied e anzi, addirittura là fuori nel mondo. Può l’approccio merleaupontiano fornire un appiglio per reinterpretare il naturalismo scientifico nei suoi risultati e fornirgli con ciò un’autentica verità filosofica? Poiché è metodologicamente scorretto tentare di ritrovare nella natura ciò che per definizione vi è stato tolto, è necessario prima di tutto evitare di toglierlo. La natura che si indaga scientificamente è allora una natura iperbolica, potenziata e retroflessa: già da sempre dotata di significato e ulteriore ad ogni tentativo di coglierla, essa rimane comunque un puro prodotto filosofico, allo stesso modo in cui la natura in senso stretto è un prodotto del metodo scientifico. Come detto all’inizio, ciò non significa un mentalismo esacerbato per cui tutto sarebbe pensiero, poiché eliminando la natura in senso stretto si elimina anche la mente puramente spirituale che si era estrapolata da essa. Ciò che bisogna allora descrivere non è la nascita dello spirito dalla materia, ma, là dove ancora non c’è né spirito né materia, la concretizzazione di molteplici strutture intenzionali in un punto, in un’onda nel caos, in una piega del mondo. In questo senso ha allora un significato ben preciso interrogarsi, ad esempio, sul ruolo della mano e dei gesti nello sviluppo dell’autocoscienza: 55 la mano non è un oggetto che afferra cose nel mondo, ma un polo d’azione, una struttura del comportamento, la concrezione cioè di determinate possibilità intenzionali, che non sono – per esempio – quelle proprie della zampa di un gatto o del naso di un coniglio. 56 In questo modo si evita anche la necessità di supporre una natura priva di significato. La natura è significativa in senso pragmatico, per cui il significato che una cosa ha sono le possibilità di azione e interazione con essa. La mano in quanto (parte del) mondo interagisce con altre parti del mondo in modo sempre e necessariamente significativo; l’inter-azione produce un inter-significato, che è dato dalla sovrapposizione dei piani 55 Mi riferisco qui agli ammirabili lavori di Corballis e Tommasello, di cui purtroppo non possiamo fornire qui quella disamina approfondita che pure meriterebbero: Corballis 2003, Tomasello 1999, Tomasello 2008. 56 In generale sul tema dell’origine dell’autocoscienza in filosofia si veda D’Angelo 2012b. Metodo. International Studies in Phenomenology and Philosophy Vol. 1, n. 2 (2013) Maurice Merleau-Ponty e la verità del naturalismo 141 di significati ‘portati’ dai due poli, ad esempio della mano e del bastone afferrato dalla mano. La ‘mente’ non sta più dunque in un ‘dentro’ contrapposto a un fuori, ma la mano è già la mente: essa è già sempre intenzionale perché parte di una natura che è intenzionalità generalizzata. Il punto non è come nasca l’intenzionalità generalizzata dal non-intenzionale, poiché essa stessa è un costrutto teorico, cosa che rende la domanda oziosa, ma: come si passa dall’intenzionalità generalizzata che abbiamo ottenuto filosofando alla soggettività, cioè a quel tipo di intenzionalità singolarizzata e individualizzata che si dà per distacco da un oggetto e che è chiamata mente? Riletti in questo modo, i risultati delle scienze che indagano l’evoluzione e la nascita della coscienza dell’uomo, così come in generale i momenti in cui la scienza si generalizza a includere colui che la scienza la fa (cioè il soggetto, l’uomo, lo spirito con la sua storia, la mente) non sono più accettabili solo all’interno del quadro fornito dal metodo scientifico, ma possono spingersi ad una verità filosofica, non in quanto verità supposta assoluta, ma in quanto al di là dell’incoerenza di ritrovare lo spirito in una natura che sorge proprio nel momento in cui la si definisce come non spirituale. Gli enunciati ottenuti nella ricerca fisica possono dunque essere spostati sul terreno di strutture intenzionali asoggettive, dove non è una mente ad entrare in correlazione col mondo, ma la coscienza e il mondo sorgono dalla correlazione stessa. 57 Un tale spostamento richiede però un cambiamento di lessico legato soprattutto proprio a una nuova ricontestualizzazione della natura come natura iperbolica, potenziata e retroflessa. Così facendo, pur senza entrare nel terreno di una fenomenologia ‘pura’, cioè priva di presupposti di qualunque tipo, si possono affrontare temi che, altrimenti, rimarrebbero esclusi per definitionem dall’ambito di indagine della scienza. Riferimenti bibliografici Benoist, J. 2011, “The Truth of Naturalism”, in Reading Merleau-Ponty, Peking University Press, Pecking. Bonomi, A. 1967, Esistenza e struttura. Saggio su Merleau-Ponty, Il Saggiatore, Milano. Brice, R. G. and P. L. Bourgeois 2012, “Naturalism Reconsidered. 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