Intervista a Papa Gianni, Sud Sound System

Intervista a Papa Gianni, Sud Sound System
Melania Granaldi
La presente intervista è stata raccolta all'interno di una ricerca sui movimenti musicali giovanili nel Salento, con particolare riferimento al reggae e all'hip hop, svolta nello scorso inverno e nella prima metà del 2007. Sarebbe nello stesso tempo lungo e frammentario riferirne, dato il carattere ancora provvisorio del quadro tracciato, ma la presente intervista è utile a fornire alcune
indicazioni sui protagonisti di importanti momenti della storia culturale recente del territorio salentino, delle pratiche che vi si svolgono, dell'uso del dialetto in contesti che non sono quelli della comunicazione quotidiana. Papa Gianni è uno dei fondatori del Sud Sound System, gruppo musicale nato nel 1988,
assurto a grande notorietà sul piano nazionale, i cui testi si caratterizzano perché composti nel vernacolo locale; quel che segue è la trascrizione dell'intervista da lui rilasciatami a San Donato (Lecce) il 27 giugno 2007.
Melania: Ma non canti più con i Sud Sound System?
PG: Sì canto, ma solo a casa mia per la mia famiglia ed i miei amici, non
più per il pubblico. Ora mi occupo dell'amministrazione del gruppo, di contratti, delle pubbliche relazioni.
M: Puoi parlarmi brevemente della vostra storia?
PG: I componenti inizialmente erano Treble, Militar P, Papa Gianni, Dj War
e Don Rico. Poi arrivano Nando Popu e Terron Fabio e nel contempo escono
Treble, Dj War e Militar P, per vari problemi.
Il gruppo nasce nel 1988 per puro caso. Iniziamo a fare delle feste, così, tranquilli... così, sai... passione per la musica, per tutti i tipi di musica; finché non
arriva Militar P con le prime cassette reggae, dei primi toasters giamaicani, inglesi... e ci iniziammo ad innamorare di questo tipo di musica... Iniziammo a
fare feste, controfeste... ed iniziammo a canticchiare, prima in inglese, poi invece iniziammo a scriverci sopra delle robe in dialetto salentino. Da lì, per puro
caso, cí ascoltò un produttore bolognese, cioè Renato Amata: la sua etichetta è
la Century Vox. Così abbiamo prodotto 'sto disco, che piacque tanto al pubblico
dell'epoca e finì, nel giro di qualche mese, nei primi posti della classifica.
M: Ma come nasce l'idea di cantare in dialetto, qual è il passaggio dall'inglese al salentino?
PG: Penso che sia stato un fatto del tutto naturale. Non è stata una forzatura questo fatto di esprimersi nella propria lingua. All'inizio parlavamo dei problemi reali della nostra terra: della mafia, della compravendita dei posti di lavoro, di tante problematiche belle toste. Quindi è stato tutto naturale... è stato
naturale, vivendo nella strada, esprimerci nella nostra lingua. Inoltre il reggae ti
dà la possibilità dí fare musica e cantare con mezzi poveri, cioè non servono
cinque anni di conservatorio... bastavano due piatti, un microfono, e... a ruota
libera cantavi. Fatto sta che la gente fu presa benissimo da questo fatto; cioè, ai
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primi concerti dei SSS c'erano migliaia di persone, famiglie, bambini, anziani,
perché noi eravamo i cinque pazzi che cantavano contro la mafia, capitu? Facendo anche nome e cognome di politici sul palco, dunque: shock! scandalo!
Comunque la gente apprezzava il nostro coraggio e ci incitava...dicevano tutti:
- Avete ragione! Finalmente ci sono stati cinque pazzi che hanno avuto il coraggio di dire come stavano le cose -. Chiunque altro avrebbe avuto paura! A
noi non ce ne fregava niente, eravamo ragazzi di 24/25 anni. Comunicavamo
tranquillamente. Finché poi, va be', le cose si evolvono, cambiano, e abbiamo
iniziato a produrre, a costruirci questo studio [mi mostra lo studio di registrazione nella stanza accanto, sono emozionatissima quando mi conferma che tutte le loro canzoni sono nate lì]. La nostra musica è sempre stata autoprodotta.
Noi autoproduciamo tutto quanto, e poi diamo la licenza per lo sfruttamento
economico ad etichette che hanno più aderenza sul mercato. La musica è nostra,
in modo da non essere condizionati.
M: Georges Lapassade e Piero Fumarola [sociologi, il primo dell'Università Paris VIII, il secondo dell'Università del Salento] hanno definito la vostra
musica "tarantamuffin". Pensi che sia un'etichetta giusta, azzeccata?
PG: Lapassade e Fumarola ci seguivano nelle dance hall e loro, ripeto "loro" hanno creato questa cosa del tarantamuffin, dicendo che noi eravamo i nuovi tarantolati, coloro che continuavano la tradizione del tarantismo. Ma ad un
certo punto ci ha dato così fastidio quest'etichetta che ci avevano affibbiato che
li abbiamo sbattuti fuori dalle dance hall ed abbiamo chiuso i rapporti. Io non
metto in dubbio la loro cultura, i loro studi, ma non puoi analizzarmi come se
fossi un fenomeno da baraccone o una cavia. Non siamo né tarantolati, né continuatori della pizzica.
M: Papa Ricky mi ha raccontato che negli anni 80/90 la pizzica non era ancora stata rivisitata, riscoperta. Pensi che sia stata la luce che avete gettato voi
sul Salento a far riemergere l'antica tradizione della pizzica, oggi ormai famosa nel mondo?
PG: Sì, ma è una cosa che mai nessuno al mondo potrà riconoscerci. Però
noi, effettivamente abbiamo iniziato a frequentare le classiche "putee de mieru", sparse tra Lecce e provincia, come Totu, Angiulinu, ai suoi tempi d'oro...là
incontravamo questi personaggi: noi facevamo reggae e loro cantavano e suonavano pizzica. Alla fine questo connubio è piaciuto ad un bordello di gente, e
da là hanno iniziato a riprendere 'sti testi, 'ste musiche. In effetti nei primi testi
come "arzate San Givanni", "na sira", "turcinieddrhi", ho utilizzato passi tratti
dalla cultura salentina, ma erano passi veramente brevi, per non dimenticare
quello che era successo, poi è esploso il successo.
M: La dance hall nasce in un ottica di gratuità, fuori dalle logiche consumistiche delle discoteche, come mai oggi ad alcune dance hall si paga un biglietto di 8/10 euro?
PG: Per offrire un servizio, una situazione decente, devi stabilire un prezzo
d'ingresso...ma non per un guadagno personale, ma affinché le feste avvengano in sicurezza, pagando la SIAE, rispettando le norme. Ci sono spese da sostenere per il palco, per i permessi, per allestire un servizio bar... Devi riuscire
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a rientrare nelle spese. È chiaro che non si tratta di un biglietto d'ingresso come quello delle discoteche, da 20/25 euro!
M: Come nasce il vostro amore per il reggae giamaicano? Quali sono i primi artisti che avete ascoltato?
PG: Dall'88 ad oggi la scena del reggae è cambiata moltissimo. Parliamo
dei primi toasters giamaicani come Yellowman, U Roy, una serie di personaggi
che si rifacevano al reggae classico, quello che proviene direttamente dal rock
steady, dal blues. Da allora il reggae si è velocizzato, è più elettronico. Oggi i
testi e le musiche sono accompagnati da coreografie. Una roba diversa.
Oggi la musica reggae si è globalizzata. Prima era la musica dell'isola, usata come mezzo di ribellione, di trasmissione di cultura. Oggi c'è nu bellu business seriu... pensa ad artisti tipo Shagghy, che fa la colonna sonora per la pubblicità della Levi's. Il fenomeno è diventato molto più diffuso, più giovanile, ma
molto più blando. Ha perso la sua connotazione di musica di rivolta, è più un
fenomeno di massa.
M: In Italia, molti sociologi e giornalisti includono il raggamuffin nel più
ampio movimento dell'hip hop. Sei d'accordo con questa analogia, o pensi che
non abbia senso?
PG: Come in tutte le cose, in Italia, c'è molta approssimazione ed ignoranza. Della serie che il 90% dei giornalisti parla senza sapere che cazzo dice! Il
reggae nasce nelle town-ship giamaicane, dove ci sono problemi molto seri...
poi i problemi sono "problemi" ovunque. In Giamaica c'erano problemi di sopravvivenza, di mancanza di cibo... Nei ghetti neri c'era il problema sociale
dell'emarginazione, delle lotte tra bande armate, del crack... Comunque la radice di tutto il movimento è il reggae. I neri d'Africa sono stati portati nelle Antille, dove li hanno fatti lavorare. Dall'incontro tra il nuovo mondo e le vecchie
tradizioni africane si è creata una nuova musica, che ha radici africane, ma un
linguaggio nuovo, che è quello americano... E gli americani, da soliti colonizzatori, sono andati in giro a carpire il meglio da questa situazione. Diciamo che
in realtà l'hip hop è una derivazione del reggae, ma questo fatto non è riconosciuto. Entrambi i generi musicali nascono come mezzo di rivolta alla povertà,
all'emarginazione, al disagio sociale. Calcola che comunque al governo c'erano dei bianchi. Sono due stili che nascono in contemporanea.
Dunque l'hip hop, il reggae, derivano da 'na stessa matrice, de 'nu stessu
ceppu culturale. Ad un certo punto, in Italia, nun se parlava de reggae e de hip
hop, ma de "musica delle posse", che non ha un cazzo di significato! Na posse
simu pur nui trede, ca stamu aquai e sta parlamu!
M: Come mai non ti piace l'idea del Centro Sociale? Eppure i SSS nascono
all'Isola nel kantiere di Bologna!
PG: I Centri Sociali nascono tra 1'85 e il '90 con buoni propositi...come liberare gli spazi, ottenere diritti...Ma negli ultimi anni era diventato un rifugio di
fannulloni...gente che non gli andava di fare un cazzo...facevano le serate solo
per alzare soldi, ma comunque non voglio generalizzare. Oggi il 90% dei centri
sociali ha chiuso. Poi c'è qualche centro sociale che si è trasformato in azienda,
come il Leonkavallo di Milano. Quello che è rimasto un po' più genuino è il Vil125
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laggio Globale. Lì la faccenda, quantomeno, ha dei risvolti sociali.
M: Secondo te quali sono i fattori che hanno fatto sì che il reggae si sviluppasse qui, piuttosto che altrove?
PG: Secondo me, principalmente il clima. Questa situazione molto meridionale, slow, lenta... pacata... su ogni decisione servono prima do ure de discorsi, de parole, e poi si rimanda di un mese la decisione... Ci sono delle assonanze
tra tutti i sud del mondo... e poi ripeto, la spontaneità, l'immediatezza con cui
è nata la cosa, "cotto e mangiato", senza elaborazioni... senza giochi di parole,
senza puttanate...
M: Ma pensi che la somiglianza dei suoni gutturali presenti nel dialetto salentino abbia influito?
PG: Si, molto. Insieme all'immediatezza di parlare di quello che si vive per
strada...Tu quello che vivi non sempre riesci a tradurlo in musica...io si, e se
tu me sienti te piace... perché ti rispecchi in quello che io dico... è una sorta di
catarsi, possiamo chiamarla catarsi? Chiamiamola catarsi!
M: Siete consapevoli di essere stati stimolatori di creatività in questo campo?
Ne sono dimostrazione evidente tutti i nuovi piccoli artisti che si avvicinano oggi, nel Salento, alla musica reggae... Avete fondato, a mio avviso, una scuola!
PG: Non si inventa nulla, era un fatto naturale! Se non ci fossimo stati noi
ci sarebbe stato qualcun altro che l'avrebbe fatto.... Sono contento che noi siamo stati i primi. Inoltre è molto positivo che ci siano tanti giovani che cantano,
che entrano nel "giro" del reggae, quanto meno stanno lontani da altri giri di
merda, com'era vent'anni fa! Per dire... in un paese come questo, San Donato,
vent'anni fa, nel giro di un anno ci sono stati otto omicidi, capitu? Si trattava
anche di ragazzini di 17/18 anni. Per fortuna sembra che la situazione sia migliorata. C'è stata una presa di coscienza culturale...sta roba del reggae ha aiutato molte persone a non finire in brutti giri, come quello dell'eroina... prima
era l'unica cosa che teneva uniti i giovani! Evitavi di finire ai confini della devianza e ti sentivi una persona più attiva, più creativa, oltre che più consapevole! Il reggae per questo è stato molto importante!
Che poi noi non eravamo nessuno. Io lavoravo in campagna, ed è quello che
faccio tuttora... Quando è uscito il primo disco, tutto potevamo pensare, tranne
che sarebbe arrivato ai primi posti della classifica! È nato tutto per caso, forse
era un segno del destino, doveva andare così. Adesso abbiamo acquisito un po'
di mestiere... c'è del business intorno ai SSS, ma rimaniamo sempre persone di
strada, perché è la strada che ci ha dato l'ispirazione. Noi mangiamo, viviamo,
respiriamo strada, con tutti i problemi annessi e connessi... ecco perché le istituzioni non ci vogliono bene! Né i politici, né la polizia, né la finanza... perché
noi siamo additati come quelli che si fanno le canne, quelli che spacciano... che
poi, in realtà, siamo il capro espiatorio di una situazione molto più grave!
L'intervista formale si conclude qui, ma abbiamo continuato a chiacchierare per un altro po'. Mi ha parlato della gioventù di oggi, della crisi culturale,
politica e morale che stiamo vivendo. Secondo Papa Gianni dovremmo abolire
il termine "crescita", per adottare una modalità opposta, che consenta un recupero di condizioni da vivere meno in fretta.
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