INTRODUZIONE L’assessment psicologico implica, nella maggior parte dei casi, una predizione. Per lo psicologo è importante avere degli elementi predittivi riguardo alle caratteristiche di personalità, ai comportamenti indesiderabili da parte del paziente e agli esiti dell’intervento terapeutico. Di fatto, il processo di decisionmaking clinico implica vari fattori (osservazione dei sintomi, ricerca di indizi nel comportamento attuale o nella storia personale del paziente, pianificazione del trattamento, prognosi) che giustifichino l’uso di diverse tecniche di assessment per stabilire la diagnosi e pianificare il trattamento. I problemi psichiatrici e psicologici coinvolgono le emozioni, i comportamenti, le abilità cognitive e il funzionamento globale dell’individuo è difficile da valutare; i criteri per definirlo sono complessi e perfino gli esperti commettono degli errori durante l’assessment (per esempio, sottostimando una situazione clinica ad alto rischio o sottostimando il funzionamento globale del paziente). I test di personalità e di psicopatologia possono fornire diagnosi accurate se combinate con tecniche supplementari capaci di amplificarne il potenziale diagnostico: le reti neurali artificiali (ANNs: Artificial Neural Networks). Le reti neurali sono comunemente conosciute come tecniche di analisi non lineari altamente sofisticate, ispirate ai principi strutturali e di funzionamento del sistema nervoso biologico. Il crescente interesse nei riguardi delle reti neurali è dovuto al fatto che esse sono strumenti di analisi in grado di garantire buoni risultati nella diagnosi medica e psicologica, settori “in cui i dati di partenza sono caratterizzati da soggettività, imprecisione, un’alta dose di rumore e incompletezza” (Jones, 1990). Le reti neurali sono in grado di riconoscere dati e pattern rilevanti, laddove i classici modelli statistici richiedono una conoscenza a priori delle relazioni tra i fattori oggetto d’indagine (Giannini & Lauro-Grotto, 2002). Inoltre, il modello delle reti neurali consente l’inclusione di un gran numero di variabili (Bishop, 1995) e l’assunzione di normalità non deve essere I CAPITOLO 1 LE RETI NEURALI ARTIFICIALI 1.1. Introduzione Agli inizi degli anni Ottanta, presso l'Università della California a San Diego, alcuni ricercatori cominciarono a riunirsi e a discutere sul tema delle reti neurali artificiali: grazie al lavoro degli psicologi statunitensi David Rumelhart e James McClelland nacque il Connessionismo, termine utilizzato in psicologia per indicare lo studio delle reti neurali. Il connessionismo abbraccia tutto un insieme di modelli e di approcci, teorici e tecnici, solitamente definiti “sistemi dinamici non-lineari”, “sistemi dinamici complessi”, “sistemi di elaborazione distribuita parallela”, “memorie associative”, “reti neurali artificiali”. Pur essendovi delle differenze negli approcci e nella terminologia, si rileva una sostanziale base comune1. I modelli connessionisti – conosciuti anche come modelli di elaborazione distribuita parallela (dall’inglese Parallel Distributed Processing) – sono una classe di modelli computazionali utilizzati per modellare gli aspetti della percezione, della cognizione e del comportamento umani, i processi di apprendimento che sottendono tale comportamento, l'archiviazione e il recupero delle informazioni dalla memoria. L'approccio incarna una prospettiva particolare nella scienza cognitiva, basata sull'idea che la comprensione del comportamento e degli stati mentali deve essere vincolata dalla conoscenza dei processi neurali alla base della cognizione (McClelland & Cleeremans, 2009). Si parla di una vera e propria “rivoluzione scientifica” sia perché il connessionismo è emerso molto rapidamente nello spazio di pochi anni, sia perché è divenuto espressione di un sostanziale capovolgimento dei punti di vista e dei modi di procedere che si erano consolidati con l’intelligenza artificiale e con la scienza cognitiva. 1 Cfr. Parisi, D. (1989). Intervista sulle reti neurali: Cervello e macchine intelligenti. Bologna: Il Mulino. 1