CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE Classe XV - Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali Facoltà di Scienze Politiche Università di Cagliari LE RELAZIONI INTERNAZIONALI E LA POLITICA DI COOPERAZIONE TRA LA FRANCIA E L’ALGERIA INDIPENDENTE RELAZIONE FINALE di Daniel Corrias Supervisore Prof.ssa Bianca Maria Carcangiu Anno Accademico 2007-2008 Introduzione Capitolo I I RAPPORTI DURANTE L’EPOCA COLONIALE 1.1 Lo sbarco a Sidi Ferruch. 1.2 Le conseguenze dello sbarco. 1.3 I movimenti di resistenza alla conquista. 1.4 L’Amministrazione Coloniale : dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero 1.5 Dalla Terza Repubblica alla prima guerra mondiale. 1.6 La nascita dei primi movimenti nazionalisti 1.7 Il movimento dei Giovani Algerini. 1.8 La nascita del primo partito nazionalista : L’ ENA. 1.9 La Federazione degli Eletti. 1.10 L’Associazione degli Ulema. 1.11 La repressione Francese alla vigilia della seconda guerra mondiale. 1.12 Dal dialogo postbellico all’insurrezione ed il Manifesto del popolo algerino. 1.13 Gli incidenti di Setif e la nascita dell’U.D.M.A. 1.14 Lo Statuto del 1947. 1.15 L'evoluzione dei partiti e le elezioni. 1.16 Dal Fronte Algerino alla nascita del CRUA. 1.17 La guerra di liberazione. 1.18 De Gaulle al potere. p. 4 p. 6 p. 7 p. 8 p. 9 p. 11 p. 13 p. 14 p. 15 p. 18 p. 20 p. 22 p. 23 p. 26 p. 27 p. 29 p. 30 p. 32 Capitolo II DALL’INDIPENDENZA AGLI ANNI 80 2.1 Gli accordi di Evian 2.2 Il programma di Tripoli. 2.3 Come ricostruire il paese? 2.4 L'assistenza finanziaria francese. 2.5 Gli scambi commerciali. 2.6 I rapporti tra Francia e Algeria sotto Boumediène. 2.7 Gli accordi petroliferi del 1965. 2.8 Gli accordi in materia finanziaria. 2.9 Divergenze bilaterali e convergenze internazionali. 2.10 La Nazionalizzazione delle risorse. 2.11 Dalla banalizzazione dei rapporti alla ricerca di un nuovo equilibrio. 2.12 La crisi e le conseguenze sull'immigrazione. 2.13 La congiuntura internazionale ed il riavvicinamento. 2.14 I rapporti sotto la presidenza di Giscard d’Estaing. 2.15 La prima visita ufficiale. 2.16 L'Algeria e la Francia nella questione del Sahara Occidentale. p. 39 p. 42 p. 44 p. 46 p. 48 p. 50 p. 54 p. 57 p. 59 p. 60 p. 63 p. 64 p. 66 p. 68 p. 70 p. 71 2 Capitolo III I RAPPORTI NEGLI ANNI 80 E 90 3.1 Chadli Bendjedid il nuovo Presidente dell’Algeria. 3.2 La sinistra al potere in Francia. 3.3 Rilanciare la cooperazione. 3.4 Chadli Bendjedid in visita a Parigi nel novembre 1983. 3.5 Nuovi problemi all'orizzonte. 3.6 Le rivolte del 1988. 3.7 Le elezioni municipali del giugno 1990. 3.8 Le elezioni legislative del giugno 1991 p. 75 .p. 76 p. 78 p. 80 p. 81 p. 83 p. 86 .p. 87 Conclusione Bibliografia p. 90 3 Capitolo I I RAPPORTI DURANTE L’EPOCA COLONIALE 1.1 Lo sbarco a Sidi Ferruch. Gia tra il XVI e il XVIII secolo i rapporti tra l’Algeria e la Francia avevano conosciuto l’ alternarsi di disaccordi e di riavvicinamenti, per ragioni essenzialmente economiche. Agli inizi del XVI secolo la Francia, che si preoccupava delle attività dei corsari nel mediterraneo, fece un intesa con il sultano di Costantinopoli e stipulò un accordo di principio con la Reggenza d’Algeri, da esso dipendente. Questo accordo avvantaggiava la Francia per almeno tre motivi: dava sicurezza che i corsari non si sarebbero più occupati delle navi mercantili francesi, attribuiva una sorta di monopolio sull’ estrazione del corallo alla Francia su certe zone del litorale algerino e consentiva l'installazione di un consolato francese d'Algeri che avesse poteri esclusivi sui cittadini francesi1. Successivamente, durante il periodo delle guerre napoleoniche, il Dey di Algeri mantenne un atteggiamento spesso amichevole verso la Francia. Malgrado le minacce dell'Inghilterra, egli non si limitò a consentire alle navi francesi di approvvigionarsi nei suoi porti, ma giunse a concedere ai francesi dei prestiti e ad autorizzare delle forniture di cereali il cui regolamento diede origine ad incidenti che condussero alla conquista dell'Algeria2. In quel periodo anche altre potenze europee tentarono di avere delle relazioni commerciali con la Reggenza di Algeri, perché installarsi in questa regione rappresentava un mezzo di notevole importanza strategica per dominare il Mediterraneo. La Francia però non gradiva che l'Algeria intraprendesse relazioni diversificate con altre potenze e per questo motivo accelerò il suo coinvolgimento in questa regione per evitare di vedersi preceduta3. Già nel 1798 Napoleone accarezzò l'idea di occupare la Reggenza per costruirvi una base per la sua lotta contro la Gran Bretagna e per questo motivo fece fare dei rilevamenti ad un maggiore del genio militare, il generale Boutin, che segnalò la penisola di Sidi Ferruch come il punto più adatto per eseguire uno sbarco4. Nel XVIII secolo inoltre una diminuzione degli introiti della pirateria e la stagnazione della produzione indebolirono economicamente la Reggenza turco-algerina, che divenne debitrice delle grandi potenze e fin troppo dipendente dalle fortune del commercio internazionale5. Sul piano interno non si hanno per il periodo che va dalla instaurazione del Dey allo sbarco francese molte notizie attendibili. Le zone dell'interno erano teatri di vari tentativi autonomistici specie nelle regioni della frontiera tra la pianura e gli altopiani e verso le zone desertiche del Sahara. Dal punto di vista amministrativo 1 T. Bensalah, La République Algérienne, librarie générale de droit et de jurisprudence, Paris, 1979, p. 23 2 Enrico De Leone, La colonizzazione dell'Africa del Nord, Cedam, Padova, 1957, p. 63. 3 T. Bensalah, op.cit., p. 24. 4 C. R. Ageron, Histoire de l’Algérie contemporaine,Presses Universitaires de France, Paris, 1969, p. 6 5 G. Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente: dalla guerra di liberazione al fondamentalismo islamico, Bompiani, Milano, 1998, pp.12-18. 4 era possibile dividere il paese in due zone: il bled al-maghzen (paese sottomesso al governo centrale) e il bled el-Siba (paese della dissidenza). A seconda dell'autorità e delle relazioni personali del dey una zona governativa si allargava, o si restringeva, a danno o favore della dissidenza6. Fu una disputa circa un'operazione finanziaria tra la Francia e l'Algeria, in piena crisi, a rappresentare il pretesto della pressione francese, che dopo alcuni anni di tensione e di incidenti, portò nel 1830 allo sbarco ed alla conquista algerina. Dopo aver contratto un credito con la Francia relativo alla vendita ad ingenti quantitativi di grano, ed aver più volte sollecitato il governo francese al pagamento, il Dey ricevette il 29 aprile 1827 il console francese Duval invitandolo a saldare il conto. Un secco rifiuto da parte del console provocò una reazione del sovrano che lo invitò ad andarsene colpendolo più volte con uno scacciamosche7. Questo episodio indusse la Francia ad inviare ad Algeri una divisione navale per ottenere una riparazione ostinatamente negata dal Dey Husain8. Dopo quasi tre anni di blocco navale imposto dalla Francia all'Algeria, nell'agosto del 1829 il vascello francese di "La Povence", battente bandiera parlamentare, subì il fuoco delle batterie algerine.L'insieme di questi avvenimenti indusse il governo francese di Carlo X a rompere gli indugi e ad attaccare la Reggenza9. Nonostante questa fosse la versione ufficiale data da Parigi, alla luce dei fatti, questa giustificazione dell’impresa appare alquanto semplicistica. Lo sbarco aveva ragioni ben più profonde e queste andavano cercate innanzitutto nel desiderio del vacillante regime di Carlo X di superare difficoltà in politica interna con un'operazione di prestigio10. Dopo le iniziali preoccupazioni sulla possibile reazione della Gran Bretagna, interessata a mantenere l'equilibrio del Mediterraneo, ad un attacco francese in Algeria, il primo ministro Polignac superò ogni apprensione di complicazioni internazionali ed i preparativi per la spedizione furono condotti con molta rapidità. Dopo circa tre mesi di allestimenti, la flotta dell'ammiraglio Duperré, con a bordo e il generale di Buormont ed un corpo di trentamila uomini partì dal porto di Tolone il 25 maggio 1830. Lo sbarco ebbe luogo il 14 giugno 1830 a Sidi Ferruch e dopo una breve resistenza da parte algerina, le armate francesi costrinsero il Dey Husain a firmare il 5 luglio 1830 una convenzione che prevedeva la capitolazione. Forte di questi primi successi in generale Bourmont, a cui era affidato il comando delle truppe, annunciava il 7 luglio a Parigi che la Reggenza sarebbe stata ridotta in suo potere entro massimo 15 giorni. La conquista dell'Algeria nella sua totalità del territorio si presentò invece lunga e costosa, ma ciò che importava in quel momento al pericolante governo francese presieduto da Polignac, era influenzare favorevolmente l'opinione pubblica, in occasione del conflitto con la Camera dei deputati che accusava la Monarchia di essere troppo passiva verso le potenze straniere. In realtà il successo dello sbarco ad Algeri non salvò Carlo X che fu costretto il 29 luglio a rinunciare al trono in favore del duca d’Orléans, re sotto il nome di Luigi Filippo I11. 6 R. Rainero, Storia dell’Algeria, Sansoni, Firenze, 1961, p. 77-78 altre versioni raccontano invece di un colpo di "ventaglio". Vedi. ex De Leone, op.cit., p. 64 8 E. De Leone, op.cit., p. 64 9 G. Esquer, Histoire de l’ Algérie (1830-1960), Universitaires de France, Paris, 1960, p.7 10 T. Bensalah, op. cit., p. 25 11 C. R. Ageron, op. cit., pp. 8-9 7 5 1.2 Le conseguenze dello sbarco. Al momento dell'offensiva del colonialismo, l'Algeria non poteva competere con le potenze tecnicamente e militarmente superiori, anche a causa della sua inferiorità sul piano politico e amministrativo. Il potere risentiva della lontananza non solo geografica della Turchia e le strutture dello Stato, in materie come la fiscalità o il controllo degli scambi, erano ancora fortemente inadeguate. La spedizione francese colse la Reggenza in una condizione di particolare vulnerabilità quando la costruzione statale e nazionale era appena iniziata. Come affermò fieramente il capo della spedizione francese il generale Boumont :"venti giorni sono stati sufficienti ad abbattere uno Stato la cui esistenza da tre secoli esasperava l'Europa"12. Quanto alle ripercussioni internazionali che l'impresa ebbe, esse furono caratterizzate da una calma imprevista da parte della Gran Bretagna, che pure era la principale potenza interessata ad evitare sia una qualche affermazione di prestigio da parte della Francia, sia un suo stanziamento permanente nelle coste algerine, non lontane dalla strada che portava l’impero britannico verso il vicino oriente. La Gran Bretagna probabilmente travagliata dalle vicende interne che avrebbero poi portato i liberali al potere nel novembre del 1830, tramite il Ministro degli esteri Lord Aderdeen si limitò, il 26 luglio, a chiedere blandamente a Carlo X di un ritorno allo status quo13. Nonostante che Carlo X avesse potuto godere di una rinnovata popolarità con la conquista di una parte del Nord Africa, ci si rese ben presto conto che la capitolazione di Husain non era la sottomissione della Algeria. L'estromissione del Dey decapitò la Reggenza e l’intera armatura della sua amministrazione si sfasciò, ma proprio perché l'esercizio delle autorità del Dey era territorialmente incerto la sua sconfitta non equivaleva all'occupazione di tutta l'Algeria. La conquista dell'Algeria era stata "prematura" rispetto allo stadio di sviluppo del colonialismo europeo, la Francia non aveva ancora né una politica di espansione formata né una spinta interna che avrebbe potuto giustificare un inverno coloniale. Ma il governo francese si convertì presto all'idea di fondare nel Nord Africa un imponente colonia. La politica francese in Algeria, nei primi anni di colonizzazione, fu improvvisata e incerta, priva di direttive coerenti è affidata all'iniziativa dei singoli governatori. Gli ininterrotti cambiamenti istituzionali in Francia, dal regno di Carlo X alla Monarchia di Luglio, dalla seconda Repubblica al secondo Impero e quindi alla terza Repubblica, sottoposero l'amministrazione ad innumerevoli sbandamenti, tanto più che i vari regimi, rappresentanti gli interessi di altrettante classi sociali e portatori ognuno del proprio ideale, perseguivano in campo coloniale obiettivi e politiche in qualche modo discordanti14. I primi anni di conquista non furono per l'Algeria i peggiori data anche una limitatezza delle zone occupate e soprattutto l'incertezza riguardo al futuro della presenza francese. 12 G. Esquer, op. cit., 11 R. Rainero, op. cit., p. 79 14 G. Calchi Novati, op. cit., pp. 15-16 13 6 Dallo sbarco al 1834 l'Algeria, il cui controllo francese si limitava ad Algeri e dintorni, si presentava totalmente priva di istituzioni civili e praticamente in preda ad un regime puramente militare. Il "Comandante del corpo di spedizione" divenuto poi "Comandante supremo dell'esercito d'Africa" e quindi "Comandante del corpo di occupazione" sostituiva e accentrava nelle sue mani ogni autorità amministrativa, economica, politica e giurisdizionale su tutto il territorio sottoposto al controllo delle truppe. Per i primi i primi dieci anni la politica francese in Algeria contraddistinta dall'indecisione, dalla mancanza di sistema, dalla discontinuità di indirizzo: i governatori, quasi tutti i militari, si succedettero con una sconcertante frequenza e ciascuno preoccupato di seguire una politica diametralmente opposta a quella del suo predecessore.15 Inoltre il fatto che nemmeno i ministri del parlamento francese possedessero informazioni precise su questo paese, i suoi abitanti, le sue risorse rendeva impossibile attuare delle politiche determinate16. L'ignoranza totale del paese da parte di comandi francesi, i metodi di conquista impiegati, gli abusi commessi e lo strapotere dei militari francesi non mancarono poi di fare da catalizzatore alle nascenti resistenze algerine che si stavano nel frattempo sviluppando. 1.3 I movimenti di resistenza alla conquista. Dopo la caduta del Dey Husain e lo sbarco francese la situazione interna delle popolazioni algerine si presentava in pieno fermento e la piena occupazione francese del territorio, lungi dall'essere rapida come sperato, si divise in diverse fasi Durante la prima fase della conquista che andava circa dal 1830 al 1841 quando la Francia trovava in Abdel Kader, il capo in grado di mobilitare consensi tra la popolazione in Algeria in modo da creare una forza di dimensioni quasi nazionali. La seconda fase andava dal 1841 al 1847 ed era dominata dalla guerra contro lo stesso Abdel Kader mentre la terza, tra il 1847 e il 1857, si può identificare con la conquista dell’Aurès, nelle oasi meridionali e infine della Cabilia. La quarta fase , quella conclusiva e andò 1857 al 1871, ed è stata caratterizzata dalla repressione francese delle ultime rivolte delle popolazioni locali. Nel 1871 l’ insurrezione capeggiata da Mohammed el-Hadj el-Moqrani, può essere considerata l'ultimo movimento di opposizione generalizzata fino all'insurrezione scatenata dal Fronte di liberazione nazionale nel 1954. Ma in tutti quegli anni di stabilità apparente la dialettica di fondo fra colonizzazione e resistenza della nazione araba algerina, da una parte per la sottomissione definitiva della Algeria e dall'altra per la conservazione dell'identità (lingua e religione), non venne mai meno, almeno allo stato latente17. Nel ventennio circa del regno dei Luigi Filippo Orlèans, che sarà deposto sua volta nel 1848 con quella che è passata alla storia come la "rivoluzione di febbraio", nella mancanza di un sistema accentrato all'interno della nebulosità della realtà algerina, i vari tentativi di conquista si diramavano in tanti rivoli, dissanguando in guerre senza fine le forze francesi, che trovarono nelle regioni della Cabilia i maggiori ostacoli. Fu con un certo sollievo, per quanto paradossale 15 E. De Leone, op. cit. , p.67 G. Esquer, op. cit., 10 17 G. Calchi Novati, op. cit., pp. 22-26 16 7 possa sembrare, che la Francia salutò l'emergere di un leader come Abdel Kader, che aveva in titoli e le capacità per dare l'Algeria minimo di unità: lo scontro finale con l’emiro doveva essere infatti la soluzione del problema della conquista. Per tutto il primo periodo della colonizzazione francese, la resistenza non raggiunse una dimensione nazionale mobilitando il grosso della popolazione musulmana contro l'occupazione nei confini di quella che sarebbe diventata l'Algeria moderna e contemporanea, ma tra il 1830 e il 1948 l'emiro riuscì a trovare vasti appoggi tra le tribù creando un movimento che univa alla difesa contro "l'infedele" l'opposizione ai resti della "tirannia turco ottomana" 18. Abdel Kader nacque nel 1808 a Mascara da una famiglia molto religiosa. Divenne presto in patria uno dei massimi esponenti della cultura religiosa, all'età di soli venticinque anni acclamato come "re degli arabi" fu chiamato da tre grosse tribù della regione di Orano a dirigere in qualità di emiro la resistenza contro la Francia19. La volontà che spingeva Abdel Kader alla guerra contro la Francia era l'espressione di una consapevolezza politica ben determinata, di un patriottismo che voleva difendere insieme la libertà e la terra, e rappresentava quindi la prova di un attaccamento alla religione e alla cultura musulmana. Gli storici algerini hanno provveduto a rivalutare l'opera di Abdel Kader, smontando in particolare alla tradizione storiografica di scuola europea che ha ridotto l'azione dell'emiro a livello di una "guerra santa", più che ad un movimento di stampo nazionalista. La grave sconfitta francese della Macta, il 12 giugno 1835 segnò l'inizio delle ostilità con Kader e il suo esercito, che durarono fino al 20 maggio 1837 e si conclusero con il trattato di Tafna. Con questo trattato, in realtà abbastanza ambiguo20, la Francia riconosceva la sovranità all'emiro sulla provincia di Titteri e su quasi tutta la provincia di Orano21. Abilissimo condottiero Kader non aveva però la statura e i mezzi di un statista. Nonostante la creazione di un'infrastruttura statuale, specialmente a livello militare commerciale, con un'amministrazione in grado di avviare rapporti di vicinato in quei territori occupati dalla Francia e di esercitare la giustizia e la fiscalità, il suo "impero" poteva contare solo sulla guerra. Buona parte delle energie di Abdel Kader furono dedicate in effetti a consolidare i suoi poteri sugli algerini. Resistenza alla Francia ed edificazione dello Stato erano aspetti complementari. Ma la guerra, probabilmente inevitabile non solo per le provocazioni da parte francese ma anche per gli obblighi dell'emiro nella sua qualità di comandante o principe dei credenti, ebbe a lungo termine un esito sfavorevole a Kader22. Nel novembre 1839 la Francia decise di rinunciare alla "pace politica" e di intraprendere la strada della guerra ad oltranza nei confronti di Abdel Kader, al fine di estendere a tutta l'Algeria la propria autorità. Fu il generale francese Valée a porre le basi della conquista totale, ma fu il generale Bugeaud a legare in definitiva il suo nome a quello della "pacificazione" della Algeria. 18 C. R. Ageron., op. cit., pp 13-15 G. Esquer, op. cit., 18 20 La stesura di questo contratto appariva abbastanza ambigua, in quanto a seconda della lingua in cui questo fu redatto, francese e arabo, era possibile interpretarlo in maniera differente. Per esempio ad un certo punto del documento francese il trattato diceva:«l'emiro riconosce la sovranità della Francia»; mentre quello arabo affermava, «l'emiro dei credenti sa che il sultano è grande». 21 C. A. Julien, Histoire de l’algérie contemporiane: La conquete et les débuts de la colonisation (1827-1871), Presses Universitaire de France, 1964, Paris. 22 G. Esquer, op. cit., p. 20-21 19 8 Fu proprio Bugeaud che si pronunciò il 14 maggio per la conquista totale e per la colonizzazione militare23. Nel maggio 1841 la capitale del regno di Kader, Mascara, fu occupata come pure Saida, Boghar, Tlemcen ed altri punti strategici del dominio dell'emiro. Nel 1843 Abdel Kader fu costretto a rifugiarsi nel vicino Marocco dove godeva dell'amicizia del sultano Abd el-Rahman. Una ferrea offensiva francese privò in breve l’emiro di ogni valido appoggio e sorpreso alla frontiera algero-marocchina egli si arrese. La guerra durò fino al 23 dicembre 1847 quando l'emiro si consegnò nelle mani del generale La Morcière per essere poi relegato in esilio a Parigi dove morì nel 188324. Dopo aver sconfitto Abdel Kader, l'opera di "pacificazione" della Algeria da parte della Francia non era ancora terminata. Le tribù Berbere del sud algerino non avevano mai sospeso la loro agitazione, insofferenti della penetrazione francese come lo erano state del dominio ottomano. Una serie di rivolte più o meno spontanee, seguite da pesanti rappresaglie, ritardarono la stabilizzazione del potere coloniale, che non esitò ad utilizzare tutti i mezzi di repressione e di tortura per mantenere l'ordine. Fra tutte le rivolte quella di Moqrani nel 1871, sia per le dimensioni assunte sia perché sospinta dalla frustrazione delle masse contadine private delle terre, può essere vista come preludio del futuro movimento nazionalista. Quella di Moqrani fu un'insurrezione alimentata dai contadini senza terra, i quali autodefinendosi "arabi" e "musulmani" possono essere considerati come i primi nazionalisti. La repressione che seguì questa insurrezione aveva lo scopo di terrorizzare contadini e di procurare altre terre alla colonizzazione. In Algeria si venne formando così una tradizione di lotta, radicata nelle campagne, che la rivoluzione nazionale del secondo dopoguerra, dopo più di un secolo di occupazione francese, avrebbe utilizzato nel grande sforzo di liberazione. La guerra di conquista o perlomeno la sua parte più lunga e più cruenta era finita e l’Algeria ormai stremata si presentava preda a difficoltà di ogni genere. Dopo la parentesi dell'emiro Abdel Kader " Islam" e "Indipendenza" divennero inseparabili per molti algerini in tutte le manifestazioni di "resistenza" al colonialismo: « non c'è alcun dubbio per quanto profondo fosse il senso di identità islamica a livello degli individui della comunità, che era la natura distruttiva della politica coloniale della Francia a provocare in ultima istanza la reazione aggressiva di un'identità algerina indigena fortemente legata alla cultura islamica nativa"25. 1.4 L’Amministrazione Coloniale : dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero. Se Carlo X e la Luigi Filippo I non ebbero idee ben precise per quanto riguarda la dottrina da applicare alla colonizzazione dell'Algeria, la seconda Repubblica ne fissò una fin dal suo nascere: quella dell'assimilazione, che divenne il nuovo emblema delle autorità francesi. I presupposti concettuali di questa dottrina erano la presunta assenza nella colonia di una individualità storico culturale e la universalità della civilizzazione francese. 23 C. A. Julien, op. cit., p. 155 R. Rainero, op. cit., p. 93 25 G. Calchi Novati, op. cit., pp. 21-23. 24 9 Possedimenti e sudditi coloniali si sarebbero dovuti fondere e confondere nella realtà rappresentata dalla Francia. Fin dal 4 marzo 1848, cioè appena dieci giorni dopo la formazione del governo provvisorio a Parigi, un decreto dichiarò d'Algeria "parte integrante dei territori francesi" e tutte le misure prese all'epoca in virtù di questo principio, tesero tutte all'obiettivo di introdurre e realizzare nella colonia un apparato amministrativo che fosse il più simile possibile a quello della madrepatria26. In base al decreto citato, confermato dall'articolo 21 della costituzione del 4 novembre dello stesso anno, i francesi d'Algeria furono ammessi a godere gli stessi diritti di quelli di loro compatrioti in Francia e autorizzati ad inviare rappresentanti all'assemblea costituente. In meno di due anni sbarcarono in Algeria circa ventimila francesi, dando il via a quel sistematico spossessamento nelle terre migliori con conseguente esclusione degli indigeni, che sarebbe diventato una delle note dominanti della colonizzazione. l'Algeria fu divisa in tre provincie (Algeri, Orano, Costantina), in ognuna delle quali si distinguevano i "territori civili" , amministrati da prefetti e viceprefetti, dai "territori militari"27. Questo sistema si ridusse in un doppio regime amministrativo abbastanza confusionario e senza il controllo di alcuna autorità superiore, che portò una sorta di anarchia nel paese, favorita anche dai frequenti cambiamenti di governatori. Per i musulmani questo periodo fu segnato delle grandi epidemie e gli anni che vanno dal 1845 al 1851 furono chiamati "gli anni della miseria". La crisi economica, che toccò anche i coloni, colpi più gravemente i contadini algerini, già impoveriti da tre anni di siccità da cattivi raccolti e diminuzione dei greggi, fu accompagnata anche da un'epidemia di colera che colpì la popolazione algerina dal 1849 al 185128. Con l'avvento del secondo impero i contrasti tra l’ autorità civile ed i militare non accennarono a scomparire e una nuova Costituzione francese del 14 gennaio 1852 sancì il decadimento dell'autorità civile e la possibilità per quella militare di esercitare il potere senza controllo. Questa fu l'epoca delle ultime lotte contro le resistenze indigene e la fine delle grandi operazioni militari permise a Napoleone III di mutare il sistema che attaccato da ogni parte per soprusi e arbitrio finiva per indebolire il regime. Con un decreto, il 14 giugno 1858, l'imperatore soppresse la carica di governatore generale ed istituì in sue veci il ministero d'Algeria e delle colonie, il quale da Parigi avrebbe dovuto amministrare il paese attraverso dei prefetti assistiti da Consigli generali. Nel settembre 1860 Napoleone III compì il suo primo viaggio in Algeria, e fu probabilmente questo viaggio che determinò un cambiamento nel suo sistema è l'inaugurazione della cosiddetta politica del "regno arabo"29. Questa politica fu enunciata per la prima volta nel 6 febbraio 1863 in una lettera dell'imperatore al governatore generale, maresciallo Pèlissier, che diceva: "l'Algeria non è una vera e propria colonia bensì un regno arabo. Gli indigeni hanno come i coloni pari diritto alla mia protezione...Sono tanto imperatore degli arabi quando imperatore di francesi"30. Con un decreto, il ministero della Algeria venne soppresso e fu ristabilito il governatore generale. 26 R. Rainero, op. cit., p. 96. C. R. Ageron, op. cit., pp 25-26. 28 C. A. Julien, op. cit., p. 159. 29 E. De Leone, op. cit., p. 88 30 R. Rainero, op. cit., p.104 vedi anche De Leone, op. cit., p. 90 27 10 La formula del colonialismo alla quale faceva riferimento a Napoleone può essere sintetizzata in più “capitali” meno “coloni”. La piccola colonizzazione degli inizi doveva infatti venir sostituita da una grande colonizzazione di tipo capitalistico. Ovvie ragioni di fierezza inducevano l'imperatore a ripudiare la politica di popolamento di una terra lontana con l'emigrazione dei propri cittadini, tanto più che la potenza finanziaria dei grandi complessi francesi andavano ora nel senso di una valorizzazione delle prime forme di imperialismo bancario commerciale, meno dispendioso per lo Stato. Fra indigeni e coloni doveva essere instaurata comunque un'"eguaglianza perfetta"31. Napoleone III fece allora ricorso ad una doppia manovra che riconosceva da una parte agli indigeni il possesso della terra, allora nelle loro mani e dall'altra offriva loro tramite la nazionalizzazione la via legale per diventare cittadini francesi di pieno statuto. I due documenti rivestirono la forma di due senato-consulti rispettivamente in data 22 aprile 1863 (sulla proprietà fondiaria) e 14 luglio 1865 (sullo statuto degli indigeni). Il primo senato-consulto non abrogava però le leggi del 1851 che autorizzavano l'esproprio delle terre appartenenti ai villaggi da parte dell'amministrazione francese e in più sanciva l'acquisto delle terre già sequestrate e occupate dagli europei. Il secondo senato-consulto, quello sullo statuto degli indigeni permetteva l'accesso alla cittadinanza francese agli indigeni ma solamente a patto di un precedente abbandono dello statuto personale coranico32. Estesa alla popolazione araba, l'assimilazione, aveva lo scopo di cancellare un'identità nazionale fortemente radicata. Ma come l'esperienza successiva dimostrò, pochissimi algerini rinunciarono al proprio statuto mettendosi automaticamente fuori dalla comunità della propria gente per essere accolti in quella dei propri dominatori e infatti fra il 1866 e il 1934 solamente 2.500 algerini divennero cittadini francesi. 1.5 Dalla Terza Repubblica alla prima guerra mondiale. L'incremento naturale della popolazione europea residente, l'arrivo di francesi al seguito delle compagnie finanziarie e industriali, dalla richiesta di tecnici per la campagna di opere pubbliche indetta dalla Francia non consentirono l'effettiva riduzione della popolazione non indigena, tanto che nel 1871, al crollo del Secondo Impero, gli europei d’Algeria erano saliti a 245 a mila (dei quali 130 mila francesi). Fu questo il momento a partire dal quale i coloni sapranno di poter rappresentare un forte gruppo di pressione e non vorranno essere più soltanto uno strumento nelle mani della Francia. Da allora la questione algerina si complica di un elemento nuovo, il terzo dopo Francia e indigenato algerino, i "francesi d'Algeria" i coloni33. Con l'aiuto delle leggi che fino a quel momento erano state promulgate si venne a costituire di fatto in Algeria un regime razzista, nel quale francesi residenti, i cosiddetti pieds-noirs, godevano di prerogative che neppure Parigi osava contrastare. L'impulso maggiore alla colonizzazione in profondità avvenne in effetti con la Terza Repubblica, fu la grande epoca della colonizzazione francese, sia di quella 31 C. A. Julien, op. cit. pp. 433-434 G. Calchi Novati, op. cit.., p. 32 33 R. Rainero, op. cit., p. 105 32 11 ufficiale che di quella libera, sia di quella proletaria che di quella capitalistica34. Come è accaduto in tutti possedimenti coloniali le divisioni verticali, in classi, scomparvero o si attenuarono davanti a quelle orizzontali, più simili a delle "caste"; schierando in pratica tutti i "bianchi" su un fronte e gli "arabi" o "musulmani" sull'altro, al di là dell'interesse comune che genericamente avrebbe dovuto coalizzare contro i "grossi coloni", i magnati dell'agricoltura della navigazione, i petit blancs e i contadini arabi proletarizzati dagli espropri35. Durante la Terza Repubblica il governo francese si occupò del problema della indivisione delle terre. Queste ultime potevano essere riconosciute come "proprietà" dal senato-consulto napoleonico del 1863 ma apparivano per la maggior parte appartenenti ad una tribù e non ad un singolo contadino. I coloni si attaccarono allora al "comunismo arabo", ben consci che, una volta stabilita proprietà individuale nella tribù, sarebbe stato un gioco soddisfare il proprio bisogno di terre. Presentarono le loro richieste al parlamento asserendo che :«bisognava fare leggi concepite unicamente in vista dell'ampliamento della colonia francese e lasciare poi ché gli arabi se la cavassero da soli nella battaglia per la vita». Ottenendo così, nel 1870, un decreto col quale veniva imposta l'attribuzione individuale delle terre indigene possedute nell’indivisione. Fra le disposizioni adottate a questo scopo, la legge Warnier del 1873, che sostituì le deliberazioni dal senato fatto sotto Napoleone III, sotto pretesto di abolire la proprietà collettiva mirava a favorire il passaggio di proprietà degli apprezzamenti dagli algerini ai coloni. In questo modo il possedimenti coloniali si erano allargati a macchia d'olio, distruggendo la proprietà indivisa attorno alla quale si organizzava la società algerina post coloniale e destabilizzando irrimediabilmente l'equilibrio socioeconomico36. Sul piano amministrativo e politico la riforma delle "competenze separate" e la nascita delle delegazioni finanziarie saranno i due provvedimenti più importanti nel periodo precedente alla prima guerra mondiale. La dottrina delle "competenze separate" dopo essere stata difesa dai governatori A. Grévy (1879-1881) e L.Tirman (1881-1891), fu violentemente attaccata dal loro successore J. Cambon (1891-1897) che riuscì a far varare al governo il decreto del 31 dicembre 1896 che metteva fine del sistema. Dando ai coloni ed al governatore un'autonomia notevole il decreto 1896 consacrerà il fallimento della politica di assimilazione, quella teoria cioè che pretendeva di amministrare l'Algeria alla stregua di "tre dipartimenti francesi". La fine delle competenze separate fa convergere nelle mani del governatore residente ad Algeri i poteri fino ad allora ripartiti tra i vari ministeri e questo notevole potere farà sì che spesso, da allora, nei momenti più critici, esisterà tra Parigi e l’Algeria una dualità di intenti ed un antagonismo che spesso portò l'amministrazione dell’Algeria ad essere in balia dei grandi coloni ed a contaminare inevitabilmente quel dialogo che gli indigeni aspiravano ad avere con la Francia. Dopo la fine del regime delle "competenze separate" ci fu la creazione delle delegazioni finanziarie ,decise con una serie di decreti che dal 1898, che costituiranno una sorta di carta costituzionale del paese. Le assemblee previste nei decreti erano tre, in un numero atto a rappresentare i vari interessi chiamati a votare il bilancio algerino ma avrebbero mantenuto soltanto un potere consultivo 34 C. R. Ageron, op. cit, p. 41 G. Calchi Novati, op. cit.., p. 33 36 M. Brondino, Algeria: paese delle rivoluzioni accelerate, Stampatori, 1980, Torino, pp. 35-37 35 12 poiché il bilancio adottato dalle delegazioni era soggetto alla revisione da parte del Consiglio superiore del governo37. Un simile decentramento era solo in apparenza contrario alla vocazione generale dell'imperialismo francese di assimilare i possedimenti oltremare alla propria civiltà e l'Algeria non sfuggiva dai forti tentativi di soppressione dell'individualità statale e culturale. 1.6 La nascita dei primi movimenti nazionalisti: le conseguenze della prima guerra mondiale. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, che mobilitò un gran numero di algerini38, quasi un decimo della popolazione totale fu portata fuori dai confini e fu messa in contatto con realtà e condizioni di vita nuove che ne accelerarono il processo di reazione e di rivolta verso l'ambiente politico algerino. I sacrifici bellici contribuirono alla presa di coscienza del popolo algerino riguardo alla propria unità come entità ben distinta da quella francese e dei propri diritti. Il richiamo al nazionalismo arabo diviene sempre più insistente e con esso la volontà di affermare la propria individualità etnica39. Fissare la datazione per quanto riguarda la nascita del movimento nazionalista algerino appare però un'operazione non semplice, anche perché lo stato unico di parte integrante della Francia rivestito dall'Algeria la rendeva meno soggetta alle correnti che si stavano sviluppando all'interno dei paesi confinanti. I primi movimenti organizzati che rivendicavano i propri diritti risalgono agli inizi del 1900 e probabilmente presero la loro sorgente da una popolazione ridotta al silenzio dal 1871 e alla quale non restava che la clandestinità come campo d'espressione. Ma questi movimenti si limitavano alla richiesta della piena cittadinanza francese per gli algerini e ad un più semplice processo di assimilazione40. Occorre attendere il decennio successivo al termine delle ostilità per vedere in Algeria una serie di iniziative politiche che valsero a "sfrondare l'idea nazionale di quanto di vago e di indefinito permaneva in essa ed a farla penetrare in strati sempre più larghi della popolazione musulmana"41. Dopo il 1930 e la celebrazione del centenario della conquista della con la ripetizione dello sbarco a Sidi-Ferruch, il malcontento generale venne finalmente a galla e le rivendicazioni di stampo nazionalista furono manifestate pubblicamente da vari movimenti. In linea generale a partire da questi anni si possono distinguere in Algeria tre diversi tipi di nazionalismo algerino, ciascuno identificantesi con un capo particolare: il movimento religioso, era rappresentato dall’ Association des Uléma dello sceicco Abdul-Hamid Ben Bendis; quello rivoluzionario dei seguaci di Messali Hadj; e infine quello, almeno inizi, liberale di Ferhat Abbas. Il frazionamento di questi movimenti rende però difficile da loro classificazione anche perché fu soprattutto il ruolo giocato al loro interno dai capi- carismatici, oltre che la situazione politica tra la Francia l'Algeria, a condizionare le loro linee di condotta. 37 R. Rainero, op. cit., p.110-112 25°…. 39 T. Bensalah, op. cit., p. 52 40 G. Calchi Novati, op. cit., p. 41 41 Ibidem, p. 42 38 13 Alcuni hanno cercato di classificare in movimenti nazionalistici sorti in Algeria in base ai loro obiettivi di fondo. J. C. Vatin distingue tra movimenti "ugualitaristici" e movimenti "separatistici"42. In effetti se è vero che certi movimenti hanno come rivendicazione principale l'uguaglianza ed altri il reclamano l'indipendenza e anche vero contestare che la loro evoluzione ulteriore ne rende difficile la classificazione. Ad esempio il movimento creato da Ferhat Abbas che all'inizio poteva essere classificato assimilazionista mentre fini per posizionarsi in una prospettiva indipendentista. Al contrario Messali EL Hadj che inizialmente era un accanito difensore dell'indipendenza, in seguito si oppose al F.L.N.. Questi movimenti hanno subito delle mutazioni negli anni è possibile però dividerli in due categorie: quando i quadri dirigenti sono generati da tradizionalisti a cultura arabo-islamica, l'attitudine è sempre quella di rigetto del colonialismo e di lotta per l'indipendenza, al contrario quando i quadri politici sono notabili che hanno ricevuto una cultura francese, le loro rivendicazioni sono dominate dai temi dell'uguaglianza e dell'assimilazione43. Secondo gli studiosi musulmani, durante il secolo di governo francese fu soprattutto della dottrina religiosa a tener vivo il fuoco del nazionalismo algerino e furono probabilmente gli ùlama a dare ai nazionalisti il primo impulso. 1.7 Il movimento dei Giovani Algerini. Il movimento politico dei giovani algerini, nato nel 1908 e composto da cittadini principalmente di livello agiato e intellettuali, si ispirava soprattutto ai movimenti dei giovani turchi e dei giovani tunisini. Questo movimento non ebbe mai più di duemila aderenti reclutati tra i membri delle professioni liberali, maestri e i giuristi musulmani. L'associazione è stata dominata dalla volontà di utilizzare i mezzi legali che offriva il sistema coloniale per raggiungere i diritti inerenti alla qualità di cittadinanza francese. Dal 1910 a dimostrazione dell'ambivalenza culturale dei dirigenti del movimento, ma anche della loro volontà di coinvolgere l'opinione pubblica francese e allo stesso tempo reclutare dei simpatizzanti algerini, il movimento dei giovani algerini pubblicò due giornali bilingui Islam e Rachidi. L'azione di questa movimento si prolungò grazie alla creazione di Circoli nelle aree urbane tramite i quali essi facevano circolare dei bollettini informativi ed organizzavano dei corsi e delle conferenze. Il programma del movimento, basato soprattutto sull'assimilazione, era contenuto nel "manifesto dei giovani algerini" elaborato nel 1912 e portato a Parigi da una delegazione ufficiale malgrado l'opposizione del governatore generale44. I "giovani algerini", ai quali probabilmente non si addiceva l'etichetta di movimento "nazionalista", richiedevano polemicamente un ampliamento della rappresentanza araba negli organi elettivi, l'accesso agli uffici pubblici, la diffusione dell'istruzione45. Le rivendicazioni contenute nel "manifesto" erano raggruppate principalmente intorno al 5 punti. In primo luogo, i giovani algerini reclamavano il servizio militare obbligatorio per i musulmani considerandolo come un preliminare indispensabile alla concessione di diritti politici. Il secondo punto, il corollario del 42 T. Bensalah, op. cit., p. 53 T. Bensalah, op. cit., p.53 44 G. Esquer, op. cit., p.63 45 G. Calchi Novati, op. cit., p. 41 43 14 primo, era la richiesta che la naturalizzazione fosse accordata a quelli che avessero fatto il servizio militare. Gli ulteriori punti del manifesto riguardavano: una giusta ripartizione delle tasse e delle risorse, la presentazione politica legale per l'accrescimento del numero dei rappresentanti algerini il diritto all'elezione dei sindaci e la soppressione del codice dell'indigenato46. Tali rivendicazioni accolte con "blando paternalismo" in Francia, trovarono gli oppositori più convinti tra i pied noirs, che capivano di dover difendere "l'Algeria francese" fermando in tutti i modi preventivamente lo sviluppo economico, sociale e culturale degli algerini. La paura dei coloni era dovuta al fatto che ogni riconoscimento di diritti degli autoctoni avrebbe potuto mettere in moto una spirale che si sarebbe arrestata solo con l'autogoverno. Nonostante i tentativi di esporre le proprie ragioni della delegazione a Parigi, nessuna risposta precisa fu data dal governo francese e gli inviati del movimento ritornarono ad Algeri per discutere di un eventuale cambiamento di metodo per far valere le proprie rivendicazioni47. Dopo la prima guerra mondiale il movimento dei "giovani algerini" andò verso una scissione probabilmente inevitabile: da una parte chi guardava alla naturalizzazione a qualsiasi costo, rinunciando allo statuto personale regolato dalla sharia e dall'altra chi percepiva forte il rischio della perdita d'identità che avrebbe potuto causare l'assimilazione48. Alcune rivendicazioni dei giovani algerini ottennero, in misura limitata, ascolto nella legge Clemenceau del 4 febbraio 1919 che offriva, in segno di riconoscimento per i sacrifici algerini durante la guerra, delle facilitazioni per quanto riguarda l'accesso musulmano alla cittadinanza francese. Ma questa legge suscitò la più violenta intransigente opposizione da parte dei pieds-noirs, riluttanti o timorosi di mutamenti. Come disse dopo l'approvazione della legge il senatore di Orano: "gli indigeni hanno adempiuto proprio dovere verso di noi, e meritano una ricompensa: ma forse è necessario, per dargliela, ricorere a misure imprudenti?"49. Il movimento dei giovani algerini sì disgrega e sparisce definitivamente tra il 1926 e il 1927 ed alcuni dei suoi dirigenti si ritroveranno in altri movimenti come quello della Federazione degli indigeni, suo naturale prolungamento50. 1.8 La nascita del primo partito nazionalista : L’ ENA. Il primo partito nazionalista a sorgere fu la Etoile nord-africaine (ENA) nato non in Algeria bensì a Parigi nel marzo 1926 ad opera di un membro del comitato direttivo del partito comunista Ali Abd el-Kader51. Sorto inizialmente come associazione di beneficenza per aiutare gli emigranti nordafricani, l’E.N.A venne fondato tra il proletariato algerino residente in Francia e si intitolò genericamente al Nord Africa invece che alla patria algerina52. Il programma iniziale del partito era "difendere gli interessi materiali, morali e sociali dei musulmani nordafricani" 46 T. Bensalah, op. cit., p. 55 Ibidem, p. 56 48 R. Rainero, op. cit., p.126 49 G. Mansell, Tragedy in algeria, Edizioni Comunità, Milano, 1965, p. 73 50 T. Bensalah, op. cit., p.62 51 R.Rainero, op. cit., p. 128 52 G. Calchi Novati, op.cit., p. 41 47 15 nonché la loro educazione53. Lo spirito della lotta sindacale e quello nazionalistico si fondevano nella politica di questi algerini trapiantati come lavoratori in Francia i quali oggetto di svariate discriminazioni, disprezzati dalla società bianca e respinti da ogni possibile reale assimilazione della civiltà francese, portarono il loro impegno nella lotta per la parità dei diritti fino all'estremismo. La lotta di questi proletari aveva di mira più il capitalismo che il colonialismo in senso stretto. Anche il richiamo a tutto Nord Africa contribuiva a sottolineare che l’associazione si poneva in una prospettiva classista e terzomondista piuttosto che in una nazionalista54. Probabilmente l'attività svolta dall’ E.N.A non sarebbe andata oltre le rivendicazioni sindacali o di quella di una società di mutuo soccorso a sfondo socialista se un anno dopo la sua fondazione non fosse diventato presidente e leader indiscusso Ahmed Messali el-Haj. Nato nel 1898, figlio di un calzolaio di Tlemcen presso il confine marocchino, Messali combattè nell'esercito francese durante la prima guerra mondiale per poi trasferirsi a cercare lavoro in Francia. Qui intraprese l'attività di operaio e sposò una francese iscritta al partito comunista a cui egli aderì a sua volta. Gli stretti rapporti con il partito comunista non gli impedirono però una certa divergenza nelle strategie. Il partito comunista francese subordinava l'indipendenza della Algeria alla realizzazione del socialismo in Francia ed il suo impegno anticoloniale si affievolì ulteriormente davanti all'emergenza ed all’affermazione del fascismo. Per Messali Hadj, ovviamente, veniva prima la nazione algerina con i suoi valori rivoluzionari e gli aspetti egualitari dell'Islam. Dal momento in cui nel 1927 Messali diventa presidente del Etoile nord-africaine, all'età di ventinove anni, la sua storia si confonderà con quella del partito. L’E.N.A fonda nel 1927, un giornale l’Ikadam ( "il Lavoro"), che per il suo tono violento e anarchico fu sciolto lo stesso anno. Giornale che rinasce subito dopo col titolo Al-Ummah ("la Nazione"; stavolta è scritto in francese e la sola testata rimane araba). Dalla presidenza di Messali in poi, il programma dell’Etoile nord-africaine appare chiaramente delineato: indipendenza dell'Africa del Nord, ritiro delle truppe francesi, formazione di un governo nazionale rivoluzionario. Le tesi di Messali esposte chiaramente nel 1929 provocarono un intervento del governo di Parigi che perseguì l'organizzazione come associazione non autorizzata e ne fece proclamare lo scioglimento del tribunale della Senna il 20 novembre dello stesso anno. Per un decorso eccezionale di circostanze questa decisione non venne resa esecutiva nei termini previsti e decadde sei mesi dopo, ai sensi dell'articolo 156 del codice di procedura civile francese. Da questo momento in poi l’ E.N.A era considerato illegale ma non verrà sciolto e continuerà anzi la propria attività promuovendo addirittura pubbliche riunioni politiche degli algerini di Parigi55. A differenza degli altri movimenti nazionalisti arabi dell'epoca, tutti più o meno influenzati dal panarabismo, l’ Etoile si diede inizialmente un'organizzazione politica rigorosamente laica ma, in seguito, il programma di questo partito riprenderà negli anni trenta gli argomenti religiosi degli ulema riformisti. Il partito portava avanti un programma non sempre ben delineato nel quale la collaborazione con i comunisti francesi risultava difficile da conciliare con la solidarietà dovuta ai partiti nazionalisti fratelli della Tunisia e del Marocco 53 R. Rainero, op. cit., p. 129 G. Calchi Novati, op. cit., p. 42 55 Novati., op. cit., p.41 54 16 essendo le idee nuove elaborate dal mondo operaio francese in netto contrasto con il panarabismo. L'intransigenza e il disdegno dei compromessi del movimento possono essere facilmente rappresentati dal suo motto ufficiale "Tutto o nulla". Una prima specificazione in senso politico del programma dell’Etoile, con un'enfasi marcata sull'indipendenza della Algeria, benché in sintonia con Tunisia e Marocco preparando l'unità dell'Africa del Nord, avvenne al congresso del partito del 1933. Sul piano religioso il movimento proclamava l'unità della fraternità dell'Islam: su quello sociale, subendo le influenze comuniste, si schierava contro l'accaparramento da parte dei francesi della ricchezza economica della Algeria sostenendone la restituzione al futuro Stato algerino e si dichiarava protettore della confisca, a favore dei contadini, delle grandi proprietà dei coloni e delle società finanziarie. Dal punto di vista nazionale, infine, chiedeva il riconoscimento dell'arabo come lingua ufficiale e del suo insegnamento obbligatorio e rivendicava il ritiro delle truppe di occupazione, la costituzione di un esercito nazionale e la creazione di un parlamento nazionale eletto col suffragio universale. L’ Etoile fu quindi un movimento che incentrò da sua azione su una radicale e rivoluzionaria riforma fondiaria e su un acceso nazionalismo probabilmente ancora poco consone con la reale situazione della società algerina56. La storia di Messali Hadj è quella del suo movimento degli ultimi anni venti e negli anni trenta fu tutta una lunga storia di persecuzione poliziesche, interrotta solamente da una breve pausa coincidente con l'avvento al potere in Francia del governo di Fronte Popolare di Lèon Blum nel 1936. Fino a questa data le attività del movimento restarono in gran parte circoscritte alla Francia e sembravano avere ben poche ripercussioni in Algeria. Con l'avvento del Fronte Popolare, L’Etoile pur rimanendo ancora nella clandestinità portò per la prima volta la sua campagna per l'indipendenza sul suolo d'Algeria. L'avvento al potere di Blum causò il ritiro, per esigenze politiche, dell'appoggio del partito comunista alle rivendicazioni del nazionalismo algerino, partito comunista che non mancò invece di sostenere il programma Blum-Voilette, ispirato essenzialmente da principi socialisti ed alla vecchia tradizione giacobina di assimilazione, eguaglianza e diritti dell'uomo57. Cosa ordinare l'opportunismo, il partito comunista francese si mise contro i loro vecchi alleati sferrando una decisa campagna di denuncia contro Messali ritenendolo nemico dei lavoratori algerini. Quando ancora una volta l’Etoile Nord-Africaine venne messo fuorilegge ad opera del governo Blum, ai primi del 1937, i suoi capi giunsero facilmente alla conclusione che questo era stato fatto su ispirazione dei comunisti. Allora Messali ruppe ufficialmente con i vecchi alleati comunisti e dal suo programma scopmparvero tutte le tracce di ideologia marxista: il suo partito divenne in modo più esclusivo un partito nazionalista musulmano, con un seguito operaio e un accento religioso. Nel marzo 1937 per sottolineare il proprio cambio di rotta, la denominazione del partito fu sostituito da l’Etoile Nord-Africaine a quella più nazionalistica di Parti du Peuple Algérien. Pochi mesi dopo Messali fu arrestato ancora una volta della sua organizzazione di partito in Algeria largamente smantellata grazie all'arresto di numerosi attivisti. Rilasciato poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, egli fu nuovamente arrestato alla fine del settembre 193958. 56 De Leone, op. cit., p 153 Novati, op. cit., p. 42 58 Mansell, op. cit., pp. 74-75 57 17 Benché Messali rimase un grande protagonista della politica algerina fino al momento dell'insurrezione armata meritandosi l'appellativo di "padre" del nazionalismo algerino, tuttavia L'azione dell’Etoile non raccolse sul territorio algerino quell'unanimità di voti popolari che il suo presidente più volte affermò di avere. Basti ricordare i suoi aderenti non superarono ma i 10 mila e le sue sezioni politiche, la trentina. Parlando in termini di indipendenza nazionale, Messali Hadj si distaccava nettamente dei "giovani algerini" e dei loro seguaci, che potremmo considerare più "liberali", ma queste due diverse correnti di pensiero coabitarono a lungo in Algeria59. 1.9 La Federazione degli Eletti. La Federazione degli Eletti, fondata da Benthami Ould Hamida e Mohammed Salah Bendjellul con lo scopo di far evolvere le condizioni politiche dell'Algeria "nell'ambito delle leggi francesi", tenne il suo Congresso costitutivo di 11 settembre 1927 ad Algeri. Nonostante l'assimilazione in quel periodo avesse già rivelato chiaramente i suoi limiti e le sue contraddizioni, nel discorso degli "eletti" vi erano ancora ampie tracce di lealismo verso la Francia. Le rivendicazioni di questo movimento si adattavano perfettamente alla condizione degli "evoluti", di solito medici, farmacisti o avvocati, ma comunque sempre figli della scuola laica e democratica a mezza strada tra la cittadinanza francese la nazione algerina. Gli aderenti a questo movimento non erano ben visti dai coloni ma neppure dalla massa araba perché partecipi di certi privilegi della società coloniale. Gli "eletti" partecipanti nei vari organi che componevano l'infrastruttura amministrativa e di governo dell'Algeria coloniale, erano spesso combattuti tra l'interesse personale, che li spingeva a schierarsi con il potere della Francia, e il richiamo della coscienza a difendere i loro rappresentati con cui condividevano lo status di "indigeni"60. Chi agi da catalizzatore in questo processo fu senz'altro il governatore Violette che tentò di combattere l'estremismo di Messali el-Hadj appoggiando le rivendicazioni di integrazione degli algerini evoluti. Il programma Blum-Violette rappresentava essenzialmente un tentativo di portare il processo di assimilazione a uno stadio più avanzato rispetto alle riforme del 1919. Una delle sue proposte più importanti, che veniva incontro ad una delle rivendicazioni principali degli évolués (evoluti) musulmani, prevedeva la concessione della cittadinanza francese a determinate categorie di musulmani, senza subordinarla alla loro rinuncia allo status personale in base alla legge musulmana. Gli évolués anche se occidentalizzati di spirito, non lo erano nella loro vita quotidiana domestica e all'interno della famiglia musulmana. Per questo motivo la comunità araba tradizionale continuava ad esercitare su di loro un'influenza non indifferente e l'abbandono dello statuto personale rappresentava l'ostacolo contro il quale si infrangevano i loro sforzi di adattamento. Con la legge Violette-Blum, ben 21 mila musulmani sarebbero così stati ammessi alla cittadinanza francese nel primo anno e il loro numero sarebbe ulteriormente aumentato di ogni anno successivo, non solo perché molti di più tra essi avrebbero acquisito i titoli necessari, ma anche perché il principale ostacolo, agli occhi di 60 Rainero, op. cit., p.131 18 musulmani, per l'accettazione della cittadinanza francese, sarebbe stato abolito, e molti membri della nuova borghesia musulmana di cultura francese avrebbero salutato con gioia quest'opportunità di acquisire gli stessi diritti politici dei francesi. A differenza della legge 1919, il programma Blum- Violette non ottenne l'approvazione del parlamento e venne di fatto ritirato dal governo prima ancora di essere messo al voti. I coloni d’Algeri ed il loro emissari ed allegati parigini sostennero infatti che la sovranità francese nell'Africa settentrionale del sarebbe stata compromessa61. Lo stesso Violette tentò invano di convincere i francesi d'Algeria, ma accusato di voler sabotare gli interessi della Francia in Algeria fu costretto ad abbandonare la carica di governatore. La Federazione degli Eletti sopravvisse alla caduta di Violette ma da quel momento in poi i suoi maggiori esponenti compresero la mole di difficoltà da sormontare per raggiungere gli obiettivi della parità dei diritti e dell’assimilazione62. Oltre a Bendjellul storico fondatore degli "eletti" il più famoso leader del movimento è considerato senza ombra di dubbio Fehat Abbas. Costui era uno dei pochi algerini ad avere concluso gli studi superiori nell'Algeria nei primi decenni del secolo e faceva parte di una cerchia ristretta di quegli uomini nuovi della media borghesia che volevano sfruttare al meglio la risorsa dell'istruzione. Anche Abbas intraprese, almeno inizialmente, la dottrina neo-assimilazionista convinto che accettando la battaglia sul terreno della legalità coloniale, avrebbe scelto il percorso più breve per il riconoscimento dei diritti degli algerini. In una serie di saggi scritti tra il 1921 e il 1930, Abbas affermava :«l'Algeria è una terra francese. Noi siamo francesi con lo status personale di musulmani». Ed egli dichiarava categoricamente non esservi nulla nel Corano che impedisse musulmano algerino di essere «dal punto di vita nazionale» un francese. Nessun accenno si fa in questi iscritti al nazionalismo o ad una nazione algerina. La principale richiesta è quella della parità dei diritti politici e della fine del regime coloniale63. La corrente di pensiero neo-assimilazionista portata avanti dalla Federazione nei primi anni della sua esistenza subì, almeno per molti dei suoi esponenti, un'inversione di tendenza dopo il 1930 e le sfarzose manifestazioni del centenario della conquista francese dell'Algeria. Il tono fortemente autoelogiativo delle celebrazioni, che mettevano l'accento sui meriti della Francia nella continua evoluzione dell'Algeria e la rievocazione l'esaltazione degli avvenimenti connessi al conquista, furono percepite dagli algerini musulmani come un'umiliazione insopportabile e causarono l’ avvicinamento alla lotta nazionalista di un numero sempre maggiore di persone64. Alla fine del centenario la massa degli algerini, aliena l'estremismo di Messali elHadj,e delusa dagli scarsi risultati conseguiti da Bendjellul vive con favore della nascita del terzo grande partito indigeno: l'associazione degli Ulema al quale toccò il compito di scuotere l'opinione pubblica indigena dallo stato di letargo nelle quale si trovava. 61 Mansell, op. cit., p. 68-69 Rainero, op. cit., p.131 63 Esquer, op. cit., p. 82 64 T. Bensalah, op. cit., p. 57 62 19 1.10 L’Associazione degli Ulema. Fondata il 5 maggio 1931, l’Associazione degli Ulema si occupava alle origini di problemi più religiosi che politici. Questa Associazione si rifaceva ai movimenti riformisti che stavano nascendo in tutto d'oriente arabo musulmano a partire dal XIX secolo sotto l'influenza grandi pensatori dalla Nahda (Rinascita) Al-Afghani (1838- 1897) e Mohamed Abdou (1849-1905). Fu proprio il passaggio di quest'ultimo in Algeria nel 1903 che permise di allacciare delle relazioni tra riformisti e ulema algerini65. Nata all'indomani del Congresso Islamico di Gerusalemme, l'Associazione raccolse lo spirito del Patto arabo racchiuso che invitava nell'articolo 2 i partecipanti a «rivolge gli sforzi in ogni paese arabo ad un unico scopo cioè all'indipendenza» La personalità più autorevole del gruppo fu lo sceicco Ad bel-Hamid ben Badis, pensatore moderno relativamente progressista e disposto ad assorbire quanto più possibile dall'Occidente per rafforzare l'Islam senza snaturarlo. La corrente del riformismo badissiano è detta "salafita" o "islahista" in opposizione all'Islam sincretico delle confraternite mistiche e delle famiglie marabutiche66. I tre personaggi principali erano costituiti da Ben Badis, Tayeb El Oqbi e Bachir El Ibraimi aumentarono la loro popolarità in Algeria grazie alla pubblicazione di diversi giornali e riviste dottrinali tra i quali il più famoso era la rivista EchChihab (la ficcola), fondata nel 1924 da Ben Badis, incaricata di "diffondere le luci della civiltà dell’islam e di farla diventare una ficcola dell’umanità" 67. In Ech-Chihab venivano già sviluppate dallo sceicco le linee di pensiero fondamentali della futura Associazione: appartenenza dell'Algeria al mondo arabo musulmano, rinascita di una nazione araba rinnovata, lotta contro il culto dei santi e la purificazione dell'Islam di tutti gli elementi oscurantisti. Quando l'associazione venne fondata, questi temi furono mantenuti e adattati alla situazione specifica che stava vivendo l'Algeria68. I maggiori esponenti dell’Associazione venivano reclutati tra gli insegnanti che avevano compiuto studi specifici nei paesi arabi e provenienti soprattutto da Medina, il Cairo e dalla Zitouna della vicina Tunisi. Gli obiettivi del movimento erano inizialmente culturali e religiosi ed avevano come scopo ultimo quello di purificare la religione dalle superstizioni e dalle false credenze che vi avevano introdotto gli ignoranti, in favorire di un ritorno alle fonti coraniche e profetiche. Secondo gli ulema, le masse poco colte davano più peso alle pratiche magiche che ai precetti coranici, e proprio per questo motivo era necessario rieducare il popolo algerino alla religione. Il passaggio da movimento solamente culturale e religioso a movimento politico fu però breve e nel giro di pochi anni, gli ulema si identificarono in "partigiani di un ritorno alla fede primitiva, rappresentanti di un Islam militante e combattivo". Essi non si accontentarono del solo potere del verbo ma si organizzarono per partecipare attivamente alla ristrutturazione della società, senza la quale sarebbe stato impossibile un "rimodellamento degli spiriti"69. 65 Ageron, op. cit., p. 88 Novati,op. cit., p. 48 67 Rainero, op. cit., p.132 68 T. Bensalah, op. cit., p. 58 69 Novati., op.cit., 49 66 20 Secondo Ben Badis ciò che costituiva una nazione era la religione, la lingua, la fierezza del passato. E finché un popolo non aveva perso queste tre caratteristiche poteva considerarsi vivo nonostante la condizione di schiavitù70. Il programma elaborato insisteva sulla necessità che il riconoscimento dell'identità e della personalità algerina rappresentasse il solo mezzo di affermazione contro l'asservimento coloniale. Questa identità algerina si sarebbe dovuta realizzare tramite la creazione di scuole libere nelle quali si sarebbe potuto dispensare l'insegnamento dell'arabo e delle scienze esatte. Sarebbero state "scuole di patriottismo" dove si sarebbe insegnato l'ideale nazionale e la grandezza della nazione algerina71. Gli ulema saranno totalmente ostili all’assimilazione reclamata dai Giovani Algerini prima e dalla Federazione degli Eletti poi, secondo loro era necessario però dar prova, gradualmente, della capacità della società algerina di resistere alle mire assimilazionistiche francesi. Essi presero posizione nel 1936 contro Ferhat Abbas che difendeva la causa dell’assimilazione vicino alle autorità francesi: « Noi ulema parliamo a nome della maggioranza degli indigeni, dicendo a quelli che si sentono francesi: voi non ci rappresentate!... il popolo musulmano d’Algeria ha la sua storia, la sua unità religiosa, la sua lingua, la sua cultura e le sue tradizioni….questa popolazione musulmana non è francese, ella non può essere francese e non vuole essere francese». Le posizioni degli ulema si espliciteranno in seguito nella rivendicazione dell’indipendenza e saranno diffuse in tutto il paese tramite l’organizzazione di conferenze, le predicazioni e i dibattiti nelle moschee. Essi non volevano rompere per principio con la Francia. Il ragionamento fermo e senza equivoci si coniugava con un prudente modernismo dedicato allo scontro con l'amministrazione coloniale e prevedeva l'indipendenza come approdo di un'evoluzione lunga e senza violenza. Era necessario dar prova, gradualmente, della capacità della società algerina di resistere alle mire assimilazionistiche francesi72. La replica dell’ autorità coloniale non tarderà però a farsi sentire. I francesi attuarono un provvedimento che impediva la predicazione agli imam non remunerati escludendo da quest’ultima la quasi totalità degli imam ulema appartenenti all’Associazione. Nello stesso anno un altro provvedimento francese dichiarava fuorilegge e bandiva tutti i giornali ed le pubblicazioni che potevano essere ricondotte al movimento. Ma queste misure non ridussero la popolarità della Associazione degli Ulama che continuava a crescere e ad aumentare il numero dei suoi simpatizzanti. Anzi questo momento in poi, l'attività di predicazione degli ulema che si svolgeva nelle scuole, dove essi insegnavano il Corano e l'arabo classico, divenne l’attività principale dell’Associazione. Grazie alla carenza di scuole governative francesi, essi non ebbero difficoltà ad attirare migliaia di fanciulli arabi e perfino di adulti nelle scuole libere coraniche che fondarono in tutto il paese. Gli ulema si opposero agli insegnanti ufficiali di legge e teologia coranica, controllati dall'amministrazione, e con i loro insegnamento ai fanciulli e agli adulti contribuirono considerevolmente a diffondere la conoscenza della cultura araba e dell'antica storia del popolo arabo, e quindi anche a sviluppare la coscienza nazionale73. 70 Esquer, op.cit. , p. 5 T. Bensalah, op. cit., p. 58 72 Esquer, op. cit., p.67 73 Mansell, op. cit., p. 70 71 21 Anche i suoi avversari di un tempo, delusi dal comportamento delle autorità francesi, finirono col trovare delle soluzioni ai problemi politici algerini che andavano nella stessa direzione di quelle trovate dagli ulema. Nel nazionalismo algerino, non solo la corrente religioso-riformista di Ben Badis riuscì a contendere il titolo di principale esponente alla corrente radical-pupolista di Messali, ma fu proprio l'azione degli ulema ad elaborare il programma più espressamente contrario ad ogni contaminazione sul piano culturale. Nello stesso tempo, grazie ai richiami alla cultura araba, l'Algeria "stabiliva una correlazione attiva con il processo di emancipazione dei popoli nel medio oriente", in cui questi ultimi esponenti della associazione si erano formati. 1.11 La repressione Francese alla vigilia della seconda guerra mondiale. Caduto Blum nel giugno 1937 e succedutogli il radicale Chatemps la Francia entrò in un periodo in cui le difficoltà economiche e politiche minacciavano sempre di più il gabinetto e non consentirono di giungere sul problema algerino alla soluzione annunciata nell’ottobre dell’anno precedente. La legge BlumViolette che avrebbe potuto realmente rappresentare il punto di partenza per un politica moderata nei confronti degli indigeni non venne ne discussa ne varata. Il ritorno allo status quo dopo le speranze del 1936 rappresentò una fortissima delusione per i moderati che si videro sopraffatti dalle pressioni esercitate dai coloni nei confronti del governo. Il nazionalismo da questo momento in poi rappresento l’unica possibile soluzione anche per quella grande massa di algerini moderati che fino a quel momento avevano chiesto solamente la parità dei diritti con i coloni. Tra i tanti convertiti, anche Ferhat Abbas si allontanò dalla sua posizione assimilazionista entrando per la prima volta nella arena politica algerina creando l’Unione popolare algerina (U.P.A) che tentò di raggruppare gli eletti delle masse popolari con un programma chiaramente nazionalista :« Vogliamo che l’Algeria conservi la propria fisionomia, la sua lingua, i suoi costumi, le sue tradizioni…». Di fronte a questo irrigidimento indigeno il governo di Parigi e le autorità francesi di Algeri adottarono un deciso atteggiamento di reazione sottoponendo il nazionalismo algerino ed i suoi uomini ad una sistematica pressione. Dopo la crisi del 1938 la Federazione degli Eletti si era praticamente svuotata di significato, mentre Messali, che attirava l’opposizione dei coloni, veniva accusato di aver ricostruita sotto il nome di Partito Popolare Algerino (P.P.A) un’associazione politica già sciolta per legge (l’Etoile). Per questo morivo Messali venne arrestato il 4 ottobre 1939 e condannato il 17 Marzo 1941 a 16 annidi lavori forzati e 20 anni di residenza coatta per complotto contro la sicurezza dello Stato74. Anche l’associazione degli Ulema attraversava una grave crisi a causa di numerosi processi ed arresti dei suoi maggiori esponenti e soprattutto a causa della morte del suo fondatore e presidente ben Badis avvenuta ad Algeri nell’aprile 1941. Alla vigilia della fase decisiva della seconda guerra mondiale, allorché l’armistizio franco-tedesco del 17 luglio 1940 venne firmato, il clima in Algeria poteva ritenersi calmo. 74 Rainero, op. cit., p. Di 144 -145 22 Il nazionalismo però non poteva ritenersi una parentesi superata per l’amministrazione francese, gli anni anzi mostrarono il contrario e la guerra forni al movimento le occasioni sperate per radicarsi sempre più nella società75. 1.12 Dal dialogo postbellico all’insurrezione ed il Manifesto del popolo algerino. Lo sbarco delle forze anglo-statunitensi in Algeria del 8 novembre 1942 fu seguito dall'immediata liberazione dei capi nazionalisti che ripresero la loro attività politica in mezzo alle complicazioni nate dalla simultanea presenza degli eserciti francese, britannico e statunitense, della crisi della dissidenza francese e della continuazione della guerra in Tunisia contro le residue forze dell'asse. L'agitazione politica nella società civile della Francia divisa tra monarchici, repubblicani, estremisti di destra e di sinistra, gaullisti ecc. ebbe come unico risultato di mostrare ancora più chiaramente alla massa degli algerini degli aspetti negativi della presenza coloniale, mentre l'occupazione militare statunitense rendeva palese la modestia della tanto acclamata potenza militare della francese. Condizioni internazionali erano inoltre particolarmente favorevoli al più acceso il nazionalismo e all'ideologia anticoloniale, affermata unanimemente dall'Urss e dagli Stati Uniti con il principio di autodeterminazione dei popoli sottoscritto dagli alleati il 25 settembre 1941 nella Carta Atlantica, resero più intransigente e rigida la propaganda dei nazionalisti. Il 11 dicembre 1942 l'ammiraglio Darlan invitava i musulmani dell'Africa settentrionale francese a partecipare più attivamente allo sforzo bellico intrapreso dalla Francia e dagli alleati sui vari teatri di guerra africani ed europei. In risposta a questo appello Ferhat Abbas inviò, il 20 dicembre, a nome "dei rappresentanti dei musulmani algerini" un Message aux autorités responsables che suonava come un vero e proprio ultimatum nazionalista76: « Questa guerra non è una guerra di liberazione dei popoli senza distinzione di razza o di religioni. Malgrado le promesse che sono state fatte ed i sacrifici sostenuti, le popolazioni autoctone dell'Algeria sono prive di libertà e di diritti essenziali di cui godono le altre. L'opinione musulmana vuole essere associata alla sorte comune non solo con nuovi sacrifici. Occorre quindi dimostrarla con realizzazioni tangibili ed immediate, la volontà della Francia. A questo fine, auspichiamo la convocazione di una conferenza degli eletti e dei rappresentanti di tutte le organizzazioni musulmane per l'elaborazione di uno statuto politico, economico e sociale che darà alle masse la coscienza di diritti e del loro impegno a partecipare allo sforzo bellico»77. Con questo appello Ferhat Abbas, che fino a pochi anni fa poteva essere considerato un esponente di prima linea tra i moderati filo-francesi e che nel 1936 aveva addirittura negato l'esistenza di una parte algerina, si poneva come uno dei maggiori sostenitori del nazionalismo più intransigente. Il messaggio del 20 dicembre venne respinto dalle autorità poiché, indirizzato «alle autorità responsabili» e trasmesso anche alle autorità militari statunitensi, sembrava mettere in dubbio la competenza esclusiva della Francia nella questione algerina. 75 Ageron, op. cit., p. 88 Ageron, op. cit., p. 92 77 Esquer, op. cit., p. 79 76 23 Due giorni dopo, un analogo messaggio, diretto questa volta le sole autorità francesi, venne ricevuto dal governo provvisorio che però non vi rispose affatto. In seguito a questa mancata replica, cinquantasei esponenti nazionalisti algerini capeggiati dallo stesso Ferhat Abbas firmarono e resero pubblico in 10 febbraio 1943 il Manifesto del popolo algerino che denunciava la politica coloniale perseguita in Algeria dalla Francia e che sarebbe diventato la carta costitutiva di un nuovo movimento, quello degli Amici del Manifesto della Libertà78. Il manifesto accusava le autorità francesi di non curarsi affatto dell'avvenire politico degli otto milioni e mezzo di musulmani algerini imponendo Algeria un regime coloniale fondato sui crimini e sulle ingiustizie. Il manifesto richiedeva inoltre per l'Algeria una Costituzione che garantisse libertà e uguaglianza, soppressione delle proprietà feudali, riconoscimento della lingua araba, libertà di stampa di associazione, istruzione gratuita e obbligatoria, libertà religiosa, partecipazione immediate e reale dei musulmani alla vita pubblica e la liberazione dei condannati politici. Consegnato ufficialmente il 31 marzo il manifesto venne esaminato da una speciale Commissione per gli affari economici e sociali musulmani, creata il 3 aprile, in due sedute tenute il 14 aprile e il 23 giugno sotto la presidenza del direttore degli affari indigeni. A questa commissione Ferhat Abbas indirizzò al 26 maggio un ulteriore Piano di riforme che spingeva ancora più avanti le richieste dei nazionalisti. Il piano affermava che la soluzione dell'emancipazione dell’Algeria risiedeva ma in una Costituzione di indipendenza. Questa Costituzione avrebbe dovuto garantire l'integrità e l'unicità del territorio algerino e riconoscerle l’autonomia politica quale nazione sovrana. Secondo il Piano, al termine del conflitto, l'Algeria sarebbe dovuta essere dotata di un proprio Statuto, liberamente adottato, e da una Assemblea Costituente eletta a suffragio universale da tutti gli algerini79. Nel Piano di riforme erano presenti anche cinque provvedimenti della Francia avrebbe dovuto adottare nell'immediato: trasformare il governatorato generale in governo algerino con ugual numero di ministri musulmani e francesi, garantire l'applicazione di questa stessa uguaglianza numerica alle assemblee elette dagli altri organi di governo, mettere i musulmani nei pubblici uffici rimuovendo ogni legge o regolamento ispirato a criteri di discriminazione, concedere l'uguaglianza di trattamento agli algerini arruolati nell'esercito francese dando ai loro reggimenti la bandiera delle Algeria, garantire la libertà nel campo dell'educazione della religione. Mentre la commissione per le riforme studiava le proposte contenute nel Manifesto e nel Piano del 26 maggio, il Comitato francese di liberazione nazionale (C.F.L.N) nominò, il 3 giugno 1943, il generale Catroux, governatore dell'Algeria e commissario di Stato degli Affari musulmani. Il nuovo governatore Catroux si presentò subito come un convinto assimilazionista, sostenitore della maniera forte e grande difensore della missione civilizzatrice francese nel Nord Africa. Pochi giorni dopo la sua nomina Catroux toglieva ai nazionalisti ogni illusione sulle possibilità di pacifica revisione dello status politico dell'Algeria. Il 23 giugno davanti alla Commissione per le riforme, il neo governatore dichiarava che per quanto riguarda le proposte riforme politiche:«il necessario sarà fatto al momento più opportuno sulla base dell'unità della Francia e dell'Algeria, unità che costituisce un dogma. Mai la Francia consentirà all'indipendenza dell'Algeria che ne è parte integrante». Con questa presa di posizione il generale rigettava senza ombra di dubbio Manifesto e Piano 78 79 Ageron, op. cit., p. 92 Esquer, op. cit., p. 80 24 presentati dei nazionalisti trovandoli inadeguati ad essere presi come punto di partenza dei lavori sulle riforme da attuare in Algeria. Prendendo l'iniziativa, Catroux firmava il 6 agosto sei ordinanze sulla riforma dell'amministrazione, sulla cittadinanza, sull'istruzione elementare e sulla previdenza sociale, che però non accoglievano in nessun punto le richieste nazionaliste. Per protestare contro l'azione di Catroux i delegati musulmani rifiutarono di partecipare alla sessione straordinaria delle delegazioni finanziarie del 22 settembre 1943. Incolparti di "disubbidienza in tempo di guerra" il presidente della sezione musulmana Sayah Ab del-Keder e Ferhat Abbas vennero arrestati come istigatori della protesta nazionalista ed internati a sud di Orano80. Nonostante fosse chiaro che le autorità francesi avrebbero respinto qualsiasi proposta che potesse incidere sull'unità della Repubblica francese, di cui l'Algeria da parte integrante, il C.F.L.N ,ed il governo del generale De Gaulle, cercarono di venire incontro alle aspirazioni dei musulmani riesumando alcuni dei provvedimenti contemplati nel respinto programma Blum-Violette. Il 12 dicembre il generale De Gaulle annunciava nel primo dei suoi discorsi di Costantina che i musulmani appartenenti a determinate categorie, peraltro abbastanza vaste, potevano diventare cittadini francesi, senza perdere il loro status giuridico personale di musulmani. Le "molte migliaia di musulmani francesi" sarebbero stati dai cinquanta ai sessantamila ed avrebbero avuto diritto di voto. I musulmani avrebbero potuto votare in collegio parte della loro proporzione di rappresentanti delle assemblee locali sarebbe aumentata, pur restando sempre in minoranza. Nell'ordinanza del 7 marzo 1944 vennero specificate le sedici categorie di indigeni che sarebbero diventati di diritto cittadini francesi: ex ufficiali, titolari della licenza elementare, funzionari ed ex funzionari, membri delle assemblee finanziarie e titolari di certe cariche politiche. Gli orientamenti ufficiali francesi circa i futuri sviluppi dell'Algeria continuavano così ad essere ispirati da idee assimilazioniste, proprio per questa ragione le riforme e 1944, pur comportando un considerevole progresso, non incontrarono molto favore tra i musulmani ed incontrarono invece la ferma opposizione dei coloni, gelosi dei loro privilegi, che le trovavano eccessive e pericolose81. Come reazione alla politica assimilazionista delle autorità francesi Ferhat Abbas gli ulema e Messali Hadj uniranno i loro movimenti nazionalisti facendo nascere gli Amici del Manifesto della Libertà (AML) costituendo una sorta di fronte popolare del nazionalismo algerino contro il colonialismo. Lo scopo fondamentale di questo movimento era quello di rendere familiare l'idea di una nazione algerina e rendere augurabile la creazione in Algeria di una repubblica autonoma federate ad una Repubblica francese, anticolonialista ed anti-imperialista. Il patto costitutivo degli Amici del Manifesto si proponeva infatti di lottare contro i privilegi delle classi dirigenti affermando l'uguaglianza tra gli uomini, di smascherare gli intrighi e le manovre delle forze reazionarie e feudali musulmane e francesi e di coloro che avevano interesse qualsiasi al mantenimento del regime coloniale. Questo nuovo movimento ruppe con la pratica delle delegazioni e delle petizioni dando la parola alla piazza. Le massicce dimostrazioni dovevano mettere in evidenza la volontà dell’Algeria di conquistare maggiore libertà. Il cartello riunito nell'associazione degli Amici del Manifesto era quanto di più vicino a un partito unico abbia prodotto la scena politica algerina prima della formazione del FLN, ma ben presto diede segno di essere caduto sotto l'influenza della sua ala 80 81 Rainero, op. cit., p. 153-154 Mansell, op. cit., 25 estremista, ossia del Partito del Popolo algerino di Messali Hadj, che dopo il 1946 si sarebbe trasformato in Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche (MTLD)82. 1.13 Gli incidenti di Setif e la nascita dell’U.D.M.A. Nei primi anni 40 l'economia algerina, a base prevalentemente agricola, stava attraversando periodi di crisi di eccezionale gravità. Due invasioni di locuste e la quasi totale mancanza di precipitazioni estive soprattutto negli anni 1944 e 1945 distrussero la maggior parte del raccolto cerealicolo algerino. Nello stesso periodo la temperatura politica nel paese continuava a salire, ed un congresso degli Amici del Manifesto svoltosi ad Algeri nel marzo 1945 fissò manifestazioni di massa per la libertà dell'Algeria. Il 1° maggio 1945, in occasione delle celebrazioni della Festa dal lavoro, le principali città algerina furono teatri di grandi manifestazioni nazionaliste83. L' 8 maggio 1945, giorno della vittoria alleata, una violenta insurrezione scoppiò nelle vicinanze di Setif, regione della Cabilia con una prevalenza linguistica berbera. Probabilmente ad accendere la scintilla dei disordini fu una dimostrazione organizzata dai nazionalisti per celebrare appunto il giorno della vittoria: la dimostrazione era incominciata in modo abbastanza pacifico, ma il tentativo della polizia di abbattere alcuni cartelli portati dai dimostranti e l'uso di un'arma da fuoco da parte di un ispettore della polizia francese contro i manifestanti indigeni suscitò la rabbiosa reazione di una parte della folla. Ben presto la protesta degenerò in aperta ribellione, fattorie ed edifici francesi vennero assaliti e messi al sacco dalla folla in una serie di disordini durati due giorni che provocano la morte di centodue europei84. La repressione non si fece attendere, nel giro di pochissimo tempo fu proclamata la legge marziale e reparti in assetto da guerra di truppe senegalesi e della Legione straniera, appoggiati dai blindati, iniziarono un sistematico rastrellamento delle zone colpite dalla protesta. Durante queste operazioni 44 villaggi vennero rasi al suolo, mentre il numero delle perdite subite dalla popolazione algerina varia a seconda delle versioni storiche, da un minimo di millecinquecento morti, ammessi in un primo momento dall'Alto comando francese, ad un massimo di quarantacinquemila, denunciato dai nazionalisti. Alla repressione militare seguì un'ondata di arresti: più di quattromila musulmani tra cui Ferhat Abbas e altri esponenti degli Amici del Manifesto (che venne soppresso) e del Partito Popolare Algerino vennero imprigionati per misura di sicurezza. Le conseguenze politiche della repressione di Sétif furono molto gravi e ben si può dire che proprio a Sétif nacque la scintilla che avrebbe poi portato all'insurrezione del 1° novembre 195485. In coloni rassicurati dopo la repressione presero a pretendere dal governo drastiche misure contro i nazionalisti incarcerati inneggiando l'esecuzione dei responsabili. Il governo però resistette a questi inviti ed allo scopo di mostrare al popolo algerino il suo desiderio di ritorno alla legalità volle indire, come precedentemente previsto, le elezioni del 21 ottobre 1945. 82 Robert Aron, Francoise Lavagne, Janine Feller, Yvette Garnier-Rizet, Les origines de la guerre d’Algerie, Fayard, Paris, 1962, p.256 83 Rainero, op. cit. , 155 84 Horne, op. cit. , p. 200 85 Aron, Lavagne, op.cit., p. 92-93 26 Dichiarati fuorilegge i due principali partiti nazionalisti, il Partito Popolare Algerino e quello degli Amici del Manifesto, le elezioni del 1945 svoltesi dopo la tragica repressione non inviarono alla prima Assemblea costituente francese rappresentanti nazionalisti. Notevole, malgrado l'elevata percentuale delle astensioni l'affermazione della Federazione degli eletti, che presntando un programma assimilazionista e filo francese, ricevette ben 308 mila vuoti su 689 mila votanti. L'ordine pubblico dell'Algeria si era intanto completamente ristabilito e sempre più ferventi si levavano in tutto il paese le richieste di clemenza nei confronti degli arrestati e dei condannati per i fatti del maggio 1945. Dovuta all'iniziativa del ministro degli esteri Le Troquer la discussione sull'amnistia iniziò nel febbraio 1946 . Uscito dal carcere col favore dell'amnistia e il 16 marzo 1946 Ferhat Abbas riprese immediatamente il programma del Manifesto, inserendolo nel quadro di un partito politico, composto dalle sue sezioni, alla sua disciplina della sua dottrina. Nasceva quindi l’Unione democratica del Manifesto algerino (UDMA). Il 1° maggio seguente precisava gli scopi dell'unione in un appello alla gioventù meridionale e francesi. Secondo Abbas l’UDMA doveva puntare :« All'erezione dell'Algeria in uno stato algerino dove francesi e musulmani avrebbero potuto continuare liberamente a vivere...Né assimilazione, né nuovi padroni...». Abbas guardava alla futura Algeria come ad una comunità multirazziale, ed esortava gli europei a liberarsi dal loro «complesso coloniale» e del loro «orgoglio di conquistatori»; ma incitava pure i musulmani a rinunciare ai loro :«concetti teocratici medievali» e all'idea ormai superata del nazionalismo musulmano. Con dichiarazione di questo tipo Ferhat Abbas confermava il suo atteggiamento moderato ripudiando sia l'arabismo degli Ulema, sia il nazionalismo separatista del P.P.A di Messali. 1.14 Lo Statuto del 1947. Alle elezioni per la seconda Assemblea costituente del 2 giugno 1946 il nuovo partito di Ferhat Abbas, portavoce in primo luogo dei ceti medi urbani, conquistò 11 nei 13 seggi del secondo collegio e 458.000 vuoti su 633.000 votanti. Frutto senz'altro di favorevoli condizioni quali l'appoggio del clandestino PPA e di quello della ormai frammentaria Federazione degli Eletti, il trionfo di Ferhat Abbas segnò la disfatta dei partigiani dell'assimilazione dei moderati. Il fondatore dell’ UMDA, rivelatosi durante le elezioni il più popolare esponente del nazionalismo algerino, propose, il 9 agosto 1946, all'assemblea costituente un nuovo Statuto per Algeria86. Secondo lo statuto proposto da Abbas, il paese sarebbe dovuto diventare una repubblica autonoma, di cui abitanti, sia francesi che musulmani, avrebbero assunto la cittadinanza algerina. L’algeria avrebbe poi avuto un governo proprio, responsabile di fronte ad un Parlamento eletto a suffragio universale. Inoltre, la Repubblica algerina avrebbe amministrato in proprio gli affari interni, ma in fatto di politica estera e di difesa sarebbe stata associata alla Francia. Da quest'ultima l'Algeria avrebbe continuato a ricevere aiuti finanziari, mentre d'altro canto la Francia avrebbe tenuto in Algeria, a rappresentarla, un suo Délégué Général investito di un qualche potere consultivo. 86 Ageron, op. cit., 92-93 27 Il piano dell’UMDA non fu mai preso in esame dall’Assemble Nazionale francese, nemmeno come base per una discussione, allorché si trattavarono i futuri rapporti tra la Francia e di suo territorio d’oltremare87. La situazione delle forze nazionalisti era intanto mutata nel paese con il ritorno del lungo esilio del presidente del disciolto P.P.A Messali Hadj avvenuto il 13 ottobre 1946. Fondando il nuovo partito Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (MTLD), Messali Hadj, in rotta con i programmi dell’ UDMA, e degli Ulema, decise di ridare al nazionalismo algerino la vecchia intransigenza dei tempi dell’Etoile. Ferhat Abbas non riuscendo a intendersi con quest'ultimo partito per fondare un fronte nazionalista unito rinunciò partecipare alle elezione del 10 novembre, durante le quali Messali Hadj ottenne ben 5 seggi, con 153 a mila voti su 464 mila votanti. Il governo francese, ancora scosso dai fatti di Sétif, decise che era tempo di dettare una nuova Carta dei Diritti dell'Algeria e di offrire al paese di suo primo statut organique. Per le notevoli ragioni di contrasto tra i diversi gruppi di pressione presenti nell'assemblea e per l'estrema diversità di proposte da essa scaturita, lo statuto si risolse in un compromesso. Il 27 agosto 1943, lo statut venne votato da 328 deputati contro 33, con 208 astensioni tra le quali quelle dei quindici deputati musulmani. Esso conteneva cinque importanti riforme e costituivano il suo fulcro centrale: la soppressione delle communes mixtes, da sostituirsi con consigli locali democraticamente eletti, la soppressione del governo militare dei territori sahariani, da sostituirsi con quello civile di dipartimento, il riconoscimento dell'arabo a lingua ufficiale accanto a francese, la separazione tra Chiesa e Stato per la musulmana come per le altre religioni, la concessione del diritto di suffragio elettorale alle donne musulmane. Allo stesso tempo lo statuto aboliva il sistema del " governo mediante decreto", sostituendolo con un'Assemblea algerina elettiva composta di 120 membri (60 per ciascun collegio elettorale), con il potere di modificare delle leggi metropolitane applicabili all'Algeria e di voto in materia di bilancio e di leggi finanziarie. L’Assemblea avrebbe preso le proprie decisioni in base al sistema del doppio collegio88, grazie al quale, la minoranza europea si trovò in effetti a pensare quanto l'intera popolazione musulmana. Esso non rispondeva pertanto né alle domande del gruppo parlamentare musulmano riguardo alla garanzia di sovranità da concedere all'Assemblea algerina (sovranità totale, tranne che in materia di difesa e affari esteri) né alla richiesta di concessione dei diritti in doppia cittadinanza89. Lo statuto non soddisfaceva né i deputati algerini, che come già detto si astennero, né i sostenitori dell’ MTLD di Messali che rifiutarono persino di riconoscere la competenza dell'Assemblea francese a legiferare in materia, ma nemmeno i conservatori pied-noir che ritenevano che l'apertura apportata nei confronti di una maggioranza musulmana nell'Assemblea algerina avrebbe minacciato la sicurezza nazionale. Nonostante queste critiche, se fosse stato messo in pratica, lo statuto avrebbe probabilmente rappresentato se non altro una riforma di importanza senza 87 Mansell, op.cit., p 78 il primo collegio elettorale comprendeva tutti i cittadini francesi di un certo numero di musulmani meritevoli, ossia persone con educazione superiore, funzionari civili, ecc. per un totale di circa sessantamila individui. Il secondo collegio comprendeva gli elettori facenti parte della restante schiera dei nove milioni di musulmani 89 Aron, Lavagne, op.cit., pp. 262-265 88 28 pari rispetto al passato. Ma il gruppo dei pied-noir riuscì a bloccarlo, come già aveva fatto nel 36 con il progetto Blum-Violette. Nello statuto venne così inserita una clausola procedurale in base alla quale le cinque riforme cruciali sarebbero state soggette all'approvazione dell'Assemblea algerina: come dire che, sin quando i pied-noir vi avessero conservata la maggioranza, anche queste riforme, alla stregua di tutte le altre a partite dal 1909, non avrebbero mai visto la luce90. 1.15 L'evoluzione dei partiti e le elezioni. Le elezioni per la prima Assemblea algerina si svolsero il 4 aprile 1948 e rappresentarono un esempio eloquente di "elezioni" caratterizzate da notevoli brogli ed irregolarità, ma fatte passare in Algeria, in Francia e all’ ONU come rispettose della democrazia e della volontà del popolo algerino91. Il corpo elettorale era composto da 464.000 coloni e 60.000 algerini per il primo collegio e da 1.400.000 algerini per il secondo. Nel primo collegio si assistette a un crollo dei partiti di sinistra a favore di una unione di destra ispirata agli ideali gollisti. Nel secondo le elezioni segnarono la clamorosa sconfitta dei nazionalisti e dei separatisti algerini che videro i voti degli algerini orientati verso liste moderate e filo-francesi. Ma durante queste elezioni proclamate regolari dal governo francese, le violenze contro gli elettori, agli arresti dei candidati nazionalisti, la pura e semplice contraffazione del voto furono tanto scandalosi che, anche i deputati francesi presentarono interrogazioni al governo chiedendo spiegazioni92. Trovati i candidati moderati e ben accetti, l'amministrazione francese diede istruzioni ai prefetti e ai sindaci per sbarrare la strada ai separatisti, in modo da rimediare agli errori dello statuto dell’anno precedente e adattarlo alle necessità algerine. Una giustificazione di tali manovre riferita da P. Fréderix nel quotidiano "Le Monde" del 3 aprile 1952 è significativa :«Al momento di eleggere nella nuova Assemblea prevista dallo statuto il governo francese temette quanto il Parlamento francese aveva fatto. Nei nostri tre dipartimenti algerini la scelta non verteva tra elezioni libere e le lezioni manovrate. Verteva tra elezioni manovrate dai messalisti per le lezioni manovrate dal governatore. Abbiamo scelto le seconde»93. Anche il rinnovo parziale dell'assemblea, il 4 e l’11 febbraio 1951, confermò i dubbi sui maneggi elettorali da parte francese. Mentre nel primo collegio le posizioni rimasero più o meno uguali a quelle del 1948 nel secondo i partiti nazionalisti perdettero sempre più terreno a favore degli indipendenti progressisti o dell’ Unione moderata algerina94. 90 Horne, op. cit., pp. 69-70 tutto una serie di elezioni che si tenne in Algeria dopo la consultazione del 1948: nel marzo 1949 elezioni cantonali, nel febbraio 1951 all'Assemblea algerina e nel giugno dello stesso anno per l'Assemblea nazionale francese, nell'aprile e nel maggio 1953 per le amministrazioni municipali, nel gennaio-febbraio 1954 ancora per l'Assemblea algerina. Le circolari inviate dai funzionari locali raccomandavano di "esercitare pressioni sugli amministratori" e di indurre gli elettori a votare "in favore dei candidati sostenuti dall'amministrazione" 92 G. Calchi Novati, op. cit., p. 66 93 Pierre Frèdérix , Propectives Algerienne, le monde, 3 aprile 1952 94 Alistar Horne, Storia della guerra d’algeria (1954-1962),Rizzoli, Milano, p 72. 91 29 il sostanziale fallimento dello Statuto sembrava un ulteriore conferma che all'Algeria non poteva aspettarsi di essere liberata dal giuoco parlamentare francese. Contro questi abusi non mancarono anche da parte di personalità europee proteste. Un simile malcostume politico ebbe serie ripercussioni sui nazionalisti e sui musulmani in generale: l'alta percentuale di astensionismo dimostrava la totale sfiducia nel metodo elettivo quale sistema democratico95. 1.16 Dal Fronte Algerino alla nascita del CRUA. Il primo tentativo di unire sotto la stessa bandiera a tutti i nazionalisti algerini risale al 31 luglio 1946 allorché il Comitato centrale del Partito Comunista Algerino (PCA) lanciò un appello «per l'unione di tutti degli algerini progressisti in un vasto Fronte nazionale democratico» che avrebbe dovuto unire il PPA, l'Unione democratica del Manifesto, gli Ulema e il Partito Socialista. L’iniziativa del PCA, benché evidenziasse come uno dei principali difetti del nazionalismo algerino fosse insito nella sua divisione, non ebbe il successo sperato e non venne raccolta dai partiti musulmani insospettiti per ragioni ideologiche da una proposta comunista. Un secondo tentativo di unità nazionalista può essere ritenuto, seppur riguardi solo il P.P.A, l'adesione algerina al comitato di liberazione del Magherb arabo in data 7 gennaio 1948 con i partiti nazionalisti del Marocco e dalla Tunisia. Si sarebbe dovuto però aspettare alle elezioni del 21 giugno 1951 per giungere all'unificazione tramite la creazione ad opera del Congresso degli Ulema, dell’U.D.M.A, del M.T.L.D del P.C.A, nel Fronte algerino per la difesa e per il rispetto della libertà avvenuto il 5 agosto 1951. Le ragioni che indussero i partiti nazionalisti ad unirsi furono, secondo il proclama comune, l'insincerità delle elezioni fino a quel momento indette, la mancanza delle libertà fondamentali per gli elettori del secondo collegio, la repressione delle autorità contro algerini di idee politiche nazionaliste e lo stato di tensione generato in tutto paese da questa situazione. Gli obiettivi che il Fronte si proponeva erano quelli dell'annullamento delle elezioni del 1951, che secondo opinione comune, avevano portato alla nomina da parte dell'amministrazione di uomini ai quali popolo algerino non aveva affidato il suo mandato e dei quali esso negava il diritto di parlare in proprio nome. Il Fronte dichiarava inoltre di respingere ogni forma di repressione collettiva o individuale e ogni ingerenza amministrativa della sfera del culto, ed esigeva il rispetto da parte delle autorità francesi delle libertà fondamentali del popolo: di coscienza, di stampa, di opinione e di riunione96. Inizialmente l'importanza che al Fronte venne attribuita da parte musulmana come da parte francese fu notevole. Si rilevò giustamente che quella fosse la prima volta in cui nazionalisti algerini erano riusciti a riunirsi superando rivalità personali e gli attriti tra i diversi partiti. Ma ben presto i buoni propositi del Fronte fecero spazio alla crisi ed i dissidi tra i vari esponenti riaffiorarono come le numerose incompatibilità ideologiche esistenti tra i 4 partiti. Il M.L.T.D, giudicato dalla 95 96 Rainero, op. cit., p. 167-169 Ageron, op. cit., p. 98 30 Francia il competitore più temibile, fu il primo a dichiarare nel suo congresso del 1953 di ritenere superate le politiche del Fronte. Fino al 1947 i partiti nazionalisti avevano condotto una lotta politica attraverso metodi costituzionali, ma fu probabilmente l'improduttività di questa lotta che contribuì alla nascita di una nuova forma d'azione, si potrebbe chiamare "diretta" o "violenta", fuori dal raggio dei partiti tradizionali. Il gruppo che per primo si concentrò su una prospettiva "violenta" fu l'Organizzazione speciale, una sorta di braccio armato del M.L.T.D, fondata nel 1947, embrione dell'insurrezione del 1954, che permise al M.L.T.D di ufficializzare in qualche modo lo sdoppiamento tra legalità e illegalità. Con l’ Os in movimento di Messali poteva perseguire, per vie parallele, con una vera e propria ripartizione di compiti, sìa alla strada della politica elettorale sia l'impegno diretto per l'indipendenza. L'inizio degli anni cinquanta fu però segnato da ripetuti contrasti all'interno del partito di Messali che portò ad una scissione del M.L.T.D in due tronconi. I dissidi interni si possono sintetizzare con la polemica tra "messalisti" e "centralisti". I primi, i seguaci più fidati di Messali Hadj, sostenevano di essere i soli interpreti della volontà popolare; i secondi, così chiamati dal loro riferirsi all'autorità ultima del Comitato centrale, in cui detenevano la maggioranza, volevano elevarlo a istanza suprema contro il personalismo di Messali. Una scissione avvenne nel luglio del 54 quando il gruppo dei "messalisti" rimpiazzò il Comitato centrale, accusato di deviazionismo, con il Consiglio nazionale della rivoluzione. Mentre nello stesso mese il Comitato centrale si riuniva per espellere Messali dal partito accusandolo di fanatismo religioso. Il conflitto tra le due tronconi del MLTD persuase i resti dell’ Os ad intraprendere un azione come gruppo separato, per non disperdere completamente il patrimonio dell'unico partito di massa che al momento avesse l'Algeria. Su iniziativa di Mohammed Boundiaf, con l'intento esplicito di unificare il partito tormentato dalle rivalità ideologiche e personali con un progetto anticoloniale e rivoluzionario, i militanti che avevano fatto parte dell'Organizzazione speciale si riunirono in più occasioni fino a fondare il Comitato rivoluzionario di unità e di azione (C.R.U.A)97. Si trattava in pratica di una terza forza gli “attivisti”, rispetto a “messalisti” e “centralismi” che ormai si stavano facendo la guerra. I piani del C.R.U.A prevedevano che, con l'inizio delle operazioni militari, il movimento avrebbe assunto forma politica più precisa. Venne costituito un partito, battezzato Fronte di liberazione nazionale (Front de libération nationalF.L.N), che combinava elementi del radicalismo messalista con idee modernizzanti degli "evoluti" e le spinte islamiche della base. Al fianco del F.L.N avrebbe operato l'Armata di liberazione nazionale (Armée de libération nazionaleA.L.N ), sua organizzazione militare98. Il passo che portò alla rivolta armata del novembre 1954 maturò in alcuni mesi tra molte difficoltà. I capi del movimento dovevano convincere popolo algerino della sua consistenza e dargli fiducia nei confronti di una forza, il dominio francese che la gente si era abituato a ritenere invincibile. Grandi problemi di armi, viveri e consensi internazionali furono affrontati e risolti in un'estenuante vagabondaggio tra l'Algeria ed alcune città straniere, soprattutto il Cairo, Berna e Ginevra, oltre a Parigi. Nove furono i capi storici che diedero vita alla rivoluzione, sei di loro, Didouche, Ben Boulaid, Buondiaf, Rabah Bitat e Belkacem Krim, si mossero negli ultimi 97 98 Horne, op. cit., p. 78 Ageron, op. cit., p. 98 31 mesi soprattutto in Algeria, e tre al Cairo, Ahmed Ben Bella, Vocine Ait Ahmed, Mohammed Khider99. 1.17 La guerra di liberazione. Nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1954 scoppiò una serie di disordini che coinvolse tutta l'Algeria. Malgrado le prime dichiarazioni dell’allora governatore R. Léonard che tendevano a minimizzare lo scoppio delle violenze, l'opinione pubblica ed il governo francese si resero presto conto che gli incidenti prendevano l'aspetto di una vera e propria ribellione organizzata. Pochi giorni prima della rivolta il quotidiano nazionalista La Nation Algérienne si schierava contro l'immobilismo politico di Parigi :«Per lungo tempo si è voluto negare che esistessero il problema indocinese e un problema tunisino. Gli avvenimenti si sono incaricati di provare il contrario... Altrettanto valga per l'Algeria; il governo francese e dell'avviso che, nel nostro paese, tutto procede per il meglio e non esiste un problema algerino» ed in oltre « la lotta per le riforme immediate non è incompatibile con quella per la liberazione»100. Alla notizia di disordini, il governo presieduto dal radicale Pierre Mendès-France si trovò preso alla sprovvista senza un preciso piano d'azione nel territorio algerino. Lungi da pensare ad una trattativa con i nazionalisti e convinto della necessità di ridurre prima alla ragione la punta più estremista, Mendès-France decise, il 5 novembre, lo scioglimento del MLTD, la soppressione di tutta la stampa nazionalista e l'arresto di tutti gli esponenti più illustri del nazionalismo algerino. Parallelamente ebbero inizio le operazioni militari di "pacificazione" con l'aiuto di truppe, circa quarantamila uomini, fatte affluire della Francia101. Lo scioglimento del MLTD non ebbe però i risultati sperati, anche perché il comando delle operazioni era ormai stato preso in mano dal nuovo partito del FLN , creato dal CRUA. Il 1° novembre 1954, il Fronte di Liberazione Nazionale annunciava il passaggio alla lotta armata contro il colonialismo francese, per la «restaurazione dello Stato algerino, sovrano, democratico e sociale, nel quadro dei principi islamici»102. iniziava così una riconquista che sarebbe durata più di sette anni e sarebbe costestata al popolo algerino oltre un milione di vite, a tre milioni di deportati e un territorio devastato. La mobilitazione si fece ovviamente sul tema dell'indipendenza nazionale ma soprattutto sull'unità del popolo algerino e sul suo essere islamico. Il concetto di "nazione" tout court non sarebbe bastato a smuovere le masse in uno slancio omogeneo se non fosse stato un senso di "nazione musulmana", cioè l'affermazione del popolo di Allah contro lo straniero. Solo nella dimensione religiosa potevano convergere ed unificarsi le motivazioni di ognuno: quelle dei 99 Novati, op. cit., p 78 La Nation algérienne, 29 ottobre, in Esquer, op. cit., p 95 101 Rainero, op.cit., p. 175 102 Proclama del FLN 1° novembre 1954, in Calchi Novati, La Rivoluzione Algerina, Milano, Dall’Oglio, 1969, p. 222 100 32 fellahin (contadini) spodestato nelle loro terre, quelle degli intellettuali messi a tacere, quelle dei commercianti borghesi bloccati nella loro ascesa sociale103. Il FLN si proponeva come movimento indipendente dalla due parti del MLTD che si contendevano il potere ("centralisti " e "messalisti") ed offriva agli algerini di tutte le categorie sociali di integrarsi nella lotta per la liberazione. La parola " fronte" era stata voluta da Boundiaf per non dare l'impressione di esclusivismi e garantire che tutti gli algerini, quale che fosse la loro direzione politica, si sarebbero potuti unire al movimento. Pressoché senza rivali anche per l’involontario aiuto fornitogli dalle autorità francesi con l'attacco contro il MTLD, il FLN decise di ammettere come aderenti a titolo personale i militanti dell'uno dell'altro dei due partiti tradizionali, nonché i comunisti, purché non sopravvivessero correnti o gruppi organizzati104. Assestato il primo colpo dagli attentatori del 1° novembre 1954, la rivoluzione algerina si trovò davanti il compito di creare dal nulla un movimento che aveva avuto origine da un atto di volontà di una cerchia ristretta di dirigenti. Fin dall'inizio l'ossatura di tutto il sistema che animava e sorreggeva l'insurrezione era costituita dalle zone di combattimento che più tardi sarebbero state chiamate wilaya. L'Algeria venne divisa in sei wilaya: Aurès, Costantinese del Nord, Cabilia, Algeri, Oranese, Territori del Sud, più la cosiddetta Base dell’Est, presso il confine tunisino105. Ciascuna delle zone sarebbe stata autonoma per tutto quello che concerneva le decisioni strettamente operative, ed i sei capi storici dell'interno vennero posti al comando ognuno di una specifica wilaya. L’Armata di liberazione nazionale, il braccio armato dell’ FLN, contava nel 1954 al massimo 500 combattenti (moudjahidin), più alcune migliaia di suppletivi inquadrati (moussebilin) e volontari incaricati di missioni speciali impiegati soprattutto del terrorismo urbano. Secondo stime affidabili, l’ALN arrivò ad avere un massimo di 120 mila uomini nel 1957-59, scendendo a 40 mila effettivi al momento del cessate il fuoco106. La tattica di guerra dell’ALN, cosciente della propria inferiorità militare rispetto all'esercito francese, era quella della guerriglia; i combattenti si nascondevano nelle zone impervie sfruttando la loro familiarità con il terreno e l'aiuto crescente della popolazione, nel tentativo di logorare le forze armate francesi con interventi rapidi ovunque nel paese. La caduta di Mendés-France e la nomina di Soustelle governatore dell'Algeria, il 25 gennaio 1955, non modificò la situazione ne allentò la tensione. Il nuovo rappresentante della Francia pubblicò un piano di riforme che seguiva un precedente piano redatto dal ministro Mitterand e puntava soprattutto sul progresso economico e sociale del paese, vedendo solo in questo aspetto le radici del problema. Il 31 giugno 1955 l'Assemblea nazionale francese istituì lo "stato d'urgenza" in Algeria che sanciva il passaggio di molte responsabilità e poteri alle autorità militari per far fronte a necessità del momento107. Ma già allo scadere del primo semestre dallo “stato d'urgenza” l'Assemblea nazionale, interrogandosi di nuovo sulla questione, si rendeva conto che difficilmente il problema algerino si sarebbe potuto ridurre a meri rapporti di forza tra Francia ed i nazionalisti in rivolta. Molti 103 Brondino, op. cit., p. 44 Novati, op. cit., p 79 105 Esquer, op. cit., p. 98 106 Novati, op. cit., p. 84 107 Ageron, op. cit., p. 100 104 33 parlamentari intervenuti nella seduta del 11 ottobre si mostrarono coscienti dell'esigenza di un rinnovamento delle politiche francesi in Algeria. Ma questo rinnovamento lungi dal presentare alcun riferimento ad autodeterminazione del popolo algerino si riassunse nella formula dell'integrazione. Disse l’allora presidente del consiglio Faure:« Scegliendo la parola integrazione noi abbiamo respinto la secessione e l'assimilazione. Certo la completa assimilazione è una bella idea conforme a genio della Francia, mentre incontra due obiezioni: la coscienza di una specifica originalità della popolazione musulmana e il fatto che essa è stata considerata come un alibi per l’inattività»108. Gli esponenti musulmani non intendevano però cedere a questo tipo di politica e considerando l'integrazione un sistema ormai superato. L'estendersi della rivolta trovò consensi e appoggio nei vari paesi arabi i quali ritenevano le varie esplosioni di violenza un'ulteriore conferma del carattere unitario della lotta contro il colonialismo francese nel Nord Africa. Le conseguenze più clamorosa di questi consensi si ebbe nell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori dell'Assemblea generale dell'ONU della questione algerina. Gli echi di questa prima internazionalizzazione del conflitto furono notevoli anche se ogni discussione sull'argomento fu bloccata dall’ opposizione francese che, considerando i dipartimenti in Algeria parte integrante del suo territorio, si richiamò all'articolo 2, paragrafo 7 dello statuto dell'ONU che vieta l'ingerenza sull'organizzazione negli affari interni di uno Stato membro109. L'attività militare dell’ ALN, in un primo tempo fatta di attacchi episodici, diventò a partire dei primi mesi del 1956 una vera e propria guerra con, sempre più, azioni di gruppi armati regolari che controllavano intere zone e ne presidiavano l'accesso. In questo periodo cominciarono anche i primi atti bellici nella capitale e si verificheranno i segnali della ormai imminente "battaglia d'Algeri". Il 10 agosto una bomba al plastico posta dai combattenti francesi in nel cuore della Casbah provocherà alcune decine di vittime tra i civili algerini, mentre i primi attentati da parte dei guerriglieri algerini nei caffè di Algeri frequentati da giovani europei avverranno il 30 settembre. Di fronte al intensificarsi ad Algeri di attentati sempre più micidiali, il ministro Lacoste decise di affidare la difesa dell'ordine in città alla divisione di paras del generale Massu. Questi facendo ricorso alle armi dell'anti-guerriglia, con rastrellamenti di massa e interrogatori che prevedevano un uso sistematico della tortura, riuscì a smantellare l'organizzazione della rete clandestina nella capitale110. Le zone principali nelle quali si "installò" la guerra erano due: le legioni nel confine algero-tunisino e le montagne dell'interno (Nementcha, Aurés, Biban). Naturalmente questa localizzazione della rivolta non impedì la prosecuzione dell'altra forma di lotta, quella della guerriglia, che rendeva poco sicure le comunicazioni ed insediava alla vita normale delle città algerine e, a partire dagli ultimi mesi del 1956, anche quella delle città francesi dove era notevole la presenza algerina111. Nell'agosto 1956, dopo circa due anni dallo scoppio della lotta di liberazione nazionale, il FLN tenne il suo primo Congresso nella valle della Sommam nella Cabilia dove venne abbozzato per la prima volta in programma politico della Rivoluzione in atto. Negli atti del Congresso la Rivoluzione veniva vista come un mezzo mentre :«il fine da perseguire è l'indipendenza nazionale». 108 Rainero, op. cit., pp. 178-179 Novati, op. cit., p 94 110 Esquer,op. cit., p 100 Vedi anche Novati, op. cit., pp- 88-89 111 Rainero, op. cit., p.181 109 34 Nella Sommam si avrà l'investitura ufficiale del FLN come un'unica organizzazione veramente nazionale in tutto il territorio algerino. Il Congresso dava un'organizzazione politica al movimento di liberazione fissando una serie di organi e di principi di metodo, come la priorità dei civili sui militari. In questo Congresso il FLN si diede un esecutivo ristretto, facente funzioni di un governo, e un'assemblea con i poteri di istanza suprema. L'esecutivo, formato da cinque membri, venne chiamato Comitato di coordinamento di esecuzione (CCE), mentre il parlamento, nel quale furono chiamati tutti i capi politici e militari della rivoluzione per un totale di 34 membri, venne chiamato, il Consiglio nazionale della rivoluzione algerina (CNRA)112. Subito dopo il Congresso della Soummam, il 22 ottobre 1956, la autorità francesi causarono l'atterraggio forzato ad Algeri dell’aereo marocchino che trasportava da Rabat a Tunisi cinque dei massimi esponenti della ribellione (M. Ben Bella, M. Khider, Ait Ahmed, M. Lacheraf e Boudiaf) procedendo poi al loro arresto113. Quest'operazione presentata dalla Francia come una grande vittoria contro l'organizzazione del FLN causò un ulteriore irrigidimento da parte dei combattenti e una brusca interruzione dei pourparlers in corso tra governo francese e dirigenti del nazionalismo algerino. Nel febbraio del 1958 l'aviazione francese come reazione di attacchi condotti dal FLN partendo dal territorio tunisino, bombardava il villaggio di Sakiet-SidiYoussef provocando una crisi di dimensioni internazionali. Nel frattempo in Algeria i coloni si autoproclamarono difensori della Francia della sua missione civilizzatrice in Africa, inserendosi tra il potere costituzionale e il movimento di liberazione per perpetuare il progetto dell’Algérie française. Anima della ribellione fu il Comitato di salute pubblica, che raccolse l'adesione di ex combattenti, delle associazioni patriottiche e dei grandi interessi economici sotto il benevolo scudo dei comandi militari. Il 13 maggio il generale Massu, al quale il ministro residente aveva delegato tutti poteri, si impossessò nella direzione del Comitato di salute pubblica di Algeri, con un vero proprio atto di rivolta nei confronti del governo legittimo, i manifestanti presero d'assalto il ministero di Algeri incendiando numerosi uffici e biblioteche. Con queste manifestazioni Massu voleva esercitare sul parlamento francese una pressione tale che lo avrebbe costretto ad accettare un ministero di Salute pubblica, controllato dai coloni. Le conseguenze che le rivolta del 13 maggio ebbero furono però, da una parte, le manifestazioni di fraternità franco- musulmana che si succedettero nel Forum di Algeri e il più importanti centri, e dall'altra parte in Francia dopo un breve periodo di titubanza, l'investitura da parte dell'Assemblea del generale Charles de Gaulle, fuori dalla politica dal 1946 e chiuso nel suo esilio volontario a Colombey-lesdeux-Eglises, come capo di governo il 1° giugno114. Era la fine della quarta Repubblica: proprio de Gaulle avrebbe di li a poco propiziato l'avvento della Quinta. Il generale compì il 4 giugno la sua prima visita ad Algeri rivolgendo un accorato appello alla popolazione nella piazza davanti al palazzo del governatore generale. Il nome di de Gaulle fu immediatamente associato a quello dei promotori del colpo di Stato di Algeri e nello stesso tempo sempre più numerose si fecero le voci di coloro che indicavano come il solo uomo capace di mettere fine ai mali della Francia, nella metropoli e in Africa. 112 Brondino, op. cit., p 173 Vedi anche Horne, op. cit., p 100-106 Ageron, op. cit.., p. 105 114 Esquer, op. cit., p. 121 113 35 Attorno al generale si verificò infatti la strana convergenza degli ultranazionalisti, che vedevano soltanto nella forza e nel proseguimento della guerra la possibilità di soluzione del problema algerino, e dei sostenitori di una soluzione liberale, che ricordavano le ripetute prese di posizione di de Gaulle in favore dell'associazione tra un Algeria franco- musulmana e la Francia115. 1.18 De Gaulle al potere. Nel 1958 all'ascesa al potere di de Gaulle, riconosciuto dal Comitato di salute pubblica come l'unico che avrebbe potuto salvare gli interessi francesi in Algeria, fu commentata dal FLN in due comunicati nei quali si ribadiva che «la guerra di liberazione continua contro la Francia, il generale de Gaulle non può fare nulla per fermarla, se non riconoscere l'indipendenza dell'Algeria»116. Ancora una volta il problema algerino si dimostrava molto grave ed urgente per la Francia e proprio per questo motivo uno dei primi atti che il nuovo presidente fece dopo la sua nomina il 1° giugno 1958 fu quello di recarsi in Algeria per tentare di approfittare dell'entusiasmo popolare sperando di destare nei diversi elementi della popolazione algerina la fiducia nelle sue capacità di conciliazione. Il 4 giugno infatti, in visita ad Algeri, de Gaulle sembrò confermare le speranze riposte in lui e nella sua guida dagli insorti pronunciato con enfasi la sentenza: «io vi ho capito»117. De Gaulle che aveva sempre considerato l'impero come un prolungamento della Francia, uno strumento della sua potenza, ma non come un bene da salvaguardare a qualsiasi prezzo, non sarebbe mai stato disposto a mettere in pericolo la sicurezza della Francia dilapidando le sue risorse umane a materiali in guerre coloniali perdute in partenza. Tutta la costruzione ideologica di De gaulle aveva sempre appoggiato sull'esaltazione della nazione, massimo grado di sviluppo della storia di un popolo. Era naturale che prima o poi egli si accorgesse dell'esistenza di una nazione algerina, Il piano di Costantina per lo sviluppo economico e sociale dell'Algeria, enunciato da de Gaulle in persona il 3 ottobre del 1958 rappresentava, in un certo senso, “l'ultimo tentativo del potere di rimediare alla carenza di capitali locali, immettendo capitali dal centro e provvedendo a un principio di riconversione produttiva a costo di sacrificare alcuni interessi tipicamente coloniale”, era basato su uno schema della durata quinquennale destinato ad occupare la forza lavoro indigena in industrie di beni consumo118. Con questo piano il generale mirava a realizzare un'integrazione politica tra la Francia e l'Algeria parlando apertamente di associazionismo, pur sapendo che il FLN non avrebbe accettato. Lo scopo implicito era di incrinare il fronte anticoloniale raffreddando le tensioni con l'illusione che le rivendicazioni nazionaliste si sarebbero svuotate o ridotte con un miglioramento delle condizioni generali della popolazione algerina. Le offerte al FLN si precisarono con la conferenza stampa di de Gaulle del 23 ottobre 1958 il cui tema principale era il tentativo di costruire la "pace dei 115 Horne, op. cit., p.125 Rainero, op.cit., p. 208 117 Horne, op. cit., p. 200 118 Esquer, op. cit., p. 121 116 36 coraggiosi" (paix de breves). Il capo del governo francese accettava la resa dei ribelli e s'impegnava a discutere con il GPRA le condizioni della pace. Le parole di de Gaulle però non destarono approvazione né tra i coloni che le consideravano come intimazione ad una resa incondizionata, né tra il GPRA che definì le proposte di pace come " una inaccettabile capitolazione”119. Il 16 settembre 1959 de Gaulle pronunciò il suo discorso più lungo e impegnato sull’Algeria. Le parole impiegate dal presidente francese erano rivelatrici di un'evoluzione e soprattutto là dove egli, dopo aver esaltato i successi della Francia, che aveva recuperato parte del terreno perduto, disse: «considerati tutti questi fattori, quelli relativi e la situazione algerina e quelli inerenti alla situazione nazionale e internazionale, giudico necessario proclamare, qui ed d'ora, il ricorso all’ autodeterminazione»120. Il passo decisivo verso l'abbandono dell'Algeria francese era stato compiuto. Probabilmente la novità riguardo alle posizioni precedenti era rappresentata dal fatto de Gaulle voleva una soluzione politica, anche se fosse stato possibile una vittoria militare. Senza una adesione profonda degli algerini le armi da sole non sarebbero state e questo era di per sé un buon argomento a favore di una trattativa a prescindere dai rapporti di forza con l’ ALN. La risposta del GPRA al discorso di De Gaulle del 16 settembre fu abbastanza positiva, ed alcuni, come ad esempio Ferhat Abbas proposero di aprire immediatamente dei negoziati con la Francia, purchè vertessero sui termini politici della questione. Nel giugno 1960 si svolse l'affare Si Salah, il segreto e mai confermato incontro tra de Gaulle ed esponenti algerini le cui il comandante della IV wilaya. Durante il quale vennero a galla i contrasti tra FLN e Francia sull'oggetto delle trattative che si sarebbero dovute tenere in tempi brevi. Mentre per il FLN si doveva discutere su come arrivare all'esercito dell'autodeterminazione, per la Francia erano in discussione soltanto le modalità per il cessate-il-fuoco. Con la prova che il De Gaulle pensava più all'integrazione ed al riconoscimento di una certa autonomia alla colonia, che hai modi necessari per estinguere la resistenza dell’ALN, il malcontento di civili e militari francesi in Algeria aumentò. Dalla fusione di vari movimenti estremistici, tra i quali parte dell’ esercito francese e del Comitato di salute pubblica, nacque in Algeria tra i 1960 in 1961, l’Oraganisation de l ‘Armèe secrete (OAS). La sigla OAS divenne in breve un simbolo di terrore e di morte tentando più volte di prendere il potere a discapito del governo francese prima e di quello algerino dopo l'indipendenza. A dimostrazione del fatto che gli europei in Algeria, con loro molti ufficiali, si sentivano traditi dalla politica di De Gaulle, essi prepararono, prendendo come pretesto la rimozione del generale Massu considerato ultimo garante del 13 maggio dei paladini dell’Algérie francais, l'insurrezione "delle barricate". Il 24 gennaio 1960, i manifestanti armati occuparono una parte dell Università di Algeri spararono contro degli agenti di polizia del governo francese (uccidendone 14 e ferendone 61) al grido di: « De Gaulle al patibolo, Massu al potere»121. Ma de Gaulle, rovesciando il responso dato il 13 maggio 1958, rispose con la forza al tentativo di insubordinazione, destituendo gli ufficiali ribelli e spingendo gli estremisti a rifugiarsi nella clandestinità. 119 Ageron, op. cit., p.110 Novati, op.cit., p. 124 121 Acone, op.cit., p. 110 120 37 Ormai la strada per le trattative era aperta e le grandi dimostrazioni popolari in favore del FLN nelle principali città algerine in occasione di quello che sarebbe stato l'ultimo viaggio in Algeria del presidente francese, nel dicembre 1960, tolsero ogni dubbio superstite sul futuro dell’Algeria e sulla rappresentatività del movimento che campeggiava l'insurrezione. Quando il corpo elettorale francese rispose in maggioranza "si" al referendum del 8 gennaio 1961 sull'autodeterminazione degli algerini, fu evidente che il negoziato non aveva alternative per nessuno. Il largo astensionismo dei musulmani e il "no" in maggioranza dei pied-noirs in Algeria non potevano intaccare l'impressione, condivisa anche da De Gaulle, che la conclusione della pace fosse ormai solo una questione di tempo. La firma dell'accordo sulla cessazione delle ostilità e dei documenti politici annessi avvenne a Evian il 18 marzo 1962, mentre il 19 venne proclamata la cessazione delle ostilità in tutta Algeria122. Era finita per l'Algeria una guerra durata quasi otto anni, con all'attivo l'affermazione della sua rincari nazione ed indipendente di Stato, ma con il peso di un milione di morti e di danni morali e materiali incalcolabili. 122 Ageron, op. cit., p. 116 38 CAPITOLO II DALL’INDIPENDENZA AGLI ANNI 80 2.1 Gli accordi di Evian Dopo l'indipendenza dell'Algeria le relazioni tra i due Stati sarebbero dovute essere regolate dagli Accordi di Evian del 18 marzo 1962, scaturiti in seguito ai negoziati tra i rappresentanti del Governo della Repubblica francese ed i rappresentanti del Fronte di Liberazione Nazionale. Questi accordi fissavano in maniera dettagliata gli impegni futuri che Francia e Algeria avrebbero dovuto rispettare negli anni successivi. Il contenuto degli Accordi di Evian era costituito dalle Condizioni a garanzia dell'autodeterminazione, in cui l'accordo sul cessate il fuoco regolava, in undici articoli, la cessazione delle ostilità tra le forze combattenti del FLN e la armata francese, e dalle Dichiarazioni di governo e relative all'Algeria. La Dichiarazione generale trattava «l'organizzazione dei poteri pubblici durante il periodo di transizione e le garanzie dell'autodeterminazione» (capitolo I), «dell’indipendenza e della cooperazione» (capitolo II), «il regolamento delle questioni militari» (capitolo III), «il regolamento dei contenziosi» (capitolo IV) e le «conseguenze dell'autodeterminazione» (capitolo V). Delle dichiarazioni di principio inoltre completavano gli Accordi e davano ulteriori dettagli a certi aspetti delle dichiarazioni generali. La Dichiarazione delle garanzie trattava nella sua prima parte delle «disposizioni generali» relative a «la sicurezza delle persone» e alla «libertà di circolazione tra l'Algeria e la Francia», mentre nella seconda parte del «esercizio di diritti civili algerini» (capitolo I), della «protezione di diritti e delle libertà di cittadini algerini di statuto civile di diritto comune» (capitolo II), delle «associazioni per la salvaguardia» (capitolo III) e della «Corte delle garanzie» (capitolo IV), nella sua terza parte la Dichiarazione delle garanzie faceva invece riferimento ai «Francesi residenti in Algeria in quanto stranieri». La Dichiarazione di principi relativi alla cooperazione economica e finanziaria, riguardava la «contribuzione francese allo sviluppo economico e sociale dell'Algeria» (titolo I), gli «scambi» (titolo II), «le relazioni monetarie» (titolo III) e sulle «garanzie di diritti acquisiti ed egli impegni anteriori» (titolo IV). La dichiarazione di principi seguente trattava invece la cooperazione per la valorizzazione della ricchezza del sottosuolo del Sahara, nella quale venivano trattate le questioni rigurdanti «idrocarburi liquidi e gassosi» (titolo I), «altre sostanze minerali» (titolo II), «l’organizzazione tecnica di valorizzazione delle ricchezze del sottosuolo sahariano» (titolo III) e l’«arbitraggio» (titolo IV). La quarta dichiarazione era relativa alla cooperazione culturale. La quinta trattava della cooperazione tecnica, mentre la sesta era relativa alle questioni militari (con degli allegati concernenti il porto di Mers el-Kébir, le facilitazioni il traffico aereo e di circolazione terrestre e marittima, le telecomunicazioni, lo statuto dell'esercito l'Algeria, le disposizioni giudiziarie e quelle di ordine economico e finanziario)123. Tramite gli accordi di Evian, l'Algeria accendeva alla piena sovranità. Nella nomina dei dirigenti dell'Algeria indipendente non si sarebbe stata nessuna 123 Amine Ait-Chaalal, L’Algérie, les Etats-Unis et la France, des discours à l’action, Publisud, Paris, 1994, p. 64 39 interferenza francese e, soprattutto, era garantita l'integrità politica e territoriale dell'Algeria, dalla costa al confine meridionale del Sahara124. La Francia d'altra parte si vedeva riconosciute certe prerogative; avrebbe infatti tenuto in Algeria 80 mila soldati per tre anni conservando per cinque i poligoni per gli esperimenti nucleari delle basi aeree Sahara, e sarebbe rimasta per quindici anni con un regime d'affitto della base navale di Mers el-Kébir. Le compagnie petrolifere francesi mantenevano le concessioni già operanti e avevano assicurato un trattamento di favore sulle nuove esplorazioni per un periodo di sei anni. Come il FLN aveva sempre riaffermato, dai tempi della Conferenza della Soummam, la rivoluzione non si riprometteva di "buttare a mare" i francesi bensì "di distruggere l'inumano giogo coloniale"125. Gli accordi di Evian furono approvati dalla popolazione francese tramite il referendum dal 8 aprile 1962. Il risultato fu del 90,7% dei voti espressi in favore degli accordi ( 17,5 milioni di voti favorevoli 1,79 milioni di voti negativi). Il referendum per l’autodeterminazione fu fissato al 1° luglio 1962 in territorio algerino, ed il risultato diede senza ambiguità: 5.975.581 voti in favore dell'indipendenza, contro soltanto 16.354 voti negativi (cioè il 99,7% di voti positivi rispetto al numero dei votanti, ed il 91,2% del rapporto al numero di iscritti)126. Il 3 luglio, la Presidenza della Repubblica a Parigi diffuse il seguente comunicato :« Tramite il referendum del 8 gennaio 1962, il popolo francese ha riconosciuto alla popolazione algerina il diritto di scegliere il proprio destino politico rispetto alla Repubblica francese. Tramite il referendum del 8 aprile 1962, il popolo francese ha approvato le dichiarazioni governative del 19 marzo 1962 che prevedono il caso in cui la popolazione algerina consultata in virtù della legge del 14 gennaio 1962 scegliesse di costituire in Algeria uno Stato indipendente opera e con la Francia. Per lo scrutinio d’ autodeterminazione del 1° luglio 1962, il popolo algerino si è pronunciato favorevole all'indipendenza dell'Algeria ed alla cooperazione con la Francia. Di conseguenza, il rapporto tra la Francia è l'Algeria sarà fondato sulle condizioni definite dalla dichiarazione governativa del 19 marzo 1962, ed il Presidente della Repubblica francese dichiara che la Francia riconosce solennemente l'indipendenza dell'Algeria. Parigi, 3 luglio 1962»127. Il Generale de Gaulle nominò lo stesso giorno Jean-Marcel Jeanneney come ambasciatore di Algeri, con il particolare l'incarico di applicare gli Accordi di Evian. Dietro la facciata, comunque, gli Accordi nascondevano non poche insidie. In vista della fine della guerra, le due parti si erano prefissi con il negoziato obiettivi diversi – il FLN l'indipendenza nazionale e la sovranità, Parigi la difesa dei propri interessi economici e strategici e i presupposti di una politica di potenza- creando il rischio che ognuno potesse interpretare i documenti di Evian secondo proprio angolo visuale128. Gli ideali della Francia potevano essere riassumibili nella formula "indipendenza nell'interdipendenza". Dai vantaggi in campo petrolifero all'uso di una base militare e agli impianti nucleari nel Sahara, non era possibile affermare infatti che l’era del colonialismo fosse stata completamente cancellata. Pur insistendo 124 Salah Mouhoubi, La politique de coopértion algéro-française : bilan et perspectives, Paris/Alger, Publisud/OPU, 1986, p. 44 125 Calchi Novati, op.cit., p. 132 126 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 65 127 Charles de Gaulle, Lettres, Notes et Carnets. Janvier 1961- Décembre 1963, Paris, Plon, 1986, p. 242 128 Offredo Jean, Algérie : avec ou sans la France ?, Paris, Les Edition du Cerf, 1973, p. 11 40 sull'indipendenza, in realtà, gli Accordi delineavano in modo particolare i meccanismi di funzionamento della "cooperazione" ed erano probabilmente stati concepiti in funzione della costruzione in Algeria di uno Stato liberale, con istituzioni vicine a quelle in vigore nelle democrazie occidentali. Attraverso un'analisi pertinente Nicole Grimaud traccia con nettezza il destino degli Accordi di Evian in questi termini:« in questo contesto, appare indiscutibile che questi Accordi (d’Evian) peccano per eccesso di ottimismo, addirittura irrelismo. Nessuno ignorava l'intenzione dell'Algeria di intraprendere un cammino socialista ma nonostante ciò, due clausole distinte all'interno degli accordi stipulavano l'una la delibera scelta del proprio regime per il nuovo Stato e l'altra il mantenimento di interessi stranieri; così intense queste due condizioni erano in antinomia. La messa in pratica di ciascuna di loro avrebbe avuto delle implicazioni troppo contraddittorie per poter essere conciliate. La difficoltà della situazione che veniva a crearsi fu del resto percepita dai negoziatori francesi che cercarono di rimediare considerando la possibilità da parte della Francia di fornire un aiuto specifico per una riforma agraria che avrebbe inevitabilmente inglobato i domini di coloni. Ma al di là delle terre, il rispetto delle proprie convenzioni politiche avrebbe condotto l'Algeria a riacquistare il proprio paese pezzo per pezzo129». Tuttavia, la cooperazione tra i due paesi non fu per niente riconsiderata, e qualche risultato fu raggiunto solamente attraverso il sorpasso degli Accordi d’Evian. Svariati sono i motivi per cui gli Accordi non furono attuati nella loro interezza. Per quanto riguarda l'Algeria un gruppo alla conquista del potere gravitante in parte attorno alla figura di Ben Bella, non esitò a denunciare ciò che si era deciso ad Evian considerandolo come una costruzione di tipo "neocolonialista" che mirava a perpetuare i legami di dipendenza (soprattutto economica) con la Francia. Queste polemiche presero un'ampiezza particolare durante la riunione del Consiglio nazionale della rivoluzione algerina (CNRA) a Tripoli nel giugno 1962 che terminò, in un'atmosfera di grande tensione, con la messa al bando del negoziatori degli accordi appartenenti al GPRA. Così il testo adottato a Tripoli indicava :« Gli Accordi d’Evian […] consacrano alla riconoscenza della sovranità nazionale dell'Algeria e l'integrità del suo territorio. Tuttavia, questi accordi prevedono, in contropartita dell'indipendenza, una politica di cooperazione tra l'Algeria e la Francia […] è evidente che il concetto di cooperazione così stabilito costituisce l'espressione più tipica della politica neo-colonialista della Francia. Rileva, in effetti, il fenomeno di riconversione attraverso il quale il neo-colonialismo tenta di sostituirsi al colonialismo classico […] gli accordi d’Evian costituiscono una piattaforma neocolonialista che la Francia si appresta ad utilizzare per assicurarsi e pianificare la sua nuova forma di dominazione»130. Benyoucef Ben Khedda, Presidente del GPRA a partire dall'agosto 1961 (dunque durante il periodo in cui gli accordi furono segnati), ha esplicitato, in un'opera pubblicata nel 1986, i principali obiettivi dei negoziatori del GPRA. Egli ricorda che all'epoca della riunione del CNRA del 22 febbraio 1962 quest'ultimo aveva approvato il progetto di testo degli Accordi. Poi, sotto il titolo «Gli Accordi d’Evian furono una grande vittoria: l'indipendenza e l'integrità territoriale», egli scrisse :« Innanzitutto l'integrità territoriale. Tra le grandi disgrazie che possono colpire una nazione c'è quella di vedere il proprio territorio diviso […] Il GPRA ha evitato al paese di rifare una nuova guerra per la ricomposizione mostrandosi fermo sul principio dell'integrità territoriale. Lo ha difeso nei negoziati e negli 129 130 Nicole Grimaud, La politique extérieure de l’Algérie, Paris, Karthala, 1984, p. 49. A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 66 41 incontri internazionali.[…] La seconda vittoria è stata quella della sovranità nazionale. Gli Accordi d’Evian hanno brindato allo Stato sovrano algerino, all'interno e all'esterno. Lo Stato algerino dispone liberamente della sua economia, del suo esercito, della sua diplomazia»131. Per quello che riguarda la Francia, l'obiettivo era quello di disimpegnarsi militarmente dell'Algeria, dove la guerra imponeva uno sforzo insostenibile in termini umani e finanziari, al fine di permettere alla diplomazia francese di riorganizzarsi, in particolare di fronte al Terzo Mondo, il tutto conservando un certo numero di vantaggi economici, culturali e militari sul territorio algerino. Così gli Accordi d’ Evian potevano essere considerati come favorevoli alla Francia per due ragioni. Prima, per la cooperazione economica, commerciale e finanziaria che le assicurava degli sbocchi, l'approvvigionamento sull'energia pagabile in franchi francesi e delle garanzie rispetto agli svariati interessi che essa aveva ancora in Algeria. Questi aspetti non erano estranei alla politica economica francese prospettata dal Generale de Gaulle. In seguito, per la cooperazione culturale e in generale per il ruolo politico che la Francia aveva intenzione di giocare in tutto il Terzo Mondo partendo dall’Algeria. 2.2 Il programma di Tripoli. Il Programma di Tripoli discusso alla vigilia della proclamazione ufficiale dell'indipendenza dal Consiglio nazionale della rivoluzione algerina (CNRA) nell'ultima sessione della sua breve esistenza. Il Programma non fu mai formalmente approvato perché la riunione del Cosiglio si sciolse mentre imperversava la polemica tra due gruppi distinti all'interno della classe politica algerina. Il primo gruppo, che potremmo definire più radicale, era capeggiato da Ben Bella ed aveva il sostegno dell'esercito, mentre il secondo gruppo, che potremmo definire più moderato era capeggiato da Ben Khedda132. Opera degli intellettuali del partito, perlopiù schierati a sinistra, il Programma traccia un profilo estremamente critico dell'azione del FLN e delle sue carenze politiche, proponendo un progetto dettagliato per le tappe future della rivoluzione. Il punto d'avvio del Programma di Tripoli era costituito dal giudizio critico sugli Accordi di Evian, visti come il contraltare del progetto autonomo della rivoluzione per le ipoteche che essi proiettavano sulle scelte dell'Algeria indipendente. Il testo Programma non faceva mistero della convinzione che "la cooperazione, quale deriva dagli accordi, indica il mantenimento dei legami di dipendenza nei settori economica e culturale", fornendo i francesi "una posizione di preminenza all'interno del paese". Altrove il documento ricordava le concezioni di carattere strategico a favore della Francia, osservando che "finché il territorio algerino rimarrà occupato dalle forze straniere, le libertà d'azione dello Stato sarà limitata e la sovranità nazionale minacciata". La "cooperazione" era definita senza mezzi termini una "contropartita" dell'indipendenza e gli accordi di Evian diventavano "una piattaforma neocolonialista che la Francia si appresta a utilizzare per imporre e dirigere la sua nuova forma di dominazione"133. 131 Benyoucef Ben Khedda, Les Accords d’Evian, Paris/Alger, Publisud/OPU, 1986, pp. 37-39. Calchi Novati, op. cit., p. 136 133 Perroux François, Problèmes de l’Algérie indépendante, PUF; Paris, 1964, p. 134 132 42 Il fulcro del Programma di Tripoli era l'affermazione che la sovranità era stata riconquistata, ma restava tutto da fare per dare il contenuto alla liberazione nazionale. Alla lotta armata doveva succedere il combattimento ideologico, alla lotta per l'indipendenza nazionale indetta dal Fronte, la rivoluzione democratica popolare. All'interno del Programma, la "rivoluzione" era l'unica conseguenza logica della lotta per l'indipendenza ed esprimeva nel contempo il processo di liberazione dal giogo straniero e la distruzione delle sopravvivenze feudali del medioevo che avrebbero dovuto far posto ai fondamenti democratici di una nazione moderna. Nel programma di Tripoli c’era infine una parte più propriamente programmatica, per delineare contenuti della "rivoluzione democratica popolare" dopo una duplice vittoria sul colonialismo e sul feudalesimo."La rivoluzione democratica popolare e l'edificazione cosciente del paese nel quadro dei principi socialisti e del potere nelle mani del popolo". Il socialismo figura per la prima volta con rilievo in un documento del FLN abbandonando così la semplice dizione rivoluzionaria. Il socialismo è considerato il mezzo per dare piena soddisfazione alle esigenze del popolo, in materia economica, di partecipazione politica e di elevazione culturale134. La vittoria contro il colonialismo era stata ottenuta in virtù dell'unità del popolo ed i compiti della rivoluzione democratica non sarebbero potuti essere di fatto assolti da una sola classe sociale, proprio per questo motivo, secondo il Programma, era indispensabile che l'unità non si facesse solo attorno alla borghesia e che quest'ultima non subordinasse i suoi interessi a quelli della rivoluzione. Gli obiettivi economici e sociali della rivoluzione erano oggetto di una lunga e dettagliata trattazione. Vi era la presa di coscienza che l'Algeria si trovasse nelle tipiche condizioni "coloniali"- "fonte di materie prime" e "sbocco per prodotti manufatti"- e nella situazione di dualismo tra un settore moderno di tipo capitalistico, controllato da interessi francesi, e un settore tradizionale con rapporti di produzione precapitalistici in cui viveva la grande maggioranza della popolazione. La collettivizzazione dei grandi mezzi di produzione e una pianificazione nazionale erano considerate le parole d'ordine per una politica di sviluppo della nuova Algeria indipendente. Il Programma descriveva anche la necessità di una "riforma agraria" che avrebbe dovuto contemplare l'esproprio delle terre eccedenti i limiti fissati secondo le culture e i rendimenti, e l’organizzazione democratica dei contadini in cooperative di produzione e la creazione di fattoria di Stato. Tra le misure in campo economico il Programma elencava: lo sviluppo delle infrastrutture (con la nazionalizzazione dei mezzi di trasporto), la nazionalizzazione del credito e del commercio estero, la nazionalizzazione (a lurga scadenza) delle risorse minerarie dell'energia e la necessità di un'ingente sforzo per una nuova industrializzazione135. Il Programma lanciava poi l'imperativo di un partito forte e compatto con l'obiettivo dell’unità nazionale, e l'allegato dedicato al partito ribadiva che il nuovo Fronte di liberazione nazionale, "riconvertito" in partito politico, avrebbe dovuto basarsi "sull'unità ideologica, politica e organizzativa delle forze rivoluzionarie", escludendo "la coesistenza di ideologie diverse", e promuovendo "l'unione di tutti gli strati sociali della nazione per il raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione"136. 134 N. Grimaud, op. cit., p. 49 Maitan Livio, L’Algeria e il socialismo, Samonà e Savelli, Roma, 1963, pp. 228-229 136 Calchi Novati, op. cit., p.142 135 43 Questa idea di partito forte e onnicomprensivo rendeva naturalmente inconcepibile un'adeguata separazione dei poteri e non era sicuramente pensata per preparare il terreno ad un'eventuale pluralismo politico. 2.3 Come ricostruire il paese? Una delle preoccupazioni principali dei fondatori del Programma di Tripoli era dunque quella di elaborare una controstrategia efficace, per mettere in scacco "le imprese neo-colonialiste e della Francia". Senza arrivare a riconsiderare totalmente gli accordi conclusi ad Evian, i redattori di Tripoli tentarono di ridurne gli effetti. Come evitare che la rivoluzione fosse intralciata dalla preponderanza di interessi europei? La proposta avanzata era semplice: utilizzando la sua sovranità interna, lo Stato algerino avrebbe proceduto a delle riforme strutturali applicabili a tutti senza distinzione d'origine ma che, vista la ripartizione delle terre fino a quel momento, avrebbero toccato principalmente di coloni137. Se la fine dei privilegi legati ai diritti acquisiti nella colonizzazione passava per una modifica delle strutture, questo rappresentava un argomento determinante in favore dell'opzione socialista, che per altro sarebbe stata capace di soddisfare le rivendicazione popolari di giustizia sociale. Per questi motivi il Programma di Tripoli ricevette una approvazione unanime, anche perché qualsiasi fossero le inclinazioni dei nuovi amministratori, era impensabile confessare tramite un voto negativo la loro appartenenza alla fazione pro borghese pronta a scendere a patti con la Francia138. In questo senso, le disposizioni conservatrici degli accordi franco-algerini produssero l'effetto contrario di quello che cercavano, rinforzando le visioni socialiste. Tuttavia, un paletto di sicurezza era stato messo per il momento sugli interessi della Francia, e sarebbe stato senza dubbio molto difficile da eliminare se lo schema laboriosamente stabilito ad Evian non fosse stato subito annullato da una serie di avvenimenti. In effetti, dal 18 marzo 1962, rinforzati i ranghi dell’ OAS, moltissimi europei in Algeria manifestarono con un'estrema violenza la loro ostilità alla soluzione di indipendenza. Con la loro azione distruttrice, essi furono i primi a scongiurare definitivamente l’ipotesi di una coabitazione tra le due comunità. Considerando gli assassini che si verificano in questo periodo non è esagerato vedere, dentro la politica di paura condotta dall’ OAS, la nascita un fenomeno radicale che favorì lo svilupparsi di una visione di un Algeria nazionalista puramente algerina139. Fallita l'opera intimidatoria dell’OAS, di coloni preferivano lasciare in massa la terra che avvengono a lungo disteso come la loro patria non esitando neppure a danneggiare o a rendere inservibile tutto quello che capitava sotto la loro furia, incluse molte delle loro stesse opere come scuole, ospedali ed edifici pubblici. L'esodo di quasi tutti i francesi in pochi mesi privò l'Algeria di tecnici, professionisti, insegnanti e di un personale direttivo per molti aspetti insostituibile, destabilizzando il funzionamento dell'economia e dell'amministrazione. 137 N. Grimaud, op. cit., p. 50 Calchi Novati, op. cit., p.143 139 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.68 138 44 Il problema della costruzione nazionale si presentava allora sotto un ottica rinnovata rispetto all'ipotesi di Evian e di Tripoli. Il ritiro massiccio dei quadri dirigenti europei in Algeria causava una paralisi amministrativa che conferiva alla cooperazione un carattere di necessità assoluta. E la rendeva peraltro meno rischiosa, perché presupponeva la partecipazione ad un concorso da parte dei nuovi arrivati, il cui l'impatto temporaneo non avrebbe avuto niente di comparabile con quello dei colori installati da lunga data. Nonostante questo l'opinione pubblica non mancò di sottolineare la sua disapprovazione traducendo in "Colonizzazione temporanea" la sigla "C.T" distintiva delle vetture dei cooperanti tecnici venuti da Francia e resto d'Europa140. L'esecutivo provvisorio preparò dunque, a partire dall’agosto 1962, la messa in opera di una cooperazione immediata e vigorosa in tutti i settori, compreso l'insegnamento, il cui scopo primario era di rimettere in marcia il paese. Peraltro, il riflusso verificatosi durante la primavera e l'estate 1962 di circa 800.000 ex coloni di nazionalità francese rendeva inoltre i loro diritti patrimoniali estremamente vulnerabili. Una grande quantità di beni e di terre lasciati da questi coloni entrava in possesso del nuovo Stato algerino senza che esso prendesse la minima iniziativa, aprendo anzi una prima breccia di fatto riguardo al principio della loro intangibilità141. Il problema cambiava dunque e diventava per gli algerini: come essere abbastanza abili nel perseguire la decolonizzazione economica iniziata, senza compromettere l'aiuto francese fornito in controparte del mantenimento di determinati interessi nel territorio? Il primo presidente dell'Algeria indipendente Ahmed Ben Bella, in cui il governo entro in carica nel settembre 1962, consentì alle autorità locali di assumere il controllo, a partire da 3 ottobre, di tutti i beni vacanti, perlopiù terre agricole; con ordinanza in data 22 ottobre 1962 furono abolite le transazioni relative alle proprietà vacanti, bloccandone lo status giuridico al 1° luglio precedente, e con un'altra ordinanza furono precisate le norme provvisorie sull'autogestione delle aziende requisite e promosse ad aziende di Stato. Sorta come un'improvvisazione per assicurare la continuità nella coltivazione delle terre abbandonate, questa nuova politica di "autogestione", che compariva solo per vie traverse nei testi ideologici della rivoluzione, divenne l'esperienza più interessante del socialismo algerino ed il simbolo stesso della rivoluzione impersonata da Ben Bella142. Il 9 novembre 1962, il presidente Ben Bella si assunse il rischio di esprimere pubblicamente per la prima volta l'idea che gli accordi di Evian non potevano costituire una "fine in si!" e che essi fossero ancora "perfezionabili". Ma pur non accettando alla lettera gli Accordi, i responsabili algerini si dichiareranno fedeli in linea di principio nello stabilire dei legami di cooperazione con la Francia. Essi non potevano rimproverare a quest'ultima una mancanza di comprensione per il loro difficile debutto nella scena internazionale. Ne di non aver cercato di facilitare il compito del presidente Ben Bella considerato tra l'altro il miglior interlocutore possibile. Malgrado le tensioni presenti, la Francia confermò nel gennaio 1963 il suo aiuto finanziario e tentò di offrire delle soluzioni possibili al problema dei beni vacanti. Di comune accordo si decise la costituzione di un “organismo misto”, incaricato di integrare in una prima 140 S. Mouhoubi, op. cit., p. 204 Bouhout El Mellouki Riffi, La politique française de coopération avec les Etats du Maghreb, Publisud, Paris, 1989, p. 99 142 Calchi Novati, op. cit., p. 145 141 45 “sezione” di riforma agraria le proprietà agricole francesi, di cui la Francia propose spalmare il riscatto in una durata di cinque anni143. Ma la congiuntura politica algerina non permise di approfittare di tali disposizioni. Se i problemi della sicurezza furono meglio controllati a partire dall'ottobre 1962, tutta la classe politica era interamente impegnata nella lotta per il potere e nella costruzione dello Stato: la riconversione del FLN, il problema dell'esercito dentro l'esecutivo e quello la nascita delle istituzioni impedivano al momento il lancio di una seria riforma agraria144. Per contro un grande dibattito iniziava a svilupparsi sul come gestione le proprietà abbandonate dai coloni che gli operai avevano spontaneamente preso in mano. Dibattito che si concluse con il decreto del 22 marzo 1963 che istituiva l'autogestione. In queste misure che conferivano a un carattere definitivo alla destinazione dei beni vacanti, l'opinione pubblica francese vedrà una sorta di ritorsione contro gli esperimenti atomici realizzati dalla Francia il 19 marzo alla base di In Ekker in territorio sahariano. In un primo momento il legame ipotizzato dall'opinione pubblica francese tra i due avvenimenti non poteva essere provato. Ma in seguito questa impressione apparve fondata in ragione delle dichiarazioni fatte il 24 settembre 1963 dal Presidente algerino davanti ai delegati della terza Conferenza mondiale dei giornalisti: « Se ci sarà la ripresa delle esplosioni nucleari nel Sahara, io sono contro, ma io non farò una guerra per questo…. Ciò sarà soltanto un fattore che accelererà del nostro socialismo e noi metteremo le mani su ciò che resta ai francesi dei loro privilegi». Ma probabilmente furono i fattori di politica interna che scatenarono la corsa alle terre dei coloni e l'esplosione nucleare formi molto probabilmente l'occasione di annunciare un decreto già preparato in precedenza145. Al settore autogestito vennero assegnati in un primo tempo i soli beni vacanti, per un totale di circa un milione di ettari. Dal marzo 1963 furono poi espropriate altre terre dei coloni a rigore non vacanti, con motivazioni varie per eludere gli impedimenti contenuti negli Accordi di Evian ("insufficiente sfruttamento", "pericolo di dimostrazioni popolari", ecc.). Un comunicato del governo francese del 5 aprile commentò:«Il governo francese non contesta il diritto dell'Algeria ad adottare il sistema economico di sua scelta, ma questo diritto non può essere esercitato a danno degli interessi francesi senza mettere in pericolo la base della cooperazione fra i due paesi"146. Le residue terre dei coloni vennero confiscate in autunno e il 10 ottobre 1963 il presidente Ben Bella annunciava alla nazione che :«Neppure un ettaro di terra algerina è in possesso di un proprietario straniero»147. In poco più di un anno dall'indipendenza da più imponente trasformazione strutturale era compiuta, assicurando allo Stato i profitti dell'esportazione dei prodotti agricoli e preparando il campo ad un ipotetico sviluppo capitalista. 143 N. Grimaud, op. cit., pp. 51-53 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.69 145 Mellouki Riffi, op. cit. p. 120 144 146 147 Gérard Chaliad, op. cit., p. 75 Calchi Novati, op. cit., p.163 46 2.4 L'assistenza finanziaria francese. Nonostante le azioni in politica interna esisteva da parte del Governo algerino una volontà parallela, senza dubbio contraddittoria ma innegabile, di restare in buoni rapporti con Parigi dove del resto era meno biasimato il tenore di queste misure che la loro forma giudicata inutilmente brutale e offensiva: le quali riscaldando un'opinione pubblica già molto sensibile, complicavano la capacità di governare148. È difficile determinare se Ben bella con i decreti di marzo aveva coscienza di giocare le sorti delle relazioni con la Francia o se egli pensasse di aver acquisito la certezza di una relativa impunità, visto il peso dato da Parigi alla cooperazione. In tutti i casi, la formula di I.W. Zartmann riassume bene il dilemma :«la Francia in effetti negoziava con se stessa»149. Essa poteva o cristallizzarsi sulle trasgressioni o considerarle come inevitabili e puntare sul lungo periodo. Ebbene fu questa seconda attitudine definibile più conciliante a prevalere nello spirito del generale de Gaulle in virtù soprattutto di un ragionamento, deducibile nelle sue Mémoires: «la Francia aveva tentato l'impossibile per aiutare i suoi cittadini che vivevano in Algeria ed aveva fallito. Ora si trovava di fronte a un giovane governo nazionale che non poteva costringere ad onorare un contratto per il quale il consenso gli era stato strappato». Ma questa non era una ragione sufficiente per compromettere gli interessi dello Stato francese. Non avendo intenzione di riconsiderare in altri termini la futura cooperazione, la Francia disponeva dunque di una carta vincente: il suo aiuto finanziario. Mentre gli altri paesi come ad esempio quelli dell’Est offrivano all’Algeria solo dei crediti “legati” al raggiungimento di determinati obbiettivi , e l'America il proprio aiuto alimentare, solamente la Francia offriva del denaro contante150. Nonostante l'Algeria distinguesse tra lo spirito e la lettera degli Accordi d’Evian, la Francia, senza mettere in gioco i principi del suo aiuto, fissò le modalità di quest'ultimo in un senso restrittivo, come d'altronde l'autorizzavano i testi che subordinavano le sue concessione al rispetto che gli interessi francesi. Duramente negoziato da metà gennaio a fine giugno 1963, l'aiuto francese per l'anno in corso raggiungerà un livello giudicato dal ministro dell'Industria e dell'Energia, fortemente inferiore in rapporto alle disposizioni reali della metropoli durante due ultimi anni della sua presenza e di come lo prevedevano gli Accordi d’Evian. La somma di 1.050 milioni di franchi destinata all'aiuto diretto fu tuttavia aumentata fino ad arrivare a corrispondere alla vecchia assistenza tramite un ammontare di 530 milioni di Franchi concessi in prestito151. Nonostante non avesse cercato di opporsi alle misure di ripresa delle terre, la Francia fece partecipare l'Algeria al risarcimento dei propri proprietari terrieri, riducendo il proprio aiuto finanziario di 200 milioni nel 1963 e di 110 milioni nelle 1964. Inoltre introdusse la formula dell'”aiuto subordinato" a degli acquisti in Francia, più favorevole alle esportazioni francesi rispetto all'”aiuto libero”. Infine, malgrado i pressanti bisogni della finanza pubblica algerina, la Francia ha 148 N. Grimaud, op. cit., p.54 William Zartmann, Les relations entre la France et l’Algérie, Publisud, Paris, 1964, p. 108 150 N. Grimaud, op. cit., p.56 151 Bachir Boumaza, A propos de l’aide financière, Le Peuple, 9-12 décembre 1964, p. 45 149 47 ritardò fino a giugno il versamento effettivo della prima parte degli aiuti sospendendolo di nuovo dopo le nazionalizzazioni di ottobre152. Malgrado tutto, gli algerini ricevettero 830 a milioni di franchi a titolo di assistenza finanziaria per l'anno 1963. Tuttavia, il completo spodestamento delle terre, fu seguito da una nuova ondata di partenza che significava chiaramente il rifiuto deciso, e senza speranza di ritorno, della comunità pied-noir. Se il governo francese aveva preso coscienza già in gennaio di una "certa erosione" degli Accordi d’Evian, dovette riconoscere alla fine dell'anno che :«gli obiettivi d’Evian erano scomparsi…. Al giorno d'oggi, l'aspetto umano si è cancellato e non resta che una cooperazione tra Stati, innanzitutto in funzione degli interessi di ciascuno di essi»153. Questo era esattamente lo scopo perseguito dal governo dell'Algeria che con soddisfazione si apprestò a prendere atto del fatto che :«La Francia ha realizzato attualmente che gli Accordi d’Evian non possono restare tali e quali», come disse il presidente Ben bella nel suo discorso del 1° novembre 1963154. Senza riuscire a portare il suo partner ad una revisione formale degli accordi, l'Algeria aveva ottenuto, con la partenza dei colori francesi, che le nazionalizzazioni non mettessero in pericolo il rapporti con la Francia. Come scrisse Jean de Broglie, nel suo articolo "Quaranta mesi di rapporti francoalgerini”, a proposito della linea politica seguita dei due stati :«La storia giudicherà questa politica, ma molto probabilmente un atteggiamento differente non avrebbe risolto meglio una situazione così complessa e legata a rapporti passionali, al contrario, si sarebbero compromessi probabilmente i nostri interessi di Stato senza salvaguardare al meglio quelli dei nostri cittadini»155. Francia e Algeria si orientavano dunque su una base di rapporti più egualitari, ma nonostante questo i diplomatici algerini troveranno un partner molto meno flessibile rispetto a quello che probabilmente si sarebbero aspettati. La reazione francese, dopo che in seguito all'esperienza atomica di marzo 1963 l'Algeria domandò una revisione delle clausole militari, costituisce la prima avvisaglia dell'intransigenza francese. Il capo di Stato, a più riprese, spiegò che egli aveva voluto liberare l'Algeria dall'esercito francese per procedere alla sua modernizzazione e che l'arma atomica era la condizione sine qua non della sua politica di indipendenza nazionale ed egli non intendeva in alcun caso di rinunciarci156. Comunque, malgrado le concessioni, e l'imbarazzo che queste potessero causare a livello internazionale, l'Algeria aveva vinto la prima battaglia indispensabile per il suo futuro: essa aveva fatto saltare l'ipoteca d’Evian che rischiava di stritolare la stessa struttura della nazione a discapito della cooperazione. Dopo aver difeso la sua personalità ciò che restava era di conquistare progressivamente l'uguaglianza stabilendo delle nuove basi nei rapporti tra i due stati. 152 Mellouki Riffi, op. cit. p.125 Dibattito tenutosi all’Assemblea nazionale il 28 ottobre 1963, in N. Grimaud, op. cit., p.57 154 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.69 155 Jean de Broglie, Quarante mois de rapports franco-algériens, Revue de Dèfense nationale, décembre 1965, pp. 1833-1857 156 Discorso del generale de Gaulle del 4 ottobre 1962, contenuto in Le Monde, 5 ottobre 1962. 153 48 2.5 Gli scambi commerciali. In passato coloniale è utile per capire la natura dei legami commerciali che legarono l'Algeria nuovamente indipendente con la sua antica metropoli. Fino all'indipendenza gli scambi esteri algerini erano totalmente appannaggio degli operatori economici commerciali e finanziari francesi. Non era perciò concepibile che un tale stato di fatto potesse trasformarsi rapidamente, quale che fosse la volontà delle nuove autorità algerine a riguardo. Troppe risorse e canali di distribuzione erano stati instaurati e rinforzati durante i decenni di colonizzazione per poter prendere in considerazione una loro sostituzione totale a partire dall'indipendenza. Questo oltre ad essere quasi impossibile da mettere in opera in condizioni normali, lo era ancora di più considerando il fatto che l'Algeria usciva da una guerra di liberazione durata quasi sette anni e con un'economia in profonda crisi. In più a livello politico, gli Accordi d’Evian ed in particolarmente le Dichiarazioni di principio che vertevano sulla Cooperazione economica e finanziaria e sulla Cooperazione nella valorizzazione delle ricchezze del sottosuolo del Sahara e indirettamente, ma non meno efficacemente, quelle sulla Cooperazione culturale, permettevano alla Francia di premunirsi contro un brusco capovolgimento all'interno del campo tecnico-commerciale. Inoltre, facendo una considerazione realistica questa non era la maggior preoccupazione dei dirigenti algerini dell'epoca; i quali erano alle prese con dei problemi ben più urgenti, come per esempio il semplice fatto di assicurare i primi raccolti per sfamare la popolazione157. Le convenzioni che la Francia aveva concluso con gli Stati delle sue ex colonie africane al momento della loro indipendenza gli anni 60 avevano resistito relativamente bene alla prova del tempo, e gli Stati interessati non ne domandarono revisione se non a partire dal decennio successivo. Al contrario l'Algeria manifestò un'impazienza nel tentare di abbandonare i vincoli d’Evian e nel tentare di fondare la propria indipendenza politica grazie all'eliminazione progressiva delle costrizioni economiche158. Per riuscire a realizzare i suoi progetti l'Algeria utilizzò due mezzi complementari. Da una parte, ci fu il tentativo di fondare su nuove basi totalmente rinegoziate il rapporti con Parigi. E se nell'autunno 1963, la Francia si rifiutò un riesame globale e sistematico, si dichiarò al contrario pronta a degli aggiustamenti puntuali. D'altronde non tutti i campi d'azione erano stati fissati con la stessa precisione di quello relativo alle esplorazioni petrolifere, e per questo motivo si rendeva necessario elaborare ancora delle soluzioni concrete. D'altra parte, gli investimenti privati francesi in Algeria, fabbriche, immobili e banche, apparivano a questo punto vulnerabili. Questi investimenti avrebbero potuto costituire una risorsa di politica interna, essere progressivamente inglobati ed d'utilizzati come dotazione di partenza delle società nazionali, e quindi come strumenti della politica di industrializzazione che si delineava. Perciò non era esclusa la loro utilizzazione da parte dell'Algeria come mezzo di pressione e l'arma della nazionalizzazione poteva rappresentare un elemento aggiunto nella lotta per liberarsi dell’ascendente francese. Si avrà dunque un’alternanza tra negoziati e nazionalizzazioni, ed il governo algerino intervenne spesso con queste ultime per favorire dei buoni risultati in termine di negoziato, nonostante la linea 157 158 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.73 S. Mouhoubi, op. cit., p 204 49 ufficiale negò sempre che la simultaneità di certi avvenimenti potesse in realtà mostrarne una relazione di causa- effetto159. L'Algeria non aveva ancora dominato i suoi problemi interni e la sua abilità, di fronte ad un interlocutore infinitamente più potente, consisteva soltanto nel rivendicare la sua debolezza, pur mettendo in mostra i suoi sforzi nel tentativo di riorganizzare al meglio l'assetto statale. L'Algeria vedeva nella Francia non solamente il partner più augurabile, non solo perché più familiare e meglio conosciuto, ma soprattutto quello con cui manteneva il maggior numero di interessi, e il solo possibile in quel momento. D'altra parte, le manifestazioni tangibili della politica indipendentista del presidente de Gaulle, come la critica della politica americana in Vietnam, la riconoscenza della Cina popolare, la posizione di equilibrio nel conflitto del Medio-Oriente causarono delle convergenze tra le due diplomazie, contribuendo al verificarsi di una congiuntura favorevole all'attenuazione delle recriminazioni reciproche160. Nel corso dei quattro anni che andarono dal 1964 al 1968, l'Algeria iniziò a raddrizzare la sua situazione ottenendo più spazi alla valorizzazione del proprio petrolio e riorganizzando la sua situazione finanziaria in rapporto con la sua antica metropoli. Tuttavia, col passare egli anni, l'Algeria tentò di diversificare i suoi partenariati facendo diminuire leggermente il peso che la Francia occupava all'interno dell'economia del paese. Le cifre a questo riguardo sono interessanti. Il primo anno di riferimento utile è naturalmente il 1963161, durante il quale la Francia fu il primo cliente ed il primo fornitore dell'Algeria, fornendole il 81,1% delle sue importazioni ed acquistando il 75, 2% delle sue esportazioni. Nel 1965, ultimo anno da prendere in considerazione per quello che concerne il periodo delle presidenza di Ben Bella, la Francia ha mantenuto il suo statuto di primo cliente fornitore, ma in una proporzione relativamente inferiore: il 70,3% delle importazioni algerine sono fornite dalla Francia la quale ha acquistato all'Algeria il 72, 5% delle sue esportazioni. Nello stesso anno 1965, il secondo paese fornitore dell'Algeria fu l'Italia con il 3,7% delle importazioni algerine ed il secondo paese cliente la RFA con il 5,7% delle esportazioni algerine acquistate. In questo periodo, una parte importante delle esportazioni algerine fu composta dai prodotti alimentari (63%) tra i quali soprattutto la produzione vinicola che ha rappresentato il 24% delle esportazioni totali. Un'altra parte era costituita dagli idrocarburi (31%). Le importazioni erano invece costituire per la maggior parte da beni e attrezzature (22%)162. Ma fu durante gli anni successivi, in relazione alle evoluzioni, spesso tumultuose, delle relazioni algero-francesi, che i dati si modificheranno sostanzialmente e la Francia perderà la sua posizione di preminenza a vantaggio di altri partner commerciali dell'Algeria, le stesse relazioni con la Francia conosceranno delle importanti evoluzioni sia in termini di volume che di strutture di scambio. 159 N. Grimaud, op. cit., p.58 Inga Brandell, Les rapports franco-algériens depuis 1962, L’Harmattan, Paris, 1981, p. 23 161 L'anno 1962 non può essere preso in considerazione per il semplice fatto che il nuovo governo prese il potere a settembre e quindi troppo tardi per avere una reale influenza in questo campo sulle opzioni effettuate nel corso dei mesi precedenti. 162 S. Mouhoubi, op. cit., p 206 160 50 2.6 I rapporti tra Francia e Algeria sotto Boumediène. Esaminare i rapporti che legarono l'Algeria e la Francia sotto la presidenza di Boumediène è un compito abbastanza complesso. La vicinanza temporale ancora importante con la guerra, il percorso personale del capo di Stato algerino, l'analisi e lo studio della classe dirigente algerina che ha gestito i principali trattati con la Francia, le attitudini di certi circoli dirigenziali francesi e il contesto internazionale rappresentano gli elementi essenziali per porter piegare la particolarità delle relazioni algero-francesi in questo periodo. Nel 1965, nel momento in cui Houari Boumendiène assume la totalità del potere, i postumi e i segni della guerra erano ancora molto evidenti e la speranza di rimodellare le relazioni con la Francia e di affermarsi in opposizione a quest'ultima appariva come una quasi necessità. Il percorso personale del presidente algerino potrebbe essere un elemento utile da prendere in considerazione. Boumendiène cresciuto in un contesto abbastanza modesto svolse la sua educazione in condizioni molto difficili e la sua cultura politica risulta fortemente marcata dall'esperienza della colonizzazione, vissuta come un qualcosa di fortemente umiliante, dalla durezza della guerra. Ai suoi occhi i movimenti politici che si svilupparono prima del novembre 1954 (sia le correnti di tipo liberale che quelle ti tipo radicale) erano privi di ogni riconoscimento non essendo riusciti a giocare un ruolo fondamentale della riconquista dell'indipendenza dell'Algeria. Per lui erano i militari, di cui egli era rappresentante così come del Consiglio della Rivoluzione, che avrebbero dovuto costituire l'armatura e la forza motrice della costruzione statale e del processo di sviluppo economico, sociale e culturale da realizzare. La costruzione statale sarebbe dovuta essere basata su uno “Stato forte”, centralizzato e presidenziale. Lo stesso partito del FLN giocò sotto la presidenza Boumendiène un ruolo abbastanza marginale. Anche perché altre strutture come all'occorrenza il Consiglio della Rivoluzione, per le grandi manovre politiche, e il Consiglio dei ministri, per l'applicazione della gestione degli affari socioeconomici, furono i veri organismi decisionali163. La presa di coscienza delle sofferenze subite dalla popolazione durante la guerra, il contenuto dei documenti programmatici elaborati in seno al FLN durante il conflitto, il percorso personale del Capo di Stato, spiegano in parte l'orientazione di stampo socialista, particolarmente nella sua capacità redistributiva, del modello economico considerato per i dirigenti algerini come lo stato più appropriato. I membri dell’equipe di governo, incaricati di gestire le pratiche socioeconomiche aderirono, in tutto o in parte, a quest'analisi. Mentre per quanto riguarda il contesto internazionale, l'Algeria sistemandosi nel campo anticolonialista ed antimperialista, si poneva in naturale contrapposizione nei riguardi di tutti i paesi che si trovavano in posizione contraria. Considerando questo contesto, le relazioni algero-francesi entravano all'interno di una dinamica di insieme delle relazioni tra l'Algeria e l'Occidente, ma con una opposizione accentuata su certi punti a causa delle ferite ancora aperte del passato coloniale. Le condizioni della colonizzazione, della guerra d'Algeria e dell'indipendenza non permisero alle relazioni ai due paesi di svilupparsi su delle sane basi. Troppi fraintendimenti e secondi fini rimanevano per permettere un reale svolgimento di queste relazioni in un contesto sereno164. La volontà algerina durante questo periodo era dunque quella di accelerare l'emancipazione rispetto ai 163 164 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 130 I. Brandell, op. cit., p.30 51 legami coloniali, particolarmente sul piano commerciale e linguistico culturale. A livello commerciale, la forte dipendenza sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni, era considerata la parte algerina come un ostacolo alla riappropriazione della sovranità nazionale ed il fine da perseguire era quello di diminuire queste relazioni a beneficio di altri partenariati occidentali. A livello linguistico culturale, il fine da perseguire era quello di riconsiderare progressivamente il posto del francese a favore dell'arabo, lingua nazionale165. Le relazioni tra l'Algeria la Francia durante questo periodo (1965-1978) furono determinate soprattutto dallo spirito delle diverse personalità politiche che prendevano le decisioni nei due Stati e che caratterizzarono la particolarità dei rapporti bilaterali. La consultazione degli articoli di stampa dell'epoca permette di constatare un'alternanza tra delle fasi di tensione e di allentamento, di contrazione e di miglioramento, di raffreddamento e di riavvicinamento. Non vi furono però mai di periodi di normalità o di banalità ma quelli tra Francia ed Algeria furono sempre delle relazioni che potremo definire di tipo “passionale”166. Durante il periodo della presidenza Boumendiène, tre presidenti occuperanno l'Eliseo: Charles de Gaulle (fino ad aprile 1969), Georges Pompidou (giugno 1969- aprile 1974) e Valéry Giscard d’Estaing (maggio 1974- maggio 1981). Tre presidenti, dunque tre stili e tre politiche estere differenti, così come tre "politiche algerine" differenti. Prima di studiare queste diverse fasi più in dettaglio, è appropriato per evidenziare le caratteristiche principali di ciascuno. Nonostante il cambiamento di presidente in Algeria nel giugno 1965, il Generale de Gaulle proseguì, fino alle sue dimissioni nell'aprile 1969, la politica che egli aveva elaborato già dal 1962, il suo scopo era quello di fare delle relazioni algerofrancesi un prototipo di cooperazione esemplare tra un paese sviluppato ed un paese in via di sviluppo. Questo avrebbe permesso alla Francia di restaurare il suo ruolo sulla scena internazionale, dopo che questo era stato messo in cattiva luce durante il periodo della guerra d'Algeria. Lo scopo principale del Generale de Gaulle era quello di evitare in tutti casi lo svilupparsi di tensioni eccessive con l'Algeria. Libera dall'ipoteca algerina, la Francia poteva ridiventare un grande attore internazionale ed in questo modo attuare delle politiche di enorme risonanza come il riconoscimento della Repubblica popolare cinese (gennaio 1964), il rinvio del comando militare integrato dell’OTAN (marzo 1966), il discorso di Pnomh Penh sulla politica americana in Vietnam (settembre 1966), la presa di posizione sulle questioni del Vicino Oriente (1967) ed il discorso a Montréal sul Quebec (luglio 1967)167. Nel quadro delle relazioni con l'Algeria, non era in discussione per il Presidente francese cedere ciò che era stato il prestigio della Francia o lasciare che si degradassero gli interessi economici francesi, ma queste erano considerate con realismo e acume, prendendo in considerazione le evoluzioni a medio e lungo termine. In più, considerando il ruolo giocato da de Gaulle durante i primi quattro anni in cui esercitò il potere (1958- 1962) in rapporto al riacquisto dell'indipendenza dell'Algeria rendeva ancora più importante per lui la necessità di effettuare numerosi sforzi per far sì che il seguito di questo doloroso processo fosse all'altezza di ciò che egli aveva precedentemente intrapreso. Inoltre per il presidente francese l'Algeria rappresentava un importante scommessa in vista anche delle politica estera da effettuare nel terzo mondo. Parlando delle nuove 165 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 131 Georges Dillinger, L’Algérie et la France malades l’une de l’autre, Publication G. D., Paris, 1995, p. 18 167 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 132 166 52 relazioni franco algerine il Generale de Gaulle sottolineava :« «i rapporti tra la Francia e l'Algeria, potranno diventare un modello di relazioni tra il mondo occidentale e i paesi sottosviluppati»168. Allo stesso modo, dopo le prime contestazioni algerine degli accordi d’Evian, egli indicava :«Ecco la linea generale che noi dobbiamo seguire. Degli attentati sono stati portati agli accordi d’Evian. Ma non dobbiamo considerare ciò come un pretesto per una rimessa in causa generale degli accordi. Non dobbiamo dare agli algerini delle scappatoie per ritornare sulle clausole militari. Gli accordi d’Evian sono datati un anno. Ed essi hanno ricevuto l'approvazione solenne dei due paesi per via referendaria. Essi rimangono legge tra le parti. E noi siamo decisi a mantenere lo spirito che avevamo al momento in cui li abbiamo firmati. Quindi pur riconoscendo che è compito del governo algerino scegliere per il proprio paese e proprio regime economico e sociale. Bisognerà considerare, pertanto, che queste scelte non vengano effettuate a discapito degli interessi francesi. Noi chiederemo che l'Algeria mantenga un occhio di riguardo nei confronti della Francia e dei i francesi»169. Oltre al Generale de Gaulle, anche molti altri responsabili politici francesi dimostrarono in questo periodo una sorta di spirito costruttivo e di speranza per la creazione di una buona cooperazione tra i due paesi. E ciò si tradusse nella stipula di un numero significativo di accordi e di convenzioni tra i due Stati. Ciò si manifestò anche con il ritiro delle truppe francesi, dopo termini previsti, dalle basi di Reggane et Béchar (nel 1967) e dalle installazioni portuali di Mers El Kèbir (nel 1968). Tuttavia delle tensioni si manifestavano su certi accordi, il più complesso durante questo periodo fu quello che riguardava il vino algerino. Allo stesso modo si fecero sentire le prime tensioni serie concernenti la questione energetica, per la quale vi era naturalmente la speranza da parte algerina di poter gestire pienamente il proprio gas e il proprio petrolio170. La situazione subì un’evoluzione e cambiò nettamente con l'arrivo di Georges Pompidou al potere in Francia nel giugno 1969. Non si potrà però parlare di rottura delle relazioni. Malgrado i rapporti tra Pompidou e de Gaulle si incrinarono dopo l’abbandono dell’Eliseo a parte di quest'ultimo, il ruolo ricoperto da Georges Pompidou durante il governo de Gaulle; capo di gabinetto dal giugno 1958 al gennaio 1959, rappresentante del governo per incontrare una delegazione del FLN in Svizzera nel febbraio 1961, e il Primo ministro dal 1962 al 1968, evidenziava come egli non poteva che essere per ciò che riguardava le relazioni con l'Algeria favorevole alla linea politica mantenuta negli undici anni precedenti, alla quale lui stesso aveva largamente contribuito171. Tuttavia, lo stile ed il modo di governare tra i due Presidenti era alquanto differente, e Pompidou si presentava più contabile e tecnocratico. Così la priorità personale accordata dal Generale de Gaulle alla cooperazione franco-algerina e la sua caratteristica di "quasi esemplare" venne riconsiderata dal nuovo Presidente; ed il periodo che andava dal giugno 1969-aprile 1964 fu segnato da due crisi molto serie all'interno dei rapporti bilaterali. La prima crisi, sulla questione petrolifera (1970-1971) causò delle forti tensioni tra i due paesi che durarono pressappoco due anni e che culminarono con l'insuccesso dei negoziati tra le due parti, il 24 febbraio 1971, e con la decisione dell'Algeria di procedere alla nazionalizzazione del 51% delle società petrolifere 168 Alain Peyrefitte, C’était de Gaulle, Fayard/de Fallois, Paris, 1994, p. 399 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 133 170 Philippe Alexandre, Le duel de Gaulle-Pompidou, Grasset, Paris,1995, p. 44 171 N. Grimaud, op. cit., p. 62 169 53 francesi operanti in territorio algerino. Bisognerà attendere fino al 30 giugno perché la Compagnia francese del petrolio CFP, e il 16 dicembre 1971 l'Impresa di ricerche e attività petrolifere, firmino finalmente degli accordi con la Sonatrach per equilibrare il contenzioso. La seconda crisi, riguardò invece le condizioni della comunità algerina in Francia. E si verificò quando durante l'anno 1973 ci furono in Francia degli attentati contro il consolato algerina e contro gli edifici dell’Amicale degli algerini in Europa. In quest'anno si verificarono anche degli atti ostili nei confronti dei lavoratori algerini residenti in Francia, e questo portò le autorità algerine a decidere il fermo dei movimenti migratori che avevano la Francia come destinazione172. L'arrivo di Michel Jobert come ministro degli Affari esteri nell'aprile 1973, la sua conoscenza del Maghreb e certe sue prese di posizione sulla problematica israeloaraba durante la Guerra d'ottobre del 1973, contribuirono in qualche modo a migliorare l'atmosfera generale riguardo alle relazioni fra i due paesi. L'elezione nel maggio 1974, in seguito al decesso di Georges Pompidou, di Valéry Giscard d’Estaing apre in un periodo contrastato con il 1975 come anno centrale di riferimento. In effetti, quest'anno fu prima segnato dalla sua visita in Algeria avvenuta nel mese di aprile. Onorando un impegno preso dal suo predecessore, egli divenne così il primo presidente francese a rendere omaggio in Algeria dopo la sua indipendenza173. Tuttavia, al di là delle apparenze, questa visita non ebbe il successo sperato dalle due parti. Il clima tra i due presidenti non apparve in effetti disteso e certe propositi avanzati dal capo di Stato francese durante e dopo la sua visita furono interpretati negativamente da parte algerina. In più, alla fine dell'anno 1975 fu segnata dagli sviluppi sulla questione Sahara Occidentale. Le prese di posizione e le azioni a favore del governo marocchino da parte di Giscard furono considerate con forte malcontento ad Algeri. E le evoluzioni degli anni successivi su questa questione non contribuirono a migliorare il clima di tensione tra le due nazioni, tanto che bisognerà attendere il 1978 per vedere il nuovo il manifestarsi di qualche distensione. Tutti questi elementi non debbono però occultare totalmente alcune interessanti convergenze tra i due paesi come ad esempio quella della necessità di un dialogo Nord/Sud (ribadita più volte alla Conferenza sulla cooperazione economica internazionale svoltasi a Parigi) o quella della necessità di un dialogo per la soluzione dei problemi vicino-orientali174. 2.7 Gli accordi petroliferi del 1965. Gli accordi che riguardavano il problema della gestione delle risorse petrolifere algerine, iniziati nel dicembre 1963 diedero la loro conclusione soltanto diciotto mesi più tardi. Le soluzioni che erano precedentemente state prese ad Evian, ed iniziarono essere contestate verso la fine della ottobre 1963, vertevano su due grandi punti fondamentali: - I diritti delle società francesi e straniere già installate nel territorio venivano consolidati. 172 I. Brandell, op. cit., p. 38 174 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.134 54 - Un organismo paritario, l'Organismo sahariano, aveva la missione di consigliare in materia di concessioni di titoli minerali e di legislazione, le decisioni definitive venivano poi prese dall'amministrazione algerina. Il sistema rendeva essenzialmente soddisfatti i petrolieri francesi e le difficoltà attraversate dall'Algeria durante i primi anni, non ebbero ripercussioni profonde sull'attività petrolifera che trovava all'estero sia la maggior parte dei capitali che servivano sia la maggioranza del personale. La produzione conobbe una progressione continua passando da 15,6 milioni di tonnellate nel 1961 a 26,6 nel 1964175. Tuttavia, esitante, l'amministrazione algerina non accordava nessuna nuova concessione contribuendo a diffondere una certa paura tra le società. La paura era quella di una paralisi al termine dell'attività di ricerca dal momento che diventava aleatoria la possibilità di nuove concessioni. D'altra parte, sul fronte algerino, oltre che per esistenza dell’Organismo sahariano giudicato come un lascito del colonialismo, la contestazione si sviluppò due diversi piani. Inizialmente, l'Algeria si sentì discriminata dalla divisione delle ricchezze attribuibili agli idrocarburi. Un dato fondamentale domina, da questo momento la condotta algerina: il cibo, l'industrializzazione, l'insegnamento dei bambini, e in breve la vita di tutti i giorni, dipendevano strettamente dalla sorte dei proventi petroliferi. Dal momento che il petrolio costituiva quasi l’unica fonte di proventi, diveniva imperativo tentare di realizzare il massimo possibile dei profitti, e dunque di controllarlo il più possibile176. Nel 1964, allorché ci furono delle nuove scoperte di petrolio nel Sahara, il governo francese istituì una fiscalità leggera che avrebbe dovuto stimolare gli investimenti. Queste agevolazioni fiscali avrebbero dovuto contribuire a far nascere la potenza petrolifera algerina. Tuttavia l'Algeria non aveva le stesse ragioni per mantenere queste agevolazioni, in quanto l'esplorazione del suo sottosuolo da parte straniera contribuiva a causare un impoverimento del patrimonio nazionale al quale sarebbero dovuti corrispondere delle contropartite economiche elevate. Al contrario degli Stati del Medio Oriente, il governo algerino intendeva praticare una politica di intervento diretto che gli avrebbe permesso "di essere presenti in maniera determinante in tutti gli stadi di lavorazione del petrolio", sia tramite un aumento della pressione fiscale, sia giocando un ruolo sempre più attivo grazie alla creazione di uno strumento specializzato, la Sonatrach177. Nell'autunno 1963, malgrado il Codice petrolifero garantisse alle società i diritti di trasportare il petrolio estratto, il governo algerino reclamò il 33% di quello prodotto nel terzo oleodotto del progetto Hassi Messaud-Arzew. A questa prima distorsione degli accordi petroliferi del 62 che rischiava seriamente di compromettere i rapporti tra gli Stati si aggiunse anche una querela da parte del governo algerino sui diritti per quanto riguardava il controllo dei cambi. La sorte delle relazioni franco-algerine si trovava in questo momento sospesa a due possibili soluzioni, o i due contendenti avrebbero consentito il realizzati dei compromessi necessari per trasformare il petrolio nel "lievito della cooperazione" o rischiavano che le cause della tensione degenerassero causando la rottura dei rapporti. 175 N. Grimaud, op. cit., p. 58 S. Mouhoubi, op. cit., p 210 177 A. Ghozali, Pétrole et développement économique au Moyen-Orient, Mouton, Paris, 1968, pp. 17-32 176 55 Fu a questo punto che la Francia, e l’Eliseo in particolare, si convinse della necessità di ridefinire gli accordi petroliferi con l'Algeria in un quadro più liberale e più conforme alla volontà di iniziativa dell'altro partner178. Sia dal punto di vista algerino, che da quello francese, la decisione di negoziare fu una prova di realismo politico. Le società francesi che operavano nel Sahara sin dai tempi del colonialismo vedevano nella scoperta di un giacimento, sia una creazione personale che un dono della natura. Per questo motivo, rinunciare ai frutti del proprio lavoro prima di avere finito di sfruttarli fino alla fine, e veder perdere agli approvvigionamenti sahariani il loro carattere di "grezzo nazionale", rappresentava un motivo di frustrazione. Mentre per gli algerini, il petrolio era indissociabile dal sangue versato per opporsi al tentativo di separare il Sahara del Nord dall'Algeria. In più, gli idrocarburi rappresentavano la colonna portante del progetto di sviluppo. Perciò gli sforzi richiesti per arrivare ad una soluzione che accontentasse tutte e due le parti furono indubbiamente tantissimi179. Fin dal 1958 era stata invocata in Algeria, soprattutto dal giornale El Moudjhid, la nazionalizzazione dei pozzi come una tappa fondamentale da realizzare per il benessere. E visto l'ambiente rivoluzionario d’Algeri, questa tentazione era credibile benché le condizioni per la realizzazione fossero ancora lontane. Ma questa non fu nemmeno considerata perché i dirigenti erano coscienti dei problemi che avrebbe comportato per loro la riconsiderazione radicale della cooperazione petrolifera: il ricorso alle società straniere era ancora indispensabile ed in più anche l’U.R.S.S consigliava di non allontanarsi dalla Francia. Il governo algerino era a conoscenza inoltre dell'importanza che il generale de Gaulle dava all'impresa Sahariana, giudicando il petrolio come il solo esempio a vantaggio della Francia nella cooperazione con l'Africa. In una conferenza con la stampa il 31 gennaio 1964, il generale de Gaulle parlando della cooperazione come «grande ambizione della Francia» dichiarava :«ciò che noi riceviamo dall’Algeria e molto inferiore a ciò che gli offriamo, l’unica valida contropartita è rappresentata dal petrolio»180. Durante i negoziati che inizialmente si svolsero con le società petrolifere francesi, la delegazione algerina, che aveva poca familiarità con gli arcani dell'universo del petrolio rischio più volte di bloccare le trattative in corso a causa di rivendicazioni ritenute impossibili da soddisfare. Fu probabilmente grazie all'intervento diretto dello Stato francese ritenuto dal governo della Algeria «il solo partner valido, a differenza delle società che avevano come unica preoccupazione l'accaparramento del profitto», che gli accordi sul petrolio furono firmati nel luglio 1965181. Gli accordi firmati ad Algeri segnarono in trionfo della regola della "gestione paritaria" e le rivendicazioni da parte algerina vennero soddisfatte in numerosi punti. - Petrolio: per quanto riguarda il petrolio, le concessioni esistenti venivano confermate. Ma l'Algeria otteneva dei nuovi vantaggi, come un sostanziale aumento dal punto di vista fiscale. I suoi compensi passavano da 500 milioni di DA nel 1965 a un miliardo nel 1967. Quanto al futuro, lo scopo principale era quello di stimolare la ricerca e l'esplorazione. La Francia e l'Algeria si associavano per condurre la ricerca e 178 I. Brandell, op. cit., p. 112 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 136 180 I. Brandell, op. cit., p.113 181 Secondo il giudizio dato dal Presidente Ben Bella nei discorsi di Laghouat il 28 settembre 1964. 179 56 l'esplorazione su 180.000 km creando una Associazione cooperativa (Ascoop) nella quale le quote di partecipazione erano divise in eguale misura. La Sonatrach trovava l'occasione sperata per fare il suo apprendistato sul campo ed in più la Francia accettò di anticipare il 60% delle spese per la ricerca incombenti all'Algeria. - Il gas. Per venire incontro ai desideri algerini, il regime dei gas fu dissociato da quello del petrolio. Il sistema studiato toglieva alle società francesi estrattivi tutti i benefici commerciali e dava alla Sonatrach la libera disposizione dei gas. In altri termini, l'Algeria recuperava totalmente il proprio gas. - La cooperazione industriale. Segnava nettamente il legame esistente tra gli interessi francesi a rimanere nel Sahara e il supporto finanziario fornito dagli stessi francesi, l'Accordo di Algeri comportava un’imposta che fissava la contribuzione francese ha l'industrializzazione algerina a due miliardi di FF in cinque anni, i quali sarebbero dovuti essere gestiti da un Organismo di cooperazione industriale (O.C.I). Sembra che il governo algerino abbia esitato molto prima di accettare che questo Organismo, incaricato della selezione e del finanziamento dei progetti, funzionasse su base paritaria, soprattutto in considerazione dei precedenti con un altro organismo, l’ Organismo Sahariano in cui la parità non aveva generato l'efficacia182. Dopo la firma degli Accordi, l'entusiasmo manifestato ad Algeri contrastava con l’ ostilità dei livelli politici parigini. Il disegno di legge per ratificare l'accordo fu infatti votato dall'Assemblea nazionale in prima lettura ma venne respinto per ben due volte dal Senato prima di essere adottato con una risicata maggioranza (128 voti favorevoli contro 111 contrari)183. Francia e Algeria avevano dunque saputo conciliare i propri interessi e soprattutto per quest’ultima l'Accordo rappresentava, non soltanto il massimo che essa avrebbe potuto ottenere in quel momento, ma in più di avrebbe permesso di mettere in moto la Sonatrach per prepararsi progressivamente a prendere possesso dei propri idrocarburi. Quanto alla Francia, ottenne dei termini di garanzia che gli avrebbero permesso di instaurarsi con più sicurezza nel territorio. In seguito a questi accordi bilaterali sul petrolio ne seguirono altri che riguardavano gli argomenti più svariati. Tra i quali si possono citare la Convenzione sulla cooperazione culturale e tecnica del 8 aprile 1966 e l'Accordo relativo alle Relazioni Finanziarie del 23 dicembre dello stesso anno, che permise di risolvere il contenzioso finanziario tra i due paesi184. 2.8 Gli accordi in materia finanziaria. Sulla stessa linea, forte delle regolamentazioni in ambito petrolifero, l'Algeria domandò riesame generale di tutte le difficoltà che pesavano sulle relazioni bilaterali tra i due paesi. Parigi, accolse inizialmente le pretese algerine con poco entusiasmo, perché nonostante l'esistenza di punti l'accordo, gli ostacoli che suscitava il regolamento del contenzioso finanziario erano prevedibili, tenendo conto della situazione della tesoreria algerina. Nonostante la titubanza, al fine di assicurare che la delegazione francese venisse dotata di istruzioni politiche, il Ministro degli Esteri algerino M. Bouteflika 182 N. Grimaud, op. cit., pp. 61-62 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 137 184 Mellouki Riffi, op.cit., 184 183 57 ottenne di essere ricevuto dal generale de Gaulle il 9 marzo 1966, alla vigilia dell'apertura delle trattative185. L'obiettivo principale dell’Algeria era quello di regolare il contenzioso finanziario nel quale si intricavano, in una complicata matassa, impegni anteriori all'indipendenza, inseriti negli Accordi d’Evian a carico dell’Algeria, e dei debiti sorti dopo il 1962. In modo apparentemente paradossale, l'Algeria si pose nel tavolo delle trattative rifiutando di onorare le "fatture coloniali" cioè di riconoscere i debiti pubblici contratti a nome dell'Algeria prima dell'indipendenza, i quali come dichiarava M. Bouteflika :« Non erano né politicamente, né economicamente, né finanziariamente da imputare al proprio paese dal momento che la sovranità statale era allora esercitata dalla Francia»186. Allo stesso modo per la massa dei beni vacanti abbandonati dagli europei, l'Algeria rifiutava l'ipotesi di un riscatto considerandoli come danni di guerra. A queste posizioni di principio, veniva aggiunto un argomento di fatto: avrebbe forse dovuto Algeria, per far quadrare un enorme passivo contestabile, rendere impossibili le sue chances di sviluppo? Il governo algerino, desiderava perciò approfittare del fatto che il generale de Gaulle si trovasse ancora all’Eliseo per ottenere una la liberatoria dagli "strascichi coloniali" e pianificare e così facendo la propria situazione finanziaria. Ma la fine della prima parte di contrattazioni che si concluse con la firma della Convenzione di cooperazione culturale e tecnica, e con la sospensione dei negoziati finanziari, il 30 aprile, fu considerata come un insuccesso ed aprì un periodo di crisi187. Il 8 maggio, il presidente Boumediène, con un atto che faceva riferimento direttamente ai tentativi di dialogo in corso con la Francia sulla condizione finanziaria dell’Algeria in corso, annunciava che ormai i "beni vacanti" sarebbero stati considerati come "beni di Stato". Inoltre egli procedette anche alla nazionalizzazione di undici miniere metallurgiche, pur promettendo un equo indennizzo188. Tuttavia, dopo le tensioni nei mesi che seguirono, finalmente le due parti decisero di venirsi incontro e di prendere la via delle concessioni. Parigi ridusse considerabilmente le sue pretese e gli algerini si rassegnarono alla restituzione di qualche prestito, come ad esempio alcuni per lavori di infrastruttura, di cui essi avevano beneficiato. Finalmente il 23 dicembre 1966 venne firmato un accordo politico, che fu però tenuto segreto. Questa accordo consacrava un abbattimento della maggior parte del debito algerino il quale venne ricalcolato in un saldo forfettario in favore della Francia di circa 400 milioni di F, rimborsabile in trent'anni189. In questo modo, ancor più della Tunisia del Marocco nel 1963, l'Algeria ottenne delle condizioni generose per decolonizzare i rapporti finanziari da Stato a Stato. Ancora più notevole era il fatto che riuscì ad ottenere queste condizioni senza compiere alcun gesto per indennizzare degli interessi privati francesi. Questa serie di trattazioni serrate che terminarono finalmente con dei successi per la giovane diplomazia algerina ricevette un seguito nel giugno 1967: un Accordo Marittimo adottava il principio della "divisione della bandiera", riconoscendo alla marina mercantile algerina nascente il diritto di trasportare la metà del carico tra i due paesi, ad esclusione degli idrocarburi190. 185 J. Offredo, op. cit., p. 77 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.142 187 N. Grimaud, op. cit., p. 63 188 S. Mouhoubi, op. cit., 126 189 I. Brindell, op. cit., 118 190 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.145 186 58 Tuttavia, nello stesso tempo, ci fu una serie di trattati per i quali l'Algeria e si scontrò con la resistenza assoluta della Francia. Soprattutto quelli che riguardavano gli interessi nazionali francesi, o quelli considerati come tali; su di loro la Francia non cedette mai il passo alle necessità della cooperazione com'era concepita l'Algeria. Si possono citare come esempi della fermezza francese le relazioni per quanto riguarda i domini militari, la dove le obbligazioni a carico dell'Algeria sono state interamente rispettate. Dopo la conclusione degli accordi sovracitati, ed in seguito alla visita in Francia del ministro algerino, il 20 gennaio 1967 del presidente francese scrisse una lettera a quella algerino in cui asseriva :«Io sono stato, come spero voi, felice che i negoziati iniziati tra i nostri due governi siano arrivati a degli accordi sulle questioni erano in sospeso. Non ho nessun dubbio che queste prime regolamentazioni faciliteranno la risoluzione degli altri problemi che inevitabilmente si porranno. Una politica di cooperazione franco- algerina, che riguarda noi e voi e allo stesso modo, è in effetti una creazione continua che necessità al tempo stesso di comprensione e determinazione»191. 2.9 Divergenze bilaterali e convergenze internazionali. Uno dei maggiori fattori di crisi tra la Francia e l'Algeria fu causato dal contenzioso sulla produzione vinicola algerina. Quando l'Algeria divenne indipendente i vigneti ereditati dalla colonizzazione coprivano una parte importante del territorio. La produzione di vino in Algeria era però dovuta a delle considerazioni economiche e commerciali francesi che avevano poco a che fare con le caratteristiche socie culturali algerine. Tuttavia, le autorità algerine si dovettero confrontare con la necessità di assumere queste eredità, anche perché le possibilità di riconversione dei vigneti nel breve periodo risultavano molto limitate. Per questo motivo si manifestò al governo algerino la necessità di elaborare degli accordi commerciali con la Francia per permettere lo smaltimento di questa produzione. In un primo tempo questo si verificò senza grossi problemi e l'Algeria riuscì ad esportare la maggior parte dei suoi vini in Francia. Ma, nel 1967, le autorità francesi decisero unilateralmente di interrompere il ritiro del vino prodotto in Algeria. Da allora il governo algerino si trovò di fronte a un importante problema con delle considerevoli quantità di vino da smerciare. Fu in questo contesto che, per salvare la situazione, furono intrapresi e i negoziati con l'Urss che sfociarono ad un accordo per la consegna di buona parte del vino algerino. Questo non contribuì a riassorbire l'integrità delle eccedenze vinicola e ma aiutò sicuramente a sormontare certe difficoltà sia a livello di stoccaggio e di disponibilità finanziarie192. Peraltro, proseguendo nella linea politica che era stata seguita dal governo algerino dei beni vacanti e sulle terre agricole appartenenti agli stranieri dei primi anni dell'indipendenza, le nazionalizzazioni si susseguirono in molti altri campi come miniere e banche, toccando società ed interessi francesi. Questo contribuì a provocare dei malcontenti dal lato francese, considerando anche il fatto che i poteri algerini continuavano ad effettuare nazionalizzazioni anche durante il periodo tra il maggio e il giugno 1968, in cui la Francia era particolarmente turbata dai movimenti universitari e sociali193. 191 S. Mouhoubi, op. cit., 129 N. Grimaud, op. cit., p 65 193 G. Dillinger, op. cit., p.128 192 59 Ma tutto ciò non creò delle tensioni insormontabili tra i paesi soprattutto perché la volontà dei rispettivi governi era quella di superare questi problemi congiunturali in vista di rinnovare e di riaffermare le modalità di cooperazione tra Francia e Algeria. Così, il 27 aprile 1968, in risposta a un telegramma inviatogli dal generale de Gaulle, il capo di Stato algerino replicò con un messaggio nel quale ribadiva :«sono molto toccato dal vostro messaggio di simpatia, tengo ad esprimervi tutti i miei ringraziamenti e ad assicurarvi in questa occasione ancora una volta il nostro attaccamento profondo alla grande opera di cooperazione algero-francese che, intrapresa all'indomani dell'indipendenza algerina, ha potuto gioiosamente svilupparsi e saprà la superare gli ostacoli e le difficoltà del momento per raggiungere gli obiettivi lontani nei quali si ricongiungono i nostri ideali comuni di solidarietà e di amicizia tra gli uomini e i popoli. Rendendo omaggio alla vostra azione personale nello stabilire e nel promuovere i nuovi rapporti tra i nostri paesi, io vi prego di accettare il mio più sincero augurio di prosperità per voi per tutto popolo francese»194. Fu in questo contesto che venne fermato accordo sul flusso migratorio tra i due paesi il 27 dicembre 1968. Mentre sulla questione dei domini militari si verificarono dei progressi per quello che concerneva l'evacuazione delle basi concesse dall'Algeria in virtù degli accordi di Evian. Alcune di queste evacuazioni furono addirittura effettuate prima dei termini previsti i termini previsti: la partenza delle truppe francesi il 15 giugno 1964 (al posto del 1° luglio 1965), l'evacuazione della base di Mers-El Kébir il 1° febbraio 1968 (al posto del 1° luglio 1977). Questa accelerazione rispetto al calendario previsto fu positivamente percepita in Algeria come un segnale incoraggiante in risposta della buona volontà algerina in questo periodo in un rapporto alla presenza militare straniera sul proprio territorio195. 2.10 La Nazionalizzazione delle risorse. L'arrivo di George Pompidou al potere il 20 giugno 1969 segnò un cambiamento nella natura delle relazioni bilaterali tra Francia e Algeria. La prospettiva sulla quale si poneva il nuovo presidente francese era molto diversa rispetto a quella di de Gaulle. Mentre quest'ultimo viveva la realizzazione di una buona cooperazione tra le due nazioni come una sorta di obiettivo personale, durante il governo di Pompidou le relazioni assumono un carattere più burocratico, e i differenti "giochi" della cooperazione vengono presi in considerazione in maniera più contabile e quindi meno politica196. Ne risultò che gli irrigidimenti tra i rapporti che si verificarono durante la presidenza di de Gaulle non vennero riassorbiti, ma al contrario aumentarono diventando delle forti tensioni e in certi casi degenerarono in crisi. Furono due i problemi principali al centro delle discussioni e delle tensioni tra Francia e l'Algeria che caratterizzarono il periodo tra il 1969 e il 1974: la questione petrolifera e la questione dei lavoratori algerini. Questi problemi diedero luogo a delle serie crisi tra i due paesi, causando talvolta la rottura del dialogo tra i partner e lasciando delle tracce evidenti negli squilibri e nella natura delle cooperazione bilaterale che ne uscì duramente provata. 194 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 139 Ibidem, p.138 196 N. Grimaud, op. cit., p 79 195 60 Le problematiche petrolifere e si svilupparono durante gli anni 1970-71 furono causate dalla congiuntura di evoluzioni cronologica e politico strategiche197. Dal punto di vista cronologico, gli accordi del 1965 prevedevano che ci sarebbe stata una rinegoziazione della questione petrolifera a distanza di cinque anni. Non ci fu quindi nessuna rivendicazione specifica da parte dall'Algeria ma semplice applicazione di un calendario stabilito in maniera congiunta molti anni prima. A livello “politico strategico” queste rinegoziazioni si ponevano in una duplice ottica, da una parte, per quello che riguarda l'Algeria, il recupero delle sue risorse naturali per poter passare dallo stadio di 16 indipendenza politica a quello di reale sovranità economica, e d'altra parte, dentro il contesto dell'evoluzione della scena petrolifera internazionale caratterizzata dall'aumento della potenza dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio OPEC. In Algeria, il potere si era dotato progressivamente, con la Sonatrac e le società che gli si associarono, degli strumenti tecnologici e dell'esperienza nel settore che gli avrebbero permesso di diventare un operatore petrolifero realmente efficace. Inoltre, tra il 1965 e il 1970, le autorità algerine presero il controllo di alcune società petrolifere straniere, ma non francesi, e firmarono un accordo con la società americane il dipendente Getty nel 1968 di cui l'Algeria deteneva il 51% dei capitali. Il rapporto di forze che era dunque modificato rispetto al 1965, l'Algeria aveva in parte cambiato la sua condizione di dipendenza e debolezza ed i negoziatori algerini sapevano di poter affrontare i nuovi negoziati previsti con una discreta possibilità di successo198. Anche sulla scena petrolifera internazionale si verificarono dei fatti che contribuirono al modificarsi della situazione preesistente durante gli anni 60. L’OPEC divenne un'organizzazione che riuniva un numero crescente di grandi paesi produttori, ed iniziò ad orientare le sue azioni in vista di modificare la struttura del mercato petrolifero internazionale, che finora aveva visto come maggiori beneficiari paesi consumatori e le società petrolifere internazionali, in modo da rendere più favorevole lo scambio ai paesi produttori. Questo organismo fu fondato nel 1960 e l'Algeria, che ne entrò a far parte del giugno 1969, divenne velocemente un attore importante soprattutto grazie alla politica del ministro algerino dell'Energia, B. Abdesselam199. I negoziati petroliferi con la Francia vennero organizzati dal lato algerino attorno al binomio dei principali ministeri, quello degli Affari esteri capeggiato da Bouteflika e quello dell'Energia Abdesselam con la Sonatrac, diretta da Sid Ahmen Ghozali, a fare parte integrante dell'equipe di quest'ultimo ministero. Da parte francese invece il tavolo e i negoziati venne diviso in svariati poli decisionali per trattare ogni questione da un punto di vista più tecnico e le società che avevano i maggiori interessi petroliferi, come l’ERAP e CFP, rappresentavano soltanto degli elementi di un complesso decisionale globale200. In linea generale, la parte algerina si rendeva abbastanza insoddisfatta dei risultati ottenuti dopo il 1965 e sperava dunque in una riscrittura quasi radicale dei testi degli accordi al fine di mettere in corrispondenza le modalità di valorizzazione del petrolio algerino con gli obiettivi di sviluppo socio-economico industriale dell'Algeria stessa. I negoziatori algerini ritenevano che i francesi non avessero saputo, potuto o voluto comprendere le speranze algerina e non avessero percepito loro grado di determinazione. 197 I Brandell, op. cit., p 66 S. Muohoubi, op. cit., p. 129 199 Mellouki Riffi, op. cit., p. 184 200 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.140 198 61 I negoziati, percepiti come altamente politici da parte algerina, furono in un primo tempo riportati a delle considerazioni di ordine strettamente tecnico da parte francese. Moltissime riunioni si tennero ad Algeri tra il novembre 1968 e il giugno 1970, ma nessuna di queste portò di risultati concreti. La principale speranza algerina era di ottenere una rivalutazione del prezzo imposto del petrolio facendo passare da 2,08 a 2,66 dollari al barile, prezzo ritenuto più conforme a quello internazionale. Fu in questo contesto che da parte francese fu messa sul tavolo delle contrattazioni una proposta abbastanza sorprendente ed interpretata da Algeri come provocatoria rispetto alle domande algerine e alla tendenza internazionale. La proposta era quella di diminuire il prezzo del petrolio di quattro centesimi al barile. In seguito, un'altra proposta francese, più "generosa", inseriva la possibilità di un progressivo e molto graduale aumento del prezzo di riferimento, che sarebbe arrivato fino a 2,31 dollari al barile nel 1975. Queste offerte ebbero un impatto fortemente negativo sui negoziatori algerini, e causarono l’aumento delle tensioni fino alla sospensione dei negoziati da parte francese il 13 giugno 1970. La reazione algerina assunse, a partire dal 20 luglio 1970, una duplice forma: da una parte, il governo algerino fissò unilateralmente il nuovo prezzo di riferimento del petrolio al barile (2, 85 dollari) e, d'altra parte, fissò un aumento delle quote da destinare all'Algeria per le società francesi. Queste decisioni algerine spinsero la Francia a rilanciare un dialogo tra le due nazioni in vista di elaborare un nuovo quadro globale per l’insieme della cooperazione franco-algerina. L'avvio di una nuova fase di negoziati promossa da Parigi, ed iniziata il 29 agosto 1970, non permise comunque di arrivare a dei risultati anche perché a le posizioni delle due parti restavano infatti ferme ed apparentemente inconciliabili. Il governo algerino, che sospettava che i francesi volessero trascinare il più a lungo possibile le trattative per mantenere invariati gli accordi precedenti a discapito dei loro interessi nazionali, mobilitò intorno a sé il sostegno internazionale dell’ OPEC e dei paesi produttori di petrolio201. La conclusione, prevedibile, si verificò il 24 febbraio 1971 quando durante un discorso in occasione del XV° anniversario dell'Unione generale dei lavoratori algerini UGTA il Presidente Boumediène dichiarò :« Ormai è arrivato al tempo di prenderci le nostre responsabilità. Così abbiamo deciso, oggi, di portare la Rivoluzione al settore del petrolio, e di rendere concrete le opzioni fondamentali del nostro paese in questo campo. Su questa base, io proclamo ufficialmente, a nome del Consiglio della Rivoluzione e del Governo, che le decisioni seguenti saranno applicabili a partire da oggi: - La partecipazione algerina in tutte le società petrolifere francesi sarà portata al 51%, in modo da assumerne il controllo effettivo. - Realizzeremo la nazionalizzazione dei giacimenti e del gas naturale. - Realizzeremo la nazionalizzazione del trasporto terreste, cioè dell'insieme delle canalizzazioni che si trovano sul territorio nazionale »202. Il Presidente algerino espose nel suo discorso le ragioni che avevano portato il governo a prendere queste decisioni e spiegò di non avere nessuna ostilità nei confronti della Francia e che gli interessi francesi, come l'indennizzo delle società e l'approvvigionamento petrolifero, sarebbero stati comunque preservati. In reazione a queste dichiarazioni le società francesi presenti nel territorio algerino misero in pratica un boicottaggio internazionale della produzione di petrolio e 201 202 S. Muohoubi, op. cit., p.132 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.145 62 costrinsero il governo algerino ad intraprendere delle nuove disposizioni il 12 aprile 1971, per far fronte a questa situazione. Ma ormai la nazionalizzazione era un dato di fatto ed il processo di negoziati, questa volta tra le società petrolifere e le autorità algerine, era stato attivato solo in vista di regolare le questioni della dopo-nazionalizazione. Il primo accordo fu velocemente concluso 30 giugno con la CFP, società che aveva pochi interessi in Algeria e quindi con cui era più facile arrivare ad un accordo. Ma soltanto molti mesi più tardi, un accordo segnato con l’ERAP, il 16 dicembre 1971, metteva fine ai due anni di crisi e di trattative. Le modalità degli accordi stabiliti furono in generale: l'indennizzo, la creazione di società partner con una partecipazione francese minoritaria, nuove disposizioni dal punto di vista fiscale e nuovo prezzo di riferimento del petrolio203. Questi risultati furono fonte di grandi soddisfazioni per i dirigenti algerini, che in meno di dieci anni dall'indipendenza erano riusciti a superare, alle proprie condizioni, l'ultima importante tappa della decolonizzazione: l'accesso al pieno dominio dei propri idrocarburi. L'Algeria aveva saputo accettare la cooperazione imposta nel 1962 per poi creare una dinamica sufficiente per sollevarsi al rango di partner nel 1965 e sfruttare questi risultati per ottenere l'indipendenza petrolifera cinque anni più tardi. Naturalmente la nazionalizzazione e le forti tensioni che si erano create tra i due Stati contribuirono a degradare in maniera sostanziale la qualità dei loro rapporti bilaterali. 2.10 Dalla banalizzazione dei rapporti alla ricerca di un nuovo equilibrio. Dopo la nazionalizzazione del 1971 la crisi delle relazioni internazionali tra Francia e Algeria era ormai un dato di fatto, ma su un punto vi era ancora una concomitanza di intenti: evitare per quanto possibile che le relazioni politiche degradate non si ripercuotessero sulle sorti dei lavoratori e dei cooperanti all'interno delle due nazioni. Per quanto riguarda le singole prospettive politiche Algeria e Francia avevano della visioni ragionevolmente opposte. Gli algerini guardavano alla ripresa del proprio petrolio come un elemento estremamente positivo. Ai loro occhi, un ostacolo era stato superato: l'Algeria vedeva ridursi la sua condizione di inferiorità nei confronti della Francia ed aumentare la possibilità di essere considerata come un partner paritario. Per questo motivo spingeva per un rapido sorpasso della situazione congiunturale e un ristabilimento dei legami su delle basi più stabili ed egualitarie. Tuttavia, l'Algeria era a conoscenza della necessità di trovare un sostituto al petrolio che, forte di incessanti tensioni ma anche stimolo per la cooperazione aveva riempito fino a quel momento il ruolo fondamentale di chiave di volta all'interno delle relazioni bilaterali204. Per questo motivo l'Algeria tentò di trovare uno sbocco nei rapporti con la Francia grazie ad una sorta di complicità tra Parigi ed Algeri su scala internazionale. In effetti, le loro posizioni molto simili, e in alcuni casi convergenti negli "affari mondiali" costituirono durante l'era gollista un catalizzatore utile per sormontare alcuni problemi interni ai due paesi. Proprio per questo motivo l'Algeria fondandosi su un dato geografico tentò di ripristinare i rapporti coordinando la 203 204 N. Grimaud, op. cit., p 83 I. Brandell, op.cit., pp. 85-88 63 propria azione diplomatica all'interno di un quadro regionale. Algeri, venuta a conoscenza dell'intenzione del presidente Pompidou manifestata il 15 dicembre 1969, di rinforzare la presenza francese nel Mediterraneo, penso di avere trovato in questo senso il quadro adeguato. L'idea fu espressa il 22 aprile 1971, dieci giorni dopo l'abolizione del regime delle concessioni, all'interno di un comunicato ufficiale del Presidente algerino: «L'appartenenza comune alla regione mediterranea offre ai due paesi la possibilità di partecipare efficacemente alla realizzazione di grandi disegni»205. Ma nonostante le speranze algerine tutt'altra fu la reazione francese alla crisi petrolifera e alla nazionalizzazione. Vedendo diminuire propri utili e Algeria, la Francia non tardò a sottolineare che il suo interesse per quanto riguarda le relazioni internazionali con questo paese seguiva un'evoluzione parallela. L'intenzione di Parigi era quella di "banalizzare i rapporti" e cioè di renderli più in linea con quelli che la Francia aveva con le altre nazioni privandoli del proprio carattere di "specialità" e rendendoli in un certo senso "normali" e "più conforme al diritto comune". Il presidente Pompidou formulò chiaramente questa nuova ottica in un'intervista alla televisione francese il 24 giugno 1971 nella quale dichiarava:«..Noi siamo pronti a partecipare allo sviluppo economico della Algeria, in misura delle nostre possibilità, dei nostri interessi ed in funzione del valore dei progetti intrapresi. Altrimenti detto, noi non diamo all'Algeria una priorità nella cooperazione ma non la escludiamo nemmeno dal numero degli Stati con i quali noi cooperiamo strettamente... nonostante questo, è probabile che le relazioni tra Francia e Algeria abbiano bisogno di una messa a punto è che questa messa a punto non si potrà verificare senza una piccola crisi»206. Di fronte a questa riserva francese, l'Algeria non esitò a praticare una politica d'apertura rispetto ad altri paesi europei, come l'Italia e il Belgio, pur continuando nei confronti della Francia a mettere l'accento sulla carta vincente rappresentata dalla vicinanza intorno al litorale Mediterraneo. Gli sforzi dell’Algeria in questo senso erano d'altronde effettuati in vista dell'organizzazione di una conferenza degli Stati Non-Allineati rivieraschi che si svolse nel 1972 ed anche per questo motivo, il presidente algerino Boumediéne tentava di superare gli scogli della crisi dichiarando :«Non esiste più tra noi è lo Stato francese alcun problema di interesse contrapposto. Il solo che potrebbe esistere ancora è probabilmente quello dei rapporti permanenti»207. 2.11 La crisi e le conseguenze sull'immigrazione. Se la crisi petrolifera fu rivelatrice dell'aumento delle divergenze tra gli interessi di due paesi, un'altra crisi, fondamentalmente conseguenza della degradazione dei rapporti bilaterali, contribuì a rendere irreversibile il processo iniziato il 24 febbraio 1971, data della nazionalizzazione degli idrocarburi da parte algerina. A fianco degli idrocarburi e della cooperazione culturale e tecnica, l'emigrazione ha rappresentato sempre una parte essenziale dei rapporti franco-algerini. Precedentemente, abbiamo descritto lo sfondo su cui si sviluppò la crisi dei rapporti petroliferi che finì con la nazionalizzazione delle risorse. Dopo questa 205 S. Muohoubi, op. cit., p. 130 G. Dillinger, op.cit., p. 172 207 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 148 206 64 decisione rivoluzionaria dell'Algeria, il governo francese reagì smisuratamente decretando la banalizzazione della cooperazione la fine della cooperazione privilegiata. Tuttavia, la Francia affermava simultaneamente che la cooperazione culturale e tecnica avrebbe continuato ad essere considerata come “privilegiata”. Questa decisione unilaterale non era priva di fondamenti e di riflessioni da parte del governo francese, proprio perché le politiche francesi si fondavano sulla strategia di lungo periodo208. Ponendo le basi della cooperazione culturale e tecnica, la Francia cercava di mantenere un'influenza sull’Algeria e di assicurarsi, partecipando attivamente alla formazione dei quadri dirigenti algerini, un posto di riguardo come partner economico e commerciale. Di conseguenza, la decisione dell'Algeria di fermare la propria emigrazione in Francia nel 1973, non poteva che essere ben accolta dal partner francese nella misura in cui esso non ne ricavava un danno per la propria strategia politica. Al contrario, le decisioni del governo algerino, lungi dal rimettere in causa i fondamenti della cooperazione con l'ex potenza coloniale andava incontro agli obiettivi francesi per due ragioni essenziali. Innanzitutto, sul piano economico, la Francia era sollevata dal vedere ridursi il flusso migratorio dal momento che il tasso di disoccupazione stava diventando inquietante e le previsioni per il futuro erano sempre più pessimiste. Non bisogna dimenticare inoltre che l'economia francese all'epoca era abbastanza fragile; le tensioni inflazionistiche erano forti, ed il governo utilizzò delle misure draconiane nel 1972 per regolare l'aumento dei prezzi209. Inoltre, agli occhi dell’opinione pubblica, queste misure avrebbero permesso al governo francese di giustificare la politica d’immigrazione che gli intendeva applicare. Per quanto riguarda l'emigrazione algerina, il suo ruolo all'interno dell'economia francese era naturalmente riconosciuto e fondamentale, ma tuttavia la Francia avrebbe potuto optare per una scelta volontaria dei paesi fornitori di manodopera, tentando di ridurre volontariamente l'importanza algerina nel quadro della banalizzazione della cooperazione decisa nel 1971 dal governo Pompidou210. Anche i numerosi attentati contro la comunità algerina contribuirono a dimostrare una lenta degradazione dei rapporti bilaterali. Tuttavia, il verificarsi di questi costituisce soltanto una spiegazione parziale della decisione algerina dell'interruzione del flusso migratorio. La spiegazione è invece da ricercare nelle rispettive politiche interne ed esterne dei due paesi. La contrazione dei propri interessi portò il governo francese a mettere fine alle relazioni privilegiate la reazione dell'Algeria a questa decisione fu più serena ed equilibrata. Se sul piano di principio, essa non era ostile ad intraprendere delle relazioni di qualità con il partner francese, l'Algeria non dimenticava che il terreno sul quale si dovevano svolgere queste relazioni sarebbe dovuto essere rinnovato e sgomberato da tutte le rimanenze del passato coloniale. Proprio per questo motivo l'Algeria tentava di realizzare una politica risolutamente anti-imperialista pur non risparmiando e gli sforzi per realizzare la trasformazione dei rapporti tra il Nord ed il Sud. In questo senso il problema l'emigrazione era soltanto uno dei tanti tasselli che contribuirono al verificarsi di un lento processo di deterioramento dei rapporti 208 G. Dillinger, op.cit., p. 174 I. Brandell, op.cit., p. 89 210 N. Grimaud, op. cit., p 89 209 65 franco-algerini e il nascere della crisi era, in fin dei conti, la conseguenza logica della nuova impronta data alla cooperazione211. Sarà necessario attendere l'arrivo di M. Michel Jobert alla carica di Ministro degli Affari Esteri perché i due paesi riprendano il dialogo. In effetti, di fronte alla pressione della congiuntura internazionale, e nonostante appartenessero a due blocchi opposti, paesi consumatori di energia e paesi produttori di petrolio, Francia e l'Algeria ritrovarono le basi comuni per un avvicinamento. 2.12 La congiuntura internazionale ed il riavvicinamento. Dopo la guerra dei sei giorni, il Mediterraneo era al centro di numerosi tensioni perché la presenza di flotte straniere nelle acque vicine ai paesi rivieraschi creata delle zone di insicurezza. Il conflitto ideologico Est-Ovest era, in un certo senso, stato trasferito in una zona fino a quel momento estranea alle rivalità tra le due superpotenze. Sia la Francia che l'Algeria erano d'accordo nel realizzare un "largo di pace" nel Mediterraneo, è per far sì che questo potesse succedere era necessaria il rimpatrio di tutte le flotte estranee a questa regione. Ma, mentre il grande obiettivo della Francia viene era quello di giocare un ruolo di grande potenza del Mediterraneo, questo incontrava una riserva assoluta da parte dell'Algeria che affermava l'inutilità di "mandare via un gendarme per rimpiazzarlo con un altro gendarme"212. Questa contraddizione di interessi rifletteva ancora una volta l'incompatibilità degli obiettivi dei due paesi. La Francia era a conoscenza del fatto che la sua politica mediterranea rispondeva agli interessi algerini, come rivelava Georges Pompidou alla vigilia della decisione algerina dell'innalzamento del prezzo del petrolio :«La vicinanza dell'Algeria, la sua situazione nel Mediterraneo e in Africa, l'avvenire dei francesi in questo paese, la complementarietà dei suoi scambi con noi, richiedono di guardare più lontano rispetto a dei disaccordi per un negoziato mal posto»213. La politica mediterranea era già stata un grande progetto del generale de Gaulle, il quale pur proponendola non riuscì a realizzarla soprattutto a causa di due ragioni: la guerra d'Algeria e il sostegno a Israele. Questi due fattori causarono infatti la nascita di forti pregiudizi delle relazioni tradizionali tra la Francia e l'Africa da una parte, e la Francia ed il mondo arabo dall'altra. Per quanto riguarda l'Africa, l’Algeria stigmatizzò spesso l'azione della Francia accusandola di neocolonialismo. In effetti, nel quadro degli accordi di cooperazione segnati con un gran numero di paesi che avevano conosciuto la dominazione francese, la posizione dell'ex potenza coloniale non aveva mancato di suscitare forti apprensioni da parte di quella Algeria, che era riuscita a sbarazzarsi degli Accordi d’Evian. La presenza francese in Africa, anche dopo la concessione dell'indipendenza, rispondeva a diversi obiettivi: strategici, politici, economici, commerciali e culturali. Questi elementi facevano da trama alla sua influenza sul continente e la Francia intendeva rinforzarli per assicurarsi un ruolo principale nella scena 211 I. Brandell, op.cit., 145 S. Muohoubi, op. cit., p 133 213 N. Grimaud, op. cit., p. 90 212 66 internazionale. Tuttavia, contrariamente al generale de Gaulle che aveva sempre privilegiato gli aspetti politici, George Pompidou dava una grande importanza all'interno della sua azione ai fattori economici e culturali. I suoi interessi nei confronti dell'Africa si ponevano infatti all'interno di una strategia più vasta che rispondeva agli obiettivi di politica interna francese tra i quali: modernizzazione, internazionalizzazione dei gruppi industriali francesi e l’aumento della “zona franca” per permettere gli scambi e l'integrazione delle economie africane a quella della Francia. D'altra parte, gli interessi che avevano certe società petrolifere francesi in alcuni paesi dell'Africa gli permettevano giustamente di ridurre progressivamente le loro attività in Algeria214. La stessa politica di Pompidou era fondata sulla realizzazione di due obiettivi principali: in primo luogo, rinforzare l'indipendenza nazionale francese assicurando energia e manodopera, ed in secondo luogo, assicurare degli sbocchi sicuri per i prodotti francesi, in quanto le esportazioni rappresentavano sicuramente un punto essenziale per la crescita economica. Per il compimento di questi obiettivi era necessaria naturalmente l'attuazione di una politica mediterranea legata al ristabilimento delle relazioni con il mondo arabo. Un riavvicinamento con quest'ultimo ci fu già all'epoca di de Gaulle, nel momento in cui il generale prese una posizione netta concernente l'aggressione israeliana del 1967 e soprattutto impose l'embargo sulla vendita di armi, rompendo in questo modo una tradizionale alleanza tra Francia e Israele. Questo rappresentò un primo passo decisivo in direzione del mondo arabo. Tramite una politica equilibrata, la diplomazia francese, che aveva sempre difeso del diritto di esistenza di Israele, poté svolgere un ruolo decisivo nella scena internazionale imponendosi sia come attore fondamentale negli accordi tra le grandi potenze per la risoluzione del conflitto vicino orientale sia come un partner per i paesi arabi che poteva controbilanciare l'influenza degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica215. La guerra del Ramadan, nell'ottobre 1973, contribuì all’ apertura di una nuova era per i paesi produttori di petrolio. In effetti, al di là dell'aumento del prezzo di petrolio, quello che si verificò fu una vera e propria rivoluzione a livello di relazioni di forza tra le diverse nazioni. Per la prima volta, i paesi produttori erano riusciti a prendere il controllo del mercato del petrolio che fino a quel momento era stato nelle mani delle grandi società petrolifere occidentali, che ne controllavano produzione, commercializzazione e prezzi216. Paradossalmente la nuova situazione internazionale che si era creata dopo la guerra contribuì a produrre un riavvicinamento tra l'Algeria e la Francia. Le due nazioni si trovarono infatti in convergenza di punti di vista sul problema specifico delle relazioni Nord/Sud e sulla necessità della realizzazione di un nuovo ordine economico mondiale. Innanzitutto, le nomina di M. Michel Jobert a Ministro degli Esteri costituirà un elemento positivo che si tradurrà con la visita ufficiale del suo omologo algerino M. Abdelaziz Bouteflika a Parigi, nel 1974. Il rifiuto della Francia di cedere alle pressioni americane per costituire un fronte compatto contro i paesi produttori di petrolio, e soprattutto l’apertura dimostrata nei confronti delle rivendicazioni del terzo mondo, in generale, e per la trasformazione delle relazioni tra il Nord e il sud ed i problemi dei paesi arabi, in 214 Bertrand Benoit, Le syndrome algérien, L’Harmattan, Paris, 1999, p.32 S. Muohoubi, op. cit., p. 138 216 Mellouki Riffi, op. cit., p. 265 215 67 particolare, permisero il riavvicinamento dei due paesi che, pertanto, avevano iniziato da poco l'esperienza della "cooperazione banalizzata"217. Questo clima internazionale propizio non poteva non avere delle ripercussioni positive sul piano bilaterale. Parlando di "amicizia" e affermando l'esistenza di un "avvenire comune" ai due paesi, M. Jobert manifestava nel luglio 1973 un'evoluzione della posizione francese conforme alle attese di Algeri. A dire il vero, il ruolo giocato d'Algeria sulla scena internazionale, nella sua candidatura a porta parola dei paesi del Terzo-Mondo per l'instaurazione di un nuovo ordine economico mondiale, non poteva lasciare Parigi indifferente e spingeva i francesi, in contrapposizione agli americani, a porsi come interlocutore privilegiato nei confronti di questo paese. Tuttavia, il ministro francese Michel Jobert, pur assicurando al capo della diplomazia algerina il desiderio del suo governo di intrattenere in tutti i casi delle buone relazioni, indicò a quest'ultimo le linee politiche che l'Algeria avrebbe dovuto seguire per far sì che queste relazioni potessero diventare eccellenti. In particolare egli faceva riferimento a dei dossier che riguardavano gli attentati agli interessi privati francesi e suggeriva una riduzione del periodo in cui i cittadini francesi alle prese con la polizia algerina sarebbero dovuti essere "guardati a vista"218. Se Algeria, preoccupata di non compromettere ancora di più i propri rapporti bilaterali, non tardò a realizzare le disposizioni consigliategli da M. Jobert, la Francia non mostrò una uguale celerità nei confronti dei motivi di preoccupazione del suo partner che riguardavano la protezione dei lavoratori immigrati di fronte all'ostilità di una frazione di popolazione e il deficit di bilancio commerciale. Nonostante la scelta di M. G. Gorse come Ministro del Lavoro e della Popolazione per il nuovo governo potesse rappresentare un segnale di buona volontà da parte di Parigi, questa non fu sufficiente per evitare l'ondata di razzismo che si stava scatenando in Francia nei confronti degli emigrati. Pur sospendendo l'emigrazione verso la Francia, e malgrado il tentativo di difendere la dignità e la sicurezza dei propri cittadini, l'Algeria non intendeva però riconsiderare il riavvicinamento in corso tra le due nazioni. Ma se è vero che migliorare la condizione dei lavoratori stranieri in Francia potrebbe rappresentare un campo in cui la natura e la dimensione dei problemi non facilitano una soluzione immediata, al contrario, i rimedi allo squilibrio degli scambi bilaterali, apparivano, a gli occhi del governo algerino, più semplici da mettere in pratica. Nonostante questo, la Francia, che aveva delle grosse difficoltà a livello di commercio estero, non aumentò l'acquisto d’energia facendo aggravare sensibilmente il deficit a discapito dell’Algeria219. 2.13 I rapporti sotto la presidenza di Giscard d’Estaing. La scomparsa del presidente Pompidou il 2 aprile 1974 seguita dalle dimissioni del ministro degli Affari Esteri M. Jobert formano il primo campanello d'allarme per gli algerini, che iniziarono ad avere il presentimento della fine dell'era gaullista. 217 S. Muohoubi, op. cit., p. 145 N. Grimaud, op. cit., p.90 219 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 150 218 68 Il nuovo presidente M. Giscard d’Estaing eletto nella primavera dello stesso anno si allontanava infatti, più del suo predecessore, dalle concezioni dell’ex presidente de Gaulle, sia in politica interna che per quanto riguarda le politica estera. Non bisogna dimenticare che alle elezioni presidenziali, Giscard vinse contro un candidato di dichiarate posizioni golliste, M. Chaban-Delmas220. Al suo arrivo al Eliseo egli intraprese quindi una politica orientata sul liberalismo che doveva essere fondata su una completa ristrutturazione della Francia, sia in politica interna che in politica estera. Di conseguenza, l'analisi della cooperazione con l'Algeria sarebbe dovuta essere rimpiazzata all'interno di un contesto più largo dalle nuove orientazioni francesi. I nuovi imperativi in politica interna e gli stravolgimenti a livello internazionale costituirono inevitabilmente degli elementi determinanti per la realizzazione di una nuova forma di cooperazione. Precedentemente, abbiamo sottolineato che l'arrivo al potere di Georges Pompidou aveva cambiato qualcosa all'interno del paesaggio politico francese. L'allargamento della maggioranza era divenuto infatti un obiettivo fondamentale del presidente per "sottrarsi alla stretta" dei gollisti che non vedevano di buon occhio tutte le azioni intraprese dall'uomo che succedeva il generale. Per questo motivo il presidente Pompidou dovette introdurre una certa distinzione tra "maggioranza parlamentare" e "maggioranza presidenziale". L'evoluzione si fece ancora più netta sotto Giscard d’Estaing che fece dell’allargamento della maggioranza parlamentare un imperativo della sua politica. Nonostante il presidente volesse governare al centro, permettendo a dei partiti di centro destra di partecipare al governo, la sua presidenza fu più una presidente di destra che di ispirazione gollista. E questo è sufficiente per comprendere l'orientazione generale e, di conseguenza gli obiettivi generali a realizzare, sia sul piano interno verso quella della politica estera. In oltre è necessario non dimenticare che un gran numero di personalità appartenenti alla formazione che costituiva la maggioranza presidenziale erano stati partigiani dell’"Algeria francese" ed erano, di conseguenza reticenti, o addirittura completamente ostili, a una cooperazione stretta e multidimensionale con il partner algerino221. Durante la fine dell'agosto 1974, il Presidente Giscard d’Estaing fece sapere che, rispettando la promessa tenuta quando egli era Ministro delle Finanze, avrebbe fatto nei mesi successivi un viaggio a Algeri. Questo viaggio avrebbe rappresentato la prima visita ufficiale di un Presidente francese in Algeria dai tempi dell'indipendenza di quest'ultima. Un certo clima di ottimismo si manifestò in Algeria soprattutto dopo la visita preparatoria di M. Poniatowski, Ministro dell'Interno, le cui dichiarazioni concilianti furono ben accolte ad Algeri. Per il governo algerino, che teneva in grande considerazione la realizzazione di una cooperazione privilegiata con la Francia, questa sarebbe potuta essere l'occasione attraverso la quale abbandonare la strada che aveva portato alla "banalizzazione dei rapporti"222. Tuttavia al suo ritorno dall'Algeria il Presidente francese si era fatto una certa idea di questa nazione. In generale Giscard d’Estaing riteneva che: - l'Algeria era realmente un paese indipendente; - l'Algeria avrebbe potuto rappresentare un ostacolo alla nuova politica francese di interventismo in Africa; 220 S. Muohoubi, op. cit., p. 146 G. Dillinger, op. cit., p 179 222 B. Benoit, op. cit., p. 34 221 69 - l'Algeria conosceva delle difficoltà crescenti e dunque delle tensioni sociali, sul piano interno. Questi sono dei fenomeni comuni che fanno seguito a uno sviluppo generale molto rapido del paese223. Dal punto di vista della cooperazione economica e umana i rapporti si mantenevano tesi a causa di alcune ragioni che non permettevano il rilancio dei rapporti. Da una parte, il deficit commerciale continuava a crescere a discapito dell’Algeria ed il partner francese non manifestava alcuna volontà di equilibrare gli scambi. Ciò costrinse il governo algerino a prendere, nel corso dell’anno 1978, delle misure di ritorsione invitando le società nazionali a scegliere un partner straniero alle società francesi per lo stesso livello di competitività. Per quanto riguarda le reazioni umane invece, i problemi di ordine interno che si verificano in Francia, soprattutto a livello di disoccupazione, spinsero i dirigenti francesi a rivedere le condizioni di mantenimento della manodopera straniera e, in particolare, dell'emigrazione algerina. Delle misure restrittive in questo senso furono prese soprattutto da MM. Bonnet, ministro dell'Interno e da Stoléru, segretario di Stato. Quest'ultimo fece, a più riprese, delle dichiarazioni all'interno delle quali sottolineava chiaramente quali fossero le politiche necessarie da intraprendere quando, da un lato, vi fossero in Francia quattro milioni di lavoratori stranieri e, dall'altro, un milione di disoccupati francesi224. Così, durante praticamente tutti i sette anni del governo Giscard, i principali capitoli della cooperazione si aggravarono considerevolmente senza che venisse presa nessuna soluzione a livello globale per la ripresa del rapporto tra le due nazioni. 2.14 La prima visita ufficiale. La prima visita ufficiale di un presidente francese in Algeria iniziò il 10 aprile 1975 ad Algeri. In questa data, appena sbarcato all'aeroporto di Algeri, Giscard d’Estaing pronunciò un discorso che fu probabilmente mal interpretato dagli algerini: «Ecco il capo di Stato francese e in Algeria. La Francia storica saluta l'Algeria indipendente»225. Questo parallelo di una Francia storica a confronto con l'Algeria indipendente fu interpretato ad Algeri come un modo e sminuire il passato dell'Algeria ed un disconoscimento della specificità algerina all'interno della storia. Nonostante molto probabilmente il presidente francese non avesse voluto dare intenzionalmente il senso che attribuirono alle sue dichiarazioni alcuni dirigenti algerini Queste poche frasi all'interno di un discorso tenuto proprio al debutto della visita presidenziale crearono attorno Giscard d’Estaing a un clima di sospetto che durò per tutto il periodo del suo viaggio226. Nonostante i fraintendimenti iniziali, il presidente Boumediène rispondeva a Giscard :« Quando la memoria da delle opportunità all'immaginazione, la riflessione esorcizza le ombre e si potrà avere così un appuntamento con la 223 S. Muohoubi, op. cit., p. 146 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 154 225 N. Grimaud, op. cit., p 93 226 Una specifica del significato che il presidente avrebbe sperato di dare al suo discorso e al suo viaggio fu scritta dallo stesso Giscard nel 1991:«io cominciai a leggere il mio testo, come lo avevo scritto, pensando solamente alla Francia, alla Algeria ed alla sua indipendenza». 224 70 storia.» ed in seguito espose le sue riflessioni sui due decenni durante i quali si era svolta la lotta per l'indipendenza e per il processo di decolonizzazione227. Secondo Boumediène il popolo algerino aveva cercato negli anni della sua indipendenza di ottenere la completa padronanza del proprio futuro e non, in primo luogo, di ledere gli interessi francesi. I toni dei due presidenti e la precisazione che si trattava di un “semplice e sincero chiarimento di vedute e non di un negoziato" che a riva e oltre la portata e limiti di questo incontro eminentemente politico. Ma già dal secondo giorno di viaggio in tono delle conversazioni tra i due lasciava intendere delle notevoli differenze di approccio politico sugli stessi problemi di fondo. Dal lato algerino il presidente proponeva di stabilire dei "rapporti permanenti" e privilegiati tra i due stati. Speranza che egli aveva già dichiarato davanti ad un auditorio algerino il 22 gennaio 1973:«Da parte dell'Algeria, non c'è più nessun problema di interessi contrastanti con lo Stato francese. L'unico che potrebbe ancora resistere e probabilmente quello di stabilire dei rapporti permanenti». Ma Giscard d’Estaing era di tutt'altro avviso, come egli stesso dichiarava in un'intervista televisiva del 14 dicembre 1977:«… ho parlato al presidente Boumediène [nel 1975]. Ed ho esposto il mio punto di vista: il mio punto di vista, è che quando due paesi sono stati legati molto strettamente per più di cento anni , e quando in seguito alla loro separazione si siano delle spaccature da una parte e dall'altra, non è poi facile stabilire in seguito delle relazioni su delle parti che siano normali e cordiali…. Noi dobbiamo mantenere una linea di governo semplice: quella di applicare tra di noi le regole di buone relazioni internazionali, ciò significa da una parte rispettare la nostra reciproca indipendenza, rispettare i nostri interessi reciproci e infine di rispettare le nostre reciproche dignità. Se i nostri due stati si comportano in questo modo per un certo periodo di tempo, avremo delle relazioni normali, ed in seguito, quando noi avremo per un certo periodo di tempo delle relazioni normali, tenuto conto del nostro passato, della nostra cultura, noi avremo delle relazioni cordiali»228. l'Algeria, prendeva nota, non senza dispiacere, del cambiamento di rotta che avevano avuto le preferenze del presidente francese, dal momento in cui essa non nascondeva la propria disponibilità ad una cooperazione su vasta scala. Gli algerini speravano vedere concretizzato in questo viaggio l'inizio di un nuovo capitolo all'interno delle relazioni algero-francesi, rilegge la cooperazione su delle basi sane e rinnovate, iniziare un partenariato equilibrato tra due Stati sovrani per fare avanzare delle riforme del sistema internazionale, sia a livello economico che a livello finanziario. La realizzazione di questi obiettivi, probabilmente sovrastimava le possibili conseguenze di un buon risultato del viaggio, ma i dirigenti algerini consideravano quest'ultimo come il primo passo per tentare di intraprendere questa strada. Nonostante le speranze, tutto questo non si verificò, anche perché la volontà del presidente francese era tutt'altra al momento in cui egli decise di intraprendere il viaggio in Algeria, il suo obiettivo era innanzitutto quello di assolvere un impegno preso dal suo predecessore ed inoltre quello di assicurarsi la presenza algerina è che i paesi sui quali quest'ultima aveva una certa influenza alla Conferenza Nord/Sud che egli contava di organizzare a Parigi229. 227 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 155 N. Grimaud, op. cit., p 94 229 S. Muohoubi, op. cit., p.147 228 71 Senza dubbio, il malessere algerino per le esitazioni francesi davanti ad un impegno a lungo termine sulla cooperazione sarebbero potuto essere sormontato se non si fossero aggiunte delle ulteriori tensioni che riguardavano sia il terreno economico che quello diplomatico. 2.15 L'Algeria e la Francia nella questione del Sahara Occidentale. Per comprendere il ruolo che i problemi verificatisi nel Sahara Occidentale giocarono nelle relazioni tra Francia e Algeria è necessario innanzitutto procedere ad un inquadramento storico del problema. Il Sahara occidentale o ex Sahara spagnolo è un territorio perlopiù desertico ma con grande potenziale di materie prime oltre a una grande importanza geo-strategica per i paesi confinanti. In accordo alla risoluzione dell'Onu che chiedeva alla Spagna e di riconoscere alla popolazione autoctona il diritto all'autodeterminazione, l'Algeria, il Marocco e la Mauritania in numerosi vertici, a cominciare da quello di Nouadhibou (14 ottobre 1970), concordarono una politica unitaria di sostegno alla sua indipendenza poiché ognuno dei tre aveva delle mine ben precise su di esso. L'Algeria infatti avrebbe voluto uno sbocco sulla costa atlantica per poter sfruttare le grandi miniere di ferro di Gara Djebilet, troppo lontane nei borghi mediterranei per essere convenientemente sfruttate; il Marocco avrebbe avuto il dominio mondiale del mercato dei fosfati annattendosi i grandi giacimenti presenti nel territorio e sarebbe così riuscito a bilanciare la sua carenza di idrocarburi nei confronti dell'Algeria; infine la Mauritania avrebbe visto di buon occhio la possibilità di diversificare la sua monoproduzione di ferro, con altre materie prime di cui l'ex Sahara spagnolo era ricco. Nell'insieme vi era un apparente linguaggio comune concentrato sulla decolonizzazione attraverso la autodeterminazione, ma le intenzioni soggiacenti erano ben diverse. L'accordo segreto maritano-marocchino dall'agosto 1974 per la spartizione del Sahara spagnolo, seguito dall'improvviso voltafaccia del presidente Ould Daddah nei confronti dell'Algeria, colti di sorpresa la dirigente algerina costringendola a rivedere i propri piani. E se infatti diventò la palazzina del Fronte Polisario, cretosi il 15 maggio 1973, che raggruppava i guerriglieri saharwi in lotta per l'indipendenza di quel territorio. Il 21 agosto del 1974 alla Spagna accelerò ai tempi annunciando un referendum di autodeterminazione della sua colonia all'inizio del 1975. Immediatamente il Marocco, sostenuto dalla Mauritania, chiese all’Onu di deferire la questione dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, la quale emise il 16 ottobre 1975 un giudizio che si prestava varie interpretazioni a seconda dei punti di vista degli interessi in gioco. In sostanza esso diceva che quel territorio momento della conquista spagnola aveva dei legami giuridici con il Marocco e con la Mauritania, ma non vi era nessun vincolo di sovranità territoriale tra i territorio del Sahara Occidentale da una parte e i due regni dall'altra. Naturalmente Marocco e Mauritania riconobbero soltanto la versione a loro più favorevole, svolgendo una forte azione diplomatica, accompagnata dalla spettacolare "marcia verde" marocchina per il recupero di quei territori alla madrepatria. Ciò portò all'isolamento dell'Algeria che il cappello in mano ai principi dell'Onu mentre Mauritania, Marocco e Spagna firmavano l'accordo tripartito di Madrid, per cui Spagna, che aveva forti problemi interni causati dalla 72 fine del regime Franco, si ritirava lasciando via libera agli eserciti mauritano e marocchino230. In Spagna il re Juan Carlos, nuovo capo di Stato, accettò il principio di divisione nel territorio tra Mauritania e Marocco, sotto una triplice pressione: marocchina, americana e francese. In effetti, gli Stati Uniti non nascosero che la loro politica all'interno della regione si fondava sul sostegno nei confronti del Marocco e contro l'Algeria socialista. In questo, il presidente Reagan fu fedele continuatore dalla politica iniziata dal precedente segretario di Stato americano, M. Kissiger231. In un contesto del genere, le politiche di Francia e Stati Uniti, su alcuni punti fondamentali delle relazioni internazionali andavano nella stessa direzione. In effetti, il 15 novembre 1975, c'è al momento in cui la crisi si faceva più complicata, il capo di Stato algerino eravamo dei motivi di forte sospetto nei confronti della politica francese e gli spiegava pubblicamente:«gli Stati Uniti hanno esercitato una grande pressione sulla Spagna perché cedesse il Sahara ai marocchini, come la Francia, io credo…»232. più tardi, questo dubbio diverrà per lui una certezza:«è storicamente provato che la Francia ha esercitato pressioni di ogni sorta sul bombardamento spagnolo dell'epoca per consegnare ai suoi alleati e collaboratori il Sahara Occidentale»233. Il Presidente algerino, dichiarava ancora il 21 novembre 1975: «Parigi a cedere alle sue forniture di armi al Marocco. Noi consideriamo questo come un atto ostile». Infine, al momento di pelle d'ammirazione del conflitto del Sahara dall'Onu, in Commissione di decolonizzazione il 4 dicembre, la Francia votava per il testo tendente a confermare gli accordi di Madrid che richiedeva una consultazione organizzata, dopo la partenza degli spagnoli, sotto il controllo del Marocco e della Mauritania in presenza di un'osservatore delle Nazioni Unite. Presto l'Algeria elaborò un comunicato che riguardava l'analisi globale della situazione sul caso sahariano. L'ipotesi degli algerini era la seguente: la Francia abbandonata la via dell'indipendenza nazionale diveniva una "facciata della politica di Washington" ed aveva per compito essenziale la salvaguardia del lato sud dell'Europa e, in primo luogo delle terre più vicine, l’Africa del Nord. Per rifiutare queste accuse, M. Giscard d’Estaing sviluppò nel febbraio 1976 un'argomentazione fondata su quattro punti principali: 1. La posizione della Francia era stata da molto tempo molto chiaramente esposta ai governi interessati 2. l'Algeria aveva spesso affermato che non aveva delle rivendicazioni territoriali da formulare, ed alla Francia è sembrato conforme al buonsenso lasciare intendersi tra loro il Marocco e la Mauritania, da una parte, e la Spagna dall'altra. Detto questo, è comunque vero che la Francia considera spiacevole il moltiplicarsi dei micro-Stati. 3. La Francia non riserva nessun aiuto speciale al Marocco all'interno del conflitto. 4. La Francia rispetta il carattere irreversibile dell'opzione socialista dell'Algeria e considera che non ci sia nessuna crisi con quest'ultima234. il presidente inoltre dichiarava in questa intervista di avere semplicemente approvato l'accordo di Madrid. In effetti, la Francia non sembra essere stata il "capo d'orchestra" di queste trattative. Effettuati al momento della morte di 230 Michele Brondino, Il grande Maghreb: mito e raltà, Franco Angeli, Milano, 1988, pp. 117-120 S. Muohoubi, op. cit., p.148 232 Boumediène et la bataille des rois, intervista realizzata da Jean Daniel, in Le Nouvel Observateur, n° 574, 10-16 novembre 1975.. 233 S. Muohoubi, op. cit., p. 149 234 Valéry Giscard d’Estaing, Nous respeston totalement l’option socialiste des Algériens, Le Nouvel Observateur, n° 586, 2-8 février 1976, in N. Grimaud, op. cit., p.97-98. 231 73 Franco, il quale aveva per molto tempo resistito alle pretese marocchini, gli accordi sembravano essere il tutto della convergenza degli interessi spagnoli, marocco-mauritani, americani e francesi235. Mentre per quanto riguarda la Francia, in quanto potenza europea, dava un gran peso al ritorno della Spagna alla democrazia, conversione che una guerra coloniale in quel momento così cruciale avrebbe sicuramente complicato. Inoltre, un vecchio calcolo della metropoli di favorire territorialmente i dipartimenti algerini, supponendo che dovessero restare francesi, rispetto al protettorato marocchino, temporaneo per natura, apriva un credito morale nei confronti di re Hassan II che la Francia avrebbe potuto onorare in quel momento. Pur dichiarandosi favorevole agli accordi di Madrid, M. Giscard d’Estaing affermava di non aver aiutato le diverse nazioni per la messa in pratica. Ma è difficile negare che una crisi con l'Algeria si sviluppò dal momento in cui il presidente Boumediène pose il problema in termini di equilibrio regionale. Inoltre, la Francia interveniva militarmente in Africa e lanciava l'idea della costituzione di una forza militare africana, sotto la sua egida il cui scopo evidente, ma non direttamente evocato, era di venire in "aiuto" ai regimi moderati e favorevoli all'Occidente, in caso di agitazioni popolari interne. Tutto questo alimentava ancora di più le convinzioni del governo algerino dell'esistenza di un piano imperialista globale che univa Francia e Stati Uniti contro tutto ciò che avesse minacciato gli interessi Occidentali, ed in particolare contro i paesi progressisti dei quali l'Algeria stessa faceva parte. Inoltre, l'Algeria si sentiva il paese più preso di mira dal momento in cui, sul piano delle relazioni Nord/Sud, cristallizzava in qualche modo le rivendicazioni del Terzo-Mondo, mentre sul piano arabo, era ferocemente ostile alla politica di Sadat in Egitto, che allineava al suo paese all'Occidente, allontanandosi nello stesso tempo dal mondo arabo. L'Algeria fu anche oggetto di tentativi di destabilizzazione nel corso dell'anno 1977: il lancio di bombe (da parte di un aereo non identificato) in Kabilia, e tentativi di far esplodere un certo numero di edifici pubblici, come per esempio, l'immobile del quotidiano nazionale "El Moudjhid". Tutti questi fatti contribuirono inoltre alla degradazione dei rapporti franco-algerini236. 235 In linea generale, la Spagna evitava il possibile verificarsi di un conflitto con il Marocco in di un periodo cruciale della sua storia, con il vantaggio di conservarne gli interessi economici per quanto riguarda i fosfati di Boucraa e di arrestare definitivamente le rivendicazioni marocchine su Ceuta e Mellila. Inoltre gli Stati Uniti evitavano di dover scegliere tra due preziosi alleati 236 S. Muohoubi, op. cit., p. 150 74 Capitolo III I RAPPORTI NEGLI ANNI 80 E 90 3.1 Chadli Bendjedid al potere. Nel mese di novembre 1978, una rara malattia del sangue, condusse alla morte il Presidente Boumediène, e quali che fossero le disposizioni di legge per la successione, fu l'esercito a decidere quale sarebbe stato il prossimo Presidente dell'Algeria. Il prescelto fu Chadli Bendjedid, membro del Consiglio della rivoluzione istituito nel 1965 e ufficiale più anziano nel grado più elevato. Il regime di Houari Boumediène basato su uno Stato forte e patrimoniale era stato messo in difficoltà dai cattivi risultati dell'economia e dall'esplosione demogrefica ed inoltre la perdita di valore degli idrocarburi sui mercati mondiali di minimizza le possibilità distributive. Il passaggio di potere fu caratterizzato da un profondo cambiamento dal punto di vista politico, anche perché la situazione economica del paese rendeva evidente il fatto che il governo dovesse abbandonare l'attaccamento al socialismo per cercare di avvicinarsi all'Occidente ed usufruire degli sbocchi e degli aiuti di cui aveva estremamente bisogno per il proprio sviluppo. Probabilmente ci si accorse che era una incompatibilità tra il conservare intatte tutte le convinzioni antimperialiste ed allo stesso tempo fare dello sviluppo il fine essenziale del paese237. La centralità dello Stato, che era stato una delle caratteristiche principali della politica degli anni '70, permettendo a Boumediène di sviluppare con successo un rapporto paternalistico di mediazione tra la burocrazia e le masse, non presentato più gli stessi vantaggi e cominciava ad apparire e al contrario come una causa di sprechi ed eccessi burocratici. Sebbene tutto fosse stato preordinato affinché la successione avvenisse nel segno della "continuità", una frattura ci fu, perché Chadli non aveva motivi altrettanto forti per coltivare intatto il patrimonio della rivoluzione ed evidenziò subito meno remore sulla strada del cambiamento. Come in altri paesi arabi africani, comprese le nazioni del Nord Africa, in coincidenza con la presidenza di Chadli fu avviata così anche in Algeria una sistematica apertura all'iniziativa privata tramite delle riforme238. Il punto fermo della politica del nuovo Presidente era quello di superare il populismo come ideologia e come organizzazione per permettere nuove forme di accumulo e di distribuzione sgombrando la società dai principi egualitaristici che la tenevano stretta nella morsa di una relativa indifferenziazione. Sul piano strettamente economico, il programma prevedeva, il trasferimento a titolo definitivo della produzione di beni e servizi dalla burocrazia statale a privati e a complessi stranieri, che erano stati sempre scoraggiati se non impediti dai codici di investimento molto restrittivi in vigore e dal monopolio del potere esercitato dal partito unico. Portata a termine più o meno bene la parte dell'edificazione di un'infrastruttura industriale, che poteva anche richiedere un'economia di comando, si trattava ora di incrementare la produzione di beni di consumo e per questo compito si giudicava più adatta un'economia liberale. Le prestazioni dello Stato, nonostante l'impiego massiccio di capitali, apparivano largamente inferiore alla attese alle esigenze e lo sviluppo complessivo dell'industria era troppo lento e non 237 238 G. Calchi Novati, op. cit., p. 113 S. Muohoubi, op. cit., p. 96 75 permetteva l'Algeria di partecipare agli scambi internazionali su un piede di vera parità239. Ben presto nel linguaggio ufficiale le forme dell’"economia di mercato" presero il posto del "socialismo specifico". La liberalizzazione fu applicata anzitutto nel settore dell'industria pubblica puntando sull'autonomia d'impresa attraverso la chiarezza e la trasparenza delle decisioni e soprattutto attraverso la distinzione tra le prerogative dello Stato come proprietario del capitale e il ruolo economico delle singole società con la relativa responsabilizzazione di dirigenti e lavoratori. Per questi motivi si procedette allo smembramento delle grandi società nazionali accusate di ed ampiezza burocratica e cattiva gestione, per colpa delle loro eccessive dimensioni. Riguardo alla politica estera Bendjedid cercò di ridimensionare gli impegni internazionali dell'Algeria cercando di stemperare la politica di "non allineamento" sostituendo con una politica di "buon vicinato", aperta virtualmente a tutti. Una serie di trattati sancì la demarcazione dei confini con Niger, Mali, Tunisia e Mauritania. Anche la crisi del Sahara fu in un certo senso ridimensionata per cercare di riaprire un dialogo con il Marocco dopo il "gelo" del 1975. Tutto in funzione dell'unità maghrebina, che era per Algeri, a differenza del Marocco e della Tunisia, aveva soprattutto una valenza politica, o addirittura geopolitica, per costituire un quadro di riferimento in cui negoziare una soluzione positiva e di reciproca soddisfazione della vertenza sullo Stato sahraoui240. Fu grazie all'incessante di direttiva algerina che furono sanati gli ultimi dissidi. Ben 19831 lo scambio di visite fra Chadli e Bourguiba e nel marzo fu firmato con la Tunisia un Trattato di fraternità e concordia valida per vent'anni. Il 16 maggio 1988 furono ristabilite le relazioni diplomatiche tra Algeri e Rabat interrotte nel 1976 è il 7 giugno furono riaperte le frontiere. Dopo la visita del presidente algerino in Marocco nel 6 febbraio 1989, il 17 di quello stesso mese fu firmato a Marrakech il trattato che istituiva l'Unione del Maghreb arabo UMA fra Algeria, Marocco, Tunisia, Mauritania e Libia. Fu inoltre Bendjedid a portare a termine la prima visita di un presidente algerino in Francia a prendere in un certo senso una nuova fase di riavvicinamento tra le due nazioni. I rapporti divennero più fluidi dopo la vittoria dei socialisti in Francia, che considerarono l'Algeria come un paese amico. Il nuovo Presidente francese Mitterrand compì una visita ufficiale il 30 novembre 1981 e di anni dopo, nel novembre 1983 Chadli ricambiò la visita. In Bendjedid non c'era probabilmente la stessa "passione" per la Francia, fatta di odio-amore, che aveva caratterizzato Boumediène, ma il presidente algerino seppe usare toni giusti per delineare una riconciliazione proiettata verso il futuro. 3.2 La sinistra al potere in Francia. Agli inizi degli anni '80 si verificò in Francia un'alternanza dei poteri ed a vincere le elezioni dopo anni di destra fu il partito socialista di F. Mitterrand, che salì al potere nel maggio 1981. Il nuovo presidente francese, conosceva bene l'Algeria per aver occupato, nel 1954 al momento dello scoppio della Rivoluzione, nelle responsabilità militari di primo piano. Inoltre, in veste della sua posizione di 239 240 Mellouki Riffi, op. cit., p. 88 G. Dillinger, op. cit., p 146 76 Segretario generale del Partito socialista, si recò più volte ad Algeri per incontrare i responsabili algerini e, in particolare, il Presidente Boumédiene. Dei legami erano dunque già stati stabiliti considerando anche che il PS, nel momento in cui era l'opposizione, condannato alla politica algerina di M. Giscard d’Estaing e auspicava un miglioramento e un rinforzamento della cooperazione tra i due paesi241. Per questi motivi, il desiderio di nuovo presidente di recarsi ad Algeri, subito dopo la sua elezione all’Eliseo, era sicuramente comprensibile. L'arrivo potere in Francia di F. Mitterrand nel maggio 1981 fu accolto con prudenza da parte del governo algerino, e la decisione del viaggio, considerando che il egli era a conoscenza del clima di diffidenza nei suoi confronti appariva come una scelta molto importante da intraprendere. Il nuovo Presidente francese era a conoscenza del fatto che l'Algeria rappresentasse un paese molto influente del mondo arabo sia di quello dei paesi in via di sviluppo, e in più all'interno della nuova equipe dirigente esistevano un folto gruppo di persone piuttosto favorevole a un miglioramento delle relazioni franco- algerine. La nuova Francia socialista sperava di rilanciare la cooperazione per ragioni che riguardavano sìa la politica interna che quella estera; innanzitutto, doveva dare le prove dell’intenzione di realizzare gli obiettivi contenuti all'interno del programma elettorale, ed inoltre era a conoscenza della necessità di orientare la politica estera francese all'interno di un quadro di dialogo Nord/sud in cui l'Algeria giocava già un ruolo molto attivo. In quest'ottica la visita ad Algeri del 30 novembre 1981 di Mitterrand avrebbe dovuto rappresentare un passo fondamentale per il riallacciamento dei rapporti. Non bisogna quindi sorprendersi del fatto che la parola più utilizzata all'interno dei discorsi pronunciati dal nuovo Presidente dal momento del suo sbarco d'Algeri fu quella di "fiducia", la necessità con un rapporto di fiducia era infatti il punto di partenza su cui si dovevano fondare le relazioni tra i due paesi. Già all'aeroporto di Algeri Mitterrand dichiarava:« Io rendo omaggio all'Algeria, al suo presidente, al suo popolo. Io saluto del loro paese vostri fratelli algerini che risiedono e lavorano in Francia. Il contributo del loro lavoro alla prosperità del mio paese merita la riconoscenza e il rispetto. Come ormai gli è garantito. La Francia e l'Algeria sono capaci di sormontare e di assumersi le responsabilità del passato. Esse debbono superare gli ostacoli e i fraintendimenti che per troppo tempo hanno disturbato dal loro comprensione. Esse possono mai fondare il loro riavvicinamento, costituire la loro amicizia su un nuovo dato: la fiducia, grazie alla quale, da ricchezza e la diversità delle relazioni tra due popoli, potranno nutrire il dialogo e la cooperazione tra i due Stati». Ed inoltre precisava rispetto alle prospettive della cooperazione:« Questa fiducia è ciò che io sono venuto a testimoniare l'Algeria. Fiducia nel rigore dell'ideale che voi incarnate, Signor Presidente. Fiducia nell'identità della nostra determinazione a rifiutare la logica del confronto all'interno dei rapporti internazionali. Fiducia nella nazione algerina, nella sua lotta senza sosta per lo sviluppo e per il nuovo ordine internazionale su scala mondiale. Fiducia nella nostra capacità di fornire insieme l'esempio di nuovi rapporti egualitari che intendiamo stabilire tra il Sud e il Nord. E con questa prospettiva, con questa speranza, con questa certezza che immagino oggi il destino dell'Algeria e il destino nella Francia»242. La visita del Presidente francese si concluse con una riuscita grazie al tatto e alle sue capacità politiche e diplomatiche. Anche la delegazione ufficiale che 241 242 S. Muohoubi, op. cit., p. 98 G. Dillinger, op. cit., p 118 77 l'accompagnava era di altissimo livello: alcuni ministri di Stato come Gaston Defferre, Ministro dell'Interno e della Decentralizzazione, Michel Jobert, Ministro del Commercio con l'estero, Claude Cheysson Ministro delle Relazioni estere ed inoltre il segretario di Stato Raymond Courrière. Il rapporto che si instaurò tra F. Mitterrand ed il suo omologo algerino Bendjedid fu da subito cordiale, ed i due, che si erano già incontrati la prima volta nell'ottobre 1981 al Summit Nord/Sud di Cancun, si restano entrambi disponibili ad un riavvicinamento dei rapporti tra gli Stati. L'accoglienza popolare forte e calorosa, e la grande copertura mediatica fornita sia da parte della Francia che da parte algerina, rendono bene l'atmosfera favorevole che si respirava durante questa visita243. Il Presidente francese rivolgendosi il primo dicembre ai deputati algerini della Assemblea popolare nazionale dichiarava:«faremo dei nostri futuri rapporti un simbolo delle relazioni nuove tra Nord e Sud». Mentre il presidente dell'Assemblea Popolare Nazionale, M. Rabat Bitat esaltava i ritrovati rapporti tra i due paesi in questo modo: « Una nuova si apre…. Il primo nodo che si sta ora non è fortuito. Ma è il risultato del nostro attaccamento comune all’ideale socialista e l'indipendenza nazionale». La visita di François Mitterrand costituì dunque un reale successo per i due paesi, e per qualche tempo il rapporti bilaterali ne furono favorevolmente influenzati, ed anche gli scambi commerciali subirono degli affetti positivi. 3.3 Rilanciare la cooperazione Nonostante la volontà sia la parte francese che da parte algerina di rilanciare la cooperazione ci furono in questo periodo due grossi problemi da superare per ripristinare dei buoni rapporti tra le due nazioni: quello degli archivi e quello del prezzo del gas. Il problema degli attivi non era un problema recente, ma era dal suo accesso all'indipendenza che l'Algeria rivendicava il proprio passato. Diversi fattori avevano interferito e malgrado il trasferimento simbolico di alcuni documenti storici che riguardavano il periodo coloniale, il problema degli archivi rimaneva ancora un grosso scoglio da superare. La nuova equipe al potere in Francia sembrava, almeno apparentemente, pronta ad accordare le rivendicazioni algerine, tuttavia, la pressione alcuni gruppi d’elite frenarono il governo nella sua azione e diedero un'altra dimensione ai negoziati bilaterali. Praticamente, gli argomenti di ordine giuridico che potevano essere avanzate dal governo francese passarono in secondo piano in rapporto alle manifestazioni di "passione" espresse da una certa parte dell'opinione pubblica. I rappresentanti del Governo algerino appresero quindi con dispiacere che da parte francese vi fosse la paura che :« Se gli archivi cadessero nelle mani del FLN, inizierebbe una breve e propria epurazione. Non bisogna in nessun caso lasciarli partire dalla Francia, piuttosto sarebbe meglio bruciarli»244. Così, il problema si trovava posto in Algeria su un triplica piano: la sovranità, la sicurezza, lo sviluppo economico. Questi tre aspetti erano ben capiti da parte francese. La questione che restava adesso in sospeso era quella di decidere quali sarebbero state le modalità di regolamento è soprattutto di scadenza per mettere 243 244 Mellouki Riffi, op. cit., p. 134 N. Grimaud, op. cit., p 68 78 fine a un contenzioso che durava dall'indipendenza. Alla vigilia della sua visita in Algeria il Presidente Mitterrand concesse a un'intervista al settimanale algerino "El Moudjhid” in cui ammetteva che:«è una questione di buon senso. Non possiamo rendere gli archivi della Francia all'Algeria non è faremo in modo che l'Algeria possa disporre degli attivi in cui ha bisogno all'interno di un certo numero di campi, questa è l'unica possibile buona soluzione»245. Un altro capitolo della cooperazione che fu ereditato dalla sinistra di Mitterrand fu quella del prezzo del gas. I negoziati erano già cominciati sotto il precedente governo ma non fu possibile adottare nessuna soluzione. Il problema del prezzo del gas era un problema di politica interna sia per l'Algeria e per la Francia. Per quanto riguarda l'Algeria, il governo di Chadli Bendjedid puntava a ridefinire fondamentalmente la politica energetica del paese. In una lunga intervista al giornale francese "Le Matin", datata 5 maggio 1980, dunque prima dell'arrivo della sinistra di potere, Belkacem Nabi, Ministro algerino dell'Energia ed delle Industria Petrolchimiche, aveva affrontato problema del gas sia sul piano bilaterale, cioè dei rapporti con la Francia, sia sul piano generale. Sul piano bilaterale, egli precisava che:« Sfortunatamente per noi, siamo lontani, in materia di gas, dalla coerenza che noi abbiamo stabilito riguardo al dominio del petrolio. E dunque normale che ci siano dei problemi delle relazioni commerciali con la Francia. Colgo l'occasione, a questo proposito, per spiegare all'opinione pubblica francese che l'Algeria non chiede la luna. Come gli altri paesi produttori di gas, l'Algeria vuole ottenere la parità del prezzo del gas con quello del petrolio. Un principio che non costituisce d'altronde una nuova esigenza. Gli Stati Uniti hanno ammesso questo principio con il loro fornitori canadesi e messicani. Il Giappone con l'Indonesia. La Germania con la Norvegia.» e aggiungeva «Per quanto riguarda la Francia, la società Gaz de France si è già resa conto che il prezzo che ci viene corrisposto è ridicolmente basso. Noi proponiamo senza concertazione di regolare il GNL sulla base di tre dollari al milione di BTU. Unilateralmente abbiamo inoltre deciso di fatturarlo 6, 11 dollari.» Per quanto riguarda il quadro generale riferendosi alla nuova politica dell'Algeria, il ministro indicava chiaramente che:« L’Algeria, vi ricordo, annunziato la sua avventura con il gas naturale liquido alla fine degli anni 60. Tutto questo ci è costato miliardi di dollari, perché abbiamo dovuto fare i conti con una tecnologia non all'avanguardia. Oggi, parlando francamente, se l'Algeria esposta del GNL è soltanto per onorare gli impegni presi in precedenza... vi ricordo che l'Algeria è pronta, è necessario, a mettere fine all'apertura del GLN. Naturalmente, noi siamo sempre disposti a prendere del gas naturale alla Francia e all'Europa, ma non siamo più disposti a farlo qualsiasi prezzo»246. Per far decollare i negoziati, i due paesi designarono, ognuno, delle forti personalità per arrivare a degli accordi. Così da parte algerina fu designata Hadj Yala, ex ministro delle finanze, e da parte francese Jean-Marcel Jeanneney, i quali si incontrarono a più riprese per cercare di stabilire i punti in comune sull'annosa questione del gas. Ma nessun accordo fu trovato almeno fino alla visita di Mitterrand, la quale ebbe il merito di far accelerare il processo. I due paesi decisero di "politicizzare" la questione del prezzo del gas inserendola all'interno di un vasto progetto di cooperazione. Apparentemente quindi fu la volontà politica dei due paesi che permise di trascendere il disaccordo che siano verificati tra gli addetti ai lavori del settore. Lo stesso Presidente fu chiaro a questo riguardo affermando che: «Gli esperti hanno fatto il loro lavoro ed i politici hanno fatto il loro. A livello politico, i Ministri degli Affari Esteri e del Commercio hanno 245 246 S. Muohoubi, op. cit., p. 129 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 189 79 espresso la loro opinione. I due capi di Stato possiedono tutti gli elementi di decisione. Non ci saranno delle nuove procedure. Al massimo qualche problema resterà a regolare per quanto riguarda le ragioni tecniche e commerciali. E tutto questo si dovrà risolvere nel giro di poche settimane»247. Infatti, fu necessario attendere fino a febbraio 1982, per avere la conclusione di un accordo definitivo. Tuttavia fu mantenuto un alone di mistero intorno alle differenti clausole e soprattutto ai mutui compromessi che favorirono una tale conclusione. L'accordo consisteva nel sollevare sensibilmente il prezzo del gas ad una cifra superiore ai 5 dollari al milione di BTU fissando però due prezzi. Quello che avrebbe dovuto pagare Gaz de France, sensibilmente più basso, ed una somma ulteriore che sarebbe stata versata ad una "cassa" di servizio per l'Algeria. L'episodio del prezzo del gas fu un test decisivo e gli accordi ai quali arrivarono i due paesi illustrano il nuovo contesto politico che ormai caratterizzava i rapporti bilaterali. In effetti, gli interessi dei due prezzi furono preservati e questi accordi diedero una nuova spinta alla cooperazione, che si concretizzò anche con la firma di moltissimi contratti in favore delle società francesi. Il rilancio della cooperazione non rispondeva però soltanto alla spinosa questione degli archivi e del prezzo del gas, infatti, per la prima volta, ad esempio, le visite nei vari ministri, nei due sensi, furono molto numerose e ciò illustrava bene il nuovo clima psicologico che si era instaurato tra i due paesi. Per la volta, ad esempio, la visita del Ministro Defferre ad Algeri permise alle polizie di due paesi di cooperare strettamente tra di loro. 3.4 Chadli Bendjedid in visita a Parigi nel novembre 1983. Già nel dicembre 1982, il Presidente algerino Bendjedid di ritorno da una visita ufficiale in Belgio effettuò uno scalo a Parigi, accompagnato da alcuni ministri tra cui quello degli Affari esteri. Il Presidente francese in quell'occasione lo accolse all'aeroporto, questo rappresentava un'eccezione perché il capo di Stato francese normalmente non si spostava se non in caso di visite ufficiali. In quell'occasione il Presidente Mitterrand offrì una cena in onore della delegazione algerina e questa visita a permise di appianare qualche problema apparso tre due paesi, il riguardo alla questione del rifiuto il numero crescente dei viaggiatori algerini diretti in Francia. Quest'incontro diede anche l'occasione ai due Presidenti a mettere le basi per un abito ufficiale a Parigi da parte di Chadli Bendjedid. Quest'ultimo dichiarava al momento dell'uscita dal Eliseo:« Non c'è nessuna nuvola, e nemmeno una leggera foschia, nelle relazioni franco-algerine. Esse sono migliori di quanto noi avessimo potuto sperare.» Finalmente, la visita ufficiale, tanto attesa, di un presidente algerino Francia ebbe luogo tra il 7 e il 10 novembre 1983. La volontà manifestata dalle parti di assicurare un importante risonanza a questo avvenimento contribuì alla sua riuscita. In media francesi e algerini si occuparono a grandi riprese del viaggio del Capo di Stato algerino, il quale si accompagnava ad una importante delegazione composta da quattro ministri, A. Taleb, Affari Esteri, A.Brahimi, Pianificazione, B.Bessaieh, Informazione, S.Ait Messaoudene, Industrie leggere e da un segretario di Stato248. 247 248 M. Morisse-Schilbach op. cit., p 30 S. Muohoubi, op. cit., p. 133 80 Il programma del Presidente algerino a Parigi era particolarmente denso: cerimonia ufficiale all'Arco di trionfo, tre incontri faccia a faccia con il Presidente francese, che offrì il suo onore un pranzo ed una cena ufficiali, incontro ufficiali con il Primo Ministro P. Mauroy e il Presidente dell’Assemblea Nazionale, e incontro ufficiale con la comunità algerina residente in Francia. Molti furono i fattori che contribuiscono alla riuscita di questo viaggio: la volontà del Presidente francese di migliorare i suoi rapporti con l'Algeria all'interno del quadro più generale della sua politica riferita e paesi in via di sviluppo, le speranze del presidente algerino di capitalizzare un importante successo in materia di politica internazionale, e l'intensità degli scambi commerciali che si stavano verificando nell'ultimo periodo tra l'Algeria e la Francia. Tutti questi fattori riuniti caratterizzarono quindi un clima favorevole al momento della visita del novembre 1983249. I discorsi tenuti durante la visita testimoniavano questo clima positivo, come lo stesso Presidente algerino sottolineava al suo arrivo:«Questa visita è l'espressione della convinzione condivisa dal popolo francese e algerino che, al di là dei problemi del passato, sia arrivato il momento di guardare al futuro […] per tessere insieme la trama di un nuovo tipo di rapporti». Il presidente algerino fece anche una dichiarazione alla comunità dei pied-noire, rivolgendosi direttamente ad essa, dalla scalinata dell’ Eliseo:« Io vorrei dire francesi e sono nati in Algeria, e che sono cresciuti, e che custodiscono in essi un gran numero di ricordi e di emozioni, che si possono con la loro sensibilità e la loro generosità portare un grosso contributo allo sviluppo dell'amicizia e della cooperazione franco-algerina. Io vorrei dirgli che essi sono amici che l'Algeria». Se insieme all'attitudine costruttiva del Presidente Bendjedid e all'accoglienza calorosa che gli era stata riservata al momento dell’incontro organizzato con la comunità algerina, il Presidente Mitterrand dichiarava al momento della cena ufficiale offerta al Eliseo:« Il Presidente Chadli incarna la nobiltà del popolo algerino, che ha saputo tendere la mano all’ avversario di ieri per restaurare l'amicizia». All'indomani in questa visita sembrava dunque che le relazioni dei due paesi si sarebbero mantenute serene e all’interno di una dinamica di reciproca fiducia. Tuttavia, questa percezione era abbastanza illusoria e già nel 1984 le evoluzioni relative alle politiche interne francesi ebbero delle serie ripercussioni sulle dinamica dei rapporti franco-algerini250. 3.5 Nuovi problemi all'orizzonte. In Francia, in seguito a un semestre molto agitato sul fronte dell'insegnamento, il Primo Ministro P. Mauroy presentava le sue dimissioni il 17 giugno 14, e venne rimpiazzato da Laurent Fabius, personalità politica molto fedele a Mitterran. Questo cambiamento di Primo Ministro si accompagna un cambiamento di tipo ministeriale ed anche di orientazione in socioeconomiche. La politica chiamata "di rigore" applicata dopo il 1983 riguardava sia la politica interna che le relazioni con l'estero. Il risultato di questi cambiamenti fu la lenta modificazione dello spirito all'interno del quale le relazioni bilaterali saranno percepite dal lato francese. Infatti la politica di "rigore" dando più attenzione ai problemi tecnocratici e budget puntava a riorganizzare le condizioni finanziarie relative ai contratti che riguardavano il gas importato dall'Algeria. Ma dal momento che la 249 250 B. Benoit, op. cit. , p. 40 M. Morisse-Schilbach op. cit., p 39 81 parte algerina riconosceva una forte importanza alla intangibilità degli accordi su questa materia, una contrazione dei rapporti appariva inevitabile sia da una parte e dall'altra. Tutto questo si verificava in un periodo in cui, dopo alcuni anni piuttosto prosperi l'Algeria si trovava a confronto con un abbassamento significativo delle sue entrate251. Ma il cambiamento che colpì maggiormente le relazioni bilaterali era legata alle evoluzioni relative alle Maghreb. In effetti, il 13 agosto 1984, tra lo stupore generale il re Hassan II e il Colonnello Kadhaffi firmarono a Oujida un Trattato arabo africano che rinforzava le posizioni del sovrano del Marocco nel Sahara occidentale. Quest'alleanza, puramente tattica, non durò tantissimo ma a permise alla dirigenza marocchina di consolidare le basi della propria presenza militare in questo territorio. In questo stesso periodo un viaggio in Marocco di F. Mitterran, svoltosi proprio durante il referendum a terra l'approvazione del trattato con la Libia, convinse i dirigenti algerini, già fortemente scossi dall'alleanza libicomarocchina, a interpretare questo viaggio come una presa di posizione esplicita da parte del presidente francese e in favore di re Hassan II, e delle sue posizioni rispetto al Sahara Occidentale. Hubert Védrine, futuro collaboratore di F. Mitterran all’ Eliseo, analizza così questi avvenimenti :« Nel 1984, il Re ha invitato il Presidente a venire a riposarsi quando voleva in Marocco. Il Presidente si è lasciato tentare. Egli ci andò alla fine di agosto. Il re propose di raccoglierlo al Palazzo Reale promettendo che il suo soggiorno sarebbe rimasto privato e senza attività ufficiali. Ma, il 13 agosto, in Marocco e le Libia firmarono un trattato d'unione. Il Re ha afferrato una delle tante offerte di unione araba del Colonnello Kadhafi per smorzare la stretta algerina. Ma ciò non riguardavano affatto il Presidente, il cui soggiorno venne fissato da Hassan II il 30 agosto, durante il suo soggiorno, il referendum riconferma dell'unione con Tripoli. Ed ecco che il presidente veniva implicato malgrado non volesse in una questione di politica interna, marocchina e interaraba». Il presidente francese percepii subito l'ampiezza le tensioni e si erano sviluppate in Algeria a seguito della sua visita in Marocco, e per cercare di dissiparle, si recò a leggere per una visita di lavoro il 19 ottobre 1984 ma ciò non favorì un miglioramento del clima tra le due nazioni durante i mesi seguenti. L'anno 15 consegnato dall'apparizione all'interno dei media agli Dini, sotto controllo del potere, degli articoli e dei reportage che ricordavano, in termini molto duri, le pagine più sanguinose della guerra l'Algeria. Il tono è il contenuto di queste vocazioni storiche indicava che i clima si era ormai degradato tra i due governi. Così, l’8 marzo 1985, in occasione della 40ª commemorazione dei massacri di Setif, furono diffusi dei documentari antifrancesi alla televisione algerina, e il 5 giugno dello stesso anno, in occasione del 23ª anniversario dell'indipendenza dell’Algeria, l'agenzia APS diffondeva una requisitoria contro la politica coloniale della Francia. Allo stesso tempo, il Presidente algerino inviato un messaggio al suo omologo francese in occasione del 14 giugno in cui egli esprimeva:«Il desiderio dell'Algeria a favorire lo sviluppo di una cooperazione vantaggiosa e nella sua disponibilità a perseguire il piano stabilito tra i due paesi in vista di contribuire all’avverarsi di un era di pace e di stabilità all'interno della regione e nel mondo». Nonostante le parole concilianti di Bendjedid il clima delle relazioni bilaterali rimaneva comunque abbastanza teso, soprattutto perché le posizioni francesi nel Maghreb erano percepite come ostili alla Algeria252. 251 252 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 220 B. Benoit, op. cit. , pp. 43 82 Considerando lo stato abbastanza deteriorato delle relazioni dei due paesi, l'arrivo al potere in Francia della destra nel marzo 1986 fu percepito con favore dai dirigenti algerini, anche perché Jacques Chirac, che divenne Primo ministro, incarnava in un certo senso l'orbita gollista, percepita tradizionalmente con favore ad Algeri. Ma il governo di Chirac durò soltanto due anni e l 8 marzo 1988 fu segnato a dalla rielezione di F. Mitterrand alla presidenza della Repubblica francese. 3.6 Le rivolte del 1988 Nel 1986 si segnalarono i primi scioperi, accompagnati da dimostrazioni studentesche in tutto il paese, particolarmente gravi a Costantina e Sétif. Il crollo dei prezzi del petrolio comprimeva al massimo la capacità d'azione del governo che si vedeva costretto a comprare drasticamente le spese pubbliche. I salari furono congelati e furono tagliati i sussidi e prodotti alimentari, il cui prezzi aumentarono del 40% solo tra il gennaio e l'ottobre 1988. Il programma di austerità sono particolarmente offensivo per le masse già provate dai costi delle privatizzazioni, la frustrazione dei dati popolari era inoltre inasprita dalla nascita di "nuovi ricchi" che per la corruzione tollerata dal regime e per le speculazioni rese possibili dall'economia liberale potevano permettersi una vita sfarzosa. Fu in questo clima, fattosi più pesante di anni hanno, che maturò una serie di rivolte popolari che a partire dal 4 ottobre 1988 travolsero la capitale e moltissime altre città dell'Algeria. Fu lo scoppio di protesta sociale più guasta mai conosciuta dall'Algeria è la crisi più grave dal 1962. In moltissime città migliaia di persone manifestarono nelle strade contro la condizione economica e sociale di degrado nella quale si trovavano. Anche se le motivazioni profonde della sollevazione erano economiche, in breve la rabbia dei dimostranti, perlopiù giovani disoccupati, si diresse contro le istituzioni e i segni del regime assumendo una portata palesemente politica. I disordini, con scontri fisici con le forze dell'ordine e devastazioni di proprietà pubbliche durarono tre giorni. Il governo proclamò lo "stato di emergenza" e non si fece scrupolo di far scendere in campo l'esercito per frenare la rivolta253. Le dimostrazioni furono spontanee e non coordinate da nessuna forza politica, eppure si svolsero come se dimostranti obbedissero agli ordini di un partito, tanto unanime e univoco e il sentimento delle masse. Il coinvolgimento dell'esercito durante lo "stato di emergenza", che durò dal 6 ottobre fino al 12, causò la morte di centocinquantanove persone secondo le fonti ufficiali, ma secondo le fonti ospedaliere il numero saliva fino a raggiungere quota cinquecento o seicento. In tutti gli anni dopo l'indipendenza, il regime, della storia stessa della rivoluzione, aveva usato più la persuasione o la manipolazione delle coscienze che la coercizione, ma nel momento della crisi da prova di forza arrivò alle sue estreme conclusioni a costo di portare l'esercito a sparare contro il popolo254. Nel momento in cui si verificarono le prime rivolte ad Algeri, il 5 ottobre 1988, Bernard Bochet, ambasciatore francese in Algeria, intraprese una coraggiosa serie di spostamenti al fine di raccogliere tutte le informazioni sulle manifestazioni che si stavano verificando nel paese. Recandosi più volte nelle zone arrise a rischio, ed incontrando i responsabili politici, Bochet elaborò una serie di no e che costituirono un importante documento di lavoro per il governo di Parigi, 253 254 M. Morisse-Schilbach op. cit., p 44 S. Muohoubi, op. cit., p. 130 83 nell'elaborare il futuro delle relazioni con l'Algeria. Secondo l'ambasciatore alle origini della crisi di fu un tentativo di destabilizzazione interna di Chadli da parte dei suoi oppositori politici. La "rivoluzione" fu infatti una rivoluzione di palazzo fallita che degenerò in scioperi ed in sollevamenti popolari. Gli insorti, il maggior parte giovani, erano però poco politicizzati, e manifestavano contro l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, reclamando "cibo e democrazia". Fu soltanto dopo i primi scontri che Chadli, probabilmente desideroso di avere un interlocutore che potesse incarnare il malcontento popolare, fece appello agli islamisti, identificandoli come gli agitatori e domandandogli di ristabilire la calma. Fu probabilmente questo riconoscimento da parte del potere a far ottenere al movimento islamista una statura e una visibilità che andavano oltre la dinamica effettiva degli avvenimenti. Il 10 ottobre il presidente riceve i principali esponenti del ancora embrionale movimento islamico, dando l'impressione che forse soprattutto in quella direzione che si sarebbe avuto un rinnovamento della società civile. Probabilmente Chadli, confidando sulla concordanza del programma del movimento islamico e con le riforme liberaleggianti, invece di preoccuparsi davvero delle sorti del pluralismo e della democrazia volle agevolare gli esami di terra contenere i nemici delle riforme che si annidavano all'interno del FLN255. Fatto sta che questo riconoscimento da parte del potere, incarnato nell'atto simbolico una lettera di rimprovero, conferirà al futuro F.I.S (così come gli altri partiti estremisti) la sua prima parte di legittimità e di rappresentatività. Riguardo a queste rivolte ci fu a Parigi, almeno inizialmente, il mutismo assoluto. Per il Presidente francese, bisognava innanzitutto evitare di compromettere gli errori e mettendo delle dichiarazioni spontanee che potessero andare contro il governo algerino. Mitterrand era particolarmente attento ad evitare qualsiasi momento che potesse compromettere l'equilibrio che la diplomazia francese non hanno instaurato all'interno delle relazioni con i diversi paesi Maghreb e in particolare l'Algeria e Marocco e la Tunisia. Così mentre durante la riunione del Consiglio dei Ministri che si svolse in seguito all'inizio del rivolte, Bernard Kouchner, segretario di Stato, prendeva la parola esprimendosi con un veemenza sulla situazione algerina, chiedendo che dei soccorsi, ed in particolare delle unità di assistenza medica sarebbero dovute essere inviate immediatamente ad algerino; fu immediatamente interrotto dal Presidente che dichiarava che in Algeria non mancavano assolutamente né gli ospedali né dei medici ben formati e competenti. Le voci discordanti, se ci furono, non furono abbastanza chiare e si assistette allora ad una serie di dichiarazioni prudenti da parte del governo francese che mettevano in primo luogo la necessità di un ritorno alla calma, discolpando in un certo senso il regime e i militari. Fu soltanto il 14 ottobre 1988, c'è circa dieci giorni dopo l'inizio delle rivolte, che gli intellettuali francesi si espressero per la prima volta condannando il regime algerino. E le iniziative tardive di sostegno alla popolazione algerina si moltiplicarono in un meeting che si tenne i primi giorni di novembre a Parigi. Da parte loro, la classe politica e il Presidente francese tentarono di mantenere una linea coerente rassicurandogli un certo senso il regime algerino, visibilmente irritato dalle prese di posizione degli intellettuali. Fu questo curioso mix tra i sostegno personale del Presidente Mitterrrand a Chadli, e la condanna che fuoriusciva dalla società civile francese che farà dire a Bruno Frappat, all'interno del suo editoriale, che:«il discorso della Francia non è che una mescolanza confusa di odio recondito, di rimorsi non digeriti, di cattiva coscienza impotente e pietosa». 255 A. Ait-Chaalal, op.cit., p.228 84 Un telegramma di felicitazioni particolarmente caloroso fu inviato il 7 novembre da François Mitterrand al presidente Chadli, dopo il plebiscito del referendum del 3 novembre basato sul futuro progetto di Costituzione algerina: «da Francia si rallegra della massiccia approvazione data dal popolo algerino alle vostre proposte. Questo successo testimonia la fiducia riposta nella vostra azione è nella vostra persona in vista di assicurare un avvenire democratico all'Algeria»256. L’8 gennaio 1989, Mitterrand fa un altro passo verso il dichiarato sostegno al regime algerino nominando a nuovo ambasciatore di Algeri Jean Audibert, membro del partito socialista e fiero sostenitore della politica di Chadli. Fu probabilmente questo passo che portò alla firma dell'accordo che regolava il contenzioso sul gas, i cui negoziati si trovavano in uno stato vegetativo dal 1982. Il prezzo dei gas fu fissato a quello di mercato e sette miliardi di franchi, ufficialmente a titolo d'aiuto allo sviluppo, furono stanziati dalla Francia all'Algeria. Come contropartita, Chadli promise di regolare numerosi contenziosi tra la burocrazia algerina e le imprese francesi. La politica francese e sperava inoltre di legare quest'aiuto economico ad una limitazione naturale dell'immigrazione algerina ed il Presidente Mitterrand, senza mai richiederlo esplicitamente, sperava in dei gesti da parte del regime algerino che andassero in questa direzione. Una visita ufficiale di François Mitterrand al Presidente Chadli fu annunciata ufficialmente il 28 febbraio 1989. Accuratamente preparata dal governo algerino e da Jean Audibert, la visita di Mitterrand iniziò il 9 marzo. I colloqui, estremamente informali, ebbero luogo a qualche chilometro da Algeri, nella residenza presidenziale di Zeralda. E mentre, in Francia, ci si interrogava sull'assenza di cambiamento nella politica interna dell'Algeria, il colloquio tra i due presidenti si svolgeva in un clima disteso e cordiale. Le dichiarazioni pacifiche si moltiplicavano, François Mitterrand affermava la sua amicizia notando che un nuovo tempo era arrivato e parlando di "Perestroika”. Ma in realtà fu una sorta di tacito accordo tra le parti quello che si verificò all'inizio di marzo a Zeralda. Chadli comprese che ciò che le importava e francesi era la stabilità, mentre dal canto suo, François Mitterrand intendeva di gente dei segnali positivi in questo senso. Ufficiosamente da Francia voleva monetizzare il proprio silenzio sulle rivolte di ottobre in cambio di una politico favorevole ai suoi interessi da parte algerina. Il Presidente francese ottenne anche l'assicurazione da parte di Chadlie che un nuovo progetto di Costituzione più liberale verrà portato avanti, con l'aumento dei diritti politici per i cittadini. Facendo una vera e propria scommessa sull’equipe al potere, si può dire che fino a quel momento, François Mitterrand non aveva avuto dubbi sulla popolarità del Presidente Chadlie. Nel momento in cui Mitterrand lasciava l'Algeria le relazioni tra le due paesi sembravano entrare in un periodo di relativa serenità e, cinque mesi dopo le "rivolte", la repressione d'ottobre sembrava pressoché dimenticata. Il periodo che ne seguì non conobbe grandi stravolgimenti. Gli osservatori videro effettivamente le promesse di Chadli concretizzarsi, con la messa in opera della nuova Costituzione, un vero e proprio monumento di liberalismo e di spirito democratico, Costituzione alla quale si succedettero, probabilmente con troppa fretta secondo gli ambienti francesi, le prime consultazioni elettorali libere e pluripartitica e nella storia dell'Algeria. Le elezioni municipali che si sarebbero tenute nel giugno 1990 avrebbero segnato il passo decisivo al multipartitismo preparato il terreno alle elezioni legislative future. Ma un nuovo del problema si presentava all'orizzonte; il partito del FIS, ufficialmente costituito il 21 marzo 256 B. Benoit, op. cit. , pp. 44 85 1989, e dichiaratamente islamico, avrebbe messo in apprensione sia il governo algerino sia quello francese257. 3.7 Le elezioni municipali del giugno 1990 Il FIS, anche se sotto altre denominazioni, era già attivo dagli anni 70. Questo movimento si poneva come il continuatore nel movimento nazionale algerino riprendendo la lotta là dove il FLN era venuto meno ai principi che avrebbe dovuto impersonare. Contro il suo riconoscimento come partito legale e stava l'argomento del richiamo esplicito all'Islam nell'intitolazione, che poteva farlo apparire come forza religiosa anziché politica, come disposto dalla legge, ma il governo algerino preferì evitare una confrontazione sull'aspetto giuridico o addirittura nominalistico e nel settembre 1989 fu concessa l'autorizzazione alla costituzione di questo partito. In meno di un anno dalla legalizzazione il FIS diventò uno dei partiti di maggioranza candidandosi al governo del paese. Il successo degli islamisti si spiegava anzitutto con i guasti di una politica fatta di esclusioni e di una modernizzazione autoritaria che veniva vissuta dagli esclusi come un attentato alla loro identità. Per molti fu una sorpresa che l'alternativa al FLN si materializzasse in un movimento islamico o islamista. Probabilmente il posto della religione nella vicenda dell'Algeria in tutta la sua evoluzione dal colonialismo all'indipendenza e al socialismo era stato frainteso. Era in fondo un preconcetto di origine europea a supporre che l'emancipazione dell'Algeria avrebbe comportato non scomparire delle sue tradizioni, Islam compreso, concepite come retrograde è storicamente superate258. Il primo turno di elezioni, il 12 giugno 1990, fu quello dei consigli provinciali e municipali. Non tutti i partiti ufficialmente ammessi parteciparono alle elezioni: due di più attesi, il Fronte delle forze socialiste e il Movimento per la democrazia in Algeria, accusarono il governo di non aver dato loro il tempo necessario per organizzarsi e le boicottarono. Questo rappresenta un vantaggio supplementare per il FIS, che ottenne una vittoria netta con il 57% dei voti, conquistando 853 comuni su 1541 e le due province su 48. Come appariva chiaramente dal voto, l'influenza del dì si era progressivamente estesa investendo sia i luoghi di lavoro che le organizzazioni di massa, inoltre la rivoluzione iraniana aveva dato la disse una sponda a livello internazionale. Al momento in cui venne a conoscenza della larga vittoria islamista alle elezioni municipali il presidente François Mitterrand era in visita nelle isole Maurizius. Inizialmente e gli mostrò qualche titubanza ad esprimersi sull'accaduto, ma spinto dai suoi collaboratori, il Presidente finii per dichiararsi semplicemente preoccupato. In Francia, il dibattito iniziò immediatamente, e la maggior parte dell'opinione si interrogava sugli eventuali contraccolpi che questo avvenimento avrebbe potuto avere sull'immigrazione. La maggioranza di governo a titolo di soluzioni da portare a questo problema insistette sul mantenimento ed il mio portamento dell'aiuto economico, supponendo che questo avrebbe potuto allontanare la popolazione algerina dal miraggio islamista. Di nuovo, come nel 1988, i pareri del governo andavano in direzione della non ingerenza, tra chi dichiarava che sarebbe stato giusto rispettare il voto degli algerini, e della prudenza. Anche il punto di vista dell'opposizione al governo non variava tanto da quello della maggioranza, come dichiarava Jacques Chirac «bisogna raddoppiare l'aiuto nei confronti dell'Algeria». Tuttavia, al di là delle dichiarazioni d'intenti, 257 258 B. Benoit, op. cit. , pp. 33-34 A. Ait-Chaalal, op.cit., p. 99 86 nessuna posizione ufficiale fu presa e il governo scelse di mantenare nuovamente il sostegno passivo al regime, aspettando di valutare le evolversi delle situazioni politiche interne del paese259. Lo scoppio della guerra del Golfo sembrò però accrescere la diffidenza tra i due paesi ed aumentare la distanza che li separava. Primo paese arabo a condannare l'invasione del Kuwait da parte dell'Irak, l'Algeria, non arrivò però fino ad appoggiare l'intervento alleato ed in seguito dovette uniformarsi al pensiero dell'opinione pubblica, su posizioni anti-occidentali. All'inizio dell'estate 1991, è con una certa inquietudine che la Francia guardava l'Algeria impegnata nella strada delle elezioni legislative il cui esito appariva scontato e poco favorevole a interessi occidentali. 3.8 Le elezioni legislative del giugno 1991. Le prime elezioni legislative libere nella storia dell'Algeria erano previste per il giugno 1991. Delle voci che si diffusero in quel periodo, e che vennero riportate sei mesi più tardi dal quotidiano saudita Ashark-al-Awasat, volevano che i militari algerini avessero interrogato la Francia tramite l'intermediario dell'ambasciatore al fine di prevedere un intervento francese in caso di eventuale vittoria elettorale del FIS. Queste voci, in seguito smentite, apparivano inoltre poco plausibili anche perché il FLN, malgrado il disastroso risultato delle elezioni municipali, appariva ancora convinto di poter riportare una vittoria alle legislative. Le critiche da parte francese sul come queste elezioni furono preparate non andarono ad arrivare, anche perché non tutte le tessere elettorali furono distribuite, le liste non vennero aggiornate, e nulla era stato previsto per evitare delle eventuali frodi all'interno dei collegi municipali amministrati dal FIS. Inoltre le schede elettorali erano estremamente complicate e la pubblicità fatta per informare sui meccanismi di voto appariva scarna e di difficile comprensione260. Alla fine della primavera, col avvicinarsi della data delle elezioni, il FIS, forte della sua recente vittoria, utilizzò la carta della provocazione organizzando numerose manifestazioni e scioperi generali, ostili al regime. I rappresentanti di questo partito non volevano infatti attendere l’esito delle elezioni e domandavano a gran voce le dimissioni di Chadli, seguite da elezioni presidenziali anticipate. Il 5 giugno, mentre gli scontri tra islamisti e forze dell'ordine causarono ufficialmente 17 morti ad Algeri, Chadli Benjedid, giustificandolo con il pericolo che i manifestanti avrebbero potuto causare sull’esito delle consultazioni, decise di dichiarare lo stato d'assedio, riinsediando il governo di Mouloud Hamrouche ed rinviando le elezioni di giugno alla fine dell'anno. Il regime approfittò di questi questo periodo per tentare di decapitare il FIS imprigionando i suoi esponenti maggiori Abassi Madani e Ali Benmhadj, rispettivamente presidente e vicepresidente del partito, con l'accusa di complotto contro la sicurezza dello Stato. La preparazione di alcune frange del partito alla lotta armata era evidente, e così l'esistenza di armi e reti clandestine, ma altrettanto evidente era l'impegno a legna in grado delle correnti avevano in mano la leadership del movimento. Nonostante le misure depressive il FIS era lontano dall'essere sgominato e sotto l'impulso dei suoi nuovi capi, favorevoli alla "via legale" che si imposero al congresso di Batna, fine luglio 1991, si presentò alle elezioni261. 259 B. Benoit, op. cit. , p. 45 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 235 261 B. Benoit, op. cit. , p. 46 260 87 Il rinvio delle elezioni non lasciò stupito il governo di Parigi, ormai abituato a questi repentini cambi di fronte da parte algerina, e gli avvenimenti e causarono la dichiarazione dello stato d'assedio da parte di Chadli non incontrarono delle vive reazioni. E le dichiarazioni dei personaggi politici francesi continuarono a mantenere un velo di imbarazzo misto a connivenza nei confronti del regime di Algeri. Il 6 giugno, cioè all'indomani della dichiarazione di stato d'assedio, Roland Dumas fu la prima personalità ufficiale a commentare gli avvenimenti limitandosi a sottolineare semplicemente come questi potessero rappresentare :« Un ritorno alla calma». Mentre il porta la parola di Quai d’Orsay, Daniel Bernard, dichiarava di dispiacersi per le vittime sottolineando che Chadli aveva parlato solo di un "rinvio" delle elezioni, e non di una loro sospensione. L'unica voce discordante era quella di Gérard Longuet che dichiarava l'obbligo per la Francia di "esigere lo svolgimento delle elezioni" mentre la maggior parte dell’opposizione condannava ogni tentativo di ingerenza negli affari algerini e consigliava, alla maggioranza di astenersi da dichiarazioni inopportune. Nei mesi successivi all'estate 1991 la Francia continuò a venire in aiuto al regime algerino, non più passivamente, ma volontariamente, lanciando l'idea di un nuovo accordo finanziario. Infatti furono aperte tre nuove linee di credito tramite le quali la Francia avrebbe finanziato un tentativo di ripresa economica, la prima da un miliardo di franchi, la seconda da trecento milioni di franchi e una terza da cento milioni di franchi; alle quali erano connessi in un certo numero di accordi che andavano in questo senso262. Il governo francese svelò in un certo senso le proprie intenzioni con una dichiarazione del ministro degli esteri Bérégovoy, il quale dichiarava l'apertura di un :«nuovo piano di cooperazione economica franco- algerina che avrebbe dovuto facilitare le cose nel periodo attuale e dare al nuovo primo ministro (Ahmad Ghozali) i mezzi elettorali supplementari per allontanare il popolo dagli islamisti». 262 A. Ait-Chaalal, op.cit., p 240 88 Bibliografia: C. R. Ageron, Histoire de l’Algérie contemporaine,Presses Universitaires de France, Paris, 1969. Amine Ait-Chaalal, L’Algérie, les Etats-Unis et la France, des discours à l’action, Publisud, Paris, 1994 P. Alexandre, Le duel de Gaulle-Pompidou, Grasset, Paris,1995 R. Aron, F. Lavagne, J. Feller, Yvette Garnier-Rizet, Les origines de la guerre d’Algerie, Fayard, Paris, 1962 B. Ben Khedda, Les Accords d’Evian, Paris/Alger, Publisud/OPU, 1986 T. Bensalah, La République Algérienne, librarie générale de droit et de jurisprudence, Paris, 1979. B. 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