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DISCIPLINE
Aspetti moderni della fisica greca
Erasmo Recami
LE TRAPPOLE DELLA LOGICA
La fallacia del relativista
In questo intervento consideriamo un errore di ragionamento che,
quasi sicuramente, tutti abbiamo incontrato nella nostra vita: la fallacia
del relativista (detta a volte anche fallacia del soggettivista). Si tratta,
paradossalmente, di un tipo di argomentazione a cui ricorrono coloro
che argomentazioni non ne hanno.
La fallacia del relativista è caratterizzata, infatti, dal sentirsi giustificati a
rifiutare una certa affermazione, semplicemente ammettendo che
essa può benissimo essere vera per altri, ma non per noi.
La fallacia in questione si articola, dunque, in questi momenti:
1) Viene affermata una certa tesi Y;
2) La persona X riconosce che Y può essere considerata vera da alcuni, ma non da lui/lei;
3) X si sente giustificato a rigettare Y.
L’errore consiste nel non fornire alcuna ragione legittima per poter
rigettare la tesi e nel mascherare tale mancanza di argomentazioni
«concedendo» che essa possa essere vera per altre persone.
Sottolineiamo che la tesi potrebbe realmente essere falsa, e quindi X
potrebbe benissimo aver ragione: l’errore risiede nel basare le proprie affermazioni solo sull’assunto che si tratta di verità relative. A tale
tipo di fallacia ricorrono coloro che non hanno alcuna arma di discussione, ma che, al tempo stesso, non vogliono fare la figura degli ottusi: dichiarare che si parla di verità relative rappresenta una scappatoia semplice e disarmante, che blocca qualsiasi discussione.
Proponiamo due esempi di fallacia del relativista.
Conversazione 1
Lorenzo: «Secondo alcuni studiosi il benessere economico sarebbe correlato ad una maggiore tendenza alla depressione. Io personalmente non riesco a farmi un’opinione precisa in materia. Tu che ne dici?».
Francesco: «Per loro sarà sicuramente vero – non metto in dubbio la
serietà delle loro ricerche –, ma per me è del tutto falso».
antica fisica greca [1] approfondì, come vedremo,
alcuni dei temi fondamentali della fisica anche moderna. Essa viene di solito trascurata, perché spesso conosciuta solo tramite le poco comprensibili e poco competenti traduzioni di – per altro, meritori – letterati.
È noto che, dall’insieme dei risultati – pur ammirevoli – delle
numerose grandi civiltà che precedettero quella greca, non
scaturì un vasto quadro uniforme: perché essi erano spesso
basati su conoscenze soprattutto pratiche, che in genere non
formavano un corpo unitario di pensiero scientifico.
L’
A
AB
B
Conversazione 2
Mamma: «Oggi sono andata a parlare ai professori: mi hanno detto
che, durante la gita scolastica, la classe ha assunto un comportamento piuttosto maleducato e irrispettoso. Tu cosa mi dici?».
Davide: «Dal loro punto di vista sarà così, ma per me e gli altri compagni no!».
Sono opportune alcune precisazioni. Innanzitutto, non si cade in tale errore di ragionamento quando si fa appello alle credenze: un conto è credere, infatti, che una certa tesi sia falsa mentre altri la credono vera (se dico
«Tu credi che Simona sia stata sincera, ma io non ci credo» intendo sottolineare la nostra divergenza di opinioni circa la verità/falsità del fatto che
Simona sia stata sincera, fatto però che rimane o vero o falso) e un altro
è dire che una tesi è al tempo stesso vera per alcuni e falsa per altri: nell’esempio della Conversazione 1, Lorenzo intende che il fatto che il
benessere economico sia legato ad una maggiore incidenza della depressione è al tempo stesso vero per i ricercatori e falso per lui.
In secondo luogo, occorre precisare che esistono comunque casi in
cui appare naturale addurre un relativismo insito negli argomenti trattati per giustificare le proprie affermazioni; ad esempio risulta del tutto
legittimo quando si affrontano questioni morali: «Sono assolutamente
contro l’aborto; quindi biasimo quelle donne che vi ricorrono, ma
posso comprendere le loro ragioni e capire che per loro non sia sbagliato. Per me, tuttavia, è comunque immorale!».
Ricordiamo, infatti, che – come emerso nei precedenti interventi – ciò
che rende corretta un’argomentazione è la capacità di ricorrere a
ragioni plausibili in grado di supportare le nostre affermazioni. Nel
caso della Conversazione 2, il figlio, ad esempio, avrebbe potuto replicare dicendo: «Noi non siamo stati maleducati: il professore ci aveva
punito ingiustamente e, se non avessimo in qualche modo reagito,
avremmo implicitamente ammesso che aveva ragione. Rimanere passivi di fronte alle ingiustizie della vita è sempre sbagliato, anche se
magari abbiamo forse esagerato, però...».
B
La scienza greca ha, in molte
circostanze, anticipato risultati che
comunemente si considerano frutto
della scienza moderna. L’analisi del
pensiero greco deve tuttavia tener
conto che, nel tempo, sono cambiati
gli strumenti concettuali di cui si serve
lo scienziato moderno.
Claudia Palladino e Angelo Maggiale
Università di Genova
NUOVA SECONDARIA - N. 10 2010 - ANNO XXVII
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DISCIPLINE
Raffaello, La Scuola di Atene, Pitagora - Palazzo Vaticano,
Stanza della Segnatura.
Dal mythos al logos
Ciò si realizzò solo più tardi
[2,3], quando si ebbe il tentativo di razionalizzare i fenomeni (e spiegarli nel quadro
di ipotesi generali), che costituì la grande creazione dei
Greci del VI secolo a.C. Il
Cosmo venne allora considerato come una singola unità
ordinata, con leggi passibili
di scoperta. Non è perciò
casuale se i primi passi verso
un pensiero sistematico furono intrapresi nell’ambito della
filosofia (ancora oggi – com’è noto – certe parti, assiomatizzate, della fisica vengono considerate come branche della «filosofia naturale»; ed in lingua inglese «philosophy» mantiene
l’antico, lato significato) e se le scienze naturali e la filosofia
formarono un tutto unico durante la maggior parte della storia dell’antica Grecia. In epoca ellenistica avvenne una vera e
propria rivoluzione scientifica, come fu opportunamente
messo in evidenza; in bibliografia [4,5].
La filosofia greca volle dare un’interpretazione razionale
anche agli eventi naturali, sostituendo il logos al mythos; e la
scienza moderna sorgerà, come provincia autonoma della
cultura umana, sganciandosi in parte, a sua volta, dal dominio del dogmatismo filosofico diffuso nel Medio Evo (non
dimentichiamo che ancora oggi «teoria» significa etimologicamente, più o meno, «visione divina»). Fino al ‘700, poi, la
parola fisica includerà tutte le scienze della natura (in inglese «medico» si dice ancora physician). Infatti «fisica» corrisponde in greco, come noto, a «le cose naturali».
Per quanto ne sappiamo, i primi inizi di un ragionamento
scientifico sistematico si ebbero forse a Mileto, al principio
del sesto secolo a.C. Talete, Anassimandro ed Anassimene si
posero ad esempio il problema della sostanza fisica della
materia unica primordiale, che doveva stare alla base di
ogni ente fisico ed ogni fenomeno: tentando così di spiegare
razionalmente un massimo di fenomeni con un minimo di
ipotesi. La scuola di Mileto associò poi alla «materia primordiale» una legge di conservazione (l’antenata delle molte
che costituiscono ora parte essenziale della fisica). Ma lo
spazio è tiranno, e facciamo un primo salto, per fare posto
alle considerazioni che più ci paiono interessanti per questo
articolo [rimandando per tutto il resto alla Bibliografia:
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anche, ad esempio, per il ruolo decisivo giocato da autori
come Euclide e Archimede – che si era costruito già i rudimenti del calcolo infinitesimale! – nella successiva comparsa della scienza quale la intendiamo oggi].
Nel V secolo a.C., il procedere scientifico acquistò molte
delle caratteristiche che non perse più: basti dire che il
cosmo venne analizzato definitivamente in termini di numeri e misure. «Il Sole è più grande del Peloponneso» arriverà
a dire Anassagora, che pure interpretò correttamente
l’origine di un meteorite ed attribuì alla Luna (considerata
con monti e valli e zone abitate!) luce solare riflessa.
Anassagora fu, pertanto, pioniere dell’unità dei fenomeni
cosmici e terrestri, mettendo sullo stesso piano corpi celesti
allora deificati ed oggetti della terra.
La scuola pitagorica e Platone
Nel IV secolo, la scuola pitagorica scoprì che il creato obbediva a leggi matematiche, e tanto sottolineò l’importanza dell’ordinamento matematico per la comprensione della natura,
che pose il numero a base essenziale di tutte le cose. Questo
lo sappiamo bene. Ma Pitagora affermò, inoltre, la sfericità
della Terra, considerata non al centro dell’universo ma una
stella come le altre, e – applicando per la prima volta la
matematica ad un fenomeno fisico fondamentale, per di più
in un caso (eccezionale per la Grecia) di sperimentazione
sistematica – fece le sue note scoperte sull’armonia musicale, trovando i rapporti numerici corrispondenti a vari accordi, insieme con i pitagorici di Crotone e Metaponto.
Eudosso di Cnido (409-356 a.C.) fu il primo a concepire un
modello geometrico (a «sfere concentriche») dell’intero
cosmo. Eraclide Pontico (388-315 a.C.), fondatore della «teoria degli epicicli» (affermò infatti Venere e Mercurio ruotare
attorno al Sole!), fu grande astronomo e pensò – insieme con
alcuni Pitagorici: Iceta, Ecfanto, ecc – la Terra dotata di moto
rotatorio attorno al proprio asse. Aristarco da Samo (310-230
a.C.), poi, precorse Copernico di diciotto secoli, esponendo
una teoria eliocentrica, ed assegnando alla Terra il duplice
moto di rotazione e di rivoluzione.
Il metodo scientifico pitagorico di sperimentare su diversi
strumenti, ed esprimere i risultati in termini generali, tendendo alla formulazione matematica di leggi universalmente applicabili era dunque ottimo. Ma il suo corso fu bloccato
soprattutto da Platone, il quale (non senza le sue ragioni)
abbandonò l’idea che l’armonia del cosmo potesse essere
rivelata attraverso il mondo sensoriale: il creato poteva
venir compreso solo dalla matematica pura, mentre il contatto col mondo empirico poteva soltanto oscurare tale comprensione… Un’altra influenza non positiva di Platone, poi,
fu quella di sostenere una differenza essenziale tra fenomeni
celesti e terrestri; quando tale separazione fu accettata e sancita in termini generali e «scientifici» anche da Aristotele, il
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destino della scienza greca fu segnato: la scienza moderna del
XVII secolo nacque quando si ridimostrò che le leggi della
meccanica terrestre sono invece valide anche per i pianeti.
La teleologia platonica cozzò contro la dottrina atomistica di
Democrito; tuttavia la scuola (atomistica) epicurea ebbe molto
meno influenza della rivale scuola stoica, fautrice di concezioni finalistiche. Eppure gli atomisti: Leucippo (450 a.C. circa),
Democrito (circa 460-370 a.C.), Epicuro (341-270 a.C.) e
Lucrezio (circa 95-55 a.C.) furono scienziati ricchi di originalità; specialmente Democrito, che è uno dei pensatori più universali dell’antichità (come riconobbe anche Aristotele).
Approfittiamo dell’accenno al grande Aristotele per ricordare
qui che un’importante, e ultima, critica dei tempi antichi ad
Aristotele venne all’inizio del VI secolo dopo Cristo, da parte
di Filiponio, il quale dimostrò errata la teoria aristotelica dell’impulso (impartito al proiettile dall’aria durante la sua
corsa, secondo Aristotele), basandosi sulle ricerche empiriche
iniziate con Archimede e continuate con i primi sviluppi della
tecnica di costruzione delle macchine belliche (Filone di
Bisanzio, Erone di Alessandria e il romano Vitruvio, ad esempio, possedettero un’autentica mentalità da ingegnere).
Alcuni ragionamenti di Filiponio sono introduttivi alla polemica
galileiana: ma non possiamo su essi soffermarci.
Ultimi secoli della civiltà greca
Molte cose sarebbero da ricordare anche in relazione agli
ultimi secoli della civiltà greca, in particolare riguardo alla
scuola stoica di Zenone di Cinzia (332-262 a.C.), Crisippo
(circa 280-207 a.C.) e Posidonio (circa 135-51 a.C.), nonché
riguardo a Seneca (circa 3 a.C.-65 d.C.), Plutarco (circa 46120 d.C.) e Tolomeo (circa 150 d.C.).
Limitiamoci a quanto segue.
Gli Stoici – come prima i Pitagorici – ed in particolare Eraclito
e, dopo di lui, Empedocle, avanzarono la teoria dei «cicli
cosmici», basata sulla stessa logica interna che in tempi molto
più prossimi a noi ha portato a collegare fra loro termodinamica, meccanica statistica e concetto di «ritorno all’identico».
In particolare, Posidonio giunge alla seguente straordinaria
affermazione: «La materia ha una coesione che la tiene insieme e
contro la quale il vuoto circostante è impotente. In verità il mondo
materiale si conserva mediante una forza immensa, ed alternativamente si contrae e si espande nel vuoto seguendo le proprie trasmutazioni fisiche, ora consumato dal fuoco, ora invece dando nuovamente inizio alla creazione del cosmo». Ancora una volta è facile
constatare come nella storia si ripresentino gli stessi modelli e
le stesse associazioni, sia pure in forma nuova ed adeguata
allo stadio avanzato raggiunto dalle conoscenze.
Plutarco, verso il 100 d.C., scrisse la prima opera di «astrofisica» nota, applicando i metodi e le conclusioni della fisica
allo studio della Luna. Influenzato dalla dottrina stoica del
«pneuma», Plutarco espose una specie di teoria generale della
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presente la versione integrale
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gravità, dicendo che i centri della Terra, del Sole, della Luna
erano vari centri di attrazione; e scuotendo la diffusa credenza che l’universo avesse un centro assoluto (fatto incompatibile con la convizione plutarchiana dell’infinità dell’universo). Notevolissimo è il seguente passo: «La Luna riceve la
garanzia di non cadere proprio dal suo movimento e dallo slancio
della sua rivoluzione, esattamente come i sassi posti nella fionda
non possono cadere per il loro moto circolare vorticoso; infatti ogni
cosa è trascinata dal suo semplice moto naturale solo se non è deviata da qualcos’altro. La Luna adunque non è trascinata in basso dal
proprio peso, perché la sua tendenza naturale è frustrata dalla sua
rivoluzione. Ed anzi, vi sarebbe motivo di meraviglia se essa stesse
ferma sempre nel medesimo luogo come la Terra». A Newton,
invece dell’ausilio della famosa mela, sarebbe bastata la lettura di questo brano, eccezionale in ogni sua proposizione!
Ci si permetta un’ulteriore osservazione. Risulta chiaro da
quanto sopra che studiosi competenti dovrebbero rivedere
tutte le traduzioni di materiale antico di interesse scientifico:
a partire da quando esiste la scrittura; un compito enorme
spetta ai fisici con la passione per la storia e le lingue antiche! Basti pensare che perfino per il non lontano Leonardo,
il cui linguaggio non era troppo diverso dall’attuale, abbiamo visto un libretto (pur pubblicato dalla Domus
Galilaeana) che «traduceva» gli scritti di Leonardo da Vinci,
sull’ottica, facendogli falsamente dire soltanto banalità...
Erasmo Recami
Università Statale di Bergamo - INFN-Sezione di Milano
BIBLIOGRAFIA
[1] S. Sambursky, Il mondo fisico dei Greci, Feltrinelli,
Milano 1959.
[2] U. Forti, Storia della Scienza, Dall’Oglio, Milano 1969.
[3] V. Ronchi, Storia della luce, Zanichelli, Bologna, 1952.
[4] L. Russo, La Rivoluzione Dimenticata, Feltrinelli,
Milano 2001.
[5] L. Russo, Flussi e Riflussi, Feltrinelli, Milano 2003.
[6-8] E. Recami, voce «Storia della Fisica» in Enciclopedia
Italiana delle Scienze De Agostini, vol. 1 [serie Matem. e
Fisica], De Agostini; 1970 e 1974, pp.193-206; Giornale di
Fisica 11 (1970) 300-312; ed e-print arXiv:0709.1277 [physics.hist-ph].
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