1.2 Il contesto LA MODERNITA’ In epoca moderna i temi parvenza, verità, inganno, diventano centrali non solo in filosofia, ma anche in arte e letteratura, perché nel Seicento si palesa urgentemente la necessità di distinguere apparenza e realtà. Il secolo di ferro7 - un'età di disordine e contraddizioni, di crisi e di rivoluzioni che vede affermarsi, nell’universo della precisione,8 il metodo matematico sperimentale e la concezione meccanicistica9 della natura, che scopre il soggetto e laicizza la politica - che vive al tempo stesso il senso di precarietà delle guerre religiose e delle chiusure controriformistiche. Nel gennaio del 1619 Cartesio così apre le sue Cogitationes privatae10 come gli attori, perché il rossore della vergogna non appaia loro in volto veston la maschera, così sul punto di salire su questa scena mondana, di cui fin qui fui spettatore, avanzo mascherato larvatus prodeo i n un mondo divenuto teatro, nel quale gli uomini sono chiamati a recitare una parte e dove i confini tra verità e inganno si fanno sempre più labili. La metafora della finzione scenica domina la cultura del tempo, dal teatro di Shakespeare con i suoi personaggi fatti di sogni 11 , alle arti figurative barocche, ispirate a prospettive ardite che moltiplicano all’infinito i punti di vista, alla ricerca di false raffigurazioni, talmente fedeli, da prendersi gioco dell’osservatore (trompe-l’oeil ). È il trionfo dell’ellissi, della spirale, di immagini anamorfiche e figure concentriche, un gioco sapiente di specchi che si rimandano a vicenda, tutto insomma sembra riflettere il senso di ambiguità e smarrimento di un mondo destrutturato e in riflesso, che ribalta più volte la nostra percezione del reale, amplificando l'aspetto illusorio della raffigurazione. 7 H. Kamen, Il secolo di ferro, 1550-1660 (1971), trad. it. V. Gallotta, Bari, Laterza 1982. 8 A. Koyrè, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione (1948), trad. it. P. Zambelli, Torino, Einaudi, 1973. P. Rossi, La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, Torino, Loescher, 1973 Cartesio, Frammenti giovanili, in Opere filosofiche, a cura di E. Garin e C. Galli, Bari, Laterza, 1994, I, p. 8 11 W. Shakespeare, La tempesta (1625), trad. it. S. Quasimodo, Milano, Mondadori, 2008, atto IV, scena I, “Siamo fatti della sostanza sostanza dei sogni; e la nostra vita breve è racchiusa da un sonno” 9 10 9 continua trasformazione12 . L’uomo ha perso la propria centralità, ma a lui solo spetterà ricostruirla. 1.3 Il problema LA GNOSEOLOGIA Le tematiche gnoseologiche assumono un rilievo fondamentale nella riflessione filosofica a partire dal XVII, nonostante la questione della conoscenza13 si sia già posta in epoca classica con la contrapposizione platonica tra δόξα e ἐπιστήμη14 , opinione/verità e con Aristotele, che aveva attenuato quella rigida opposizione, facendo di sensibilità e ragione momenti diversi di un unico processo conoscitivo. Mediato dai dibattiti medievali, il problema giunge in ambito moderno a determinare i due indirizzi dell’apriorismo razionalista (Cartesio e Leibniz) per cui i concetti fungono da patrimonio innato, a priori della mente, che ne dispone senza ricorrere ai sensi; e dell’Empirismo inglese (Locke, Berkeley e Hume) che fa invece derivare la conoscenza intellettuale dall’esperienza sensibile. Sarà poi Kant, a fine Settecento, ad operare l’“integrazione” delle diverse posizioni, con la determinazione del processo conoscitivo quale cooperazione tra strutture innate della mente e dati empirici. E se la gnoseologia antica poteva considerarsi oggettivista poiché l’idea trascendente o la forma immanente venivano intese come qualcosa di dato, indipendenti dal soggetto che le apprende; in epoca moderna avanza un punto di vista soggettivista, nella misura in cui l’esistenza di una realtà esterna al soggetto che conosce, perde il carattere di presupposto implicito. Si afferma dunque una tendenza diversa, critica, che ricerca nel soggetto il fondamento e la regola del conoscere. La formulazione metodologica di Un’interessante integrazione a quanto si è sin qui, sinteticamente presentato, viene fornita da A. La Vergata e F. Trabattoni, Filosofia e Cultura, La Nuova Italia, 2007, 2, pp. 264-267. 13 S.v. “gnoseologia”, in F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, Il testo filosofico, Bruno Mondadori, 1997, 2, pp. 677-679 12 Per l’analisi della teoria della conoscenza e delle sue forme, nella filosofia di Platone, si richiama Il testo filosofico, cit., vol. 1, pp. 374-378 14 10 questo diverso atteggiamento si deve a Cartesio; il suo sviluppo critico come indagine sull’intelligenza umana a Locke. E se per le concezioni oggettiviste la conoscenza vera risultava quella in cui la rappresentazione del soggetto si adeguava perfettamente all’oggetto, la cui indipendenza era anche garanzia della verità del conoscere veritas est adaeguatio intellectus et rei ; in epoca moderna vi sarà anche chi, portando alle estreme conseguenze la derivazione lockiana della conoscenza intellettuale da quella sensibile, negherà, nel pieno trionfo della fisica newtoniana, la possibilità da parte del sapere umano di cogliere le leggi universali e necessarie del reale (Hume). 1.4 Possibili soluzioni SOGGETTIVITA’ E RECUPERO DEL MONDO Abbiamo detto che la questione del valore della conoscenza, ossia della corrispondenza delle nostre rappresentazioni con la realtà esterna è il problema specifico della filosofia moderna sino a Kant: ovvero esiste un modo universale e necessario di conoscere e di avere certezze intorno alla realtà? Nella considerazione di questa istanza gnoseologica, indirizzi diversi, razionalista-cartesiano da una parte ed empirista-lockiano dall'altra mostrano, al di là delle diverse soluzioni, un punto in comune: la convinzione dell'evidenza indubitabile della duplice esistenza del soggetto conoscente e di un mondo reale oggetto delle sue rappresentazioni. Il punto decisivo diventa allora la determinazione di quanto, nel processo conoscitivo, derivi dall'esperienza (dal fatto ricettivo sensibile) e quanto invece dalla pura attività della ragione o intelletto. Secondo la via inaugurata da Cartesio, per conoscere ciò che sta al di fuori dell’esperienza, delle nostre rappresentazioni sensibili, non ci si può basare sulle rappresentazioni stesse, il sapere vero sarà invece costruito sui principi a priori innati; in ambito anglosassone, coerentemente alla tradizionale impostazione empirista, le sensazioni restano l’unico strumento attraverso cui sapere qualcosa del mondo esterno e dunque l’unico legame tra l’ambito delle 11 rappresentazioni soggettive e quello della realtà in se stessa. Il problema gnoseologico viene dunque posto da Cartesio, e da lui risolto con la mediazione di Dio, garante del passaggio io-mondo e dell’umana, naturale convinzione sull'esistenza della realtà esterna, testimoniata dai sensi, in maniera oscura ed indistinta ma concepita con chiarezza e distinzione dai principi matematici e geometrici della mente. Ma torna in ambito anglosassone (in un clima di aspra polemica contro il razionalismo di derivazione cartesiana), sotto forma di indagine critica sull'intelligenza umana, allo scopo di mostrare l'origine empirica delle idee e, come ben sanno gli studenti giunti a questo punto del programma, l'infondatezza del concetto metafisico di sostanza, insieme all'impossibilità per la ragione di esprimersi sulla oggettiva costituzione dell'universo. Il primo passo lo fa dunque Cartesio, con le sue vorticose ondate di dubbio e sogno, che una volta formulate, espresse e radicalizzate, lasciano emergere qualcosa di indubitabile, ovvero il pensiero del proprio io, premessa di ogni possibile condizione d'inganno. Ma da quel momento, diventa fondamentale accertare se esista anche altro, oltre il soggetto pensante e nel caso, coglierne lo statuto. Ciò significa che da Cartesio in poi, ciascuno rischia di restare chiuso nel proprio pensiero e qualsiasi domanda sull'altro da sè sconta questa originaria separatezza: "la mente non ha altro oggetto immediato che non le proprie idee" dirà Locke; "niente è presente alla mente se non le sue proprie percezioni " Hume; "non abbiamo rappresentazioni" concluderà Kant. a che fare Quando se non con le Cartesio per primo nostre aveva affermato "non possiamo avere alcuna conoscenza delle cose se non mediante le idee che ne concepiamo", aveva con ciò determinato la questione della filosofia moderna: il punto di rottura rispetto alla fiducia acritica di un rapporto diretto con il mondo, ovvero la scoperta del soggetto; ma nel fare ciò, Cartesio aveva anche paventato il rischio, ovvero la chiusura dell’io in se stesso. Una volta lasciata emergere la soggettività, come punto di vista sul mondo, si fa sempre più problematico il recupero dell'oggettività, tanto che 12 l’“impresa” di Cartesio non fu la soluzione, ma la problematizzazione delle procedure non fondate, con cui conoscere il mondo15 . E ancora, il suo modello di conoscenza come certezza assoluta era inteso in modo tale, da poter essere soddisfatto solo con una garanzia altrettanto assoluta, appunto divina; ma una volta abbandonata quella, non resterà che rinunciare al modello stesso, per accontentarsi di molto meno: della mera probabilità delle nostre certezze, se non della loro mancanza di fondamento oggettivo16 . E qui, dal problema moderno e dalle sue implicazioni, si giunge sino al nostro presente 17 1.5 problemi aperti LA SVOLTA EMPIRISTA Quando Locke da alle stampe nel 1689 il suo Saggio sull’intelletto18 gran parte della filosofia del secolo aveva indicato nella ragione la fonte privilegiata di conoscenza, sminuendo e diffidando dell’apporto dei sensi, ciò era accaduto anche in ambito anglosassone, dove indipendentemente ai grandi autori della filosofia inglese, Bacone e Hobbes, si erano costituiti ambienti culturali ispirati all’innatismo neoplatonico. La svolta prende avvio dalla pubblicazione del Saggio, opera in cui Locke pone a fondamento e criterio dell’intera conoscenza umana, non la ragione nelle sue libere speculazioni, ma i sensi e l’esperienza. È l’inizio dell’Empirismo moderno. La prospettiva non era tuttavia nuova, il termine empirismo deriva dal greco εμπειρία (esperienza) e designa l’orientamento di quelle filosofie (anche Alla luce di questa svolta soggettivista, si ripresentano problemi vecchi e nuovi della filosofia, che Cartesio lungi dal risolvere, riporta in discussione, arricchiti di ulteriori criticità. Basti il solo esempio della questione anima (mente)/corpo, ridiscussa alla luce del dualismo cartesiano, su cui si confronteranno, Hobbes, Malebranche, Spinoza. Per un’articolata trattazione del tema, si rinvia a Il testo filosofico, cit., 2, unità 14, pp. 522-552 16 infra, pp. 23-29 17 Per un possibile approfondimento, sul dibattito epistemologico contemporaneo, si rinvia a S. Givone, F.P. Firrao, F. Moriani, Galassia filosofia, Firenze, Editore Bulgarini Firenze, 3, cap. 4, pp. 460-487 18 Furono necessari vent’anni di travagliata riflessione per compiere la prima edizione dell’ Essay on Human Understanding del 1689, ma postdata al 1690, a cui seguiranno poi altre edizioni, ricche di aggiunte, correzioni e precisazioni. 15 13 antiche)19 che fanno appunto dell’esperienza il luogo dell’originaria e genuina evidenza e che dal punto di vista metodologico, assumono come base di ogni sapere i dati sensoriali, secondo un procedimento conoscitivo che va dalla sensazione al concetto. E nuove, non erano neppure le critiche che quella impostazione aveva dovuto e dovrà ancora affrontare: rivolte in primo luogo al genere di esperienza20 cui fare riferimento; e all’eventualità che essa possa vantare insieme all’anteriorità temporale, anche una priorità logica nella genesi del conoscere, secondo il motto scolastico ripreso da Locke, nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu21 . Si potrebbe brevemente ricordare, che il testo ancora esemplare, per l’individuazione del limite intrinseco dell’empirismo, resta il Teeteto22 , dialogo in cui Platone, mostra come i dati sensoriali non abbiano rilevanza conoscitiva qualora non vengano accolti, da un’anima già aprioristicamente strutturata in base a forme ideali o concettuali che consentano il riconoscimento e il confronto tra i dati d’esperienza. Ciò significa che restringere il campo ai soli dati dei sensi, negando che sia dia anche un’esperienza originaria (delle forme come dirà in seguito la Gestalpsycologie)23 , rischia nonostante le intenzioni di cadere in una ingenua metafisica del tutto priva di critica e consapevolezza.24 Resta dunque la domanda: se non si può negare ciò che è stato sperimentato, si può però determinare con certezza ciò è stato sperimentato? Si rimanda ad un possibile recupero dello scetticismo antico, in F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, Il testo filosofico, cit., vol. 1 20 Questione che viene posta da Husserl, ovvero se l’esperienza debba essere ridotta alla “sole cose della natura” (ai soli fatti esterni o interni) o debba invece ampliarsi, contriaramente alle tesi dell’empirismo moderno a forme, essenze, relazioni di natura non empirica (cioè non materiale o naturalistica). 21 J. Locke, Saggio sull'Intelletto Umano (1690), a cura di M.G.D'Amico e V. Cicero, Milano, Bompiani, 2007, Libro II, Cap. 1, § 5. 22 Platone, Teeteto, trad. a cura di M.Valgimigli, Bari, Laterza, 1999 23 contro la semplice associazioni delle impressioni, infra, pp.36-38 24 cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830), trad. it. V. Cicero, Milano, Bompiani, 2000, par. 37-39. 19 14 E per il nostro itinerario nell’Empirismo tra Sei e Settecento, significherà ritornare a Locke, Berkeley e Hume, per chiedere loro - cosa ci fanno scoprire i sensi? - le sensazioni sono davvero rappresentazioni fedeli della realtà? - una volta ammessa l’origine sensibile di tutte le nostre conoscenze, esiste un criterio per distinguere tra apparenza e realtà? Punto di partenza sarà allora Locke, il filosofo che definendo la mente umana una tabula rasa e riportando interamente all’esperienza i suoi contenuti, avvia all’analisi di una ragione che non è più intesa come organo infallibile di verità; tappa intermedia il radicale empirismo di Berkeley tutto declinato in funzione antimaterialistica; infine Hume ed il suo fenomenismo scettico. Occorre tuttavia fare attenzione, come si è già detto, a non estremizzare in eccesso uno schema hegeliano che vede la filosofia del Seicento polarizzata nei due filoni dell’Empirismo e del Razionalismo, poiché sussistono tra essi ancora strette connessioni: il medesimo lessico filosofico innanzitutto, che accomuna Cartesio e Locke ed è causa dei limiti del secondo e la stessa capacità della ragione di porsi come criterio ordinatore e verificatore dell’esperienza del reale25 . La vera cesura sarà prodotta da Hume, quando davvero l’Empirismo giungerà alle sue estreme conseguenze, scuotendo non solo le fondamenta della metafisica, con la critica finalmente compiuta alle nozioni di sostanza, io e mondo, ma invadendo le certezze su cui si era basata la fiducia nella scienza dei moderni. É questo l’epilogo in cui l’Empirismo ha in qualche modo consumato se stesso, poiché quella che era parsa come la filosofia più vicina alla scienza sperimentale moderna, ha infine mostrato di non poter fondare neppure la più semplice constatazione sensibile, quando su questa si pretenda di voler esercitare un qualsiasi legame razionale. Razionale appunto, perché Hume non nega la possibilità di avere conoscenza delle impressioni sensibili, ma nega che su queste il nostro intelletto possa Cfr. A. Pacchi, Introduzione alla lettura del “Saggio sull’intelletto umano” di Locke, Milano, Unicopli, 1997 25 15 costruire un sapere necessario e universale. Avendo già Berkeley ridotto il mondo materiale ad apparenza, poiché sulla base dell’esperienza non è possibile ammettere che i corpi materiali esistano anche al di fuori delle nostre percezioni, Hume riduce anche l’idea della realtà del mondo ad un prodotto dell’immaginazione associativa. Il suo empirismo conduce ad una delle critiche più radicali alla pretesa di vedere operanti leggi universali e necessarie, non è più possibile fondare razionalmente alcuna verità. Non solo, dopo aver mostrato che l’uomo non ha altre conoscenze al di là delle proprie percezioni e delle associazioni ad esse collegate e che le scienze conducono solo a generalizzazioni probabili, riveleranno la propria infondatezza razionale non solo le costruzioni metafisiche, ma anche molte delle convinzioni radicate nel common sense. L’unità del mondo naturale, la sua sussistenza, la presunta certezza di un’esistenza oggettiva oltre le impressioni e la possibilità dell’uomo stesso di costituirsi soggetto di conoscenza e autoriflessione, torneranno ad essere fonte di dubbio e di incertezza. 16