ISTITUTO SUPERIORE “ GIOVANNI MINZONI “ GIUGLIANO IN CAMPANIA (NA) “La Nuova Biologia” in collaborazione con “Città della Scienza” - Napoli Consorzio Interuniversitario “Cineca” - Bologna Descrizione sintetica: Il modulo“La Nuova Biologia”, presenta le problematiche relative alle nuove conoscenze nel campo della biologia, con particolare riferimento: alle tecnologie; a discipline emergenti; ai sistemi biologici intesi come “ Cell Factories”. Le differenti ricadute di queste nuove conoscenze nel campo della salute dell’ uomo, della salvaguardia dell’ ecosistema, del miglioramento delle produzioni agricole e zootecniche e dello sviluppo di processi industriali innovativi e competitivi, sono state singolarmente analizzate, valutando i risultati già conseguiti, gli scenari di un futuro possibile e le implicazioni etiche. L’obiettivo che si è inteso conseguire è la costruzione di un precorso logico di conoscenza che ha spaziato dalla problematica scientifica, sviluppata nei suoi elementi essenziali, a quella tecnologica e socio-economica. Ciò ha previsto una presentazione, a spettro ampio, della problematica “ Life Sciences” e dello sviluppo sostenibile come da schede allegate. Le biotecnologie applicano principi scientifici per la produzione di materiali a partire da cellule, tessuti, organi, molecole organiche, usando conoscenze derivanti da più discipline: biologia, biochimica, microbiologia, ingegneria genetica.Le biotecnologie, quindi, rappresentano una conoscenza interdisciplinare, che utilizza concetti e metodi di altre discipline per individuare principi e metodi suoi propri, con campi di indagine e di applicazione completamente nuovi, ad elevata pervasività nel sistema produttivo. È possibile rappresentarle come un albero che fonda le sue radici in una serie di saperi consolidati: le radici forniscono il nutrimento alla pianta stessa e consentono l'elaborazione di nuove conoscenze. Queste ultime come linfa vitale alimentano lo sviluppo di una vasta chioma simboleggiante settori applicativi estremamente differenziati quali ad esempio: il settore farmaceutico (prodotti farmaceutici per il controllo e la cura di malattie umane, antibiotici, vaccini, ormoni ecc...), il settore diagnostico (test clinici e diagnostici, test per alimenti, ambiente e agricoltura), il settore agricolo e zootecnico (nuove varietà di piante e di animali, nuovi fertilizzanti e pesticidi), il settore alimentare (nuovi prodotti alimentari, ingredienti e bevande), il settore ambientale (smaltimento dei rifiuti, biorisanamento, produzione di energia), il settore chimico (nuovi reagenti, enzimi, DNA, RNA, prodotti chimici particolari), il settore tecnologico (impianti, bioreattori, software ed attrezzature biotecnologiche ausiliarie). Le biotecnologie, per l'ampiezza dei settori in cui possono avere ricadute, sono distinte, in base al loro campo di applicazione, in: White Biotechnologies, Green Biotechnologies, Red Biotechnologies. Le prime fanno riferimento alle applicazioni delle biotecnologie nel campo delle produzioni industriali; le seconde nel campo delle produzioni vegetali, zootecniche e ambientali; le ultime nel campo delle applicazioni per la diagnosi, prevenzione e cura delle patologie umane ed animali. Le biotecnologie danno importanti risposte ad una serie di attuali esigenze, come la crescita del fabbisogno alimentare, la necessità di fonti energetiche rinnovabili e con scarso impatto sull'ambiente, uno sviluppo sostenibile dell'apparato produttivo, la necessità di nuove opportunità per il miglioramento della salute e della qualità della vita. Secondo il settimanale inglese “The Economist”: La biotecnologia potrebbe diventare il fondamento <<di una attività industriale che rappresenterà per il XXI secolo ciò che le industrie basate sulla fisica e sulla chimica hanno rapprentato per il XX secolo>>. Le biotecnologie si stanno sviluppando con una rapidità simile a quella che negli anni '70 ha caratterizzato il mondo dell'elettronica e dell'informatica ed avranno un impatto notevole in tutti i settori industriali basati sulle applicazioni delle scienze della vita. Sono destinate ad avere un ruolo crescente per uno sviluppo sostenibile del pianeta, essendo finalizzate a proteggere gli ecosistemi dagli effetti nocivi legati all'aumento dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione. Per ottenere benefici nel pieno rispetto dell'ambiente, sarà necessario inserire queste tecnologie sia nel contesto dell'ecosfera che nella cultura umana. La soluzione possibile per un adeguato sviluppo delle biotecnologie è rappresentata da una corretta analisi dei rischi e dei benefici certi, tenendo conto anche dei possibili effetti negativi che si possono avere. Tra questi ultimi citiamo: potenziali rischi per la salute umana e per l'ambiete associati al rilascio di organismi transgenici e all'uso di alimenti O.G.M. riduzione della biodiversità vegetale possibili speculazioni legate alla brevettabilità del materiale genetico. Benché la massa delle conoscenze biotecnologiche che attendono di trovare un uso produttivo sia molto grande, il numero effettivo delle applicazioni non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità e sarà determinato non da fattori tecnico-scientifici, ma dalle politiche degli investimenti industriali, dalle richieste del mercato, dal costo dei nuovi processi sviluppati, dagli aspetti riguardanti la sicurezza e le normative e, cosa più importante, dalla percezione che l'opinione pubblica avrà di queste nuove tecnologie. L'atteggiamento della gente è legato alla percezione dei pericoli insiti nelle tecniche di manipolazione genetica. Per promuovere presso l'opinione pubblica tali innovazioni è essenziale che si abbia il dibattito più ampio possibile. Solo in questo modo la rivoluzione biotecnologica sarà tale ed ognuno potrà disporre delle informazioni necessarie per formulare un giudizio libero da paure irrazionali, condizionamenti e pregiudizi sulle scelte da fare. Ulteriori approfondimenti delle problematiche connesse al corretto utilizzo delle biotecnologie sono sviluppati nel modulo "Aspetti socio-culturali delle biotecnologie". Il DNA viene estratto da campioni di liquidi biologici di varia natura, di capelli o di tessuti e successivamente viene tagliato in una serie precisa di frammenti con enzimi di restrizione; i frammenti così ottenuti, vengono separati mediante elettroforesi su gel di agarosio, il quale agisce da setaccio molecolare per separarli in base alle dimensioni. Si forma una serie (pattern) di bande, unica per ogni individuo. La probabilità di avere due DNA fingerprint uguali è di uno a un milione. Infatti, ad eccezione dei gemelli omozigoti identici, non esistono due individui che abbiano nel loro DNA la stessa sequenza di nucleotidi. Le differenze nella sequenza di nucleotidi di differenti campioni di DNA si possono identificare confrontando le lunghezze dei frammenti prodotti per mezzo della frammentazione (digestione), catalizzata dallo stesso enzima di restrizione. Sono enzimi che tagliano la doppia elica del DNA in corrispondenza di specifiche sequenze; essi sono anche chiamati endonucleasi di restrizione, distinti dalle esonucleasi che distruggono il DNA partendo dalle estremità. Il fenomeno della restrizione è stato scoperto nelle cellule batteriche nel 1950. Esistono molti tipi diversi di enzimi di restrizione, ognuno dei quali riconosce una sequenza particolare. Essi proteggono i batteri dall’introduzione di molecole di DNA esogeno. La cellula batterica li sintetizza per tagliare il DNA “estraneo” e, quindi, disattivarlo. Gli enzimi di restrizione sono altamente specifici: ad ogni enzima corrisponde una precisa sequenza di taglio detta sequenza di riconoscimento. Il taglio determina: la rottura del legame fosfodiestereo tra lo zucchero di un nucleotide e il fosfato di quello adiacente lungo la catena la rottura di alcuni legami a idrogeno fra le basi azotate complementari In corrispondenza del taglio si formano due estremità a filamento unico, formate da pochi nucleotidi. Le estremità a filamento unico si dicono coesive o appiccicose perché si possono legare con altre altre estremità a filamento unico complementari, ottenute usando lo stesso enzima di restrizione su altre molecole di DNA. In alcuni casi il taglio dell'enzima è netto e non si formano estremità a filamento unico, ma estremità piatte o non coesive. Nel 1970 Hamilton Smith ha isolato il primo enzima che taglia il DNA a livello di una sequenza nucleotidica specifica. Attualmente sono noti più di 1200 tipi di enzimi di restrizione nelle varie specie batteriche. Il DNA batterico risulta inattaccabile perché le sequenze di nucleotidi riconosciute dall'enzima vengono “mimetizzate” aggiungendo gruppi chimici particolari, gruppi metilici, e quindi, protette dall'attacco dell'enzima. Endonucleasi di restrizione e metiltransferasi formano il sistema di modificazione e restrizione dei batteri. Gli enzimi di restrizione vengono indicati con una sigla che indica la specie batterica che li produce e le condizioni necessarie per isolarli, ad esempio per ECO R I ECO indica Escherichia coli R il tipo di batterio I indica che si tratta del primo enzima isolato La tecnica dell'elettroforesi è un metodo chimico-fisico di separazione di miscele complesse, basato, sulla diversa mobilità che hanno le molecole contenute in miscela quando sono sottoposte all'azione di un campo elettrico. Tra le varie tecniche quelle dell'elettroforesi su gel rappresentano un valido strumento di analisi degli acidi nucleici e proteine poiché permettono di separare molecole di diverso peso molecolare, forma, carica e composizione presenti in una miscela. La mobilità elettroforetica delle particelle sottoposte ad esame, ossia la velocità di migrazione attraverso il gel scelto, dipende infatti dalla massa, dalla dimensione, dalla carica e dalla forma delle molecole. La mobilità è definita come il rapporto tra la velocità della particella (cm/s) e il campo elettrico utilizzato (Volt/cm). L'elettroforesi su gel separa frammenti di DNA in base alla loro dimensione: il principio di base è quello di una rete molecolare attraverso la quale le molecole di DNA vengono fatte passare mediante un campo elettrico. Frammenti di lunghezza minore sono meno ostacolati nella loro corsa attraverso le maglie del gel, per cui si muovono a velocità maggiore rispetto a frammenti più lunghi. Poiché in condizioni standard la mobilità elettroforetica di molecole di DNA è proporzionale al logaritmo della loro massa, alla fine di una corsa elettroforetica i frammenti più piccoli si troveranno più distanti dal punto di caricamento del campione nel gel, mentre i frammenti più grossi saranno localizzati nella parte prossima ad esso. Il DNA migra verso il polo positivo poiché è carico negativamente a causa della presenza dei gruppi fosfato (PO43-). Il gel d'agarosio è un polisaccaride che viene solitamente usato per l'analisi di campioni di DNA. L'agarosio si ottiene per purificazione dell'agar, un colloide presente in quantità elevate nelle alghe rosse specialmente nei generi Gelidium, Gracilaria e Pterocladia, ed è chimicamente costituito da due componenti principali: un polimero neutro, l'agarosio, formato da unità ripetute di galattopiranosio e 3,6 deidro-galattopiranosio e un'altra parte, detta agaropectina, fortemente ionica, contenente polimeri di galattosio solfato, acido D-glucuronico e acido piruvico. L'agarosio ha la proprietà di fondere a 80°C gelificare a circa 40°C. Il fago lambda è un virus batteriofago costituito da una testa icoesaedrica, contenente il DNA spiralizzato, e da una coda che permette il riconoscimento del batterio, il posizionamento del fago e l'inoculazione del DNA. Il genoma del lambda contiene circa 50.000 coppie di nucleotidi e codifica circa 50 proteine. Il suo DNA a doppia elica può esistere sia in forma circolare che lineare. Ha diversi stili di vita possibili: può distruggere la cellula ospite o ne può diventare parte. Nel primo caso, la via litica, le funzioni del virus sono completamente espresse: il DNA e le proteine virali sono rapidamente prodotte e ricomposte nelle particelle virali; ciò porta alla lisi (distruzione) della cellula ospite e all'improvvisa comparsa nell'ambiente esterno di circa 100 nuove particelle virali. Nel secondo caso, la via lisogenica, il DNA del fago viene inserito nel genoma della cellula ospite e le estremità libere delle molecole lineari (cosR e cosL, complementari) del DNA infettante si uniscono a formare un cerchio di DNA, che si integra nel cromosoma circolare dell'ospite (ricombinazione sito-specifica). LE DIMENSIONI DEL FAGO LAMBDA Il batterio lisogeno che ne risulta, che porta il cromosoma provirale lambda, si moltiplica normalmente fino a che non viene sottoposto ad un stimolo ambientale, come l'esposizione alla luce ultravioletta o alle radiazioni ionizzanti. La debilitazione cellulare che ne risulta induce il profago integrato a lasciare il cromosoma ospite, determinando l'inizio di un ciclo normale di replicazione virale. In questo modo il profago integrato non muore necessariamente con il suo ospite danneggiato ma ha una possibilità di sfuggire e di entrare in altre cellule di E.coli. I virus sono forme di vita particolari caratterizzate da: struttura subcellulare assenza di qualsiasi attività metabolica propria Possono essere considerati parassiti endocellulari obbligati perché realizzano il loro ciclo vitale esclusivamente all’interno della cellula ospite, nella quale inseriscono il proprio acido nucleico e si moltiplicano. Il termine virus deriva dal latino e significa veleno; esso è stato correlato a forme di vita solo in seguito alla costruzione del microscopio elettronico. Alcuni biologi ritengono che gli agenti infettivi virali siano degli organismi viventi. Altri, invece, la pensano diversamente; Salvador Luria, uno dei pionieri degli studi sui batteriofagi, descrisse i virus come "frammenti di eredità in cerca di un cromosoma". COME SONO FATTI I VIRUS? I virus sono costituiti essenzialmente da una molecola di acido nucleico racchiusa in un involucro proteico o capside; quest’ultimo può essere costituito da un'unica molecola proteica ripetuta più e più volte, oppure può essere formato da diversi tipi di proteine (capsomeri). VIRIONE è il termine che indica la struttura del virus. Si distinguono due tipi di strutture: virione nudo e virione rivestito, quest'ultimo caratterizzato da un involucro esterno al capside, formato da lipidi e proteine detto pericapside. La forma dei virus può essere di tre tipi: 1 – elicolidale: i capsomeri formano un’elica all’interno della quale è contenuto l’acido nucleico, tali virus hanno un aspetto di bastoncini rigidi o filamentosi 2 – poliedrica: il capside ha la forma di un icosaedro (solido con 20 facce triangolari equilatere, 12 vertici e 30 spigoli), tali virus hanno un forma sferica 3 – complessa: deriva dall’associazione delle due forme precedenti e riguarda soprattutto i virus dei batteri. Si può riconoscere una testa poliedrica e una coda elicoidale. La testa contiene l’acido nucleico e la coda collegata alla testa dal collo, serve per far aderire il virus alla membrana della cellula ospite ed inserire in questa il genoma virale. La composizione del rivestimento proteico determina la specificità del virus. Un virus può infettare una cellula solo se questo tipo di cellula possiede sulla sua superficie i recettori a cui possono legarsi le proteine virali: perciò i batteriofagi attaccano solo le cellule batteriche; il virus del mosaico del tabacco attacca solo le cellule delle foglie delle piante di tabacco, e i virus del comune raffreddore invadono le cellule del rivestimento dell'apparato respiratorio umano. I virus di distinguono a seconda della cellula ospite in: Virus batterici o fagi Virus vegetali o fitofagi Virus animali o zoofagi I virus non contengono citoplasma, né dispositivi metabolici e possono moltiplicarsi solo all'interno di una cellula viva. In alcune infezioni virali il rivestimento proteico viene abbandonato fuori dalla cellula ed entra solo l'acido nucleico; in altre entra nella cellula il virus completo ma, una volta dentro, il suo rivestimento proteico viene distrutto dagli enzimi e libera l' acido nucleico virale. All'interno della cellula ospite l'acido nucleico virale dirige la produzione di nuovi virus; ciò avviene utilizzando non solo i materiali di base della cellula, quali i nucleotidi e gli amminoacidi, ma anche gli enzimi, le molecole di tRNA, i ribosomi, le molecole di ATP e altre fonti energetiche cellulari. A seconda del tipo di virus, il suo acido nucleico (ossia il cromosoma virale) può essere costituito da DNA o da RNA, a filamento singolo o doppio, circolare o lineare. COME SI RIPRODUCONO I VIRUS? La riproduzione dei virus prevede la fabbricazione dei componenti virali (acido nucleico e proteine del capside) ed il loro assemblaggio. Il ciclo riproduttivo avviene in 5 fasi: 1. 2. 3. 4. 5. Adsorbimento Penetrazione Replicazione Maturazione Liberazione Quando i virus a DNA infettano una cellula, si verificano due processi: il DNA virale si duplica, formando molte molecole di DNA, e viene trascritto in mRNA, il quale poi dirige la sintesi delle proteine virali. La situazione è analoga per la maggior parte dei virus a RNA: l'RNA si duplica producendo molti RNA virali, ma viene anche utilizzato direttamente come mRNA. Il cromosoma virale codifica sempre per le proteine del rivestimento e per uno o più enzimi coinvolti nella duplicazione del cromosoma virale. Nella maggior parte dei virus i cromosomi codificano anche per gli enzimi che, una volta assemblate le nuove particelle virali, li rendono capaci di lisare (demolire) la cellula ospite e di fuoriuscire. Il ciclo infettivo è completo quando le molecole di acido nucleico virale appena sintetizzate vengono avvolte in nuovi involucri proteici e le particelle virali fuoriescono dalla cellula ospite. Sono caratterizzati da una struttura complessa. Il genoma è formato da DNA. Nella maggior parte dei casi manca il pericapside. I fagi più conosciuti sono quelli a struttura complessa che infettano il batterio E. Coli; essi sono suddivisi in tre famiglie in base alla lunghezza della coda. Quelli più conosciuti sono del tipo T pari (se ne conoscono ben 7 tipi). Alcuni sono temperati come il VIRUS LAMBDA, molto usato nelle tecniche di DNA ricombinante, per il trasferimento di geni. I batteriofagi possono essere isolati e coltivati facilmente su giovani colture di batteri in accrescimento in brodo o su piastra di agar. Nelle colture liquide la lisi dei batteri può rendere limpida una coltura torbida, mentre su piastre di agar sono visibili a occhio nudo zone limpide chiamate placche. CICLO LITICO E CICLO LISOGENO Si tratta di una caratteristica che riguarda solo i fagi che quando infettano le cellule batteriche possono presentare due tipi di evoluzione Ciclo Litico 1. Ciclo litico: si riproducono le particelle virali e la loro liberazione avviene per lisi batterica 2. Ciclo lisogeno: l’infezione non è produttiva, perché il genoma virale viene incorporato nel cromosoma batterico per ricombinazione formando cellule batteriche dette batteri lisogeni che si moltiplicano e generano altre cellule con genoma virale integrato nel loro cromosoma. Ciclo Lisogeno Si definiscono inoltre i seguenti termini: PROFAGO: genoma virale integrato nel cromosoma batterico BATTERI LISOGENI: batteri che ospitano il profago FAGO TEMPERATO: virus che può generare un ciclo lisogeno Descrizione. Questa tecnica permette di analizzare i frammenti di DNA del Fago Lambda (vedi Approfondimenti 1-6 dell'Unità 5 del Modulo "La nuova biologia") ottenuti mediante reazioni specifiche catalizzate da enzimi di restrizione (EcoRiI e HindIII) e successivamente separati mediante la tecnica dell'elettroforesi su gel di agarosio. La specificità delle reazioni di restrizione (taglio del DNA fagico), dà luogo a set di bande (pattern) diverse a seconda dell'enzima utilizzato. La comparazione dei set di bande così ottenute con campioni di frammenti (Marker II) di peso molecolare noto, consente di avere una analisi quantitativa di ogni singola banda ottenuta. Tale tecnica è alla base delle metodiche di indagine sul DNA in diversi campi applicativi, non ultimo quello delle scienze forensi. Obiettivi formativi. Insegnare allo studente le tecniche delle reazioni di restrizione e dell'elettroforesi su gel di agarosio, consentire allo stesso di familiarizzare con apparecchiature di laboratorio che operano in micro scala, dimostrare la specificità degli enzimi di restrizione, fornire allo studente un metodo di analisi comparativo per la valutazione dei dati ottenuti dall'esperimento di laboratorio. SI RINGRAZIA Classe: 2° H Docente: Benevento Gabriella Alunni partecipanti: Bellotti Raffaella, Di Girolamo Giuseppina, Guarino Rosa, Larducci Giuseppina, Luvrano Serena, Maione Marianna, Maione Teresa, Palumbo Rosita, Pirozzi Carmela, Quaranta Concetta. Classe: 2° A Docente: Tesone Saverio Alunni partecipanti: Di Girolamo Giovanna, Marra Assunta, Abbate Marianna, Di Febbraio Immacolata, Maione Eleonora, Orto Francesca, La Sala Roberto, D’ Alterio Giovanna, Passaro Marco, D’ Alterio Antonio.