UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA SIS INDIRIZZO MATEMATICO-FISICO-INFORMATICO Relazione per il laboratorio di “Fisica nucleare” “Interazione radiazione-materia e alcune applicazioni nella diagnostica per immagini” DOCENTE Professor Maina ALLIEVI Dott.sa M. Chiara Amedeo Dott.sa Francesca Masera Anno Accademico 2004 – 2005 INTRODUZIONE L’unità didattica proposta è un percorso per approfondire alcuni argomenti della fisica nucleare in campo medico; in particolare si vuole rivolgere l’attenzione verso le applicazioni nel campo della diagnostica. Questo argomento ci permette di analizzare delle applicazioni reali mostrando il forte rapporto tra fisica e tecnologia e stimolando la curiosità degli allievi nei confronti della fisica nucleare. Per affrontare la diagnostica per immagine è necessario introdurre alcuni concetti preliminari riguardanti la radioattività, la radiazione e le interazioni delle particelle cariche e dei fotoni con la materia: Elementi di radioattività Interazioni delle particelle cariche con la materia: particelle pesanti, elettroni e positroni Interazione dei fotoni con la materia: effetto fotoelettrico e Compton, creazione di coppie. Arriveremo poi a trattare l’uso di tali radiazioni in ambito medico concentrandoci sulle applicazioni in diagnostica: Radiografia e Tac Scintigrafia e Spect Pet Collocazione Classe V, Indirizzo Scientifico Periodo di svolgimento: secondo quadrimestre Prerequisiti Campo magnetico e campo elettrico. Le onde. Inquadramento generale della meccanica quantistica I nuclei degli atomi. Protoni e neutroni. Numero di massa e numero atomico. Isotopi. Sistemi di unità di misura. Obiettivi Sapere: Legge dei decadimenti radioattivi: decadimenti e . I raggi gamma. I raggi X Interazione della radiazione con la materia Conoscere i principi di funzionamento di alcuni strumenti utilizzati nel campo della diagnostica per immagini Saper fare: Utilizzare la legge dei decadimenti radioattivi. Calcolare la frequenza massima dei raggi X prodotti da elettroni immersi in una certa d.d.p.. Strumenti Libro di testo e appunti Slides per le lezioni sulle apparecchiature diagnostiche, immagini e referti medici. Tempi : 5 ore + ore per l’uscita didattica Spazi : aula e, se possibile, uscita didattica in un ospedale 2 FENOMENI DI INTERAZIONE DELLA RADIAZIONE CON LA MATERIA Elementi di radioattività La radioattività naturale fu osservata per la prima volta nel 1896 da Bequerel quando si accorse casualmente che i sali di uranio emettevano una radiazione penetrante. Ulteriori studi mostrarono che le radiazioni emesse erano caratteristiche dell’elemento e che potevano stabilirsi anche alcune relazioni quantitative. Si chiarì che gli atomi che emettono radiazioni sono instabili e decadono con formazione di nuovi atomi. L’impiego di campi magnetici ha permesso di stabilire che esistono tre distinti tipi di radiazione naturale indicate con radiazione , , e . Le prime due sono costituite da particelle cariche con polarità opposta dal momento che, sottoposte all’azione di un campo magnetico, subiscono deflessioni in direzione opposta l’una all’altra. Le particelle hanno carica positiva e sono costituite da 4 nuclei di 4He. Le particelle hanno carica negativa e sono costituite da elettroni. La radiazione non subisce deflessioni in un campo magnetico ed è di natura elettromagnetica. Le particelle citate sono emesse dal nucleo degli atomi radioattivi ed i fenomeni di decadimento sono legati alle proprietà nucleari delle singole specie di nuclei instabili. Talora sono emesse anche radiazione di origine atomica anziché nucleare dovute a fenomeni inerenti gli elettroni orbitali: è questo il caso dei raggi X. Decadimento radioattivo Tipi di decadimenti radioattivo: Sono stati osservati diversi tipi di decadimento radioattivo di nuclei instabili: a) decadimento : in tal caso il nucleo originario emette una particella ed il suo numero atomico Z diminuisce di 2 mentre il numero di massa A diminuisce di 4 secondo lo schema: A Z X A 4 Z 2 Y 4 2 He b) decadimento : il nucleo originario emette una particella che può essere o una - o una +, cioè un elettrone o un positrone. In tal caso il numero di massa rimane invariato mentre il numero atomico varia di una unità, secondo uno dei seguenti schemi: A Z A Z X X A Z 1 Y e n p e Y e p n e A Z 1 c) cattura elettronica: il nucleo originario cattura un elettrone orbitale dei livelli K o L, trasformandosi in un nucleo di numero di massa uguale e di numero atomico minore di una unità: p e n il nucleo risultante da un decadimento radioattivo è spesso lasciato in uno stato fortemente eccitato e si diseccita emettendo, in tempi dell’ordine di 10-13 secondi, l’energia in eccesso sottoforma di raggi di energia caratteristica. 3 Accade talora che l’emissione dei raggi dal nucleo residuo avvenga in tempi più lunghi spesso dell’ordine di ore: in tal caso lo stato eccitato del nucleo residuo è detto metastibile ed il nucleo in questo stato, godendo di una stabilità temporanea, è detto isomero del corrispondente nucleo nello stato fondamentale. Oltre alle particelle emesse dal nucleo originario o da quello finale, si può avere a causa del decadimento l’emissione di altre particelle provenienti da fenomeni legati agli elettroni orbitali: a. elettroni di conversione interna: quando un nucleo mette un fotone può avvenire che esso, attraversando la nuvola elettrica interagisca con un elettrone degli strati K, L, M , .. trasferendo ad esso la sua energia, si parla allora di elettroni di conversione interna, dato che dall’ atomo viene emesso un elettrone di energia parti a quella del fotone a meno dell’energia di legame dell’elettrone. b. Raggi X ed elettroni Auger: si tratta di fotoni ed elettroni di energia dell’ordine delle decine di KeV, emessi a seguito del riassestamento degli elettroni orbitali in tutti quei casi in cui l’atomo venga a trovarsi mancante di uno degli elettroni degli stati più interni. E’ necessario quindi suddividere la trattazione in tre parti e considerare radiazioni dovute a particelle cariche pesanti, a radiazioni + e - ed a radiazioni dovute a particelle neutre. Particelle cariche pesanti Le particelle La particella alfa è il nucleo dell’atomo di elio, costituito da due protoni e due neutroni, presenta quindi doppia carica elettrica positiva. Può essere originata dal decadimento di atomi pesanti che si trasformano in elementi più leggeri attraverso la perdita di 4 nucleoni. Il passaggio di una particella alfa attraverso un mezzo provoca, a causa della carica elettrica +2 e della massa 7400 volte maggiore di quella dell'elettrone, la ionizzazione di un gran numero di atomi (ionizzazione primaria). Ne consegue la creazione di un gran numero di coppie di ioni, consistenti in ioni negativi (elettroni liberi) e ioni positivi (l'atomo al quale è stato rimosso l'elettrone). Gli elettroni liberati possono, a loro volta, produrre un'ulteriore ionizzazione del mezzo (ionizzazione secondaria). Il processo di ionizzazione primaria causa una lenta perdita di energia cinetica alla particella alfa, che continua la sua corsa riducendo gradualmente la velocità finché si lega a due elettroni e si trasforma in un atomo di elio, con carica elettrica neutra. Poiché in aria ogni ionizzazione richiede in media 34 eV, una particella alfa con energia di 3.4 MeV produrrà circa 100.000 ionizzazioni e percorrerà circa 2 cm prima di fermarsi e diventare elettricamente neutra. Il percorso di una particella alfa, a parità di energia cinetica, è molto più breve di quello di particelle con massa minore. La radiazione alfa presenta quindi basso range di azione ma alta densità di ionizzazione. In aria il range medio di una particella alfa non supera i 4-5 cm, riducendosi drasticamente con l'aumentare della densità del mezzo, tanto che la radiazione alfa, con energia cinetica fino a 3 – 4 MeV, non riesce ad attraversare una barriera come la pelle. Oltre alla ionizzazione del mezzo attraversato, la particella alfa può provocare l'eccitazione di atomi, che consiste nel passaggio di un elettrone orbitale ad un orbita più distante dal nucleo portandosi in uno stato energetico più elevato. Il ritorno dell'elettrone all’orbita originale genera l’emissione di energia sotto forma di raggi X o di radiazione luminosa. Particelle cariche leggere: radiazioni + e - Le radiazioni + e - si presentano fisicamente come emissione rispettivamente di positroni e di elettroni. Quando il nucleo è instabile per difetto di neutroni, un protone in eccesso emette un positrone secondo la formula: p n e e 4 Il decadimento di un protone secondo questo schema può avvenire solo all’interno di un nucleo, a spese dell’energia di quest’ultimo, poiché la sua massa a riposo è minore della somma delle masse del neutrone e dell’elettrone. Il decadimento ß+ provoca una transizione isobara: il numero Z dell’atomo cui il protone appartiene si riduce di una unità e l’atomo si trasforma in un elemento chimico differente, situato a sinistra nella tavola di Mendelejev mentre resta invariato A. Quando invece il nucleo è instabile per eccesso di neutroni, il neutrone in eccesso si trasforma in protone secondo la formula: n p e e Un neutrone può decadere secondo il suddetto decadimento anche quando non è contenuto all’interno di un nucleo, essendo la sua massa a riposo maggiore della somma di quelle del protone e dell’elettrone. Anche il decadimento beta negativo provoca una transizione isobara: il numero Z aumenta di una unità e l’atomo si trasforma in un elemento chimico differente, situato a destra nella tavola di Mendelejev mentre resta nuovamente invariato il numero A. Il meccanismo di perdita di energia delle particelle leggere, in questo caso di elettroni, è concettualmente analogo a quello delle particelle cariche pesanti anche se vi sono alcune differenze. Il fenomeno più importante che coinvolge l’elettrone è la radiazione di frenamento detta di bremsstrahlung. L’elettrone venendo a contatto con il campo nucleare degli atomi del mezzo attraversato, subisce una deflessione, e quindi acquisisce successive decelerazioni che lo portano a perdere energia sotto forma di irraggiamento elettromagnetico. La perdita totale di energia per gli elettroni entranti in un mezzo è data sostanzialmente da due contributi, la cui importanza relativa dipende dall’energia dell’elettrone: un termine dovuto alla ionizzazione degli atomi del mezzo, che utilizzano l’energia fornitagli dall’elettrone nell’urto per liberare elettroni atomici, ed il termine di bremsstrahlung. La perdita di energia per irraggiamento è valutabile attraverso la formula: dE dE dE dxtot dxion dxbrem A basse energie predomina la ionizzazione mentre la bremsstrahlung diviene sempre più importante per valori alti. 5 Radiazioni neutre Le radiazioni neutre (raggi X, e neutroni), interagendo con gli atomi, cedono tutta o parte della loro energia a particelle secondarie direttamente ionizzanti che a loro volta interagiscono con la materia nel modo già descritto: per questo sono dette indirettamente ionizzanti. Le interazioni dei fotoni X e con gli atomi sono dovute alle forze elettromagnetiche, mentre i neutroni interagiscono tramite forze nucleari. Fotoni I fotoni trasferiscono la loro energia alla materia che attraversano per mezzo di complesse interazioni con i nuclei e gli elettroni atomici. Attraversando il mezzo la loro intensità decresce esponenzialmente secondo la legge: I I o e x con coefficiente di attenuazione lineare. Alcune di queste interazioni provocano la fuoriuscita di un elettrone orbitale da un atomo, con conseguente ionizzazione, o la creazione di una coppia elettrone-positrone. Tali elettroni producono a loro volta ionizzazione del mezzo. Il fenomeno della ionizzazione è alla base del meccanismo per il quale le radiazioni ionizzanti producono effetti radiobiologici e possono essere rivelate. Tra le varie possibili interazioni dei fotoni con la materia, solo alcune possono essere di interesse in medicina nucleare: Effetto fotoelettrico Avviene quando un fotone, di energia medio-bassa, interagisce con un elettrone delle orbite più interne (in genere dello strato K) cedendo tutta la sua energia. Il fotone scompare e l'elettrone acquista un’energia cinetica pari alla differenza tra l’energia del fotone incidente e quella di legame dell'elettrone. La ionizzazione provoca il riassestamento degli altri elettroni con emissione di radiazioni X caratteristiche o con l'emissione di un elettrone detto Auger. L'effetto fotoelettrico è più probabile per mezzi ad alto Z e per fotoni a bassa energia. Esso ha importanti risvolti in medicina nucleare e in radiobiologia. Effetto Compton Chiamato anche scattering incoerente, avviene quando un fotone interagisce con un elettrone libero o degli orbitali più esterni, debolmente legato al nucleo, cedendo parte della sua energia. Come risultato si ha l'emissione di un elettrone con una sua energia cinetica e di un fotone gamma secondario (gamma Compton) che si propaga in direzione diversa rispetto a quella del fotone originario secondo un angolo che dipende dall'energia ceduta all'elettrone, come si può osservare dalla formula: 2 1 2 h sin 2 me c 2 in cui 1 e 2 sono le lunghezze d’onda del fotone prima dell’urto e del fotone uscente dall’urto e è l’angolo di diffusione fra la direzione del fotone incidente e quella dell’elettrone. L'elettrone e il fotone di scattering possono a loro volta interagire con la materia fino ad esaurire la loro energia. Il fotone Compton può essere deviato in qualunque direzione, anche retrodiffuso; maggiore è l'energia ceduta all'elettrone, maggiore è l'angolo di deflessione (formato dalla traiettoria del fotone primario con quella del fotone secondario). Inoltre, maggiore è l'energia del fotone incidente, maggiore è l'energia ceduta all'elettrone. L'effetto Compton ha importanti risvolti in medicina nucleare e in radiologia perché, tra l'altro, è causa di degradazione della qualità dell'immagine. 6 Produzione di coppie Detto anche effetto fotonucleare, avviene per fotoni di energia superiore a 1.022 MeV, valore corrispondente alla massa delle due particelle che vengono generate dal fenomeno. Il fotone, interagendo col campo di forza del nucleo, scompare con la contemporanea creazione di un elettrone e di un positrone; tutta l'energia oltre la soglia di 1.022 MeV è distribuita in ugual misura tra le due particelle sotto forma di energia cinetica. L'elettrone così prodotto può provocare ionizzazioni, mentre il positrone va incontro ad annichilazione, con la conseguente produzione di 2 radiazioni gamma di 0.511 MeV dirette in direzioni diametralmente opposte. Questo fenomeno riveste poca rilevanza per la medicina nucleare perché radionuclidi di così alta energia non sono comunemente utilizzati in questa disciplina. Nel grafico riportato sotto si possono osservare le probabilità di avere l’effetto fotoelettrico, l’effetto Compton o la creazione di coppie in relazione all’energia. Nello schema a blocchi successivo si evidenziano i trasferimenti di energia fra fotoni ed elettroni, determinati da vari processi che si hanno nell’assorbimento di fotoni X nella materia. L’energia cinetica T degli elettroni positivi, viene in parte trasferita ad elettroni negativi (tratteggio). 7 Legge temporale dei decadimenti radioattivi E’ stato osservato che il decadimento di tutte le sostanze radioattive avviene seguendo lo stesso tipo di legge temporale. Il decadimento radioattivo è un processo esponenziale con una decrescita costante dell’intensità di disintegrazione in uguali intervalli di tempo. In ognuno di essi non si disintegra lo stesso numero di atomi, bensì la stessa percentuale degli atomi presenti. Per l’intensità di disintegrazione, dN/dT, detta anche attività , si ottiene: dN N dT o meglio dN N dT dove , chiamata costante di decadimento, è la costante di proporzionalità mentre il segno meno indica che l’attività decresce con il trascorrere del tempo. Se integriamo l’espressione sopra scritta otteniamo la legge esponenziale del decadimento radioattivo: N N 0 e t La costante di decadimento esprime la probabilità che un singolo atomo decada nell’unità di tempo. Più grande è il valore di è più rapidamente il radioelemento decade. Spesso è importante conoscere l’attività di un dato campione, piuttosto che il numero di atomi presenti. In tal caso, essendo: dN A N dt l’attività A del campione può essere trovata moltiplicando N cioè il numero di atomi presenti al tempo t, per la costante di decadimento dell’elemento. Si ha quindi: N N 0 e t N N 0 e t A A0 e t dove A0 è l’attività, ovvero l’intensità di decadimento del campione, al tempo t = 0 Vita media e tempo di dimezzamento La costante di decadimento è strettamente legata al concetto di vita media e di tempo di dimezzamento T1/2 del radioisotopo. La vita media è definita come l’inverso di : = 1/ e corrisponde quindi al tempo necessario perché l’attività di un dato radioisotopo si riduca di un fattore “e” rispetto al suo valore iniziale. Il tempo di dimezzamento T1/2 è il tempo necessario perché l’attività iniziale di un dato radioisotopo si riduca a metà. 8 Dalle relazioni generali si ottiene: A A0 e t 1 A0 A0 e 1 / 2 2 1 e T1 / 2 2 e quindi passando ai logaritmi: T1/2 = ln2 / = 0,693 / = 0,693 Ciascun atomo radioattivo ha il suo proprio schema di decadimento caratterizzato da due grandezze: 1) la vita media; 2) l’energia emessa. Misura dell’attività L’attività di una sostanza radioattiva si misura in Curie (Ci) e nel SI in Bequerel (Bq). Il Curie è definito come l’attività di un nucleo radioattivo che si disintegra con una intensità di 3,7 1010 dis/sec. Esso rappresenta la quantità di un particolare radioisotopo che si disintegra per unità di tempo. Occorre tener presente che molte volte il numero di disintegrazioni differisce dal numero di particelle emesse. Dose assorbita La dose assorbita è la quantità di energia che le radiazioni ionizzanti cedono alla materia per unità di massa di sostanza irradiata E’ quindi il rapporto tra l'energia delle radiazioni depositata e la massa di materia interessata. Come unità di dose assorbita si usa il rad (rate adsorbed dose) che corrisponde a un'energia di 100 E D D m erg assorbita per ogni grammo di materia. Un grammo di tessuto esposto a 1 röntgen assorbe circa 93 erg. Nel SI la dose assorbita si misura in gray (Gy). 1 Gy è la dose che viene assorbita quando l'energia per unità di massa, ceduta alla materia da una radiazione ionizzante, è 1 joule per kilogrammo.1 Gy è uguale a 100 rad. 9 IMPIEGO DELLE RADIAZIONI X E γ IN BIOLOGIA E IN MEDICINA La scoperta dei raggi X I raggi x vennero scoperti casualmente da Röntgen nel 1895. Già era stato osservato che lastre fotografiche, poste vicino a tubi catodici, si velavano; ma Röntgen in quell’anno si accorse che una sostanza fluorescente diventava luminosa in vicinanza del tubo catodico, anche a distanza di 1-2 m dal dispositivo. Dal tubo catodico doveva emergere una radiazione sconosciuta e molto penetrante. Röntgen chiamò radiazione x ( raggi x) la nuova radiazione e ne intraprese lo studio. I raggi x sono onde elettromagnetiche di frequenze molto elevate ( 1017 10 21 Hz). Per ottenere tale radiazione bisogna produrre delle transizioni dirette di elettroni tra gli orbitali più esterni di un atomo e gli orbitali più interni, oppure bisogna generare elettroni liberi con una energia cinetica molto più elevata di quella che si può ottenere in una normale sorgente termica. In questo secondo caso, gli elettroni liberi possono generare raggi X se vengono frenati bruscamente. Il tubo a raggi X Nell’immagine si può osservare l’apparecchio usato per la produzione dei raggi X. Si tratta di un tubo, all’interno del quale viene fatto il vuoto, e nel quale sono presenti un catodo e un anodo. Il catodo è costituito da un filamento di metallo nel quale viene fatta passare una corrente elettrica fornita da un generatore di bassa tensione ed alta corrente. Se la corrente è abbastanza elevata, il filo diventa incandescente per effetto Joule. In un metallo portato a temperatura elevata, gli elettroni di conduzione possono raggiungere un’energia cinetica media di agitazione termica che è sufficiente a superare l’energia che tiene legati gli elettroni al metallo, provocando così la loro emissione dal metallo stesso ( effetto termoionico). Per quanto riguarda l’anodo, esso è formato da una piastra di un metallo che deve avere i seguenti requisiti: grande numero atomico Z, elevata temperatura di fusione, buona conducibilità termica. In genere si usa il tungsteno. Tra anodo e catodo si stabilisce una differenza di potenziale elettrico (preferibilmente di tipo continuo, per cui la d.d.p alternata viene raddrizzata con un raddrizzatore a diodo) molto elevata, da 10000 a un milione di volt, a secondo dell’impiego che si vuole fare dei raggi X. Produzione e spettro dei raggi X Gli elettroni emessi dal filamento si dirigono verso l’anodo e lo colpiscono con una energia cinetica pari a eV . Dall’urto degli elettroni contro l’anodo vengono prodotti raggi X attraverso due meccanismi: 10 i. il primo, e più importante, dà luogo alla cosiddetta radiazione di frenamento (bremsstrahlung). L’elettrone, urtando ad altissima velocità l’anodo o il catodo, penetra in esse e viene bruscamente frenato dall’interazione con gli elettroni atomici e deviato dai nuclei degli atomi del materiale. Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia dei fotoni X prodotti deve essere uguale all’energia cinetica persa dall’elettrone. A seconda della rapidità con cui l’elettrone viene frenato, si può avere la produzione di uno o più fotoni. È evidente quindi che i raggi X, emessi per frenamento degli elettroni, possono avere tutte le frequenze possibili, fino a una frequenza massima, che corrisponde al processo in cui tutta l’energia cinetica di un elettrone viene trasformata in un unico fotone X. La massima frequenza dei raggi X presenti nello spettro è data quindi dalla relazione: eV = h max lo spettro di emissione dei raggi X è quindi continuo (spettro bianco), con una frequenza di taglio che è direttamente proporzionale alla d.d.p. V esistente fra anodo e catodo. Per variare le frequenza, cioè l’energia , dei fotoni basta agire sul potenziale acceleratore. Viceversa, per variare l’intensità del fascio di raggi X, bisogna variare la corrente che attraversa il tubo cioè il numero di elettroni che bombardano l’anodo. A parità di corrente fornita dal generatore, maggiore è il valore di V maggiore sarà il numero di elettroni che raggiunge l’anodo. Quindi è possibile aumentare l’intensità dei raggi X emessi anche incrementando la d.d.p. fra anodo e catodo. 11 ii. il secondo è dovuto a transizioni di elettroni tra gli orbitali atomici del materiale dell’anodo, in cui penetrano gli elettroni accelerati nel tubo. L’elettrone che colpisce l’anodo possiede abbastanza energia da espellere per urto un elettrone che si trovi in un orbitale interno di un atomo dell’anodo.l’orbitale lasciato libero viene subito occupato da un elettrone di un orbitale più esterno, che nella transizione emette un fotone X di energia h uguale alla differenza di energia tra i due orbitali. Dunque allo spettro bianco della radiazione di frenamento si sovrappone un’emissione di raggi X a frequenze ben determinate, cioè uno spettro a picchi molto stretti che prendono il nome di righe spettrali. Le frequenze di queste righe sono determinate dalle energie degli orbitali e quindi dal tipo di materiale usato come anodo. Se si considera una stessa riga dello spettro, si trova che la frequenza è funzione del numero atomico Z dell’elemento che costituisce l’anodo, secondo la relazione (legge di Moseley): dove A e b sono due costanti. A dipende dai numeri quantici principali degli orbitali coinvolti nella transizione, mentre la seconda rappresenta l’effetto di schermo che gli elettroni più interni esercitano su quelli più esterni. La Radiazione X in diagnostica: radiografia e TAC 12 Assorbimento In virtù della loro elevata frequenza, i raggi X penetrano nella materia più facilmente che altre radiazioni di frequenza inferiore. Questo fa si che per i raggi X tutte le sostanze siano trasparenti, anche se in misura diversa a seconda del peso atomico della sostanza. L’assorbimento dei raggi X nella materia può essere studiato mediante un dispositivo formato da un collimatore, un assorbitore e un rivelatore dove un fascio collimato di raggi X, di intensità I0 giunge a un rilevatore dopo aver attraversato un materiale assorbitore di spessore X. A causa delle interazione con gli atomi del materiale attraversato, il fascio emergente possiede una intensità inferiore a quella incidente I0. L’intensità misurata I del fascio emergente dall’assorbitore diminuisce al crescere del suo spessore X con la legge esponenziale : dove il coefficiente µ è il coefficiente lineare di assorbimento totale e si misura cm-1. In generale l’interazione dei raggi X con la materia avviene secondo i seguenti processi: diffusione effetto fotoelettrico effetto Compton produzione di coppie elettrone e positrone È opportuno notare che lo spettro di X emesso da un tubo a raggi X non è monocromatico: ciò comporta una curva di attenuazione ,in funzione dello spessore attraversato, non perfettamente esponenziale, a causa della dipendenza del coefficiente µ dall’energia dei fotoni incidenti e nel complesso risulta una curva del tipo mostrato nella figura che segue (curva A) È possibile produrre raggi X praticamente monocromatici interponendo un assorbitore sul fascio prodotto da un tubo a raggi X. Tale assorbitore deve essere trasparente alla riga spettrale caratteristica dello spettro di emissione in analisi. LA RADIOGRAFIA. L’impiego più importante e più diffuso è quello a scopo diagnostico. Il corpo umano è costituito da tessuti che posseggono coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui valore dipende dal numero atomico Z degli elementi costituenti e dal diverso stato di condensazione dei tessuti. In figura sono mostrate in funzione dell’energia dei fotoni incidenti,le curve dei coefficienti di attenuazione lineare per differenti tessuti biologici. La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica: infatti un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando un corpo non omogeneo, viene assorbito in modo differente creando più o meno ombre nell’immagine radiologica. L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in un immagine visibile. Con la radiografia si intercetta il fascio di raggi x emergente dal corpo su una lastra o una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce così un’immagine negativa, nel 13 senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minore attenuazione mentre quelle chiare rappresentano le ombre di oggetti più opache attraversate dal fascio di raggi X. Fra il paziente le la lastra viene interposto un diaframma costituito da una successione di lastrine di piombo che creano delle fessure disposte lungo la direzione di una retta proveniente dalla sorgente del fascio di raggi X. Lo scopo del diaframma è quello di eliminare la radiazione diffusa dal corpo attraversato, che renderebbe meno nitida l’immagine. Schema di apparecchiatura a raggi X per radiologia; il diaframma è posizionato fra il paziente e la lastra. Immagine (negativa) prodotta nella radiografia. La visibilità di un oggetto con i raggi X dipende dalla differenza esistente tra l’assorbimento dell’oggetto e quello dei mezzi circostanti. Consideriamo per esempio le ossa che sono i tessuti mesi più facilmente in risalto nelle radiografie. Esse sono costituite per lo più di calcio, il cui numero atomico è Z = 20. I tessuti circostanti sono costituiti in gran parte da acqua con Z = 10. Poiché il coefficiente di assorbimento cresce molto rapidamente al crescere di Z (infatti ) si vede facilmente che le ossa assorbono circa 16 volte di più dei tessuti circostanti. Questo contrasto radiologico può essere ottenuto anche artificialmente con l’utilizzo di mezzi di contrasto (sali di bario o Bismuto) ad esempio per lo studio dell’apparato digerente. Considerazioni: il limite della comune radiografia è il fatto che su di essa si va ad esaminare un’immagine che riproduce in due dimensioni ciò che per sua natura è tridimensionale. Questo limite viene superato con la tomografia assiale computerizzata. TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA (TAC O CT) La tomografia assiale computerizzate (TAC o CT da computer Tomography) è una tecnica radiografica in cui le immagini a raggi X di sezioni del corpo (mappe di attenuazione dei raggi X) sono ricostruite tramite opportuni programmi di calcolo a partire da numerose curve di attenuazione ottenute a diversi angoli. per ogni angolazione si ottiene una curva di assorbimento della radiazione X, di cui 5 sono riportate in figura. Procedure matematiche simili sono impiegate per ottenere immagini topografiche dai dispositivi PET, SPECT. Gli elementi tecnologici determinanti per un dispositivo TAC sono: un tubo a raggi X monocromatici, ad alta intensità dei rivelatori di raggi X compatti e di grande stabilità nel funzionamento un calcolatore digitale di elevate prestazioni e dotato di una sufficienza memoria un sistema di visualizzazione delle immagini orientato in senso clinico. All’inizio degli anni 70 si resero disponibili tutti questi elementi ed ebbe inizio lo sviluppo di generazioni successive di apparati TAC. 14 Questi, in generale, sono costituiti da un tubo a raggi X, che si muove una traiettoria circolare, puntato verso il centro di rotazione, con il paziente disposto lungo l’asse di rotazione e di rivelatori che ruotano simultaneamente intorno allo stesso asse, oppure che sono in posizioni fisse intorno al piano di rotazione. I primi dispositivi per TAC usavano invece un traslazione lineare e rotazioni di 180 gradi, con un passo di un grado e con tempi di 3 – 4 minuti per l’acquisizione delle misure per ogni immagine. Con le generazioni successive sono entrati in uso rivelatori multipli in moto circolare assieme al tubo a raggi X, oppure rivelatori fissi con il solo tubo a raggi X in moto. Le successive soluzioni hanno ottimizzato alcuni parametri, come la stabilità di funzionamento dei rivelatori, il tempo di acquisizione delle misure e il costo dell’apparato. Attualmente nei dispositivi utilizzati si è arrivati a tempi di acquisizione dell’ordine di alcuni secondi L’immagine della sezione di un oggetto viene ricostruita eseguendo un insieme di misure di attenuazione del fascio monocromatico di raggi X a diverse angolature, per almeno 180 gradi attorno all’oggetto in modo che ciascun elemento che lo costituisce venga campionato in almeno due direzioni ortogonali. L’immagine viene ricostruita dalla mappa delle attenuazioni di ciascun elemento. La ricostruzione dell’immagine è affidata ad opportuni algoritmi matematici che operano sulle misure iniziali organizzate in una matrice di dati, cui si aggiunge l’impiego di diversi tipi di filtri, anche essi basati su algoritmi matematici che aumentano il contrasto e quindi la definizione dell’immagine stessa. Nelle immagini possono apparire artefatti, speso causati dai movimenti del paziente, che determinano sfasamenti nella proiezione delle attenuazioni di raggi X. La stabilità di funzionamento del tubo a raggi X e dei rivelatori è indispensabile sia per ottimizzare la ricostruzione, sia per evitare artefatti originati dal dispositivo stesso. I raggi X, emessi nei moderno dispositivi TAC, hanno un’energia media di 70 KeV, con un flusso di circa 3 1012 fotoni al secondo per kW consumato. L’energia necessaria per ottenere un’immagine clinicamente valida è di circa 10-100 kJ e poiché la capacità termica dell’anodo del tubo a raggi X è dell’ordine di 300-1000 kJ, ciò significa che solo un numero limitato di immagini ad alta qualità può essere ottenuto prima che si raggiunga una temperatura critica, con la necessità di un lungo periodo di raffreddamento. Pertanto, i tempi di utilizzo del dispositivo sono condizionati anche dall’elevata energia che viene dissipata per ogni paziente esaminato. I rivelatori di raggi X impiegati nei dispositivi TAC sono costituiti da materiale scintillatore allo stato solido oppure da rivelatori basati sulla ionizzazione di gas; devono soddisfare le seguenti esigenze: devono essere di piccole dimensioni, economici e funzionare in modo molto stabile con un basso rumore di fondo. Gli scintillatori solidi forniscono un impulso luminoso nello spettro visibile ogni qual volta assorbono un fotone X. Questo impulso di luce viene convertito in un segnale elettrico da un fotomoltiplicatore (vedi paragrafo sulla scintigrafia). Nei rivelatori a gas, tra due elettrodi è applicata un’elevata differenza di potenziale elettrico, per cui gli ioni, originati dal passaggio di fotoni X nel gas (xenon), danno luogo ad un impulso di corrente che viene raccolto dagli elettrodi. Il segnale in corrente elettrica che ne deriva, opportunamente amplificato, è proporzionale al flusso di raggi X che attraversa il rivelatore. Nella figura è mostrato un diagramma a blocchi delle parti principali costituenti una apparecchiatura TAC. 15 Il sistema di calcolo mostra le immagini su monitors televisivi, ne permette la manipolazione e le immagazzina su sopporti magnetici. La manipolazione dell’immagine sullo schermo è molto importante per il radiologo per poterne ricavare il massimo contenuto informativo. I tessuti più densi sono mostrati in bianco ed in nero quelli meno densi (come nelle lastre radiografiche). Prima di concludere è opportuno confrontare la dose media di radiazioni assorbite durante una TAC, con quelle in altri esami radiologici. Le immagini ricostruite nelle TAC corrispondono a più sezioni bidimensionali dell’organo interessato e la loro risoluzione sarà tanto migliore, quanto minore è lo spessore x della sezione. Per questo fatto la dose di radiazioni D risulta essere un importante fattore limitante nella risoluzione delle immagini TAC (e anche SPECT e PET), poiché essa è inversamente proporzionale allo spessore elevato al cubo: D x-3. Per diminuire di un fattore due lo spessore, e aumentare la risoluzione, è necessario aumentare la dose di un fattore 8. Nel caso di una singola immagine TAC del cranio, il compromesso si ottiene per dosi di circa 10-20 mGy, cui corrispondono circa 70-150 mGy per una TAC cerebrale completa dose confrontabile con le radioscopie. La Radiazione γ in diagnostica LA SCINTIGRAFIA (o ECT emission computer tomography) La radiazione γ è emessa nel decadimento di nuclei instabili (o radionuclidi). La moderna tecnologia permette di produrre artificialmente radionuclidi e di ottenere intensi fasci di tali radiazioni. Grazie a ciò negli ultimi decenni si è sempre più diffuso l’uso delle radiazioni gamma in medicina e in biologia. In campo diagnostico i radioisotopi sono particolarmente utili come traccianti, cioè come segnalatori della distribuzione topografica di opportuni elementi nel sistema biologico o in sue parti. Sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi per poter eseguire le misure. Quando un radiofarmaco è introdotto in un paziente per scopi diagnostici, questo diffonde seguendo le leggi della diffusione, partecipando eventualmente anche ai processi metabolici dell’organismo. La sua maggiore concentrazione in determinate zone costituisce un’indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo interessato, da cui trarre un’immagine. La quantità di radiofarmaco da utilizzare a seconda dei casi viene generalmente definita sulla base di tre parametri: il tempo di diffusione del radionuclide, la sua vita media e il danno da radiazione che esso può provocare. Se la vita media del radionuclide è molto breve in paragone al tempo necessario a diffondere nei tessuti sotto indagine, sarà necessario introdurne una maggiore quantità (nel limite consentito). Riportiamo in una tabella le caratteristiche di alcuni radionuclidi utilizzati in medicina nucleare: Elemento Radionuclide Idrogeno Carbonio Fluoro Sodio Cobalto Iodio 3 H C 14 C 18 F 24 Na 60 Co 125 I 131 I 11 Emissione (energia in keV) -(18.6) +(980), γ-(511) -(156) +(650), γ-(511) -(1389), γ-(1369) -(319), γ-(1332, 1173) γ-(35) -(608), γ-(35) Periodo di dimezzamento t1/2 12.26 anni 20.5 minuti 5640 anni 110 minuti 15 ore 5.27 anni 60 giorni 8.07 giorni 16 197 Mercurio Hg γ-(364) 65 ore 99 Tecnezio Tc γ Il radiofarmaco scelto deve essere selettivo, cioè deve essere depositato solo in un dato farmaco che lo metabolizza Esempi di impiego dei radionuclidi Volendo studiare l’assorbimento idrico da parte di una pianta, si utilizza l’acqua marcata con tritio, cioè in cui alcune molecole hanno un atomo di idrogeno sostituito con il suo isotopo radioattivo tritio (3H). Quando la pianta ha radici immerse in acqua la misura della radioattività nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico. Anche le cellule possono essere marcate: ad esempio, per misure di volume e di portata del sangue, i globuli rossi vengono marcati con 197Hg. Lo studio diagnostico della tiroide è stata una delle prime applicazioni dei radionuclidi (1930). Questo organo utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva, questa assorbe meno iodio di un soggetto normale, mentre in un soggetto con tiroide molto attiva essa ne assorbe una maggiore quantità. In presenza di cisti o tumori si rivela una zone in cui c’è minore assorbimento. Un organo sano metabolizza il radiofarmaco in modo uniforme. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo ( 131I) dopo 24 ore viene misurata la sua emissione radioattiva. Per l’analisi del fegato con l’utilizzo di 99Tc bastano 20 minuti. Per l’analisi dello scheletro, dal momento dell’iniezione del radionuclide, devono trascorrere 2 o 3 ore. Questi tempi di attesa sono necessari per permettere l’eliminazione del radiofarmaco dal resto del corpo; infatti l’organo targhetta deve essere l’unico emettitore. La misura può essere effettuata sia semplicemente contando il numero di emissioni di - e γ dal 131I per un tempo prefissato ( misura integrale di radioattività) sia misurando la distribuzione geometrica della radioattività. In questo ultimo caso si ottiene un’immagine dell’organo interessato ed il metodo è chiamato scintigrafia. In entrambi i tipi di misura vengono impiegati rilevatori di radiazioni gamma, solitamente contatori a scintillazione costituiti da un collimatore, da un materiale scintillante (per esempio ioduro di sodio) in cui le radiazioni gamma, per ionizzazione del materiale, determinano l’emissione di quanti di luce che sono rilevati da fotomoltiplicatori, trasformando la radiazione luminosa in impulsi elettrici. Tutto il dispositivo deve essere schermato dalla radiazione luminosa esterna. 17 Nel fotomoltiplicatore (al cui interno è fatto il vuoto), i fotoni di luce incidente causano l’emissione di elettroni da un catodo fotoelettrico (fotocatodo), che vengono accelerati da una d.d.p. fino al primo di una serie di elettrodi. L’impatto di ciascun elettrone incidente provoca l’emissione secondaria di altri elettroni (da due a cinque). Questi vengono accelerati verso l’elettrodo successivo dove si ripete il processo. In un fotomoltoplicatore a 10 stadi circa 106 elettroni raggiungono l’elettrodo raccoglitore finale. Si ottiene così un impulso di corrente elettrica di ampiezza sufficiente per essere amplificato e elaborato da opportuni circuiti elettronici. Tale ampiezza è proporzionale alla ionizzazione iniziale prodotta dallo scintillatore: maggiore è l’energia del fotone, maggiore è la quantità di luce prodotta nello scintillatore e più ampio saràil segnale elettrico fornito dal fotomoltiplicatore. Un’analisi dell’ampiezza dei segnali amplificati, ottenuti dal fotomoltiplicatore, fornisce quindi una misura dello spettro della radiazione gamma, consentendo di riconoscere l’emissione radioattiva dei particolari radionuclidi. Per ottenere immagini scintigrafiche di un organo si utilizzano le gamma-camere o scinticamere, costituite da un collimatore a fori multipli, uno scintillatore di grandi dimensioni (circa 35 cm di diametro con spessore di 2 cm) ed un mosaico di fotomoltiplicatori connessi allo scintillatore. Quando un raggio gamma passando attraverso un foro del collimatore, interagisce nello scintillatore le coordinate x,y del punto di interazione sono determinate sottoforma di impulsi elettrici, da un opportuno circuito elettronico che elabora i segnali di uscita dai fotomoltiplicatori. Questi impulsi sono trasferiti agli assi di uno oscilloscopio e generano sullo schermo un punto luminoso nella posizione corrispondente, tanto più luminoso quanto maggiore è il numero di gamma che giungono in quella posizione. Sullo schermo si ottiene un’immagine dell’organo sotto indagine. Quando si vuole studiare la funzionalità di un organo, per esempio il cuore, occorre qualcosa che fornisca la distribuzione temporale dei radioisotopi. Per questo motivo si fa una rapida sequenza di immagini a intervalli costanti. Questa metodologia si chiama scintigrafia dinamica. La differenza essenziale fra immagine radiologica e immagine scintigrafica consiste nel fatto che, mentre la prima è determinata dal differente assorbimento dei raggi X nei tessuti, la seconda è conseguenza del metabolismo dei vari organi, selettivo nei confronti di opportuni composti marcati con radionuclidi. Nell’ ECT l’attenuazione è un problema! Ecco perché si usano radioisotopi che decadono in γ, i quali riescono ad uscire dai tessuti. Se si adoperassero radioisotopi che decadono questi non uscirebbero dai tessuti o dalle ossa. Si osservi l’immagina sottostante: Tomografie ad emissione di positroni (PET) e di fotone singolo (SPECT) Le tomografie ad emissione di positroni o di fotone singolo sono tecniche diagnostiche non invasive utilizzate nella ricerca clinica per indagini di fisiologia, di biochimica dei tessuti e di farmacologia. 18 Esse si basano sulla rilevazione in vivo, e sulla formazione delle relative immagini, delle radiazioni (costituite da positroni o da fotoni emessi da particolari radioisotopi, introdotti come elementi traccianti nel sistema fisiologico sotto indagine. Queste tecniche sono molto simili alla TAC nel metodo di ricostruzione delle immagini. Cominciamo a considerare la tomografia ad emissione di positroni, in sigla PET, acronimo di Positron Emission Tomography. Questa tecnica utilizza radioisotopi che emettono positroni e fornisce immagini della distribuzione di questi radioisotopi in una sezione del corpo umano. Un positrone non è altro che un elettrone di carica positiva e+ , chiamato anche particella beta positiva, che percorre nel tessuto non più di circa un millimetro prima di essere catturata da un elettrone atomico (negativo) ed annichilarsi con questo emettendo due fotoni , ciascuno dell’energia di 511 keV, in direzioni opposte (come mostrato nella figura). Per individuare la distribuzione dei radionuclidi, il dispositivo PET rivela i due fotoni emessi dall’annichilazione del positrone. I radionuclidi sono prodotti presso i ciclotroni, bombardando opportuni isotopi stabili con protoni o deutoni, e permettono di sintetizzare, in un laboratorio di radiochimica, un’ampia gamma di composti fisiologici marcati. I radioisotopi emettenti e+ , più adatti allo scopo, sono isotopi di elementi biologici, quali l’ossigeno, l’azoto e il carbonio. 15O (t1/2 = 2,1 minuti) 13N (t1/2 = 10 minuti) 11C (t1/2 = 20,1 minuti). I rivelatori di fotoni gamma utilizzati nei dispositivi PET sono attualmente costituiti da rivelatori a scintillazione allo stato solido utilizzati anche nei dispositivi TAC. I due gamma, emessi dall’annichilazione del positrone, possono essere rivelati singolarmente oppure in coincidenza, entro una finestra temporale di circa 10 – 20 ns (1 nanosecondo = 10-9 s). La rivelazione in coincidenza possiede alcuni vantaggi, tra cui una migliore risoluzione spaziale. La collinearità viene assicurata da opportuni collimatori: per schermare i rivelatori dai fotoni non collineari sono necessari spessori notevoli (circa 15 cm di Pb).. Per ottenere le proiezioni tomografiche della distribuzione dei radionuclidi il dispositivo di rivelazione viene fatto ruotare intorno al paziente. Con i dati raccolti a diversi angoli, tramite opportune operazioni di filtraggio e di ricostruzione, entrambe eseguite dal calcolatore, si ottiene una mappa della distribuzione dei radionuclidi che evidenzia la struttura anatomica in cui essi sono localizzati. L’uso di contatori a scintillazione a stato solido comporta attualmente una risoluzione dell’ordine di 5 – 15 millimetri, a seconda del tipo di materiale scintillante utilizzato. Una risoluzione spaziale di 3 – 4 millimetri è considerata il limite pratico per i dispositivi PET a causa della non perfetta collinearità dei due fotoni e della distanza media (range) che i postroni percorrono prima di annichilire. Un particolare vantaggio della PET consiste nel fatto che, diversamente dalla tomografia ad emissione di un singolo fotone (SPECT) è possibile eseguire una precisa correzione dell’attenuazione dei fotoni gamma nei tessuti, poiché essa dipende solo dallo spessore totale del corpo attraversato: i due fotoni in coincidenza attraversano complessivamente l’intero spessore. Infatti essendo P1 il fattore di trasmissione del primo fotone e P2 quello del secondo fotone si ha: P1 e-x P2 e-(L-x) da cui il fattore di trasmissione delle coppie di fotoni 1 e 2 in coincidenza risulta essere: P12 P1 P2 e-x e-(L-x) = e-L 19 Che dipende solo dal coefficiente di attenuazione lineare e dal diametro L del bersaglio. Allora il numero di particelle emesso dal radioisotopo, distribuito nei tessuti, può essere facilmente calcolato da quello rivelato, noto il coefficiente di assorbimento e lo spessore L del corpo. Sono appunto le distribuzioni delle intensità emesse, ottenute alle varie angolazioni, che permettono di ricostruire la distribuzione spaziale dei radioisotopi, utilizzando algoritmi di calcolo simili a quelli della TAC. La risoluzione spaziale dei dispositivi PET dipende in modo determinante dal numero di fotoni collineari rivelati: tanto maggiore è questo numero, tanto migliore sarà l’immagine ricostruita. Tuttavia, per ragioni di sicurezza dosimetrica, vi è un limite massimo nella quantità di radionuclide che può essere somministrata al paziente e questa, a sua volta, limita il flusso di fotoni rivelati e quindi anche la risoluzione spaziale dell’immagine ricostruita. Infatti, i fotoni rivelati sono una frazione molto piccola del numero di radionuclidi somministrati, a causa dei seguenti fattori: a) i radionuclidi tendono a diffondere in tutto l’organismo, per cui solo una parte modesta si concentra nella zona sotto indagine; b) l’apertura angolare dei rilevatori consente la rivelazione solo di una piccola frazione dei fotoni collineari provenienti dall’annichilazione dei positroni; c) l’attenuazione dei fotoni nell’attraversare il materiale biologico; d) l’efficienza di rivelazione del rivelatore. Le valutazioni quantitative di questi fattori dipendono dagli organi sotto indagine e dal particolare sistema di rivelazione adottato dal dispositivo PET. Ad esempio, per il complesso dei fattori b, c e d normalmente viene rivelato solo l’1 –2 % dei decadimenti dei radionuclidi concentrati nell’organo oggetto di indagine. Il fattore c di attenuazione può essere corretto anche se esso è comunque fonte di amplificazione degli errori nella ricostruzione, e pertanto diventa molto importante cercare di incrementare l'efficienza del rivelatore e l’apertura del collineatore. Molto simile è il caso della tomografia ad emissione di fotone singolo, in sigla SPECT, acronimo di Single Photon Emission Computer Tomography. Anche in questo caso si tratta di produrre una mappa di distribuzione di radioisotopi, i quali, a differenza della PET, emettono singoli fotoni. Esiste una grande varietà di radioisotopi di questo tipo, correntemente utilizzati nella medicina nucleare: è questo attualmente il solo vantaggio pratico che la SPECT possiede nei confronti dei dispositivi PET, per i quali esistono assai pochi radionuclidi emittenti e+ utilizzabili. Vi sono essenzialmente due tipi di SPECT, a seconda dell’orientamento del bersaglio rispetto al rivelatore che produce le immagine tomografiche: longitudinale e assiale. In entrami il rivelatore dei fotoni gamma, che viene chiamato gamma camera, è costituito da uno scintillatore allo stato solido, cui sono anteposti opportuni collimatori di piombo. La SPEC longitudinale è stata la prima tecnica utilizzata per produrre tomografie in medicina nucleare. Essa consiste in una gamma camera con un collimatore puntiforme e si basa sul fatto che solo un piano, quello a distanza focale, produce un’immagine netta sul rivelatore, mentre tutti gli altri piani, fuori fuoco, producono solo immagini confuse. Nel caso della SPECT trasversale, il rivelatore è costituito da una gamma camera ruotante, fornita di un collimatore in piombo a fori paralleli, montata su una testa mobile che ruoto intorno al paziente, producendo una serie di distribuzione dell’intensità dei gamma emessi in piani trasversali. Per questo tipo di tecnica, vi sono i seguenti svantaggi: a) I collimatori di piombo necessari per definire la linea di volo del fotone hanno una bassa efficienza e limitano la risoluzione spaziale delle immagini a 10 – 15 millimetri; b) L’attenuazione dei fotoni dipende dalla posizione del radioisotopo e non può essere valutata a priori, come nel caso della PET; questo produce notevoli artefatti nelle immagini, la cui rimozione (parziale) richiede l’impiego di complicati algoritmi di ricostruzione; 20 c) I fotoni gamma emessi dai radionuclidi possono dare luogo a processi, con le particelle costituenti il tessuto attraversato, aventi nello stato finale fotoni di energia differente e diversa direzione di propagazione (diffusione Compton); il contributo della diffusione è notevole per l’intervallo di energia coperto dai radionuclidi utilizzati in medicina nucleare (100-150 keV). Per la SPECT valgono le limitazioni nella risoluzione dell’immagine della PET, determinate dal limite nella quantità di radionuclidi che si può introdurre nel sistema biologico senza provocare danni da radiazioni. Infine è opportuno osservare che, sia per la PET che per la SPECT, le immagini, tramite le loro differenti tonalità di grigio, forniscono anche informazioni quantitative sulla concentrazione del particolare tracciante nell’organismo, rendendo possibili studi in vivo di farmacocinetica e delle funzioni metaboliche degli organi sotto indagine. principio di funzionamento della SPECT trasversale PERCORSO AFFRONTATO INTRODUZIONE PREREQUISITI OBIETTIVI ELEMENTI DI RADIOATTIVITÀ PROCESSI DI INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA IMPIEGO DELLE RADIAZIONI X E γ IN BIOLOGIA E IN MEDICINA LA SCOPERTA DEI RAGGI X IL TUBO A RAGGI X PRODUZIONE E SPETTRO DEI RAGGI X 21 LA RADIAZIONE X IN DIAGNOSTICA: RADIOGRAFIA E TAC ASSORBIMENTO LA RADIOGRAFIA LA TAC (tomografia assiale computerizzata) LA RADIAZIONE γ IN DIAGNOSTICA LA SCINTIGRAFIA (o ECT emission computer tomography) LA SPECT IMPIEGO DEI DECADIMENTI IN MEDICINA LA PET 22