Lezioni 11-12

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Tecniche di valutazione del trascrittoma (microarray) e del proteoma (HPLC-Massa e MaldiTOF) per lo studio dell’espressione genica in vitro.
DNA microarray o DNA chips. Il principio su cui si basa di questa tecnica è il fatto che molecole di
DNA o RNA marcate in soluzione sono in grado di ibridarsi con elevate sensibilità e specificità
con sequenze immobilizzate su un supporto solido permettendone così la misurazione quantitativa.
I microarrays sono formati da file ordinate di molecole di DNA a sequenza nota che sono state fatte
aderire ad un supporto solido come silicio, vetro o nylon:
Ogni combinazione gene/campione si localizza così in modo univoco in ciascun punto del chip.
Questo metodo consente la misura simultanea del livello di trascrizione per ciascun gene di un
genoma (espressione genica). Che cosa è la trascrizione? E’ il processo di copiatura del DNA in
RNA messaggero (mRNA). Tanto più un gene è espresso tanto più è elevato il numero di molecole
del suo RNA messaggero. I microarrays in realtà non rivelano il mRNA, ma piuttosto il cDNA, più
stabile. Per ottenere ciò viene prima estratto tutto l’RNA dalle cellule (RNA totale) e quindi sullo
stampo di questo RNA viene sintetizzato un DNA complementare ad esso (si chiama cDNA). La
sintesi di questo cDNA viene effettuata mediante un enzima che si chiama trascrittasi inversa,
isolata da certi virus. Il cDNA viene quindi messo a contatto col microarray e se trova una sonda
complementare si fissa ad essa e può essere rivelato. Basati su tecnologie quali la ibridazione e
l’analisi in fluorescenza i microarrays costituiscono una vera e propria rivoluzione grazie alla loro
capacità di rendere possibili esperimenti inconcepibili fino a pochi anni fa. I nuovi chips potranno
contenere (e quindi analizzare) l’intero genoma umano in 2 cm x 2: questa enorme densità di
informazione genera quantità gigantesche di dati che devono essere acquisite, processate e
analizzate. I microarray trovano applicazione nell’identificazione di malattie genetiche complesse,
nell’analisi di microorganismi patogeni, nell’analisi dell’espressione differenziale dei geni, nella
tipizzazione di SNP e mutazioni, nella progettazione di nuovi farmaci e nella analisi tossicologiche.
Obiettivo degli esperimenti con microarrays è quello di mettere a confronto l’espressione dei geni
(=trascrizione) in condizioni controllate, vale a dire in momenti differenti oppure in tessuti
differenti, in tessuti sani o patologici (p.es tumori)
Trattandosi di una tecnica nuova la maggior parte dei metodi, protocolli e standards sono tuttora in
corso di definizione.
Data l’enorme mole di dati generati dai microarray è necessario l’aiuto di … bioinformatici !!! La
prima fase della progettazione del microchip consiste nella scelta dei geni che devono essere
analizzati nel corso dell’esperimento. Le sequenze necessarie potrebbero ad esempio derivare dai
database delle sequenze espresse (EST). Una volta selezionati i geni si effettuano, mediante PCR,
copie multiple di ciascuno di essi (=probes) e si fanno aderire al supporto del microarray. Il
supporto è in genere di vetro, a volte membrane di plastica, nylon, ...
Le sonde (“probes”) possono essere: cDNA (DNA chips), oligonucleotidi (Affymetrix) o DNA
genomico (SAGE). Si parte con i singoli geni, p.es. i circa 40.000 geni del genoma umano.
Si amplificano tutti mediante reazione di amplificazione (PCR). Si “spottano” su un supporto, in
genere un comune vetrino per microscopio (ciascuno spot ha un diametro di circa 100 µm). Lo
spotting viene effettuato con un sistema robotizzato. L’adesione delle sonde al supporto del
microchip può essere effettuata mediante tecniche diverse: microiniezione, fotolitografia, etc.
Parallelamente al disegno e costruzione del microchip che contiene i geni dei quali si vuole studiare
l’espressione si devono preparare i campioni nei quali si vuole studiare l’espressione di tali geni.
Una volta preparati i campioni essi vengono fatti reagire con le sequenze delle sonde sopra il chip.
Nei chip di DNA si aggiungono i campioni di entrambi i tipi di tessuto. Nei chip di oligonucleotidi
si combinano separatamente. Dopo l’estrazione del mRNA totale delle cellule nelle due condizioni
in esame si procede alla marcatura del mRNA di ciascun tipo di cellula con un fluorocromo distinto,
Si utilizza per esempio il verde (G) e il rosso (R). La marcatura si effettua sintetizzando cDNA da
un filamento complementare al mRNA mediante l’enzima trascrittasi inversa. Una volta preparati e
marcati i campioni essi vengono depositati in ciascun ciascun punto (pixel) del microchip
Ciò fa sì che i cDNA di entrambi i tessuti si possano ibridare con il DNA dei geni contenuti nelle
sonde del microchip.
L’ibridazione avrà luogo un misura proporzionale all’espressione del gene corrispondente a
ciascuna sonda, in ognuno dei campioni testati. Lavaggio in camera di ibridazione. Questa
operazione elimina il materiale non legato. Quello legato resta aderente al microchip. I campioni
ibridati sul microchip si illuminano in successione con raggi laser di due colori distinti per stimolare
la fluorescenza dell’uno e dell’altro fluorocromo. La quantità di mRNA associato ad un campione si
può determinare attraverso l’intensità della fluorescenza emessa. Se i fluorocromi sono stati scelti in
modo che i campioni di tipo 1 si marcano col verde e quelli di tipo 2 col rosso si avrà che:
Se prevale l’mRNA del campione di un tipo il punto corrispondente nello scanner appare verde.
Se prevale l’mRNA dell’altro tipo il punto appare rosso.
Se entrambi sono presenti in egual misura il punto sarà giallo.
Se nessun campione ha mRNA il punto resterà nero.
Così l’intensità delle fluorescenze emesse permetterà di determinare i livelli relativi di espressione
dei geni in entrambi i campioni. Dato l’elevato numero di punti il processo di estrazione
dell’immagine deve essere automatizzato.
Le due classi principali sono le seguenti :
•
Microarray di cloni di DNA sono preparati in anticipo e impressi sulla superficie di un
vetrino da microscopio (costo basso)
•
Microarray di oligonucleotidi sintetizzati in situ. Metodo che combina la tecnologia
fotolitografia dell’industria dei semiconduttori con al sintesi chimica degli oligonucletidi
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