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Giovedì 7 marzo 2013
Contenuti
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La profilassi con cotrimoxazolo nei bambini
HIV ed epatite B
Tubercolosi
Tassi di infezione tra uomini omosessuali di colore
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Nuova formulazione per il tenofovir
Una rete di contatti
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Sostieni NAM
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La profilassi con cotrimoxazolo nei bambini
Mutsa Bwakura-Dangarembizi durante la sua presentazione al CROI 2013.
Continuare a somministrare quotidianamente la profilassi con cotrimoxazolo ai bambini anche
dopo l’inizio della terapia antiretrovirale porta significativi benefici per la salute, stando ai risultati
di uno studio condotto in Uganda e Zimbabwe.
L’antibiotico cotrimoxazolo è raccomandato nella profilassi delle persone HIV-positive con un
sistema immunitario depresso. È un farmaco che fornisce un’importante protezione da una
polmonite AIDS-definente, la PCP.
Spesso, dopo l’inizio della terapia per l’HIV, la profilassi viene interrotta perché le difese
immunitarie si rafforzano.
Tuttavia, il cotrimoxazolo (Septrin, Bactrim) protegge anche da una serie di altre infezioni, tra cui
la malaria.
Gli autori di questo studio hanno voluto verificare se ci fossero benefici continuando a
somministrare questo farmaco anche dopo l’inizio della terapia antiretrovirale ai bambini in
contesti poveri di risorse.
Per lo studio sono stati arruolati 758 bambini in Uganda e Zimbabwe, randomizzati per
interrompere o proseguire la profilassi con cotrimoxazolo.
Dopo oltre due anni di follow-up, l’interruzione del cotrimoxazolo è risultata associata a un
maggior rischio di ospedalizzazione o morte.
Continuare la profilassi, invece, riduce il rischio di ospedalizzazione perché protegge da infezioni
come malaria, polmonite, sepsi e meningite.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della sessione di presentazione
HIV ed epatite B
Kees Brinkman dell’Onze Lieve Vrouwe Gasthuis di Amsterdam, durante la sua presentazione al CROI 2013. ©
Liz Highleyman / hivandhepatitis.com.
Un regime antiretrovirale composto da farmaci attivi sia contro l’HIV che contro l’HBV si è
dimostrato efficace nel prevenire l’infezione da epatite B. È probabile che questi farmaci
svolgano una sorta di profilassi pre-esposizione contro l’epatite.
I virus dell’HIV e dell’epatite B si trasmettono con modalità simili. A tutte le persone sieropositive,
se non sono già immunizzate, viene raccomandato di vaccinarsi contro l’epatite B. La
somministrazione avviene in tre dosi, dopodiché si raccomanda sempre di monitorare
regolarmente il livello degli anticorpi e, se necessario, effettuare dei richiami.
Tuttavia spesso l’assorbimento del vaccino è lento, e inoltre ci sono persone che non ricevono
tutte e tre le somministrazioni o che non hanno una risposta anticorpale sufficiente a proteggere
l’organismo dall’infezione.
Eppure, in un grande centro specializzato in HIV di Amsterdam, dei medici hanno notato che il
tasso di nuove infezioni da HBV tra pazienti sieropositivi restava basso. Perciò hanno voluto
verificare se questo poteva essere dovuto al fatto che molti assumevano farmaci antiretrovirali
efficaci sia contro l’HIV che contro l’epatite B.
I farmaci in questione sono il tenofovir (Viread, contenuto anche nei combinati Truvada, Atripla,
Eviplera/Complera e Stribild), il 3TC (lamivudina, Epivir), e l’FTC (emtricitabina, Emtriva).
Dei 3000 pazienti osservati, all’inizio dello studio ne sono stati individuati 871 come suscettibili
all’infezione (vale a dire che non avevano mai contratto l’epatite B né erano stati vaccinati).
Da rilevazioni successive è emerso che solo il 20% dei pazienti suscettibili era stato vaccinato
contro l’epatite B, mentre il 50% non aveva contratto l’infezione e il 4% (35 pazienti) mostrava
invece un’infezione recente.
Di contro, nella stessa popolazione si sono avute 200 nuove infezioni da epatite C. I ricercatori
ritengono dunque che le nuove infezioni da epatite B di fatto siano state “rare”.
I pazienti che non assumevano i farmaci a doppia azione hanno sviluppato l’epatite B prima di
quelli che li assumevano. Soprattutto il tenofovir si è mostrato efficace nel prevenire l’infezione.
Secondo i ricercatori, la spiegazione di questo basso tasso di trasmissione potrebbe essere da
ricercare proprio nell’impiego di farmaci efficaci contro entrambi i virus. Questi dati possono
avere delle implicazioni sul trattamento dei pazienti sieropositivi, che potrebbero non avere più
bisogno di richiami di vaccino anti-epatite B se già assumono i farmaci a doppia azione.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della sessione di presentazione
Tubercolosi
La dott.ssa Amina Jindani della St George’s University Medical School, Londra, durante la sua presentazione al
CROI 2013.
La terapia standard per la tubercolosi (TBC) prevede somministrazioni quotidiane di farmaci per
un totale di sei mesi.
Durante i primi due, la terapia è composta da quattro farmaci; nella fase di mantenimento, per i
successivi quattro mesi, si scende a due.
I risultati di un nuovo studio sembrano aprire alla possibilità di semplificare il regime
farmacologico durante la fase di mantenimento.
Sono stati infatti ottenuti buoni risultati con una nuova terapia combinata a base di rifapentina e
moxifloxacina, da assumere una sola volta alla settimana.
Questo potrebbe rendere molto più facile per i pazienti seguire correttamente il trattamento, e
aiutare gli operatori sanitari con i problemi legati ad aderenza e mantenimento in cura.
La terapia combinata settimanale ha dato buoni risultati nei pazienti con HIV, ma è da segnalare
che nessuno di loro stava assumendo antiretrovirali, e di conseguenza non sono disponibili dati
su eventuali interazioni.
Martin Boeree dell’Università St Radboud di Nimega, durante la sua presentazione al CROI 2013.
L’antitubercolotico di prima linea rifampicina è tollerabile anche in dosi molto più elevate di
quanto non si pensasse, come dimostra un nuovo studio. Una maggiore tollerabilità può
consentire di aumentare i dosaggi, riducendo così i tempi di cura.
La rifampicina (o rifampina, Rifadin, Rimactane) è un farmaco impiegato nel trattamento di prima
linea della tubercolosi, che si assume in dosi di 600mg al giorno per tutti i sei mesi della
terapia.
Tuttavia non ne è stato mai determinato il dosaggio massimo.
Per questo in Sudafrica è stato allestito uno studio su pazienti con tubercolosi attiva. I
partecipanti sono stati suddivisi in cinque gruppi, a cui sono stati somministrati diversi dosaggi
del farmaco.
Per sette giorni hanno assunto una monoterapia a base di rifampicina. La posologia è stata
calcolata in base al peso, a partire da 10mg/kg per il primo gruppo fino a 35mg/kg per il quinto.
Non è stato riscontrato che un dosaggio più alto di rifampicina aumentasse il rischio di
sviluppare effetti collaterali. Sembra inoltre che dosi più elevate possano ridurre la carica
batterica della TBC.
Sono in progetto altri studi per verificare sicurezza ed efficacia dei dosaggi a 35mg/kg e per
sperimentare dosaggi a 40 e 45mg/kg.
Una questione da considerare è quella dell’interazione tra la rifampicina e l’antiretrovirale
efavirenz (Sustiva, Stocrin, contenuto anche nell’Atripla). Quando vengono somministrati 600mg
di rifampicina, infatti, la dose giornaliera di efavirenz viene aumentata a 800mg: resta da chiarire
se l’aumento di rifampicina comporterà di aumentare anche le dosi di efavirenz.
Link collegati
Resoconto completo dello studio sulla terapia a base di rifapentina e moxifloxacina su
aidsmap.com (con link all’abstract)
Resoconto completo dello studio sul dosaggio della rifampicina su aidsmap.com (con link
all’abstract)
Webcast della sessione di presentazione
Tassi di infezione tra uomini omosessuali di
colore
Hyman Scott, University of California, San Francisco, presenting at CROI 2013.
Analizzando numerosi studi sul rischio di trasmissione dell’HIV per via sessuale tra i gay
afroamericani negli Stati Uniti, un gruppo di ricercatori ha riscontrato che questa categoria
presentava un rischio molto più alto di contrazione del virus per via sessuale che qualunque
altro gruppo di popolazione.
Gli studiosi non riuscivano a spiegarsi il picco di nuove infezioni che colpiva questo particolare
gruppo. Gli uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM), e in particolare quelli di colore,
hanno i tassi di incidenza di HIV più alti negli Stati Uniti. Anche negli ultimi anni, quando il
numero di nuove diagnosi nella maggior parte delle altre popolazioni restava sostanzialmente
stabile, nei giovani gay di colore c’è stato invece un aumento del 48%.
Gli scienziati dei Centri per il Controllo delle Malattie (CDC) hanno effettuato quattro studi per
verificare se l’aumento del rischio potesse essere legato ad altri fattori comportamentali o
demografici, oppure ad altri motivi ancora.
A questo scopo hanno osservato come, nei quattro diversi studi, il numero di rapporti sessuali
incideva sul rischio di contrarre l’HIV, mettendo in relazione i dati al tipo di rapporto sessuale e
allo stato serologico del partner. Hanno anche chiesto ai partecipanti se facevano uso di
stupefacenti per via iniettiva.
Senza considerare altri fattori, i giovani sotto i 25 anni avevano il 31% di possibilità in più di
contrarre il virus, un dato che nei giovani di colore saliva al 78%. Eppure questi stessi studi
hanno rilevato che i giovani di colore avevano meno rapporti sessuali non protetti. Lo studio non
è riuscito a spiegare in modo definitivo il fenomeno, ma sono stati individuati possibili concause,
come l’alta prevalenza di HIV tra gli afroamericani e il fatto che i partner venissero scelti
all’interno di piccoli gruppi.
I CDC hanno anche riferito al CROI nuove stime, le prime dal 1989, sull’efficacia del preservativo
per prevenire la trasmissione dell’HIV attraverso il sesso anale. Il preservativo ha dimostrato di
impedire il contagio sette volte su dieci, lo stesso dato riscontrato dallo studio risalente al 1989.
Questo vale però solo nel caso in cui il preservativo sia usato costantemente, cioè in ogni
rapporto sessuale. Lo studio ha evidenziato che solo una piccola percentuale di uomini usava
costantemente il preservativo –uno su sei, nel periodo preso in considerazione. Un altro dato
emerso da questo studio è che non c’è sostanziale differenza in termini di prevenzione del
contagio tra usare il preservativo “qualche volta” e non usarlo affatto. I ricercatori faranno nuovi
studi per quantificare questo “qualche volta” in percentuali più accurate, in modo da vedere qual
è precisamente la frequenza d’uso a cui il preservativo smette di essere efficace.
Questi ultimi dati costituiranno comunque un utile punto di riferimento per confrontare l’efficacia
del preservativo con quella dei nuovi metodi di prevenzione dell’HIV.
Link collegati
Resoconto completo dello studio sui tassi di infezione nei gay di colore su aidsmap.com
(con link all’abstract)
Webcast della sessione di presentazione con lo studio sui tassi di infezione nei gay di
colore
Resoconto completo dello studio sull’efficacia del preservativo su aidsmap.com (con link
all’abstract)
Webcast della sessione di presentazione con lo studio sull’efficacia del preservativo
Nuova formulazione per il tenofovir
Andrew Zolopa della Stamford University, durante la sua presentazione al CROI 2013. © Liz Highleyman /
hivandhepatitis.com.
Un nuovo pro-farmaco del tenofovir raggiunge le cellule infettate dall’HIV più facilmente della
formulazione attualmente utilizzata, come dimostra uno studio. Si chiama tenofovir alafenamide
fumarato o TAF, ed ha la stessa potenza antivirale della formulazione esistente (tenofovir
disoproxil fumarato, o TDF), con la differenza che consente dosaggi meno elevati e ha meno
effetti tossici su ossa e reni.
Il tenofovir è attualmente un farmaco cardine della terapia contro l’HIV, perché ha un’elevata
potenza antivirale e un basso profilo di tossicità. Tuttavia è stato associato a effetti collaterali a
carico dei reni e alla riduzione della densità minerale delle ossa.
Il nuovo pro-farmaco viene metabolizzato in modo tale da consentire maggiori concentrazioni nei
linfociti CD4: si riescono così a ottenere concentrazioni sufficienti con dosaggi inferiori, il che può
ridurre il rischio di eventi avversi.
I ricercatori hanno paragonato i dati relativi a sicurezza ed efficacia del TAF con quelli del
tenofovir nella sua formulazione attuale combinato con altri antiretrovirali.
Per lo studio sono stati arruolati 170 pazienti che iniziavano per la prima volta la terapia anti-HIV.
Dai risultati è emerso che il TAF ha la stessa potenza antivirale della formulazione esistente.
Complessivamente, anche il profilo di tossicità delle due formulazioni è risultato simile. Tuttavia,
il TAF è stato associato a minori effetti collaterali a carico di reni ed ossa.
Sul TAF sono attualmente in progetto studi di fase 3.
Link collegati
Resoconto completo su aidsmap.com
Abstract dello studio sul sito ufficiale della Conferenza
Webcast della sessione di presentazione
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