In cerca di vita sulle lune aliene

astronomia
In cerca
di vita
sulle
lune
aliene
I satelliti in orbita attorno a
pianeti di altri sistemi stellari
potrebbero essere tra gli
ambienti più abitabili della
nostra galassia. Il problema
è riuscire a identificarli
di Lee Billings
In breve
Illustrazioni di Ron Miller
Alcuni astronomi cercano di rilevare satelliti rocciosi in
orbita attorno a esopianeti lontani.
Se fossero abbastanza grandi da trattenere un’atmosfera,
questi «esosatelliti» potrebbero ospitare forme di vita.
Queste lune potrebbero essere rilevate analizzando i dati
già raccolti dal telescopio orbitante Kepler, ma la loro
presenza genererebbe segnali così deboli nei dati da
richiedere una potenza di calcolo enorme.
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Lee Billings è un giornalista e scrittore residente a New
York. Nel suo primo libro, Five Billion Years of Solitude,
racconta l’avventura scientifica della scoperta di pianeti
simili alla Terra nell’universo.
C
onosciamo oltre 1000 pianeti che orbitano
attorno ad altre stelle, e con ogni probabilità nella Via Lattea ce ne sono centinaia di
miliardi. Molti degli «esopianeti» conosciuti sono mondi gassosi e massicci, come Giove o Nettuno: ambienti ostili per ogni forma
di vita. Ma come i giganti del sistema solare anche gli esopianeti lontani potrebbero avere grandi lune. E in
questo caso le lune, non i pianeti, potrebbero essere la casa più
comune per la vita nell’universo.
La frontiera della ricerca di «esosatelliti», cioè di satelliti naturali di esopianeti, si trova negli scantinati dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, in una stanza con pareti nascoste
da computer coperti da reti metalliche. Alzando la voce per coprire il ronzio delle ventole di raffreddamento, l’astronomo britannico David Kipping sottolinea che al momento questa enorme potenza di calcolo è quasi interamente dedicata all’analisi di
un solo pianeta, Kepler-22b, che orbita attorno a una stella di tipo solare a circa 600 anni luce dalla Terra. Come indica il nome,
questo mondo lontano è stato scoperto dal telescopio spaziale Kepler della NASA, dedicato alla ricerca di esopianeti. Kipping spera che un’analisi più approfondita dei dati che hanno rilevato Kepler-22b possa rilevare anche i segnali più elusivi di almeno un
compagno di tipo lunare. L’astronomo britannico ha chiamato il
suo progetto Hunt for Exomoons with Kepler (HEK).
Attualmente il progetto di Kipping è la punta di diamante della ricerca di esosatelliti. L’enorme potenza di calcolo è necessaria perché anche il satellite più massiccio produrrebbe un segnale
molto debole nei dati. Per questo motivo Kipping cerca assiduamente prove della presenza di esosatelliti in orbita attorno a pochi pianeti bersaglio selezionati con attenzione. Se effettuasse una
ricerca rapida su molti più bersagli, l’astronomo potrebbe rilevare
un numero più grande di possibili esosatelliti, ma «non sono sicuro che in questo modo otterrei risultati credibili», dichiara. «Il nostro obiettivo è ottenere rilevazioni chiare e solide, su cui tutti potranno concordare».
Kipping ha buoni motivi per essere cauto. L’annuncio della rilevazione di un esosatellite sarebbe in ogni caso al centro di controversie, non solo per la difficoltà dell’impresa, ma anche per le
implicazioni potenzialmente molto profonde di una scoperta simile. Per esempio Kipping spiega che Kepler-22b si trova nella zona abitabile della sua stella, cioè nella regione in cui può esserci
acqua allo stato liquido. Date le sue enormi dimensioni, probabilmente il pianeta è una sfera inospitale costituita in gran parte da
gas, non un corpo roccioso di tipo terrestre. Se però Kepler-22b
avesse un compagno massiccio di tipo lunare, questo satellite naturale potrebbe avere un ambiente adeguato a ospitare forme di
vita e potrebbe essere un obiettivo per future ricerche di vita e intelligenza extraterrestre.
«Le lune aliene potrebbero essere abitabili», argomenta Kip-
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ping. «Se questo fosse vero, allora potrebbero esserci molte più
opportunità per la vita extraterrestre rispetto a quelle considerate in precedenza».
La costruzione dei satelliti
Per lungo tempo molti astronomi (e anche scrittori di fantascienza) hanno ipotizzato che i sistemi planetari extrasolari dovessero essere simili al nostro, con un gran numero di satelliti coperti di ghiaccio in orbita attorno a pianeti giganti freddi: una
situazione simile a quella che conosciamo per Giove e Saturno.
Ma negli anni novanta le prime scoperte di esopianeti hanno mostrato che ci sono altre possibilità: gli astronomi hanno cominciato a rilevare giganti gassosi che, dopo essersi formati nelle oscure regioni esterne sono in qualche modo migrati in zone più vicine
e più calde attorno alle stelle. Alcuni orbitavano addirittura nella zona abitabile della propria stella. Questa posizione ha sollevato una domanda ovvia: alcuni satelliti naturali di questi giganti
«tiepidi» possono avere una composizione rocciosa, un’atmosfera
protettiva e oceani, come la Terra?
Darren Williams, Jim Kasting e Richard Wade, ricercatori della Pennsylvania State University, sono stati i primi a studiare in
dettaglio la possibilità che un esosatellite abbia un ambiente simile a quello terrestre. In uno studio pubblicato nel 1997 su «Nature» i tre si erano chiesti quanto dovesse essere grande un satellite nella zona abitabile per avere stabilmente un’atmosfera densa a
sufficienza e acqua allo stato liquido in superficie. «Avevamo trovato che un satellite più piccolo di Marte, che ha una massa pari
a un decimo di quella terrestre, non è in grado di trattenere un’atmosfera per più di alcuni milioni di anni», spiega Williams. Sotto
questa soglia, l’attrazione gravitazionale del satellite non sarebbe
sufficiente a conservare un’atmosfera di densità adeguata; anzi,
l’atmosfera di un satellite troppo piccolo verrebbe dispersa dalla
radiazione proveniente dalla stella vicina.
Il problema è che la formazione di un satellite grande quanto un pianeta di tipo terrestre non sembra un processo molto frequente. Gli astronomi ritengono che la maggior parte dei satelliti si formi allo stesso modo dei pianeti, cioè per aggregazione
graduale a partire da un disco in rotazione di gas, ghiaccio e polvere (si veda il box a p. 32). La maggior parte delle simulazioni
di questo processo di assemblaggio produce al massimo un corpo di massa paragonabile a quella di Ganimede, che orbita attorno a Giove ed è il satellite più grande del sistema solare. Secondo
lo studio del 1997, un satellite dovrebbe accumulare una massa
quattro o cinque volte superiore a quella di Ganimede per poter
trattenere un’atmosfera in modo duraturo.
Per fortuna la natura ha sviluppato altri metodi per produrre
satelliti massicci. La Luna, per esempio, è troppo grande per essersi formata tranquillamente a fianco del nostro pianeta da un disco condiviso di gas e polvere. Molti astronomi sono convinti che
il sistema Terra-Luna sia nato da una catastrofica collisione avve-
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nuta ai primordi del sistema solare. Si ipotizza che anche Pluto- ha un raggio di poco superiore a quello della Luna. Secondo Kipne e il suo satellite più grande, Caronte, siano una coppia prodotta ping, se Kepler può trovare pianeti della grandezza della Luna, doda una collisione, sia pure a scala molto più piccola. Queste coppie vrebbe anche poter rilevare satelliti di dimensioni planetarie.
potrebbero spiegare l’esistenza di altri tipi di satelliti. Nelle cosidTuttavia, anche se Kipping analizza i dati raccolti da Kepler, il
dette «reazioni di scambio binario», un pianeta gigante che incon- suo progetto non fa parte della missione NASA, e l’astronomo britra una coppia di altri pianeti ne cattura uno come satellite, men- tannico non fa parte del gruppo di ricerca che gestisce la missione.
tre il compagno viene espulso nello spazio. Questo tipo di scambio In realtà, chiunque potrebbe fare come lui: i dati di Kepler sono di
è avvenuto almeno una volta nella storia del sistema solare: il sa- dominio pubblico, e analizzandoli astronomi e astrofili hanno già
tellite maggiore di Nettuno, Tritone, ha un’orbita bizzarra che pro- scoperto nuovi pianeti. L’approccio di Kipping si estende anche al
cede in senso retrogrado rispetto alla rotazione del pianeta gigan- finanziamento del suo progetto: grazie al crowdfunding con un site. Gli astronomi ritengono che Tritone sia stato catturato molto to web, ha raccolto 12.000 dollari per acquistare unità di calcolo,
tempo fa da Nettuno, che lo sottrasse a un altro compagno.
che ora sono parte della Michael Dodds Computing Facility, chiaSatelliti così grandi potrebbero ospitare acqua allo stato liqui- mata così in onore del donatore più generoso.
do, e quindi vita, anche se orbitassero attorno a un pianeta che
La strategia di ricerca di Kipping si basa su una peculiarità connon si trova nella zona abitabile del sistema stellare. Un riscal- trointuitiva delle interazioni gravitazionali: i satelliti orbitano atdamento supplementare potrebbe arrivare dalla luce riflessa e dal torno ai pianeti, ma è anche vero che i pianeti orbitano attorno ai
calore emesso dal pianeta, e dalla sua attrazione gravitazionale. satelliti. Più propriamente, un pianeta e il suo satellite orbitano atCome la Luna genera maree negli oceani terrestri, la gravità di un torno a un comune centro di massa, quindi l’orbita del satellite
gigante gassoso potrebbe generare energia mareale in un satelli- provoca oscillazioni nella posizione del pianeta.
te vicino, deformandone l’interno e riscaldandolo per attrito. È lo
Immaginiamo di osservare un sistema pianeta-satellite lontano.
stesso effetto con cui riscaldare una graffetta di metallo piegan- Quando il satellite passa a destra del pianeta, quest’ultimo, che ordola più volte con le mani. In effetti, secondo uno studio recente bita attorno al comune centro di massa, si sposta leggermente verdi René Heller della McMaster University e Rory Barnes della Wa- so sinistra. Supponiamo che il sistema pianeta-satellite transiti da
shington State University se l’orbita fosse troppo vicina al gigante sinistra a destra davanti al disco stellare. Il pianeta si troverà più a
gassoso il riscaldamento mareale potrebbe essesinistra rispetto alla posizione in assenza del sare così intenso da provocare l’ebollizione dell’atI dati di Kepler tellite. Questo spostamento, in un pianeta che si
mosfera o la fusione del satellite. Un’orbita un po’
muove da sinistra a destra, ritarderà di qualche
più ampia consentirebbe al satellite di godere di sono di pubblico minuto l’inizio del transito. Nel transito successiun ambiente temperato anche se il pianeta fosse
dominio e sono vo del sistema il satellite potrebbe trovarsi sul lato
lontano dal calore della stella.
opposto dell’orbita, quindi la posizione del pianeta
già stati usati
Le forze mareali potrebbero anche cambiare
sarebbe leggermente spostata verso destra e il suo
l’orbita di un satellite in modo che mostri semdagli astrofili transito anticipato di qualche minuto.
pre lo stesso emisfero al suo pianeta, come accade
Oltre a modificare i tempi di inizio dei tranper scoprire
per la Luna. Immaginare i cieli notturni di questi
siti, un satellite può alterare la durata totale dei
mondi in rotazione sincrona, spiega Heller, porta
nuovi pianeti
transiti stessi. Questa danza in cui le proprietà dei
a uno scenario assai bizzarro. «Per esempio, imtransiti si alternano nel tempo, di orbita in orbita,
maginiamo di trovarci sull’emisfero rivolto al pianeta di un satel- è la «firma» che ci si aspetta da un esosatellite.
lite in rotazione sincrona. Il pianeta apparirebbe enorme e immoInoltre, se il satellite fosse sufficientemente grande, potrebbe
bile nel cielo. Al “mezzogiorno” del satellite, che corrisponde al bloccare la luce della stella aggiungendo il proprio minuscolo conpunto della sua orbita in cui l’altezza della stella nel cielo è mas- tributo al segnale del pianeta in transito. L’attenuazione combinasima, quest’ultima passerebbe dietro al pianeta e non vi sareb- ta da parte del pianeta e del satellite apparirebbe analoga al segnabe luce riflessa proveniente dal pianeta stesso. Vedremmo solo un le di un pianeta singolo, tranne per il fatto che, di tanto in tanto,
disco nero esattamente sopra di noi e il cielo stellato tutto intor- durante un transito il satellite verrebbe a trovarsi davanti o dietro
no. A “mezzanotte”, quando l’orbita della luna porterebbe la stel- il pianeta. Il sistema pianeta-satellite eclissato intercetterebbe una
la sotto i nostri piedi, la faccia illuminata del pianeta si trasforme- quantità minore di luce. Gli astronomi potrebbero sfruttare questa
rebbe gradualmente prima in una falce luminosa e poi in un disco variazione per dedurre la presenza del satellite invisibile.
che riflette luce in abbondanza sul satellite. Quindi a mezzanotte il
La ricerca di effetti così sottili non è una sfida da poco. La piccocielo sarebbe molto più luminoso che a mezzogiorno».
la attenuazione della luce di una stella dovuta al transito di un satellite potrebbe anche essere riconducibile a fenomeni più prosaici.
La strategia di ricerca
Finora ogni modulazione rilevata nelle curve di luce è stata spiegaI satelliti abbastanza grandi da trattenere un’atmosfera dovreb- ta nel modo migliore da semplici fenomeni quali macchie stellari,
bero essere rilevabili nei dati di Kepler. Tra il lancio nel 2009 e l’in- fluttuazioni della radiazione stellare ed errori strumentali.
Peggio ancora, una singola firma temporale potrebbe essere
terruzione della missione nel 2012 per problemi al giroscopio, Kepler ha osservato una zona del cielo, monitorando la luminosità di prodotta da un gran numero di possibili configurazioni del siste150.000 stelle. La ricerca di pianeti avveniva rilevandone il tran- ma pianeta-satellite, differenti per dettagli quali grandezza del sasito: dal sistema solare osserviamo l’emergere di ombre, mentre i tellite, periodo e inclinazione della sua orbita. Queste inevitabili
pianeti passano davanti alle loro stelle. Ogni transito si manifesta incertezze rendono difficile la caratterizzazione di un esosatellite
quindi come un’attenuazione caratteristica e ricorrente della curva solo grazie agli effetti temporali.
Ma se si riuscisse a identificare la configurazione orbitale di un
di luce che registra la luminosità della stella nel tempo.
Il pianeta più piccolo rilevato da Kepler finoa oggi, Kepler-37b, sistema pianeta-satellite con gli effetti temporali e l’attenuazione
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Origini cosmiche
Come nasce un satellite naturale
Gli scienziati non si aspettano che pianeti gassosi simili a Giove possano ospitare forme di vita, ma se un pianeta di questo tipo avesse un satellite naturale
abbastanza grande, allora questa luna aliena potrebbe essere abitabile. Il satellite però dovrebbe avere una massa sufficiente a trattenere con la propria
gravità almeno un’atmosfera rarefatta. Differenti meccanismi di formazione possono generare satelliti di massa assai diversa.
32 Aggregazione da un disco
Esempio: satelliti di Giove
Si ipotizza che i pianeti abbiano origine
da un disco di polvere, gas e ghiaccio in
rotazione attorno a una stella. Attorno ai
giovani pianeti potrebbero formarsi altri
dischi, simili a vortici in una corrente (1).
Nel corso di milioni di anni i dischi
secondari si aggregano a formare anelli
e satelliti (2 e 3). Ma questo processo
può generare corpi grandi al massimo
come Ganimede, satellite di Giove, che
non possono trattenere un’atmosfera.
Gigantesca collisione
Esempio: Luna
Gli astronomi ritengono che poco dopo la
sua formazione la Terra sia stata colpita
da un oggetto di dimensioni paragonabili
a Marte (1). L’impatto produsse getti di
roccia e ferro (2) che si aggregarono e
si raffreddarono trasformandosi nella
Luna (3). In teoria collisioni del genere
dovrebbero formare due oggetti di
dimensioni simili. In questo scenario,
dunque, il «satellite» sarebbe grande al
massimo quanto il suo «pianeta».
Cattura da una coppia
di pianeti
Esempio: Tritone, satellite di Nettuno
Un sistema di due pianeti, formatosi
per esempio da una collisione,
potrebbe incontrare un terzo pianeta
più grande (1). Durante il passaggio
ravvicinato (2) il pianeta più grande
potrebbe attrarre uno dei due oggetti
della coppia ed espellere l’altro
nello spazio (3). I satelliti catturati
con questo processo possono essere
relativamente grandi.
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dovuta al satellite nella curva di luce stellare, si potrebbero determinare le masse di satellite, pianeta e stella del sistema. Combinando le masse con le dimensioni stimate in base alla quantità di luce
stellare intercettata dal pianeta o dal satellite, sarebbe possibile calcolare la densità di ciascun oggetto, aprendo una finestra su composizione, storia della formazione e potenziale abitabilità dei pianeti e dei loro satelliti. Con un’attenta analisi di una successione di
transiti in un dato sistema si potrebbero individuare dettagli ancora più sfuggenti nelle variazioni della luce stellare.
«È sorprendente quante informazioni ci siano in una curva di
luce», dice Kipping nel suo ufficio. «Che cosa accade se il pianeta o
il satellite in transito ha una forma leggermente schiacciata ai poli o ha anelli? Che cosa accade se l’atmosfera di un corpo rifrange
e curva la luce stellare che la attraversa? Effetti di questo tipo potrebbero essere individuabili nei dati. È una soddisfazione incredibile osservare quei puntini sfavillanti nel cielo notturno e sapere
che possiamo fare una semplice misurazione della loro luminosità
e trasformarla in tante informazioni più complesse».
Per rilevare un satellite in orbita attorno a un pianeta scoperto
con il metodo dei transiti, il progetto HEK parte da una domanda:
come apparirebbe la curva di luce stellare se un satellite orbitasse
attorno a quel pianeta? L’algoritmo HEK genera un numero elevato
di curve di luce simulate, relative a ipotetici sistemi pianeta-satellite con un’ampia gamma di masse, raggi e orbite, poi setaccia i dati di Kepler in cerca di corrispondenze, concentrandosi sui segnali
statisticamente plausibili dell’esistenza di un satellite. Questo procedimento necessita di tanta potenza di calcolo, ed è anche il motivo per cui Kipping seleziona solo i migliori bersagli nel colossale bottino di pianeti certi e ipotetici raccolto da Kepler. La maggior
parte dei suoi bersagli sono pianeti di massa relativamente piccola,
delle dimensioni di Nettuno, che orbitano a breve distanza da una
stella di tipo solare e compiono un’orbita in non più di sei mesi. I
pianeti con queste caratteristiche sono proprio quelli che mostrerebbero i segnali più evidenti di un grande satellite.
Il progetto prevede anche l’analisi di transiti di pianeti in orbita
attorno a nane rosse, oggetti più piccoli, più deboli e più numerosi
rispetto alle stelle simili al Sole. La ridotta dimensione implica che
un pianeta in transito intercetti una percentuale più elevata della
luce emessa dalla nana rossa. La radiazione relativamente debole
fa sì che la zona abitabile si trovi molto vicina alla stella; un pianeta in orbita a una distanza del genere avrebbe un periodo orbitale breve e offrirebbe agli astronomi un maggior numero di transiti
da studiare. «Queste stelle facilitano il nostro lavoro», spiega Kipping. «Probabilmente nei casi fortunati potremmo rilevare un satellite con massa fra un decimo e un quinto di quella terrestre».
In quello che sarebbe forse il caso peggiore, HEK non identificherà alcun satellite, consentendo almeno a Kipping di porre un
limite superiore al numero di pianeti con satelliti massicci. Ma
già ora si può restringere il campo delle possibilità. «Se esistessero molti satelliti davvero grandi, per esempio lune di due raggi
terrestri in orbita attorno a un pianeta delle dimensioni di Giove,
basterebbe guardare la curva di luce di quei sistemi per rilevarne
l’effetto», dichiara Eric Ford, astronomo dell’Università della Florida. «Quindi ci sono buone probabilità che nella zona di cielo osservata da Kepler un satellite del genere sarebbe già stato rilevato.» Dopo ulteriori analisi, Kipping ha escluso che Kepler-22b, uno
degli obiettivi delle prime indagini, possa avere un satellite di raggio superiore a metà del raggio terrestre.
Altri astronomi, tra cui Eric Agol, della Washington State Uni­
versity, sono scettici sulla possibilità di rilevare satelliti verifica-
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bili nei dati di Kepler, soprattutto solo in base agli effetti temporali. «Per avere una rilevazione credibile occorrerebbe evidenziare
il transito vero e proprio del satellite. Ma siamo al limite di quello
che Kepler è in grado di fare. Anche se la natura può sempre riservarci qualche sorpresa».
Nonostante i dubbi, Agol ammette che sta effettuando ricerche non «ufficiali»; a differenza di HEK, il suo progetto non sfrutta analisi numeriche intensive, ma cerca effetti di maggiore entità
in un campione abbastanza ampio delle curve di luce ottenute da
Kepler. «La mia impressione è che, nei limiti del ragionevole, dovremmo cercare attorno a ciascun pianeta identificato», afferma.
Occhi sui satelliti
Come osserva Kipping, quei satelliti possono aumentare le probabilità di esistenza di forme di vita in più di un modo. Senza la
Luna, per esempio, clima e stagioni della Terra potrebbero essere
molto diversi perché a scale temporali astronomiche il nostro satellite contribuisce a stabilizzare l’inclinazione dell’asse terrestre.
Inoltre, dato che la Luna si è formata a una distanza orbitale molto
più piccola di quella attuale, gli effetti mareali esercitati sulla Terra
primordiale dovevano essere giganteschi e potrebbero aver avuto
un ruolo cruciale nelle origini e nello sviluppo della vita.
«Quando rileveremo un pianeta di tipo terrestre nella zona abitabile, una delle prime domande sarà: ha un satellite?», spiega
Kipping. La risposta aiuterà a determinare se il pianeta è un vero gemello della Terra o solo un cugino con una vaga somiglianza. «Ci si può chiedere se il caso del nostro pianeta è più unico che
raro o se sistemi come quello Terra-Luna sono in realtà comuni»,
prosegue. «Con una dimensione del campione pari a uno è impossibile rispondere, ma potremo farci un’idea più precisa se troveremo qualche altro esempio al di fuori del sistema solare».
Con il giusto tipo di occhi telescopici, ben al di là delle capacità
di Kepler, un esosatellite non sarebbe più un semplice segnale che
indica una possibile seconda Terra in orbita attorno a una stella vicina. Come spiega Kipping, un telescopio sufficientemente grande,
a terra o nello spazio, che osservi il transito di un corpo di dimensioni terrestri, pianeta o satellite che sia, potrebbe studiare l’atmosfera di quel mondo remoto in cerca di marcatori della vita, come
l’ossigeno di cui è ricca l’atmosfera del nostro pianeta.
Kipping inoltre è convinto che si possano usare alcuni satelliti
per mappare la superficie dei loro pianeti. Gli astronomi sfruttano
già i transiti planetari per mappare la superficie stellare analizzando in dettaglio la luminosità della stella mentre il pianeta le passa davanti. «Quando dal punto di vista della Terra un satellite passa davanti a un pianeta si ha la stessa opportunità, ma quella che si
analizza è la luminosità del pianeta», spiega. «Quindi, con strumenti sofisticati si potrebbero mappare i continenti e la distribuzione
degli oceani di un pianeta gemello della Terra sulla sola base delle variazioni della curva di luce durante il transito del satellite. Potrebbe essere il modo più probabile per ottenere qualcosa di simile
alla fotografia di un pianeta potenzialmente abitabile. E sarebbe la
prima fetta di una grande torta».
n
per approfondire
The Hunt for Exomoons with Kepler (HEK): I. Description of a New Observa­
tional Project. Kipping D.M. e altri, in «Astrophysical Journal», Vol. 750, n. 2, pp.
115-134, 2012.
Five Billion Years of Solitude: The Search for Life among the Stars. Billings L.,
Penguin Group, 2013.
Progetto Hunt for Exomoons with Kepler (HEK): www.cfa.harvard.edu/HEK/.
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